(106) 18/02/2007
1967-2007 Un'altra Ivrea?

1967-2007 Un'altra Ivrea?
L'editoriale di ateatro 106
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and1
 
1967-2007. C’è bisogno di un terzo convegno di Ivrea?
Una mail alla redazione di ateatro
di Alfredo Tradardi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and2
 
In margine ai 60 anni del Piccolo Teatro di Milano
Su Mario Apollonio
di Gianandrea Piccioli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and6
 
BPSUD Teatri e Diversità al Sud
Diffusione delle esperienze di Teatro Sociale nel Sud e nelle Isole
di Vito Minoia *

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and22
 
Under Surveillance
Il teatro del controllo elettronico
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and50
 
Le recensioni di ateatro Il Circo dei Peluches al Politeama di Cascina
Kammertheater en Exil
di Sara Ficocelli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and55
 
Le recensioni di ateatro Il Metodo Gronholm con Nicoletta Braschi
Testo di Jordi Galceran Regia di Cristina Pezzoli
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and56
 
Totonomine Roma, Milano e Cascina
Ma ci sono anche Piero Pelù e Caterina Caselli
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and61
 
Cascina Il documento con le firme
Perché il teatro è patrimonio di tutti
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and61
 
Cascina Eppure non firmerò
Una mail a Roberto Scarpa
di Concetta D'Angeli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and62
 
Cascina Teatro e società: un rapporto in crisi
Risposta al documento di Roberta Scarpa e Fabrizio Cassanelli
di Renzo Boldrini*

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and63
 
Domanda e offerta di cultura: un incontro a Bologna
Invito in Provincia. I primi 10 anni
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and70
 
Antonin Artaud: due incontri con Evelyne Grossman
A Roma
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and71
 
Totopoltrone Roberta Carlotto nuovo direttore del Mercadante-Stabile di Napoli
Eletta all'unanimità
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and72
 
Nasce la "Costituente" della nuova associazione dei Teatri Stabili pubblici italiani
L'incontro a Milano
di Ufficio Stampa Piccolo Teatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and72
 
The Grotowski Institute (in inglese)
La nascita dell'Istituto e le linee di lavoro per il futuro
di The Grotowski Institute

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and73
 
Il Festival Opera Prima 2007: il bando
Il Teatro dello Spettatore a giugno
di Teatro del Lemming

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and75
 
Gli Incunabula della Socìetas Raffaello Sanzio a Cesena
Giornate internazionali di immaginazione teatrale, danza, musica, computer art
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and77
 
Ubu Buur: una lettera dal Senegal
Debutta il nuovo spettacolo delle Albe
di Marco Martinelli

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Qualcosa di sinistra? 20 milioni di euro allo spettacolo
Il patto Stato-Regioni
di Redazione ateatro

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I vincitori dei Premi Ubu
La premiazione il 22 gennaio al Piccolo Teatro Studio
di Ubulibri

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A Milano l'Altrofestival Rassegna teatrale delle migrazioni
Al Teatro Guanella dal 1 all'11 febbraio
di Ufficio Stampa

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Totonomine Un'inchiesta di "Panorama"
Alessandro Gassman all'Aquila (sicuro), Le Moli o Lavia a Roma (forse)
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and84
 
Totonomine Federico Tiezzi direttore a Prato
In bocca allupo!!!
di Redazione ateatro

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Teatro, biografia e gender studies
Roma il 15 e 16 febbraio 2007
di Roberta Gandolfi

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Il bando di "Kilowatt Festival 2007"
Per gruppi emergenti di tearo e danza
di Kilowatt Festival

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Caro Rutelli, i festival non si inventano
L’elzeviro su "Liberazione" del 10 febbraio 2007
di Pippo Delbono

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and88
 
Autore chiama Autore: una proposta di scrittura per il teatro
Il bando
di Bancone di prova

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and89
 
Organizzare e gestire il non profit
Un corso “OPEN” a cura di Marina Gualandi
di Paolo Grassi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro106.htm#106and90
 

 

1967-2007 Un'altra Ivrea?
L'editoriale di ateatro 106
di Redazione ateatro

 

Con una lettera ad ateatro che pubblichiamo in questo numero della webzine, Alfredo Tradardi si chiede – e ci chiede – se ha senso pensare a un terzo Convegno di Ivrea, dopo quelli del 67 e dell’87.


Un po’ di storia
(soprattutto a uso dei più giovani)

Esattamente quarant’anni fa un ampio e variegato gruppo di artisti e artisti (raccolti intorno alla rivista “Sipario”, allora diretta da Franco Quadri) lanciava il “Manifesto per un nuovo teatro” e si incontrava a Ivrea in un convegno destinato a lasciare il segno.
Da allora per il teatro italiano “Ivrea” è diventato sinonimo della necessità di un cambiamento sempre atteso, e che non arriva mai. Un cambiamento che è (che dovrebbe essere…) senz’altro generazionale, e investe i diversi aspetti dell’evento teatrale: il linguaggio (le “tecniche drammatiche e i nodi espressivi”, si diceva nel ‘67), la critica, il confronto con le altre arti e con la scena internazionale; e di conseguenza gli aspetti organizzativi attraverso la denuncia dell’“invecchiamento” e del “mancato adeguamento delle strutture”.
Ivrea 67 era insieme una denuncia del mancato rinnovamento del teatro italiano e un tentativo di innescarlo, questo rinnovamento. In parte – o meglio, su alcuni aspetti – questo rinnovamento c’è stato: negli anni Settanta si è imposta una nuova idea di teatro, si è creato un nuovo pubblico, molte esperienze hanno portato profonde trasformazioni del linguaggio teatrale e nell’intreccio tra le diverse arti. Insomma, l’aggiornamento del teatro italiano - per chi l’ha voluto - c’è stato, eccome.
Tuttavia per molti altri – e per gran parte del nostro teatro - la situazione è rimasta bloccata. Le esperienze più innovative sono state riconosciute da critica e pubblico, ma in genere il sistema teatrale le ha lasciate ai margini e le ha in vario modo ghettizzate, senza che potessero incidere davvero sulle strutture portanti del nostro sistema teatrale (l’unico tentativo di portarle al centro della scena, con la Biennale Teatro dell’84-85, venne subito stoppato).
Vent’anni dopo Ivrea 67, i “quattro moschettieri” de primo convengo (Bartolucci, Capriolo, Fadini e Quadri, spronati da Alfredo Tradardi) hanno provato a rilanciare le parole d’ordine e gli slanci dell’incontro che in Italia aveva dato inizio al ’68 teatrale. Sotto l’insegna “Memorie e utopie”, venne chiamato a raccolta il nuovo teatro (un’area certo più riconoscibile e omogenea, almeno con il senno di poi, rispetto ai firmatari di Ivrea 67) per una proposta insieme poetico-culturale e politica. Nel 1987 protagonista di quell’incontro era soprattutto una folta generazione di teatranti (all’epoca erano intorno alla trentina) che andava da Tiezzi-Lombardi a Barberio Corsetti, da Martone alla Raffaello Sanzio (il “teatro dei gruppi”, per usare una facile etichetta). L’ambigua risposta del sistema teatrale venne un paio d’anni dopo, impostata da un apposito convegno a Perugia, con la nascita dei Centri di Ricerca (sul modello del modenese San Geminiano e del milanese Crt): strutture stabili e radicate nel territorio, che avrebbero dovuto costruire una rete di sostegno organizzativo e distributivo alle realtà del nuovo teatro. Ai gruppi si riconosceva la qualità estetica, ma venivano messi sotto tutela per una sostanziale immaturità politico-organizzativa.
Da un certo punto di vista, Ivrea non ha perso la sua attualità. Perché ancora oggi il sistema teatrale italiano resta ancorato ai suoi vizi, che sembrano eterni (e che riflettono alcuni vizi nazionali): mancato ricambio generazionale e “monopolio di gruppi di potere”, burocratizzazione politica e amministrativa e mancanza di fantasia organizzativa (o meglio, incapacità di recepire le invenzioni organizzative delle periferie da parte del centro del sistema), chiusura rispetto ai nuovi linguaggi, alle nuove tecnologie, alla scena internazionale. Con alcune aggravanti, di fronte al vorticoso incalzare dei tempi: basti pensare da un lato all’impatto sempre crescente dei mass media sulla comunicazione (compresa quella teatrale: con implicazioni sia nel rapporto con il pubblico all’interno dell’evento spettacolare; e sul ruolo del eatro all’interno della mediasfera); dall’altro alla diminuzione delle risorse pubbliche (e alle implicazioni di una mentalità “maggioritaria” e non più consociativa, ma ugualmente clientelare).


Ivrea 2007?

Tra i suoi obiettivi, ateatro ha senz’altro il rinnovamento del teatro italiano nei suoi vari aspetti. E’ dunque ovvio che si ponga in un rapporto di continuità con i due convegni di Ivrea: non a caso ateatro è nato dopo la “cacciata” di Mario Martone dalla direzione del Teatro di Roma; non a caso in ateatro 44, nel 2002, per lanciare le nostre Buone Pratiche abbiamo pubblicato un dossier su Ivrea, ripubblicando il Manifesto per un nuovo teatro del 67 e la relazione di Gianfranco Capitta, Gianni Manzella Oliviero Ponte di Pino per Ivrea 87.
Con queste premesse, accogliamo con grande piacere l’invito di Alfredo Tradardi a riflettere sull’opportunità di un terzo “convegno di Ivrea”. Anzi, ci piacerebbe aprire la riflessione a tutti i frequentatori del sito, perché riteniamo che – in un momento come questo, dove è difficile trovare chiavi di lettura unificanti e prospettive condivise – una riflessione collettiva possa essere assai utile.
Nell’attesa di altri contributi, possiamo provare a impostare la discussione.

In primo luogo, va riconosciuto il valore storico di quei due incontri, che hanno segnato la storia del nostro teatro. Riflettere su quell’esperienza in una prospettiva storica, rendendo disponibile la documentazione raccolta e approfondendo la ricerca, è senz’altro utile.
Ma non crediamo che Ivrea 2007, se si farà, possa e debba limitarsi all’ordinamento archivistico dei materiali sui due incontri (magari con un bilancio degli obiettivi delineati e di quelli raggiunti).
Quello che più ci interessa è ovviamente capire quanto dell’ispirazione di quei due incontri resti ancora valido e possa oggi esserci utile.
Insomma, ha senso ed è possibile rilanciare oggi lo “spirito di Ivrea”?
Rispetto all’87 (e a maggior ragione rispetto al ’67), come si è già sottolineato, alcune condizioni sono rimaste immutate e diversi problemi restano irrisolti: il sistema teatrale italiano resta nella sostanza bloccato, sclerotizzato.
Tuttavia è altrettanto evidente che in questi decenni molte cose sono cambiate.
In primo luogo il fronte del nuovo teatro è assai diverso e più articolato rispetto alla linea “avanguardista” dell’87 (anche se già allora alcuni interventi, come quelli di Tiezzi e Barberio Corsetti, uscivano dalla logica dell’avanguardie per andare verso un “teatro di poesia”). Oggi il nuovo arriva sulla scena anche da altre direzioni: l’interesse per la nuova drammaturgia (sia italiana sia straniera), ma anche un teatro d’attore vitale e variegato (compreso l’arcipelago del teatro di narrazione, con il suo impegno civile), e ancora i “teatri delle diversità” e “del disagio”.
Queste esperienze possono trovare un terreno unitario d’incontro e di scambio, una piattaforma comune?
Facendosi carico della lezione novecentesca e prendendo atto della élitarietà del teatro di fronte all’avvento dei mass media, Ivrea 67 si era mossa all’interno della tradizione delle avanguardie. Ivrea 87 si muoveva ancora all’interno di quella logica (anche se già emergevano spinte ed esigenze diverse). Oggi quel metodo è ancora valido? E’ ancora in grado di cogliere il senso delle trasformazioni e anticipare il futuro?
C’è in ogni caso un settore in cui il metodo delle avanguardie non sembra aver perso il proprio smalto: è quello della multimedialità e dell’intreccio del teatro con i nuovi media e le nuove tecnologie.
Ma probabilmente, per rilanciare lo “spirito di Ivrea” non è sufficiente limitarsi a censire l’esistente, identificare un terreno condiviso e creare un fronte comune. E’ ancora più importante e necessario creare le condizioni per far emergere il nuovo: in questa ottica, esperienze come il “Premio Scenario”, “Opera Prima” o il “Premio Riccione” e altre iniziative analoghe, così come certi “festival vetrina” da sempre attenti alle nuove realtà, svolgono una funzione importante, ma certo non basta. Ma come è possibile favorire davvero le realtà più giovani e nuove? C’è inoltre, da parte delle giovani generazioni, una notevole diffidenza nei confronti degli assetti esistenti e la richiesta di regole chiare e meccanismi trasparenti: come possiamo soddisfarli?
Un altro nodo riguarda gli assetti istituzionali. Il teatro in questi decenni ha funzionato per progressive cooptazioni: per prime – dagli anni del fascismo - furono sovvenzionate dal potere centrale le compagne private, nel dopoguerra anche gli stabili, dagli anni Settanta le cooperative e i gruppi di ricerca, infine nelle circolari ministeriali entarono via via stabili privati, teatro ragazzi, circuiti, festival, centri di ricerca, progetti speciali…); negli ultimi anni la riduzione del fondo ministeriale è stata compensata da un aumento di risorse messe a disposizione dagli enti locali (regioni, province e comuni) e più di recente da Arcus spa. Il nuovo ministero Rutelli, al di là del progressivo reintegro del FUS previsto dal programma di governo, ha stanziato somme notevoli per il Festival Nazionale e per il Fondo Stato-Regioni. Ma come verranno gestiti questi fondi? Con quali criteri verranno ripartite queste risorse? Andranno a beneficio dei soliti noti, in grandi vetrine festivaliere e in progetti faraonici, o potranno contribuire a rinnovare il nostro sistema teatrale? Anche su questo versante un’iniziativa come Ivrea 2007 dovrebbe prendere posizione.
Infine – ma è ovviamente un nodo centrale – gli aspetti organizzativi. L’immobilismo degli stabili – già denunciato nel ’67 - è ormai cronico: sono affollati di direttori a vita e bloccati nelle loro scelte artistiche da macchine pachidermiche ed equilibrismi politici. I centri (malgrado qualche eccellenza come Ravenna Teatro) non sono riusciti a creare una rete alternativa e vivono da anni una crisi d'identità. La forma del gruppo, egemone negli anni Ottanta, si è profondamente trasformata e non offre più un modello. Molto si sta muovendo: continuano a nascere nuovi teatri, nelle grandi città (soprattutto nelle periferie) ma anche nei centri minori; fioriscono festival e rassegne (anche se alcune realtà “storiche” appaiono in declino); l’esperienza delle residenze sembra offrire un’alternativa interessante; si sviluppano interessanti forme di auto-organizzazione, a diversi livelli.

Questi sono solo alcuni spunti di riflessione: volendo davvero pensare a una Ivrea 2007, di carne al fuoco ce ne sarebbe davvero molta. Quello che forse manca, oggi, è un luogo – uno spazio critico - nel quale condurre questa riflessione. Le due edizioni di Ivrea sono nate dalla collaborazione – dalla comunanza di intenti – di un gruppo che raccoglieva artisti e critici, gi uni e gli altri certo “di tendenza”. Un meccanismo analogo ha dato forza negli anni Ottanta al Terzo Teatro, grazie alla collaborazione tra i gruppi e alcuni docenti universitari. Oggi è possibile pensare a una analoga alleanza tra “teorici” e “pratici”? La critica può ancora avere un ruolo propulsivo? E in che sede lo può esercitare?
A questa, come ad altre domande, dobbiamo ancora cercare una risposta. Quello che possiamo fare è – ripetiamo - mettere lo spazio liero e indipendente di ateatro a disposizione di tutti, per provare a riflettere, tutti insieme, se è possibile in quale modo rilanciare lo “spirito di Ivrea”.


 


 

1967-2007. C’è bisogno di un terzo convegno di Ivrea?
Una mail alla redazione di ateatro
di Alfredo Tradardi

 

Abbiamo ricevuto questa mail che pubblichiamo molto volentieri e che ha già suscitato una riflessione nella redazione di ateatro. Nei prossimi numeri della webzine cercheremo di dare una risposta alla domanda che ci pone Alfredo Tradardi. O meglio, cercheremo di trovare qualche risposta a una domanda molto simile: quale può essere oggi lo spirito di Ivrea? Dove lo possiamo trovare – o cercare?
Su ateatro sono disponibili il manifesto di Ivrea67 e la relazione di Capitta-Manzella-Ponte di Pino per Ivrea 87: il tema della continuità storica con quelle esperienze è per noi centrale.
Ovviamente siamo disposti a raccogliere e pubblicare altri contributi sul tema: pensiamo che una riflessione collettva su questo tema sia oggoi moto importante e speriamo di allargare il dibattito a più voci. (n.d.r.)


Nel 1967 si tenne a Ivrea, come ben sapete, il Convegno per un Nuovo Teatro. Ero a Ivrea. Non me ne accorsi. In all. 1 le ragioni per le quali un programmatore di computer finì poi per tenerne conto.
Il convegno del ‘67 si tenne nel mese di giugno, dal 9 al 12, promosso dall’Unione Culturale di Torino e dai Servizi Culturali Olivetti. In allegato 2 una sintesi informativa.

Nel mese di settembre del 1987 con il patrocinio della Provincia di Torino, a venti anni dal convegno del ‘67, si è tenuto sempre a Ivrea, su iniziativa di itàca, il convegno "Ivrea ‘87 Memorie e Utopie - Convegno per un Nuovo Teatro". In allegato 4 una sintesi informativa.

Il tempo, questo filo così deciso e decisivo nei suoi passi, sta per scandire i 40 anni dal primo e i 20 anni dal secondo convegno di Ivrea.


C’è bisogno di un terzo convegno di Ivrea?
Io penso di sì, perché in tempi così oscuri abbiamo bisogno di "più cultura" (e di "più teatro", povero, civile e necessario), come capacità di riflessione individuale e collettiva sul passato, sul presente e sul futuro.
Ma a dare una risposta a questa domanda può certamente dare un contributo significativo il collettivo di www.ateatro.it, che mi sembra costituire uno dei sensori più vivi su quanto urge e spinge nella coscienza collettiva di una parte, anche giovanile, della società italiana.

Con stima,
Alfredo Tradardi

Presidente Associazione Culturale itàca
Mercenasco, 14 gennaio 2007
www.frammenti.it info@frammenti.it


All.1. Come un programmatore di computer finì per accorgersi del Convegno per un Nuovo Teatro

Il 1° giugno del 1960 ebbi la ventura, giovanissimo ingegnere meccanico non ancora 24enne, di essere assunto a Ivrea. Adriano Olivetti era morto il 27 febbraio di quell’anno.
Sono stato partecipe, fino al novembre del 1991, di quella singolare esperienza industriale, culturale e sociale.
Sono uno dei tanti testimoni di come una impresa responsabile, per dirla con Luciano Gallino, si possa trasformare nel suo contrario, fino a che l’irresponsabilità ne determina la scomparsa[1].
Nel 1975 fui eletto consigliere comunale a Ivrea per il PSI e dal maggio 1977 al maggio 1979 assessore alla cultura. Mi furono preziosi uno scritto di Giorgio Balmas sulle politiche culturali e un saggio di Gian Renzo Morteo, Ipotesi sulla nozione di teatro. Un collaboratore di Edoardo Fadini venne a propormi Sette meditazioni sul sadomasochismo politico del Living Theater. Dissi di sì e così ebbi a scoprire l’esistenza di un teatro "altro".
Arrivarono a Ivrea nel 1978 Lisi Natoli con A Salvatore Giuliano e A Ntà - Ntà: l’Orestea (il 14 e il 15 marzo, il 16 mattina la compagnia stava per ripartire per Roma, ero in una riunione di lavoro alla Olivetti. Entrò una persona e disse "Hanno rapito Moro", mi precipitai al Teatro Giacosa per avvertirli), e poi Leo e Perla con Avita murì, e poi Giorni felici con Anna D’Offizi per la regia di Rino Sudano, e poi nel 1979 Rem & Cap con Sacco, Richiamo e Pozzo. Fu così che un programmatore di computer "alla fine finì" per accorgersi che nel 1967 c’era stato a Ivrea uno storico convegno.


All. 2. Ivrea ‘67 Convegno per un Nuovo Teatro

Il manifesto Per un convegno sul nuovo teatro iniziava così:
"La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica. In una situazione di progressiva involuzione, estesa a molti settori chiave della vita nazionale, in questi anni si è assistito all’inaridimento della vita teatrale, resa ancora più grave e subdola dall’attuale stato di apparente floridezza."
Il manifesto del convegno era stato firmato da: Corrado Augias Giuseppe Bartolucci Marco Bellocchio Carmelo Bene Cathy Berberian Sylvano Bussotti Antonio Calenda e Virginio Gazzolo Ettore Capriolo Liliana Cavani Leo De Bernardinis Massimo De Vita e Nuccio Ambrosino Edoardo Fadini Roberto Guicciardini Roberto Lerici Sergio Liberovici Emanuele Luzzati Franco Nonnis Franco Quadri Carlo Quartucci e il Teatrogruppo Luca Ronconi Giuliano Scabia Aldo Trionfo.
Al convegno partecipò anche Eugenio Barba con Else Marie Laukvik e Torgeir Wethal (in all. 3 una loro testimonianza).

Del Convegno del 1967 esiste una ricerca effettuata da itàca con il patrocinio della Regione Piemonte che contiene:

- alcune foto del convegno messe a disposizione dai servizi culturali Olivetti (non esistono più perché non esiste più la Olivetti[2]);
- la trascrizione quasi integrale delle cassette registrate durante il convegno, messe a disposizione dai servizi culturali Olivetti;
- 25 interviste con i partecipanti al convegno effettuate da Lorenzo Mango, Roberto Pellerey e Alfredo Tradardi nel 1985-86;
- una tesi di laurea sul convegno Rivoluzioni dimenticate e utopie realizzate di Francesco Bono (2004).

Animatore del convegno fu Ludovico Zorzi (Servizi Culturali Olivetti), docente di Storia dello Spettacolo alla Università di Firenze, uno dei massimi studiosi del Ruzante, prematuramente scomparso nel 1983. Promotori Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini e Franco Quadri.


All. 3: Else Marie Laukvik e Torgeir Wethal
Intervista di Alfredo Tradardi (17 settembre 1986)

T. - Come mai a Ivrea? Perché? Quali sono i ricordi? Quali sono stati i lavori successivi? E inoltre vi chiedo qualche considerazione sul teatro negli anni passati e sulle prospettive del teatro. è chiaro che da voi soprattutto mi attendo una testimonianza: che cosa vi ricordate di quella esperienza?

W. - Io lo ricordo come immagine strana, si, perché è uno dei primi viaggi che abbiamo fatto. Noi eravamo estremamente giovani, siamo arrivati da Oslo poco prima ed eravamo senza spettacolo.

L. - Lo spettacolo "Il lieto fine" era già finito perché c’era un attore che se ne era andato via. Mi ricordo che l’abbiamo portato come dimostrazione di lavoro, oltre a quello che abbiamo chiamato studio, cioè delle piccole improvvisazioni fissate ...

W. - Piccola scena ...

L. - Composizione e acrobatica, mi ricordo molto bene. A parte questo, per me era la prima volta in Italia; noi non abbiamo capito nulla delle cose che dicevano tutti gli altri.

E poi l’Italia era in sé stessa così diversa dalla Danimarca; mi ricordo che ho visto per la prima volta gli alberi di limone e quelli dell’uva, era tutto così esotico per noi, molto esotico.

W. - Anche per me era la prima volta fuori dalla Scandinavia, nel `67 io avevo vent’anni...

L. - Mi ricordo che Carmelo Bene doveva essere in prima fila quando abbiamo fatto la dimostrazione del lavoro, parlava molto ma in un modo che non ho capito se era pro o contro.

Forse per me era anche un nuovo pubblico, perché gli italiani sono molto più vivi, discutono con i gesti, è forse un pubblico che reagisce più del pubblico nordico

W. - C’era una donna che ha filmato anche un po’ di quello che è successo - questo lo ricordo bene perché per noi era stranissimo, infatti tutto il nostro lavoro è sempre stato molto chiuso, molto protetto ed essere in una situazione così come dice Else Marie, con tutta questa gente che parlava, che commentava...

T. - Eravate un gruppo chiuso, senza collegamenti internazionali...

W. Anche, ma soprattutto a livello pratico il nostro modo di lavorare era molto protetto, cioè si lavorava con grande rispetto per il lavoro.

Quindi per noi la situazione era stranissima, forse perché era una delle prime volte anche che ci filmavano. Sarebbe stato molto interessante per noi ritrovare...

T. -Si, noi abbiamo trovato la registrazione e le fotografie, ma non sapevo nulla del film.

W. - Sono abbastanza sicuro di questo ricordo.

L. - Una prima cosa che mi ricordo molto bene a proposito della nostra dimostrazione di lavoro è alla fine quando con l’altra ragazza, che adesso non c’è più, eravamo a cambiare i vestiti in guardaroba. Abbiamo visto un uomo che stava lì con un grande sorriso, e io lo guardavo pensando: "Ma perché ci guarda così sorridendo quest’uomo?" Era affascinante, e dopo poco si presenta: era Dario Fo. Il primo incontro con Dario Fo è stato così, ho visto quest’uomo che riempiva tutta la porta in un modo molto diverso, col suo sorriso molto speciale, come se lo avessimo conosciuto da tutta la vita. E poi con noi, dopo questo, è sempre stato cordiale...

T. - Anche Barba ricordava che poi è venuto da voi a fare dei seminari...

W. - Sì, anche più tardi i rapporti sono stati molto vicini...

L. - Vuoi dire che lui ha reagito subito con un moto di simpatia, almeno è quello che io ho capito!

W. - Per noi Ivrea è stato importante perché era la prima volta, il primo incontro da un punto di vista teatrale, con altri che allora avevano incominciato a creare le basi per quello che è successo quando siamo venuti a Venezia con Kaspariana nel ‘67.

L. - Un anno dopo...

W. - No, forse lo stesso anno del Convegno di Ivrea. Alla Biennale tutti i primi contatti si sono ricreati, fondati più direttamente; era diventata la nostra uscita fuori dalla Scandinavia, che poi ha creato una strada molto diversa da quella che avevamo cominciato.

T. - Quindi Ivrea è un momento che ricordate.

W. - Assolutamente... Io ricordo che siamo arrivati alla sera tardi a Milano, e Franco è venuto per portarci a Ivrea a mezzogiorno del giorno dopo. Allora per mezza giornata sono andato in giro per Milano. Era la prima immagine di un primo viaggio ed è stata molto forte.

L. - Mi ricordo specialmente che non capivo se noi piacevamo alla gente o no ... perché non potevamo comunicare.

T. - Perché non sapevate ancora l’italiano.

L. - No, e poi non abbiamo parlato in inglese con nessuno. Soltanto con Dario Fo; il suo sorriso è stata l’unica reazione veramente sicura che avevo. Perché per il resto avevo molti dubbi...

T. - Insomma, era tutta una novità!

L. - Sì, e io avevo la sensazione che gli altri ci stavano criticando.

T. -Si, qualche affermazione di questo tipo l’ho raccolta nelle interviste; forse erano delle riserve perché si trattava di un’esperienza completamente diversa dalla loro.

W. - I discorsi in quegli anni erano molto diversi, l’avanguardia era su aree precise, ognuno sapeva molto bene cosa faceva soprattutto quando ne discorreva e noi con questo non c’entravamo. Questa è però soltanto la mia impressione.

L. - Infatti abbiamo anche fatto un frammento del primo spettacolo, quello del funerale, e credo che soprattutto questo training del corpo ha stupito la gente.

W. - E’ molto strano questo perché per me l’esperienza di Ivrea viene molto prima di una conoscenza più chiara del teatro, del nostro posto in questa storia... Mi ricordo, era come se fossi un bambino nel teatro... si parlava di un significato che ho saputo dopo, che ho capito dopo, da quando ho incominciato a capirlo quindici anni fa... adesso è tutta un’altra cosa. Però è rimasto un punto molto preciso... pertanto... è stato un incontro che è rimasto "l’incontro".

T. - Se, effettivamente è stato un momento significativo, come emerge, Ivrea si può definire come un momento di passaggio ad una fase molto più ampia?

W. - Ivrea è, credo per tutti, un giorno storico nella storia del teatro italiano, questo è sicuro. Questa immagine viene sempre fuori, anche con gente che non è stata là.


All. 4: Ivrea ‘87 Memorie e Utopie - Convegno per un Nuovo Teatro

Parteciparono più di 400 persone provenienti da ogni parte di Italia. Tra gli altri Franco Cordelli, Giorgio Barberio Corsetti, Maurizio Grande, Leo De Bernardinis, Mario Martone, Renato Nicolini, Carlo Quartucci, Remondi & Caporossi, Società Raffaello Sanzio, Giuliano Scabia, Giovanni Testori, Federico Tiezzi, Gianfranco Capitta, Gianni Manzella, Oliviero Ponte di Pino.
Del convegno itàca conserva tutto il materiale, audio e video, per poterne predisporne gli atti.
Il coordinamento fu affidato a Franco Quadri, Piero Racanicchi (Provincia di Torino) e Alfredo Tradardi.
Il progetto ai “4 del ‘67”: Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini e Franco Quadri.


NOTE

[1] L’impresa responsabile - Un’intervista su Adriano Olivetti di Luciano Gallino, Einaudi 2001.
L’impresa irresponsabile di Luciano Gallino, Einaudi 2005.
Vedi anche La scomparsa dell’Italia industriale di Luciano Gallino, Einaudi 2003, e Il costo umano della flessibilità di Luciano Gallino, Laterza 2005.
[2] Chi volesse approfondire i motivi della scomparsa può leggere Uomini e lavoro alla Olivetti, a cura di Francesco Novara, Renato Rozzi, Roberta Garruccio, Bruno Mondadori 2005.


 


 

In margine ai 60 anni del Piccolo Teatro di Milano
Su Mario Apollonio
di Gianandrea Piccioli

 

“Il teatro resta quel che è stato nelle intenzioni profonde dei suoi creatori, quel che è nella sua necessità primordiale: il luogo dove la comunità, adunandosi liberamente a contemplare e a rivivere, si rivela a se stessa; dove s’apre alla disponibilità più grande, alla vocazione più profonda: il luogo dove fa la prova di una parola da accettare o da respingere: di una parola che, accolta, diventerà domani un centro del suo operare, suggerirà ritmo e misura ai suoi giorni.”

“Ma evitiamo (…) che il poeta si contenti della sua parola e l’attore del suo gesto: la parola è il primo tempo, e il gesto il secondo di un processo che si perfeziona solo tra gli spettatori; e a loro tocca decidere se l’opera di teatro abbia o non abbia vita. Il centro del teatro siano dunque gli spettatori, coro tacito e intento.”


Sono solo due passi trascelti dal manifesto di fondazione del Piccolo Teatro della Città di Milano, steso nel febbraio del 1947 da Mario Apollonio, già famoso come critico e storico del teatro, docente all’Università Cattolica, e firmato da Apollonio, Paolo Grassi, Giorgio Strehler e dal vicecritico teatrale dell’ «Unità », Virgilio Tosi: i quattro componenti della Commissione tecnico-artistica istituita nel gennaio 1947, rispettando l’equilibrio politico uscito dalla Resistenza, dal sindaco socialista (e commediografo) Antonio Greppi. Verrà pubblicato, col titolo Lettera programmatica, nel numero di gennaio-marzo 1947 del «Politecnico» di Vittorini.
Il 14 maggio del ’47 il teatro venne inaugurato con L’albergo dei poveri, di Gor’kij.
Il 7 ottobre dello stesso anno Apollonio diede le dimissioni, e da allora fu espunto dalla storiografia del Piccolo. Che, come Atena dalla testa di Zeus, sembra oggi nato soltanto dalla passione e dall’amicizia di due grandi quali Strehler e Grassi.

Ma già alla fine del 1945 i quattro fondatori, insieme con altri, tra cui Enzo Ferrieri, Mario Landi, Vito Pandolfi, avevano costituito presso la libreria Zanotti il “Gruppo del Diogene”, che non avendo una sede propria vagherà negli anni seguenti tra la Casa della Cultura, presieduta da Antonio Banfi (e per questo la partecipazione di Apollonio non fu gradita al tremendo padre Gemelli, che gliela rimproverò, senza esito), e il Teatro della Basilica, alloggiato presso la chiesa di Sant’Eufemia: nel gruppo si discuteva, si facevano progetti, si stilavano programmi e, in mancanza di un teatro vero e proprio e di fondi, si facevano anche, a partire dal dicembre 1947, letture sceniche o, come si dice oggi, mises en espace.
E ancor prima, il 16 marzo 1945, nella sede della casa editrice Bompiani, c’era stata una riunione, come racconta Silvana Mauri, nipote di Valentino Bompiani (il quale oltre che editore era anche autore di testi teatrali e di lì a poco avrebbe rilevato la rivista “Sipario”, poi diretta per molti anni da Franco Quadri):

“Apollonio, Ballo, Rosa, Grassi, zio Valentino siedono attorno al tavolo nella bella sala delle riunioni. Hanno chiuso la parete mobile come un sipario sulla loro seduta. Infatti, parlano di teatro. Nasce un teatro. Ballo farà il programma musicale. Paolo Grassi quello teatrale (dirige la collana teatrale di Ballo), Apollonio la parte critica. I milioni si trovano e forse c’è già il teatro. Zio Valentino è contento. E’ un suo antico sogno. Questa prima seduta non è che per mettersi d’accordo, affiatarsi.”

A questo primo incontro molti altri seguiranno. E già al secondo, il 22 marzo, si avvertono divergenze tra Grassi, spalleggiato dagli editori Achille Rosa e Ferdinando Ballo, e Mario Apollonio, con cui sembra invece d’accordo Valentino Bompiani: tutti convergenti sul ruolo del teatro in una società devastata da vent’anni di fascismo e da cinque di guerra, si dividono però sul repertorio: Grassi, più eclettico e divulgativo, pragmatico, riportava nelle scelte e nelle preferenze quella frenetica curiosità e quell’esigenza (un’autentica fame) di aggiornamento che dimostrava anche nella direzione di ben due collane di teatro per Rosa e Ballo (47 titoli in meno di tre anni, e che anni: ’44-47!); Apollonio più attento a proporre agli spettatori occasioni di prese di coscienza “in un colloquio immediato - come diceva - con la vita morale attuale, scottante, delle opere”. Nelle parole di Silvana Mauri,

“Apollonio è il critico, prepotente, ansioso, vorrebbe prendere per il collo gli spettatori affinché guardino giù nel fondo dell’opera, dove indica lui, non può rassegnarsi a starsene in silenzio durante la rappresentazione. Grassi è il teatrante di una certa cultura, con propositi di rinnovamento (…): liberare il teatro da vecchie commedie scadenti, muovere le acque della regia, condurre gli attori a una serietà professionale, arricchire il repertorio, abituare il gusto del pubblico.”

Dietro le discussioni sul repertorio c’erano ovviamente divergenze più radicali. Grassi era un temperamento organizzativo e imprenditoriale, da capitano d’industria tedesca (in certe lettere sembra il Rathenau raccontato da Musil con qualche tratto alla Felix Krull), con una chiara visione politica del teatro pubblico, sostenitore di una sprovincializzazione radicale a favore di un teatro “moderno, europeo, civile”, con un occhio al rinnovamento in senso registico della scena, al lavoro ben fatto da ogni cellula dell’organismo produttivo, dall’attore al carpentiere. Contrario a qualsiasi forma di minoritarismo, per indole prima ancora che per convincimento tendeva al riformismo, all’istituzionalizzazione e alla normalizzazione, anche in questo diversissimo dall’amico Strehler (e infatti nel ’68, nel momento della prima grande crisi degli equilibri postbellici e soprattutto post-’48, ci fu la rottura). Senza Grassi il Piccolo non sarebbe mai stato quello che fu: la più importante realizzazione del sistema teatrale italiano e il modello più o meno riconosciuto di tutti i teatri stabili sparsi sul territorio.
Apollonio invece era un teorico formatosi negli anni Venti-Trenta, nel clima delle avanguardie storiche e di Pirandello e, non va mai dimenticato, degli ultimi grandi attori, la Duse in primo luogo. Anche per questo, credo, non comprese mai il teatro di regia: per lui il teatro era soprattutto parola incarnata nella fisicità dell’attore, agita nello spazio e partecipata alla platea dei convenuti. Questi ultimi, chiamati in causa dalla proposta poetica, diventano coro nel momento della responsabilità. E’ una nozione tutta anticrociana della parola corale (per definizione non autosufficiente), caratteristica anche dell’Apollonio esegeta e storico della letteratura. Il quale, pur nel suo linguaggio metaforico e spiritualista, è comunque ascrivibile a un’estetica della recezione non circoscritta alla sociologia, oltre che, naturalmente, all’ermeneutica, quella di Ricoeur forse più che quella heideggeriana o gadameriana. Ma simile alla tesi heideggeriana del linguaggio e dell’opera d’arte come apertura e fondazione di un mondo, anche se acquisita per tutt’altra via, è la teoria estetica e critica di Apollonio, basata appunto sull’incontro di parola (o gesto) e responsione, in un atto di reciproca appropriazione.

E’ chiara la polarità tra Grassi e Apollonio (molto più numerose le affinità con Strehler, dai cui scritti dell’epoca dei GUF, come ha notato Claudio Meldolesi, vengono riprese nella Lettera programmatica alcune suggestioni): da una parte una concezione “illuministica” di teatro, componente privilegiata della cultura di un popolo, luogo di formazione e svago, con una valenza pedagogica che si espliciterà poi negli anni brechtiani; dall’altra una visione in cui le attese e i vissuti plurali trovano nell’invenzione drammaturgica trasparenza e consapevolezza, occasione di una presa di responsabilità (“da accettare o da respingere”, come si dice nella prima delle citazioni all’inizio di queste righe), partendo dal piccolo gruppo e via via ampliandosi per integrazioni successive. “Dopo i bandi del teatro dei diecimila e il conformismo della propaganda, crediamo che sia tempo di sostituire il differenziato all’uniforme e lavorare in un primo tempo in profondità per potere, in un secondo tempo, guadagnare in estensione: forse il gruppo dei nostri spettatori diventerà un nucleo vivo di aggregazioni più vaste”, recita un passo della Lettera.
L’occasione della rottura fu apparentemente banale, ma sarebbe superficiale interpretarla come una censura e conseguente ripicca: siamo lontani dalle favole interessate e risentite sull’egemonia culturale della sinistra… Apollonio era stato incaricato di scrivere un dialogo da rappresentare, pirandellianamente, nel foyer: doveva servire da “prologo” all’inaugurazione del teatro ed essere una sorta di messinscena del manifesto programmatico. Apollonio lo scrisse (A soggetto: Prologo per il Piccolo Teatro, pubblicato nel 1989 da Sergio Torresani). All’ultimo momento il Prologo venne sostituito con un quartetto di Mozart, eseguito da alcuni orchestrali della Scala e peraltro poco congruente con L’albergo dei poveri cui gli spettatori si apprestavano ad assistere in sala. La motivazione vera di questo “sgarbo” fu probabilmente l’inevitabile astrattezza drammaturgica del testo. Probabile anche che certi toni spiritualistici di Apollonio avessero irritato gli altri membri della Commissione. Comunque Apollonio interpretò l’azzeramento del Prologo come un primo compromesso rispetto alle esigenze alte e ferme dichiarate nella Lettera programmatica, come se a teatro ci fossero altri modi di esporre le ragioni di un’iniziativa, il senso di un programma diversi da quelli rappresentativi. Poi, come nelle riunioni alla Bompiani, ci fu polemica sul repertorio: in particolare Apollonio lamentava la scarsità, in cartellone, di autori italiani contemporanei (solo una commedia di Lodovici, per di più del 1919, a fronte di cinque testi stranieri). Infine le dimissioni.
In realtà, come Pandolfi, che ebbe con Grassi e Strehler una vicenda similmente parallela, come Fantasio Piccoli, che col suo Teatrino del circolo “Avanguardia” a bordo di un autocarro cercava un nuovo pubblico nelle periferie e nei paesi, recitando nei campi e tra gli emarginati, come molti altri in quegli anni di passioni e velleità, di bisogno di ritrovarsi e di sperimentarsi senza prender prima le misure, Apollonio era portatore di un progetto utopico inconciliabile con le esigenze realistiche e riformistiche di Grassi, che riuscì a smussare persino l’estro sperimentale e avanguardistico di Strehler. Aveva ragione Grassi, storicamente. E le elezioni del ’48 e la Guerra Fredda irrigidirono tutto, premiando paradossalmente la sua lungimiranza politica.
Ma il “teatro in platea”, indicato nel primo punto programmatico della Lettera ( e da cui è tratta la seconda delle citazioni iniziali), la definitiva rottura del diaframma della quarta parete, il coinvolgimento del pubblico nel rito teatrale (“il rito è un’elevazione di una comunità verso una viva sfera che la trascenda” scrive Apollonio in una bellissima lettera a Grassi), l’attore come testimone di un’esperienza viva prima ancora che interprete di una parola lontana, la centralità degli spettatori “che, anche quando non se ne avvedono, ne [dal teatro] riportano qualcosa che li aiuta a decidere nella loro vita individuale e nella loro responsabilità sociale” (sono ancora parole della Lettera), la fine dell’autosufficienza della parola teatrale e dello spettacolo in genere come realtà separata dal sociale: sono tutte nozioni precorrotrici che troveranno riscontro e applicazione meno negli Stabili di cui il Piccolo è capostipite (e che hanno altri meriti, tra cui il principale è quello di aver introdotto e consolidato il principio della regia critica) e invece molto più nel nuovo teatro degli anni Sessanta e Settanta (che infatti, almeno all’inizio, sarà malcompreso se non osteggiato dagli Stabili).
Saranno l’attore-santo di Grotowski, la teoria della performance di Schechner, il Living, i gruppi barbiani, le cooperative teatrali uscite dal ’68, l’Orlando di Ronconi e 1789 della Mnouchkine a inverare almeno in parte le visioni di Apollonio. Come Cristoforo Colombo voleva andare in India e scoprì l’America, così gli esperimenti drammaturgici e teatrali di Apollonio (dopo l’avventura del Piccolo diede vita al movimento di “Drammaturgia” e ad altre iniziative) rimasero senza storia. Ma sarà la sua teoresi, utopica e come tale non esauribile, a fornire gli strumenti critici per comprendere e interpretare i nuovi fenomeni che in quegli anni spostarono l’orizzonte del teatro.

Bibliografia

S. Dalla Palma, In principio era il coro, prefazione a M. Apollonio, Storia del teatro italiano, 2 voll., Rizzoli (BUR), Milano 2003, vol.I, pp.V-XX.

Idem, Apollonio e le poetiche teatrali del dopoguerra, in Istituzione letteraria e drammaturgia, Atti del Convegno «Mario Apollonio: i giorni e le opere» a c. di C. Annoni, Vita e Pensiero, Milano 2003, pp.423-431.

S. Mauri, Ritratto di una scrittrice involontaria, a c. di R. Montuoro, Nottetempo, Roma 2006.

C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano, Sansoni, Firenze 1984.

Idem, La questione della regia teatrale, in «Comunicazioni Sociali», 3-4 ( luglio-dicembre1986), pp. 67-81.

Idem, Mario Apollonio. Cultura dell’attore versus regia, in Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate del teatro italiano, Bulzoni, Roma 1987, pp. 89-107.

O. Ponte di Pino, Le collezioni teatrali di Rosa e Ballo, in Un sogno editoriale: Rosa e Ballo nella Milano degli anni Quaranta, a c. di S. Casiraghi, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2006, pp.34-62.

C. Scarpati, Alcune lettere di Apollonio a padre Gemelli, in Istituzione letteraria e drammaturgia, cit., pp.313-334.

S. Torresani, Mario Apollonio e il Piccolo Teatro di Milano, in Mario Apollonio drammaturgo, Atti del Convegno, a c. di A. Fuso, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 1993, pp.33-41.


 


 

BPSUD Teatri e Diversità al Sud
Diffusione delle esperienze di Teatro Sociale nel Sud e nelle Isole
di Vito Minoia *

 

* Condirettore della Rivista "Teatri delle diversità" – Docente di Teatro di Animazione ed Economia dello Spettacolo all’Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", dove dirige, dal 1987, l’esperienza del Teatro Aenigma.

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Facendo un omaggio a Napoli che ospita l’incontro, vorrei iniziare il mio intervento con un pensiero di Eduardo De Filippo sulla ‘Crisi del Teatro’ tratto da L’arte della Commedia.

CAMPESE: […] Una vera crisi del teatro non renderebbe niente a nessuno, mentre la "confusione" fatta passare per crisi teatrale diventa una cartella di rendita nelle mani dei confusionari.
DE CARO Fuori i nomi! Fuori le generalità complete di questi maledetti.
CAMPESE: E’ una parola! I maledetti hanno sempre la maggioranza assoluta, vincono loro.
[…]
CAMPESE: Il Governo si fa in quattro per sollevare le sorti del teatro, ma gli uomini responsabili cui è demandato il compito, si sono sempre formati ai margini del problema, non lo hanno mai affrontato fino alle radici. Le cose fatte a metà non hanno mai dato buoni risultati.
DE CARO: Lei sta esagerando. Milioni e milioni se ne vanno in fumo per sovvenzionare il teatro.
CAMPESE: Se ne vanno in fumo perché si fanno le cose a metà

Nel dialogo tra Oreste Campese, attore capocomico di una compagnia girovaga, e sua eccellenza De Caro, Prefetto di un qualunque capoluogo di provincia, c’è tutta l’amarezza di Eduardo che descrive come, negli anni in cui è stata scritta l’opera, con responsabilità ed una posizione ambigua, lo Stato Italiano "tirannico, per sembrare mecenatesco e liberale non esita a fare il più largo uso dell’ipocrisia e della corruzione" (da una lettera aperta al ministro dello Spettacolo del 1959, cit. in Bergonzini e Zardi, Teatro anno zero, Parenti, Firenze 1961, pp 143-44).
Gli ultimi avvenimenti ci confermano che la situazione non è molto cambiata a distanza di quasi cinquant’anni!

Nella sua lucidità, Eduardo, fu anche tra i primi a comprendere le potenzialità del teatro nei luoghi del disagio, in particolare quando, nel 1982, offre il ricavato della prima replica di un recital, realizzato insieme a Carmelo Bene, ai ragazzi delle Carceri Minorili del Fornelli di Bari e del Filangeri di Napoli, dove si era battuto per avviare dei corsi di formazione professionale per tecnici dello spettacolo.

Da allora molta strada è stata fatta e dall’Osservatorio privilegiato della rivista "Teatri delle diversità", che a ottobre scorso ha festeggiato i suoi primi dieci anni di vita, possiamo felicemente affermare che, al di là di qualsiasi - purtroppo sempre attuale - riflessione sulla crisi del teatro, il fenomeno delle esperienze della Scena Sociale italiana è molto vivo, articolato ed interessante, nonostante la perdurante e completa disattenzione da parte degli organi istituzionali competenti, ma anche l’assenza di riferimenti concreti nelle diverse proposte di legge sul teatro che si sono succedute.
In modo particolare alle esperienze di Teatro ed Handicap, Teatro e Carcere, Teatro e Disagio Psichico, in particolare, sono stati dedicati negli ultimi anni diversi Convegni e iniziative (anche il Congresso Mondiale del Teatro Universitario, che si è svolto ad Urbino dal 21 al 26 luglio 2006, ha organizzato una sessione di studio sulla specificità e ricchezza del Teatro Sociale in Italia).
Strumento importante per l’analisi del fenomeno (anche se non esaustivo e da intendere come work in progress) è stato il "Primo Censimento Nazionale di gruppi e compagnie che svolgono attività con soggetti svantaggiati", pubblicato nel 2004 dall’Associazione Culturale Nuove Catarsi, editrice della rivista "Teatri delle diversità" in collaborazione con Università di Urbino, Ente Teatrale Italiano, E.N.E.A., Compagnia Diverse Abilità di Roma.
Se l’obiettivo principale del Censimento è stato quello di dare visibilità al sommerso e di incoraggiare interventi di legittimazione e concreto sostegno politico - e quindi anche economico - a chi opera nel settore, non di secondaria importanza ne è risultata la constatazione che il teatro, nelle sue specificità, trae linfa e contemporaneamente incide nei diversi ambiti di riferimento presi in considerazione (educativi, sociali, artistici, sanitari, scientifici).
Avvalendomi di alcune sintetiche considerazioni fatte all’interno del comitato scientifico che ha eseguito la ricerca, posso dire che si tratta di esperienze artistiche realizzate in gran parte nel Centro e nel Nord del paese (51% al Centro, 33% al Nord, 16% al Sud e nelle Isole), prevalentemente nate attorno agli anni Novanta e operanti direttamente nell’area del disagio. Esperienze che si legano al settore pubblico (scuole e ambito socio-sanitario) e da questo ricevono gli strumenti finanziari per sostenersi, soprattutto con il contributo degli enti locali. I gruppi, configurati prevalentemente come associazioni, lavorano per la maggior parte con i disabili, persone con problemi psichici, e dichiarano di avere un approccio integrato.
In massima parte le competenze di chi opera si legano alle professioni del teatro, ma consistente è anche la presenza di operatori provenienti dal settore della riabilitazione. Il linguaggio espressivo scelto risente dell’indirizzo artistico prevalente nei gruppi, con una forte spinta per il superamento del teatro di parola a favore di un lavoro di relazione e di movimento.
Anche nell’ambito del teatro integrato prevalgono forme laboratoriali, in linea con le avanguardie teatrali e la ricerca, non soltanto artistica ma anche scientifica.
Il laboratorio è il luogo deputato della ricerca, in qualsiasi ambito disciplinare venga proposto: permette tempi e modalità di lavoro non immediatamente rivolti al prodotto finale, pur tenendone conto; favorisce un ripensamento ed un adeguamento delle esigenze artistiche e di comunicazione tra i soggetti coinvolti, in cui le persone "svantaggiate" possono ottenere un grado di ascolto e possibilità espressive altrove negate, fa sì che gli operatori e gli artisti possano verificare e mettere a punto tecniche e metodi condivisi, calibrare il lavoro comune e verificare gli obiettivi costantemente.
Ciò che il censimento lascia intendere (e con esso anche l’esperienza di chi opera in questo ambito quotidianamente) è una crescente richiesta di circuito, di conoscenza reciproca, di formazione condivisa e di possibilità di mostrare i risultati del proprio lavoro pubblicamente e, guarda caso, tale esigenza è ancora più forte al Sud e nelle Isole, dove spesso sono inferiori le opportunità di diffusione delle esperienze, sicuramente rapportabili a un divario di sostegni pubblici alle iniziative rispetto al Centro Nord.
Ma, anche se al censimento compete un’analisi di tipo prevalentemente quantitativo, possiamo affermare, grazie a molteplici osservazioni - che trovano spazio sulle pagine di "Teatri delle diversità"- che il valore qualitativo delle esperienze al Sud è molto alto e, a volte, fa scuola anche a Centro Nord. E’ il caso, per esempio, del lavoro pionieristico di Enzo Toma nell’ambito del Teatro ed Handicap che, già all’interno del Teatro Kismet di Bari e successivamente - rendendosi autonomo - con la Cooperativa Maccabé Teatro, ha portato avanti innumerevoli progetti di formazione su tutto il territorio nazionale attraverso l’idea del ‘gesto fallibile’. "L’ imperfezione della perfezione, per loro natura esse appartengono ad un cerchio, in un perenne inseguirsi, appena la perfezione trova successo è pronta per essere distrutta" : cito una riflessione di Enzo Toma che ha orientato la drammaturgia dell’ultimo spettacolo La partenza degli arrivi della Compagnia Gli amici di Luca di Bologna, composta da attori volontari e da persone con esiti di coma.
"L’essere umano come poesia è il lavoro definitivo e ultimo del nostro pensare al teatro" è invece la dichiarazione poetica alla base del ‘Teatro di scoperta’ dell’Associazione Neon/Teatro Scalo Dittaino di Catania, diretta da Piero Ristagno e Monica Felloni, che ha sviluppato importantissimi progetti in Sicilia negli ultimi quindici anni. Dal lavoro all’Ente Nazionale Sordomuti che ha visto nascere la Compagnia del Teatro del Sole a quello con l’Associazione Italiana Persone Down che ha permesso la formazione della Compagnia Bagnati di luna, dalle più recenti sperimentazioni in Comunità terapeutiche assistite sul disagio psichico, alle produzioni con lo scultore non vedente Felice Tagliaferri.
Decisamente importante è anche l’esperienza di Alessandro Mascìa di Cada Die Teatro di Cagliari, uno dei gruppi più attenti della ricerca teatrale italiana degli ultimi trent’anni che su ‘Teatro e Marginalità’ ha costruito il progetto "Migranti" con alcune sperimentazioni a Lanusei, in provincia di Nuoro, dove, strada facendo, ha preso forma lo spettacolo Dedicato a Gigi che lo stesso Mascìa ha realizzato insieme a Mauro Mereu. Un lavoro che tra ironia e paradosso, racconta i preconcetti, le emozioni e le paure vissuti da un attore nel momento in cui si trova a gestire un’attività teatrale per un gruppo di partecipanti ‘diversi’.
E le scoperte non si fermano qui: altre interessanti esperienze sono state condotte negli ultimi anni a Cosenza (nel dicembre del 2003 ho assistito, presso il Teatro dell’Acquario a uno spettacolo in vernacolo calabrese della Compagnia Handicap e non solo con uno straordinario ‘humour beckettiano’) o a Lecce (presso l’Università per alcuni anni è stato attivo il Centro Itaca che ha permesso l’attuazione di significativi progetti espressivi intorno ai temi dell’‘integrazione partecipata’, a volte in collaborazione con il Teatro Koreja).
Concludo con le più recenti scoperte fatte proprio attraverso lo sviluppo del Censimento che sta proseguendo mediante una rubrica con schede pubblicate sulle pagine della rivista (chi volesse aderire all’iniziativa segnalandoci l’esistenza di nuovi progetti su Teatro e Disagio può contattarci al numero di tel/fax 0721 893035).
Interessante è stata l’osservazione del particolare fermento degli ultimi anni in provincia di Potenza: cito per tutte la Compagnia Mandragola Teatro di Marsico Vetere che, nell’ambito di un apprezzabile lavoro di ricerca con persone con disagio psichico, ha recentemente messo in scena Chisciotte Cavaliere Errante, spettacolo liberamente ispirato al romanzo di Cervantes con attori e pupazzi manovrati a vista (testimonianza riportata anche all’interno dell’ultimo Convegno sui "Teatri delle diversità" che riunisce ogni anno in ottobre a Cartoceto - Pesaro e Urbino - studiosi e operatori impegnati del settore).
Come diceva una cara amica, attrice del Living Teatre: "E la Vita del Teatro Continua…"


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Under Surveillance
Il teatro del controllo elettronico
di Anna Maria Monteverdi

 

Qualcuno ricorderà il film Nemico pubblico di William Wellman con Will Smith e Gene Hackman, inquietante storia di un uomo tracciato da videocamere, rilevatori di frequenze radio, cimici elettroniche, registratori satellitari, microfoni ad alta sensibilità che lo inseguivano in ogni suo spostamento. Pellicola che si aggiunge ad altre che hanno trattato la questione del controllo, delle intercettazioni, della sicurezza dei dati e dello spionaggio satellitare: La conversazione di Coppola, Crimini invisibili di Wenders, In ascolto di Giacomo Martelli.
In teatro se ne è occupato recentemente una compagnia statunitense, The Builders Association diretta da Marianne Weems specializzata in allestimenti teatrali riccamente dotati di tecnologia digitale e schermi panoramici e che nel 2003 ha portato a RomaEuropa il pluripremiato Alladeen, storia non così fiabesca di dipendenti di un call center di Bangalore, vincitore anche di un Obie Award.



Supervision è la loro ultima produzione che ha avuto una prima tournée tra l'Inghilterra, l'Australia e gli Stati Uniti. Sono tre storie che parlano della violazione della privacy e del controllo e monitoraggio in tempo reale di liberi cittadini senza la loro autorizzazione: vite che diventano trasparenti a cominciare dalle transazioni economiche e dagli spostamenti da loro effettuati, dallo stipendio che arriva loro in banca, dalla spesa quotidiana, dai loro incontri negli spazi pubblici sorvegliati. Marianne Weems mette in scena storie di ordinario pirataggio dati in epoca post-privata, legate al filo (o file...) comune della propria identità personale diventata informazione ramificata, incontrollabile, separata dal corpo fisico e che viaggia dentro migliaia di processori in uno spazio-dati invisibile.
Persone che vivono nel white noise della costante connessione remota, viaggiatori bloccati alla frontiera a causa di controlli che incrociano informazioni strettamente personali con quelle dell' AIDC (Automatic Identification and Data Capture). Marianne Weems (che ha lavorato come dramaturg e assistente alla regia di Elizabeth LeCompte e Richard Foreman) ha dato visibilità e concretezza palpabile a questi databodies, a questa infosfera immateriale attraverso un'imponente architettura fatta di uno schermo panoramico, proiezioni video multiple real time, animazioni computerizzate e un sistema di motion capture.
E' ormai prassi ricevere telefonate al nostro cellulare da parte di ditte in possesso del nostro numero che non fanno mistero di sapere a quale gestore telefonico siamo abbonati e quali siano i nostri costi, e che si dimostrano pronti a offrirci un miglior abbonamento.
Le carte di credito, i telepass personali, le tessere magnetiche, le schede SIM dei cellulari, le e-mail, la navigazione su Internet, la frequentazioni di siti web: la prima schedatura personale comincia da qua, attraverso programmi studiati per carpirci password, login, ID, codici di accesso.
Telecamere di sorveglianza, cimici web (sorta di invisibili cookies usati dalle aziende pubblicitarie per tenere traccia degli spostamenti dei visitatori, analizzarne le abitudini, e rivendere le informazioni a società commerciali), tecniche biometriche che consentono il riconoscimento dell'individuo attraverso l'identificazione di particolari caratteristiche del corpo, tecnologia RFID (Identificazione a Radio Frequenza) per il tracciamento di oggetti e persone attraverso un microchip.





Oggi esistono rilevatori delle dimensioni di un chicco di riso, tali da poter essere inseriti sotto pelle e da farci diventare dei localizzatori viventi. Clamorosa fu la campagna negli Stati Uniti di boicottaggio contro la Benetton che aveva annunciato l'introduzione dei TAG RFID nei capi d'abbigliamento per finalità di logistica e per nuove strategie di marketing (la qual cosa avrebbe avuto come conseguenza il tracciamento indesiderato non solo dei golfini United Colors ma anche di chi li indossava...).
Tra gli artisti che lavorano sui sistemi telematici di sorveglianza vanno ricordati i Preemptive Media, gruppo di media artist statunitensi cui si è aggiunta recentemente Beatriz De Costa, fuoriuscita dai Critical Art Ensemble.



In Zapped! promuovono workshop specifici per conoscere la tecnologia RFID e imparare a costruirsi il proprio detector artigianale visivo o sonoro (in forma di portachiave o braccialetto) per individuare la presenza di TAG. Infine i Surveillance Camera Player: sin dal 1996 realizzano un teatro contestativo fatto di performance silenziose con cartelli-slogan e azioni davanti a videocamere di sorveglianza dislocate nelle diverse città, per smascherarne la presenza e denunciare la realtà del controllo sociale.
Il gruppo ha redatto una vera e propria mappa regolarmente aggiornata e pubblicata su Internet e ha creato un applicativo web I-see, che permette a chiunque di calcolare i propri percorsi evitando l’occhio vigile del video. Osserva Marco Deseriis:

Che cosa ci fa un uomo che indossa una maschera della morte davanti a una telecamera di sorveglianza? Recita, ovviamente. Con la differenza che lui sa di essere un attore, mentre i passanti sono solo comparse involontarie. Se è vero che ogni telecamera dà vita a un potenziale set, l'estensione della video-sorveglianza moltiplica anche gli spazi urbani dell'azione... Usando come palcoscenico le stazioni della metropolitana o gli spazi di Manhattan più transitati, le performance dei SCP si rivolgono a due pubblici diversi: da una parte, i passanti, “controllati”, monitorati dall'estesa rete di videosorveglianza; dall'altra i “controllori” i soli beneficiari dello spettacolo su schermo. In alcuni casi i monitor hanno anche output pubblico e quindi gli attivisti dei SCP possono riprenderli a loro volta per poi mettere a confronto la soggettiva del controllore e quella del controllato.

(M. Deseriis e G.Marano, Net art. L’arte della connessione, Milano, Shake, 2003)


 


 

Le recensioni di ateatro Il Circo dei Peluches al Politeama di Cascina
Kammertheater en Exil
di Sara Ficocelli

 

aiuto regia Horst Hawemann idea Marlis Hirche e Oliver Dassing
con Marlis Hirche e Oliver Dassing
scenografia Knut Hirche e Otto Sander-Tischbein
costumi Klemens Kühn
luci Marcus Dassing
musica Dogtroep



Che ci fanno decine di bambini in cerchio, al buio del retropalco di un teatro? Raccontano storie. A se stessi. Immaginando personaggi che esistono solo per un attimo e poi tornano nell’ombra, nascosti tra le pieghe di un sipario che non c’è. Eppure loro lo vedevano davvero quel sipario, e con lui anche il tendone, e con lui anche i trapezisti, le majorettes, la donna cannone, il mangiafuoco, il gigante. Ed ecco che il teatro si trasforma in circo e dei semplici pupazzi in artisti di raffinata prodezza: è accaduto davvero, a Cascina, presso il Teatro Politeama, sabato 13 gennaio. La città del teatro ha inaugurato così il cartellone 2007, come sempre molto interessante e coraggioso, capace di coniugare facilità commerciali con scelte di più ampio respiro. Come questa. Che ha portato in scena i tedeschi Marlis Hirche e Oliver Dassing nei panni di due clown innamorati di una magia che non c’è più, quella che nasconde i trucchi sotto il tendone di un Circo. Lo spettacolo di Kammertheater en Exil punta tutto sulla fantasia e lascia allo spettatore la possibilità di scegliere. Ci si può mettere un paio d’occhiali con spesse lenti di cinismo, e fissare le scimmiette di peluches che corrono sul filo con lo sguardo annoiato di chi non vede l’ora di tornare a casa e dormire. Oppure ci si può mettere in coda alla fila dei genitori recitanti, che applaudono malcelando sorrisi forzati, troppo stanchi per divertirsi davvero e troppo buoni per non partecipare alla gioia del proprio pargolo. E infine, ma questa è l’opzione segreta, quella che opzione non è, ci si può semplicemente dimenticare di tutto, di avere da tempo sorpassato i 20 anni, di avere un lavoro, delle responsabilità, chili e chili di razionalità sul groppone. Restituendo tutto questo in cambio del numero da equilibrista di un vecchio ippopotamo trovato in un cassonetto della spazzatura. Anzi, di una vecchia ippopotamessa, per esser precisi. Si può scegliere l’opzione numero tre in automatico, lasciando in default la voglia di divertirsi che c’è dentro ognuno di noi. E mentre il clown passa tra gli spettatori ricordando che “i nostri orsetti vivono ancora”, qualche bambino si alza e inforca i pedali di un vecchio triciclo di legno, qualche altro riconosce nelle fauci di pezza di una tigre sgualcita i denti aguzzi del felino più feroce, e qualcun altro ancora applaude, chiede che il topolino nascosto nel cappello venga liberato, ma soprattutto ride, ride, ride. Spaccature melense, fratture anacronistiche alle solide braccia della maturità? Ma che bisogno c’è di solide braccia, per sollevare la mente di bambino, che già vola per conto suo? Il teatro della compagnia tedesca ha inaugurato il palco del Politeama 2007 facendo dimenticare per un attimo tutte le beghe legate al deficit economico, all’amarezza di un pubblico sempre meno affascinato dalla qualità e sempre più attento alla notorietà dei protagonisti. Riportando, nella piccola arena di legno costruita su misura per gli spettatori, un po’ di sana visceralità. Sono pupazzi, sono vecchi peluches raccattati per strada, alcuni senza occhi, né braccia, né nome. Sono eroici gladiatori che sfidano la morte appesi a un filo di spago. Sono i giocattoli che 50 anni fa riempivano i sogni sigillati nelle lettere a Babbo Natale, ancora vivi, bellissimi e utili. Sono tutto e il contrario di tutto, carichi d’infinite possibilità, come gli occhi dei bambini.


 


 

Le recensioni di ateatro Il Metodo Gronholm con Nicoletta Braschi
Testo di Jordi Galceran Regia di Cristina Pezzoli
di Anna Maria Monteverdi

 



Il Metodo Gronholm prodotto dal Nuovo Teatro/Vesuvio Teatro di Napoli è l'evento con cui la Fondazione Toscana Spettacolo ha inaugurato questo 2007 al Teatro Guglielmi di Massa accolto con grande entusiasmo dal pubblico toscano.
La regia di Cristina Pezzoli dà una forma teatrale particolarmente intrigante e avvincente a questa cinica commedia dalle molteplici sfaccettature scritta dal catalano Jordi Galceran e allestita nella passata stagione nei teatri spagnoli per la regia di Tamzin Townsend: quattro persone (tre uomini e una donna) sono in attesa del colloquio finale congiunto per un'assunzione al ruolo dirigenziale in un’importante multinazionale (l'Ikea?). Quali saranno i criteri di valutazione, quali le domande? Le prove che arrivano al gruppo in forma di istruzioni scritte su un foglio -in assenza di una commissione giudicatrice- altro non sono che strani giochi di ruolo atti a dimostrare non abilità specifiche per l'attività lavorativa, ma piuttosto resistenza psicologica, secondo il cosiddetto METODO GRONHOLM, e si traducono in una devastante e persino crudele lotta senza esclusione di colpi tra i candidati.
Apparentemente.
Si, perché tutto lo spettacolo è un continuo smascheramento dei ruoli e dei compiti dei personaggi, un rovesciamento di verità e menzogna secondo un copione -scritto dall'inizio alla fine dalla direzione aziendale- che diventa sempre più concitato e drammatico e con risvolti talvolta tragicamente comici.
Tutto si svolge all'ultimo piano di una fredda sala d'attesa che assomiglia molto a quelle anticamere del precariato di oggi. Le prove consistono nel riconoscimento di un selezionatore infiltrato e mescolato al gruppo o nella miglior recita della propria utilità sociale indossando il copricapo da papa o da militare, persino nella messa in crisi di uno dei candidati concorrenti.
Apparentemente.
Tutti sembrano infatti partecipare attivamente al gioco imposto dalla mega direzione aziendale ma in realtà uno solo è colui che è “giocato”, la pedina manovrata suo malgrado e a sua insaputa, da funzionari addetti alla gestione del personale che si riveleranno come tali però, solo alla fine della “partita”. In un'atmosfera degna dei drammi dell'assurdo alla Jonesco o come in un racconto di Buzzati, il presunto vincitore dopo impegnativi confronti e dimostrazioni di scaltrezza, scopre di essere l'unico vero candidato.
Il gioco teatrale mantiene la storia a un livello di ambiguità e oscurità tale da far crollare ogni certezza (anche allo spettatore): chi è il giudicato? Chi i giudicanti?
Lo spettacolo che sposta sapientemente l'attenzione dal piano della realtà a quello della finzione, è una denuncia dell'attuale mercato del lavoro che prende a prestito metodi sempre più “militarizzati” (sorveglianza, test di produttività e di rendimento al limite della tollerabilità, costanti minacce di licenziamento) ed è anche una messa in ridicolo dei famigerati test attitudinali - che abbiamo importato dagli States - di selezione del personale sempre più sofisticati quanto inutili messi a punto da professionisti della psiche per le grandi aziende. Oltre al curriculum adeguato bisogna dimostrare ottime capacità relazionali di gruppo, buona gestione dello stress, flessibilità, adattabilità, capacità di mediazione, predisposizione al problem solvine, creatività! Oppure vengono fatti preventivi test di autovalutazione (analizzati secondo una scala di validità chiamata dagli inglesi Scala L, cioé Lie, menzogna); e ancora, test grafologici, indagini motivazionali...
Tutti gli attori incarnano con straordinaria bravura, abilità e ironia la personalità mimetica del candidato-tipo ad adattare il proprio comportamento ai condizionamenti e alle regole imposte dall'alto e a spingere la competizione fino alle sue estreme conseguenze. Ognuno cerca un modello strategico funzionale al proprio ruolo: ecco quindi l'ambizioso e arrogante che tende alla prevaricazione e si avventa con accanimento bestiale contro il rivale pur di avere l'agognato posto di lavoro, oppure il fragile che fa leva sulla pietà. La donna, apparentemente la persona più debole e per giunta colpita da un grave lutto proprio mentre è alla selezione, si rivela alla fine una fredda e cinica psicologa assoldata dall'azienda per inscenare questo intollerabile psicodramma. La commissione trae le conclusioni: ha inquadrato, giudicato e infine scartato l'unico superstite (e anche l'unico reale giocatore), colui che si era adoperato per una brillante dimostrazione delle proprie doti di spregiudicatezza ed egoismo eliminando tutti gli altri concorrenti senza scrupoli di sorta; ma la spietata commissione già aveva fatto un'anamnesi psicologica della sua fallimentare vita familiare, delle sue crisi, delle sue predisposizioni comportamentali anomale e delle sue reali debolezze nascoste sotto una spessa maschera, e dà quindi responso negativo.
Un inutile gioco al massacro, dunque, cinicamente vissuto dagli addetti alle risorse umane come normale routine di lavoro.
“Questi”, dice l'autore, i “piccoli effetti collaterali del capitalismo”.

Il metodo Gronholm

di Jordi Galcerán, regia di Cristina Pezzoli
con Nicoletta Braschi, Maurizio Donadoni, Enrico Iannielo, Tony Laudadio


 


 

Totonomine Roma, Milano e Cascina
Ma ci sono anche Piero Pelù e Caterina Caselli
di Redazione ateatro

 

Antonio Calbi se ne torna a Milano dopo cinque anni all’Eliseo di Roma, di cui tre come direttore artistico. Il sindaco Letizia Moratti e l’assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi l’hanno voluto dirigente a capo del settore spettacolo del Comune, in una città che negli ultimi anni ha considerato la cultura un costoso lusso (o semplicemente una costosa seccatura) e non una risorsa. Eppure a Milano ci sono due brand di livello mondiale come Scala e Piccolo, che sono oltretutto elementi essenziali dell’identità milanese (a proposito, la prossima settimana il nuovo cda del Piccolo Teatro dovrebbe riconfermare Sergio Escobar alla direzione - ma all'unanimità, oppure no?).
Tornando all'Eliseo, partito Calbi il nuovo direttore artistico sarà Massimo Monaci, che in questi anni l'aveva affiancato.
Calbi dovrà rilanciare la progettualità (e la socialità) di una metropoli che appare ingessata, mal gestita, senza progettualità. E' stata governata per otto anni da un sindaco come Albertini, che dichiarava di voler fare l’amministratore di condominio e non ci è riuscito nemmeno tanto bene, mentre le alte città si reinventavano… Con due nodi spinosi: il Teatro degli Arcimboldi, nato come secondo palcoscenico della Scala e ora rimpallato come una patata bollente tra teatri e assessorati; e il Teatro Lirico, affidato (con mille polemiche registrate nel sito e nel forum) a una cordata capitanata da Marcello Dell'Utri e attualmente in ristrutturazione (per riscaldare l'ambiente il neo-assessore Vittorio Sgarbi ha subito mandato una frecciata a Dell'Utri).
Invece il giovane Monaci dovrà dimostrare di saper gestire una macchina complessa e di grande tradizione come l’Eliseo, in una città dove il teatro è da sempre al centro di feroci lotte e voraci appetiti. Adesso, dice Perfida de Perfidis, la situazione pare più appassionante che mai, con lo stallo bipartisan del Teatro di Roma con lo svuotamento dell’India, l’incerto destino dei teatri ETI Quirino e Valle, le ambizioni del sindaco Veltroni rendono la scacchiera ancora più complicata. Ma Roma offre anche altre novità, dopo il ritorno di Cutaia all'ETI: Tommaso Paolucci approda dallo Stabile delle Marche alla direzione del Teatro Sistina, mentre Gianni Borgna va a fare il Presidente di Musica per Roma.
Anche a Milano qualcosa si muove, anzi trasloca: perché sono in corso gli sfratti del Filodrammatici (vedi il forum dove si fronteggiano compagnia e accademia) e del Teatro dell’Arte, che dovrebbe passare dal Crt alla Triennale. Insomma, quelle di Antonio e Massimo sono sfide che avranno senz’altro ricadute sul sistema teatrale delle due metropoli.

Un’altra sfida è da sempre quella della Città del Teatro, che sembra arrivata a un importante punto di svolta. In effetti, a parte qualche frecciata sul forum, non si parla molto di quel che sta succedendo a Cascina. In compenso girano fin troppe indiscrezioni e pettegolezzi: fare chiarezza non è facile, ma ci proviamo, sempre disposti ad accogliere ulteriori contributi (ed eventuali rettifiche).
La Città del Teatro di Cascina è uno spazio interessante e multidisciplinare, aperto al nuovo, in crisi di crescita e in parte ancora alla ricerca della propria identità, in una regione teatralmente ricchissima come la Toscana (ma anche viziata dalle lotte intestine al partito egemone, i DS, come testimonia il “caso Prato”; a proposto, il totonomine sulla stampa locale dà in pole position Massini, ritenuto più malleabile dal consiglio d'amministrazione, poi Tiezzi e Villoresi).
Ad aggravare la situazione, la lentezza nel nominare il nuovo cda della Fondazione Sipario Toscana ha determinato uno stallo alla Città del Teatro; per reagire all’impasse e richiamare gli amministratori alle loro responsabilità, il direttore Alessandro Garzella ha messo sul piatto una lettera di dimissioni. Ai primi di dicembre è stato finalmente nominato il nuovo cda: presidente è Maurizio Martini, sindaco di Calci dal 1975 al 1981 e attualmente ai vertici di Coop Italia; gli altri consiglieri sono Alessia Di Bugno, Massimo Donati, Piero Nannipieri, Sonia Pieraccioni, Ylenia Zambito, Maria Francesca Zini, Fabrizio Cassanelli (membro della Cooperativa Sipario).
Martini con una lettera ha di recente garantito che i problemi amministrativi (a cominciare dagli stipendi arretrati ai dipendenti e dai cachet alle compagnie) verranno risolti, ma le dimissioni di Garzella, pare, restano lì sul piatto. Mentre le cronache locali candidano alla direzione i “vicini di casa” Pierazzini e Boldrini, inizia a circolare (si dice) una lettera di solidarietà a Garzella firmata prima di tutto da alcuni colleghi-direttori.
La situazione non è semplice: perché Garzella della Città del Teatro è stato in questi anni il fondatore e l’anima. Una regola non scritta del nostro teatro “semipubblico” non prevede una sostituzione del direttore-fondatore o del gruppo di direttori-fondatori, che garantiscono l’identità e la progettualità artistica del teatro ma al tempo stesso rischiano di creare piccoli feudi (a complicare la situazione è il rapporto tra le compagnie che ricevono i finanziamenti FUS e i teatri che le ospitano, tra la produzione e la gestione degli spazi).
Insomma, il problema non è di facile soluzione: nell’equazione rientrano anche i rapporti tra un teatro e il suo territorio, l’identità e le prospettive di uno spazio che si è connotato sul versante dell’innovazione e del teatro ragazzi, i bracci di ferro all’intero del mondo politico, gli appetiti di amministratori (che spesso di teatro capiscono poco o nulla) e di colleghi teatranti più o meno disoccupati. La tendenza a tenere la discussione all’interno degli addetti ai lavori porta prima a serrati patteggiamenti e poi a nomine senza reale mandato, ovvero senza obiettivi chiari e verificabili. Con il risultato che le direzioni restano sotto il perenne ricatto di consigli d’amministrazione di nomina essenzialmente politica.
Cercheremo di seguire quello che sta succedendo a Cascina e dintorni, anche se non è facile. Speriamo che la validità del progetto artistico conti di più delle pressioni politiche. Se no c'è sempre la terza via, quello della politica delle celebrità: dopo lo sterminio degli assessori alla cultura a Firenze, Piero Pelù è stato nominato nuovo direttore artistico di Firenzestate 2007.
(A Milano sono messi un po' meglio: l'assessore leghista alla cultura della Regione Lombardia Massimo Zanello, si dice, ha chiamato tra suoi consulenti Caterina Caselli e Gabriele Salvatores...)


 


 

Cascina Il documento con le firme
Perché il teatro è patrimonio di tutti
di Redazione ateatro

 

Nell’ultimo Totonomine si parlava della Città del Teatro di Cascina e di un documento sulla situazione che stava raccogliendo adesioni tra teatranti (e non solo). Sul testo, che pubblichiamo qui di seguito, si sta accendendo un dibattito, di cui abbiamo cerato e cercheremo di dar conto nelle news e nel forum (vedi gli interventi di Concetta D'Angeli e Renzo Boldrini).
In ogni caso eventuali adesioni vengono raccolte da Roberto Scarpa scarpa@teatrodipisa.pi.it e Fabrizio Cassanelli centrostudi.cassanelli@lacittadelteatro.it.


Si ode a questo punto, potentissimo da fuori, il frastuono della cavalcata dei Giganti della Montagna che scendono al paese… con musiche e grida quasi selvagge. Ne tremano i muri della villa…

Quaquèo Ecco i giganti! Ecco i giganti!
Milordino Scendono dalla montagna!
Mara-Mara Tutti a cavallo! Parati a festa!
Quaquèo Sentite? Sentite? Paiono i re del mondo!…
Spizzi Tremano i muri!
Cromo Pare la cavalcata d’un orda di selvaggi!
Diamante Io ho paura! ho paura!
(Luigi Pirandello, I giganti della montagna)

Alcuni amministratori locali, preoccupati dall’attuale fase economica, ritengono che le risorse che vengono destinate ai teatri e alla produzione culturale non rappresentino una inviolabile necessità territoriale per salvaguardare la civiltà. L’ossessione dei nostri giorni è tutta contenuta in due parole: economia e sviluppo. Ma quale economia? Quale sviluppo? Lo sviluppo che conosciamo sta purtroppo conducendo al collasso e dimostra che la scena della crisi in cui viviamo non può essere descritta soltanto con gli strumenti, cui ormai obbediamo servilmente, dell’economia e delle sue presunte leggi indiscutibili. I pericoli che incombono si radicano piuttosto nelle coscienze, come Pasolini aveva lucidamente e senza essere ascoltato previsto trent'anni fa.
Forse dovremmo riconoscere che abbiamo perso e partire da questo riconoscimento - e da una conseguente critica e auto critica -, anziché insistere nell’orgoglio dei vittoriosi. Avere perso non significa, ovviamente e soltanto, avere momentanee difficoltà economiche o istituzionali. Quelle ci sono sempre state. Abbiamo perso perché abbiamo accettato un mondo nel quale la cultura non rientra nello scenario che avevamo immaginato utopicamente. Essa è stata fagocitata dai meccanismi turistici - commerciali - mediatici che dominano le nostre esistenze. Il teatro patisce questa condizione in massimo grado. In un’epoca in cui scambiamo la democrazia per un sistema freddo di regole (mentre essa è soprattutto amore per l'essere umano e per il diverso) e consentiamo al fatto acclarato che essa dipenda come un pupazzo dalla sfera economica, cosa ci resta da sperare per il teatro, che solo assieme a una democrazia reale può vivere?
Dal fatto che abbiamo perso non deriva comunque che ci arrendiamo.
Sono tempi tristi e di ebete intrattenimento, e più triste di ogni cosa è assistere alla dissipazione delle energie dei giovani e all'assenza di futuro che contamina le nostre vite e le nostre città. Triste è l'allegria superficiale e intontita che vediamo contagiare i volti degli adolescenti. Triste è la rissa quotidiana in cui nessuno pare più capace di parlare se non entro i confini del proprio naso e della propria pelle. Triste è il trionfo dell'estetico sull'etico. Triste la ricerca effimera di estasi al posto delle emozioni.
Non abbiamo ricette se non continuare, per quanto saremo capaci, a cercare di ascoltare la voce dei tanti che si opposero e si oppongono a una deriva che sembra inarrestabile. Il teatro è sempre stato in crisi ma non muore mai. Nessuno può farne a meno. Risorgerà sicuramente in modi e forme che ci stupiranno. A noi il compito di facilitare questa sua nuova nascita, soprattutto, nei e con i giovani. Accompagnandoli e sostenendoli.
Non sono pochi, per fortuna, gli esempi di Sindaci e assessori che, proprio in questi ultimi anni, hanno ampliato le somme destinate alla cultura. Ma più numerosi sono i politici che pensano agli investimenti in cultura come a un lusso superfluo e considerano una sorta di spreco anche il sostegno che, inevitabilmente, richiede la funzione pubblica che svolgono in particolar modo i teatri d’interesse nazionale. I tagli, la crisi, il deficit dello Stato divengono così fattori regressivi che, anziché mettere in discussione costi ed efficienza della politica e della macchina amministrativa, finiscono per avvilire gli investimenti sulla qualità del sapere e sui modi di vita delle comunità, riducendo le università, la didattica, la produzione artistica e la ricerca a svolgere ruoli subalterni e marginali.
La cattiva politica, incapace di comprendere i bisogni immateriali, contribuisce così a costruire cittadini indifferenti, occupati soltanto negli affari e nella dissipazione delle loro vite, obbedienti a un modello che ruota attorno al cibo, ai soldi, al sesso. Tutt’intorno il nulla. In quei territori la cultura non è più un collante esistenziale di cittadinanza, ma un bene di consumo, puro intrattenimento, un innocuo contenitore di consenso a basso costo.
Questi governanti, purtroppo presenti in ogni schieramento, sono portatori di una inadeguatezza che sta logorando proprio quelle risorse (soprattutto umane) di cui necessitano le nostre economie avanzate. Le politiche di pura sopravvivenza, basate unicamente sul contenimento della spesa, stanno producendo fenomeni preoccupanti di demagogia e localismo, e disperdendo il respiro di progettualità necessario a competere con le sfide europee e globali di cui il nostro Paese ha bisogno per uscire dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il teatro è l’ambito più fragile, il più sottoposto alla disattenzione e al degrado, ma è anche quello che più di ogni altro fa crescere, educa spiritualmente e materialmente, coltiva sensibilità e intelligenza, formando cittadini più consapevoli, più critici e umanamente più ricchi.

Non volendo rischiare che il nostro territorio divenga invece sempre più povero, più anonimo e triste, rivolgiamo un appello a tutte le forze politiche, alle istituzioni, alle associazioni territoriali, affinché si uniscano ulteriormente attorno a noi per salvaguardare il patrimonio culturale realizzato in decenni di lavoro e di comune impegno, valorizzando gli investimenti compiuti e i risultati conseguiti sul piano della produzione artistica e della formazione culturale. Chiediamo sostegno e cura per potenziare le relazioni nazionali e regionali certi che questo appello, lanciato da operatori del teatro, dell’università e della scuola che credono nella funzione culturale, non lascerà i nostri stessi amministratori indifferenti.

Roberto Bacci, Marina Bailo, Anna Barsotti, Lorenzo Bennardo, Alessandro Benvenuti, Luca Biagiotti, Marinella Bini, Martine Bismuth, Simon Blackhall, Renzo Boldrini, Giorgio Bosco, Mariangela Bucci, Fabrizio Cassanelli, Massimo Castagna, Giancarlo Cauteruccio, Giada Centofanti, Ugo Chiti, Lorenzo Cuccu, Maria Valeria Della Mea, Carla Dente, Franca Di Nasso, Renzia D’Incà, Luca Dini, Enrico Di Pastena, Franco Farina, Gloria Farina, Rita Farina, Roberto Farné, Michele Fiorillo, Roberto Frabetti, Luigi Frosali, Manuela Gabriele, Flora Gagliardi, Alessandro Garzella, Paola Gennai, Susan George, Maurizio Giacobbe, Lamberto Giannini, Daniela Gimmelli, Paolo Giommarelli, Elisa Giovannetti, Melanie Gliozzi, Federico Guerri, Maurizio Iacono, Gianni Iotti, Isole Comprese Teatro, Hélene de Jacquelot, Vittoria Lamagna, Giovanni Lancellotti, Cristina Lazzari, Sandra Lischi, Mariella Loffredo, Samuele Lo Piano, Chiara Manzini, Alberto Marini, Maria Massimetti, Lucia Monasterio, Roberto Monteverdi, Luca Mori, Francesco Niccolini, Gianmarco Olivè, Massimo Paganelli, Silvano Patacca, Maria Simona Pezzica, Luciana Piddiu, Gianfranco Pietracaprina, Claudio Proietti, Emiliana Quilici, Renzo Raccanelli, Maria Teresa Rosalini, Fedele Ruggeri, Anna Rusconi, Elena Salibra, Antonietta Sanna, Giuliano Scabia, Roberto Scarpa, Marianella Sclavi, Alberto Severi, Ruggero Sintoni, Liuba Taccola, Elisa Zanni.

5 febbraio 2007


 


 

Cascina Eppure non firmerò
Una mail a Roberto Scarpa
di Concetta D'Angeli

 

Prosegue la discussione sul futuro della Città del Teatro di Cascina, dopo lettera-appello di solidarietà di cui abbiamo già dato notizia. Come contributo al dibattito, pubblichiamo qui di seguito la lettera di Concetta D’Angeli a Roberto Scarpa, proprio su questo tema. ateatro auspica naturalmente che le difficoltà di Cascina trovino presto una soluzione, attraverso un’ipotesi di rilancio; riteniamo che per questo possa essere utile un dibattito pubblico, al quale cercheremo di dare spazio sia nella webzine sia nel forum.


Caro Roberto,

ho letto la tua lettera e ne ho apprezzato intenti e tono. Ne condivido anche molti argomenti, eppure ho deciso che non la firmerò. Ti scrivo per spiegarti.

Il punto principale sul quale concordo con te è la necessità che i teatri della nostra provincia, insieme a coloro che a vario titolo s'interessano di spettacolo, pensino in termini critici e attenti alla loro situazione, e lo facciano tutti insieme, al di là delle differenze che li/ci separano. Sono convinta, in genere, che solo la collaborazione permetta di trovare alternative. Nel caso specifico, solo collaborando (e individuando i modi anche concreti per farlo) si potrà evitare il collasso e un degrado di cui già da tempo si sperimentano manifestazioni ed effetti.

Ciò che mi lascia perplessa nella tua analisi è la vaghezza.
Da quel che ho capito, il problema dei teatri è economico e organizzativo, oltre che culturale. Si tratta insomma di trovare le strade per risparmiare senza perdere il decoro; di rendere i teatri più frequentati da utenti che pagano; di collaborare sui servizi... Sono cose spiacevoli, tutte. Ma sono certa che non si possa uscire dalla crisi se non si passa di lì, se non si trova il coraggio di affrontare questi nodi spinosi. I teatri non possono continuare ad essere delle monadi incapaci di mettersi in comunicazione, nonostante i buoni propositi che di tanto in tanto, fumosamente, senza vera convinzione, si sentono riaffermare. In tutti questi anni io non ho visto attivarsi una reale collaborazione, e nemmeno ho sentito parlarne con un briciolo di concretezza.

Poi, certo, c'è la necessità di creare un pubblico capace di apprezzare il teatro, e non i suoi cascami, non la mitologia dei personaggi famosi, resi tali perché c'è di mezzo la televisione (il Verdi stracolmo, l'altra settimana, tutti in delirio a vedere Celestini, da una parte mi ha fatto piacere perché spero che si sia realizzato un buon incasso; d'altra parte non depone a favore del pubblico, sgomitante per un artista che sembra avere dato in anni passati il meglio della sua creatività e viene accolto con entusiasmo acritico per il semplice fatto che si fa sentire alla radio e soprattutto si fa vedere in TV).
Sulla formazione del pubblico - non solo dei giovani - bisognerebbe pensare di più. Perché non coltivare, informare, educare il pubblico adulto, in modo che sia pronto ad apprezzare il nuovo - senza disdegnare il vecchio, se dignitoso? Così i teatri potrebbero accentuare le differenze dell'offerta senza troppa paura di rubarsi l'utenza.

Insisto sul punto dell'educazione perché è l'unico sul quale mi sento di poter offrire collaborazione effettiva (dico nel senso di università, oltre che nel senso stretto di Concetta D'Angeli). Di qui la mia enorme frustrazione a dover partecipare alle riunioni del Collegio d'Indirizzo (per fortuna scarsissime tanto da essere diventate quasi passaggi di un fantasma), dove mi è proibito pronunciarmi sull'unico terreno di mia competenza (la qualità degli spettacoli e degli artisti) e sono invece costretta a votare bilanci e faccende amministrative di cui non so niente, anzi ci sono negata e mi annoiano a morte.

Non voglio tacere nemmeno un importante punto di dissenso.
La tua lettera, aperta da una lunga riflessione sull'importanza della cultura nel mondo contemporaneo (e chi di noi non sarà d'accordo con te?), si conclude di fatto con la richiesta agli enti pubblici perché siano più disponibili e generosi verso i teatri.
Onestamente, Roberto: con quel che sta succedendo in Italia nella politica sociale, nell'economia, nella sanità, con le pesantissime decurtazioni a danno dei Comuni e delle Regioni, chi se la sente di pretendere che gli Enti si sobbarchino a spese più elevate per raddrizzare le sorti dei teatri (o delle università, per parlare anche di me)?
Credo che la conclusione di una qualunque analisi della stato attuale della cultura non debba finire in una richiesta di tal genere. Che a me non piace e (per essere sincera fino in fondo) che non sento nemmeno legittima.
Penso che i teatri dovrebbero imporre la necessità della loro esistenza. Non come fatto politico calato dall'alto o dipendente dalla buona/cattiva disposizione degli amministratori (o dalla logica partitica dei voti), ma come conseguenza di un bisogno avvertito da tutti, o almeno da molti. Questo non succede. Per maleducazione del pubblico, certo; ma anche, secondo me, per inerzia dei teatri, per il loro attardarsi in una condizione che è stata di privilegio e che ormai non può più sussistere.
Non vedo spiragli se, almeno tra noi, in quel confronto d'idee fra persone interessate che tu auspichi, non si muove da una seria autocritica.

Mi auguro comunque che la discussione che tu hai aperto, al di là del sostegno che chiedi per rivolgerti agli enti sovvenzionatori, si mantenga viva. Per il piccolo contributo che posso offrire, sarò lieta di partecipare.
Un abbraccio

Concetta


 


 

Cascina Teatro e società: un rapporto in crisi
Risposta al documento di Roberta Scarpa e Fabrizio Cassanelli
di Renzo Boldrini*

 

Prosegue la discussione sulla crisi della Città del Teatro di Cascina. O meglio, la discussione intorno al documento steso da Roberto Scarpa e Fabrizio Cassanelli sta aprendo un dibattito che va al di là della situazione della Città del Teatro e investe in generale il rapporto tra teatro e società da un lato, e tra teatranti e amministratori dall'altro.

Ricevo da Roberto Scarpa e Fabrizio Cassanelli un documento che ha il merito di dare un’ulteriore sottolineatura a ciò che è palese.
E’ in atto, una crisi profonda e non solo congiunturale nel rapporto fra la classe dirigente politica e quella del teatro pubblico o a funzione pubblica.
Crisi che trova nella qualità e nella quantità delle risorse e nella grave difficoltà che hanno molti teatri nel far quadrare i bilanci la zona più visibile, ma si tratta solo di un aspetto parziale quanto significativo di una più ampia problematica.
Difficoltà certo non improvvise ma frutto di una storia costruita in decenni di scelte artistiche e finanziarie, modelli di comportamento fra politica, artisti e teatri.
Non nasce ieri la crisi del Metastasio o quella della Città del Teatro. Neppure quella meno eclatante, ma significativa, del Teatro Comunale Verdi di Santa Croce sull’Arno, che dirigo.
Crisi anomala ancorata a buoni e crescenti risultati artistici e gestionali, ma che grazie alle regole volute e praticate dalla politica e dal sistema teatrale provinciale, riceve da 18 anni un contributo che se paragonato all’intero investimento della provincia di Pisa sullo spettacolo dal vivo, è in proporzione assolutamente scandaloso.
“Crisi” diverse ma paradigmatiche estendibili a varie realtà e soggetti ma maturate nello stesso contesto storico-politico e territoriale e quindi indicano l’urgenza, a partire dalla provincia di Pisa, di una riforma significativa che metta al centro la capacità e la libertà creativa, la forza delle idee progettuali e la capacità gestionale di promuoverle e sostenerle. Elementi necessari per correggere errori precedenti, per chiedere alla politica scelte e regole chiare , assunzioni di responsabilità ed investimenti per un teatro capace di essere laboratorio di scontro e rielaborazione creativa fra linguaggi e generazioni.
Un processo di riforma urgente che metta in moto un circolo virtuoso che contrasti con un contesto generale assai critico che ha visto, negli ultimi mesi, brusche accelerazioni: la moria estiva di Assessori alla Cultura in Regione in provincia di Firenze e nella città capoluogo, con sofferti avvicendamenti non ancora conclusi.
Ulteriore segno involutivo del ruolo e del peso che la cultura in generale e il teatro in particolare sembrano assumere nella visione di sviluppo della nostra società.
Disegno dove sembrano trovare sempre maggior spazio grandi manifestazioni più o meno effimere, togliendo risorse e significato al lavoro quotidiano di rinnovamento culturale, di formazione di nuovi pubblici e di nuove strategie artistiche che da anni, in territori urbani o più periferici, teatri piccoli, medi e grandi portano avanti con tenacia e determinazione.
Una crisi di relazione fra teatro e società che si manifesta in maniera preoccupante ad ogni livello, di rappresentanza o di orientamento operativo come emblematicamente dimostra la sempre più grave crisi dell’ Agis o la cronica abitudine a non avere una legge nazionale, che speriamo veda vita, comunque, grazie al nuovo governo.
Aderendo al documento, sollecito i suoi autori perché questo gesto sia solo l’inizio di un confronto aperto e leale che si assuma l’onere di mettere al centro del dibattito i nodi centrali della questione, che hanno portato al quadro odierno: nuova idea di teatro pubblico, criteri artistici capaci di ampliare relazioni con differenti pubblici, modelli gestionali e produttivi che sappiano relazionare dimensione locale e nazionale, rapporto fra aree urbane e periferiche, concentramento o decentramento di attività, modelli etici di rapporto con la politica.
Si lavori ad un percorso, a cominciare dal territorio provinciale pisano, che offra a politica e società un progetto di teatro che sappia parlare le lingue della contemporaneità, crei relazioni su urgenze artistiche e progettuali e non sul bisogno di ottimizzare errori passati.
Scelte urgenti perché si rafforzi la forza operativa, il sostegno alla vita di teatri grandi, medi e piccoli come irrinunciabili presidi culturali e di civiltà nella vita delle città e dei territori.


* Direttore Artistico Teatro Comunale Verdi, Santa Croce sull’Arno

 


 

Domanda e offerta di cultura: un incontro a Bologna
Invito in Provincia. I primi 10 anni
di Ufficio Stampa

 

>19 gennaio 2007 Bologna Palazzo Malvezzi 13 Sala Consiliare

OFFERTA E DOMANDA DI CULTURA
A DIECI ANNI DA INVITO IN PROVINCIA
Programma

9.00 Registrazione partecipanti
9.30 Saluto
BEATRICE DRAGHETTI, Presidente della Provincia di Bologna

“Provincia. Territorio di Cultura”
SIMONA LEMBI, Assessora alla Cultura della Provincia di Bologna

“I consumi culturali in provincia di Bologna”
Presentazione della ricerca MeDeC
FAUSTO ANDERLINI, Direttore del MeDeC

“Perché occorre produrre cultura”
CARLO LUCARELLI, Scrittore

“Invito in Provincia: la genesi di un’idea”
MARCO MACCIANTELLI, Sindaco del Comune di San Lazzaro

“L’anomalia Ariette: un’esperienza di libertà”
PAOLA BERSELLI, Teatro delle Ariette

“Un progetto condiviso: l’esperienza di Tracce di Teatro d’Autore”
FEDERICO TONI, Direttore di Tracce di Teatro d’Autore

11.30 Pausa caffè

“Produrre cultura. Ruolo e prospettive dell'Università”
ROBERTO GRANDI, Prorettore Università di Bologna

“Produzione e fruizione del teatro nelle aree metropolitane:
le specificità di Bologna”
MIMMA GALLINA, Organizzatore teatrale e Docente di Organizzazione
dello Spettacolo

“La cultura tra partecipazione ed eccellenza”
VALTER GALAVOTTI, Assessore alla Cultura del Comune di Imola

“Innovare nell'offerta culturale. Il ruolo del comune di Bologna”
ANGELO GUGLIELMI, Assessore alla Cultura del Comune di Bologna

Dibattito

Conclusioni
ELENA MONTECCHI, Sottosegretario del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali

Interventi coordinati da
ALDO BALZANELLI, Caporedattore de La Repubblica - Bologna

13.30 Pausa pranzo con buffet allestito
presso la Residenza provinciale | Sala Giunta |


COME FINANZIARE LA CULTURA. IL RUOLO DEGLI ENTI PUBBLICI,
DELLE FONDAZIONI E DEGLI ENTI PRIVATI

14.30 Ripresa dei lavori

“La dimensione economica della produzione culturale
nella Provincia di Bologna”
ROBERTO CALARI, Vicepresidente della Fondazione Ater


“La cultura come risorsa. Quali risorse per la cultura?”
UGO BACCHELLA, Presidente della Fondazione Fitzcarraldo

“Le politiche culturali tra pubblico e privato”
MICHELE TRIMARCHI, Docente di Economia della Cultura
Università di Bologna

“Fund raising e una moderna politica di servizi a sostegno della cultura”
ARMANDO A. PERES, Docente di Marketing dei Beni e
delle Attività Culturali Università IULM-Milano

“Perché occorre sostenere la cultura: esperienze artistiche sul campo”
GRAZIA VERASANI, Scrittrice

“L’attività della Fondazione Carisbo a sostegno della cultura”
VIRGINIANGELO MARABINI, Vicepresidente della Fondazione
Cassa di Risparmio in Bologna

“L’attività della Fondazione del Monte a sostegno della cultura”
GIUSEPPE CHILI, Segretario generale della Fondazione del Monte
di Bologna e Ravenna

“L’impegno della Regione nel sostenere le produzioni culturali”
PATRIZIA ORSOLA GHEDINI, Dirigente del servizio Cultura, Sport e
Progetto giovani della Regione Emilia – Romagna

Dibattito

Interventi coordinati da
ERICA ZAMBONELLI, Vice caposervizio di QN - Quotidiano Nazionale

17.30 Chiusura dei lavori
SIMONA LEMBI, Assessora alla Cultura della Provincia di Bologna


18.00 “Nuove Parole per le Stagioni”, dal Cimento dell’Armonia e
dell’Invenzione op. 8 di Antonio Vivaldi
ENSEMBLE RESPIGHI, MARCO ROGLIANO | violino |,
FEDERICO FERRI | direttore | e MATTEO BELLI | voce recitante |:
lettura-concerto offerta da Charta s.r.l.


 


 

Antonin Artaud: due incontri con Evelyne Grossman
A Roma
di Ufficio Stampa

 

Centro di Studi italo-francesi
e
Università di Roma La Sapienza
Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo
CTA - Centro Teatro Ateneo

ANTONIN ARTAUD: UN INSURGE DU CORPS
DUE INCONTRI CON EVELYNE GROSSMAN

CENTRO DI STUDI ITALO-FRANCESI
Roma, martedì 23 gennaio 2007 alle ore 17,00
Incontro con Evelyne Grossman in occasione della presentazione delle sue recenti pubblicazioni: Antonin Artaud. Un insurgé du corps e Antonin Artaud, Cahier: Ivry, Janvier 1948 (Gallimard, Ottobre 2006).
Con la partecipazione di: Silvia Carandini, Valeria Pompejano, Franco Ruffini.

CENTRO TEATRO ATENEO
Roma, mercoledì 24 gennaio 2007 alle ore 13,00
Lezione-conferenza di Evelyne Grossman nell’ambito del Corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo
Docente: Paola Quarenghi.


EVELYNE GROSSMAN è professore di Letteratura moderna e contemporanea all’Università Paris VII Denis-Diderot e direttrice di programma al Collège international de philosophie. Ha curato nel 2004 per Quarto-Gallimard l’edizione completa degli scritti di Artaud (Artaud, Œuvres), oltre a Antonin Artaud, Van Gogh le suicidé de la société (2001) e Antonin Artaud, Pour en finir avec le jugement de dieu (Gallimard, 2003). In questi anni ha pubblicato inoltre: Artaud / Joyce. Le corps et le texte, 1996; L'Esthétique de Beckett, 1998; Henri Michaux, le corps de la pensée (en collaboration avec Anne-Elisabeth Halpern et Pierre Vilar), 2001; La traversée de la mélancolie (en collaboration avec Nathalie Piégay-Gros), 2002; Artaud, "l'aliéné authentique", 2003; La défiguration, 2004.


 


 

Totopoltrone Roberta Carlotto nuovo direttore del Mercadante-Stabile di Napoli
Eletta all'unanimità
di Ufficio Stampa

 

Eletto all’unanimità il nuovo Direttore
del Teatro Mercadante Stabile di Napoli



Oggi, lunedì 15 gennaio 2007, il Consiglio di Amministrazione dell’Associazione Teatro Stabile della Città di Napoli, presieduto da Rossana Rummo e composto da Laura Angiulli, Angela Maria Azzaro, Giulio Baffi, Francesco Barra Caracciolo, Giuliana Gargiulo e Sergio Sciarelli, riunito al Teatro Mercadante, sede dello Stabile, ha eletto all’unanimità il nuovo Direttore nella persona di Roberta Carlotto, già componente del Comitato Artistico dell’Ente.
Roberta Carlotto è il secondo direttore dello Stabile dopo Ninni Cutaia che lo ha guidato dal 2002, anno della sua fondazione, oggi chiamato a dirigere l’Ente Teatrale Italiano.
Roberta Carlotto ricoprirà l’incarico a partire dal 1 febbraio 2007.

Con tale nomina, il CdA ha ritenuto, viste la particolare esperienza manageriale e la competenza artistica di Roberta Carlotto, di garantire massima continuità all’azione amministrativa e al progetto artistico dello Stabile. Un teatro che in quattro anni ha elaborato e realizzato una delle più importanti e riconosciute esperienze nel panorama dei teatri pubblici italiani. Attività delle quali è preme sottilineare la crescita e il rinnovamento del pubblico, assieme all’importante funzione di interlocutore con le strutture e i protagonisti della comunità teatrale cittadina, regionale e nazionale.


 


 

Nasce la "Costituente" della nuova associazione dei Teatri Stabili pubblici italiani
L'incontro a Milano
di Ufficio Stampa Piccolo Teatro

 

I direttori dei Teatri Stabili pubblici, presenti ieri sera alla prima del Ventaglio diretto da Luca Ronconi, che ha aperto le celebrazioni del tricentenario goldoniano e dei sessant’anni di vita del Piccolo Teatro, si sono incontrati stamattina per un confronto e uno scambio d’idee sul ruolo svolto da questa fondamentale componente del teatro italiano. Erano presenti i responsabili degli Stabili di Ancona, Bolzano, Brescia, Catania, Genova, L’Aquila, Modena, Palermo, Torino, Trieste, Venezia, e dello Sloveno di Trieste, oltre che del Piccolo di Milano.
Al termine dell’incontro è stato deciso, tra l’altro, di dar vita a una nuova formula associativa più rispondente alle stimolanti sfide e opportunità che emergono in seguito ai rapidi cambiamenti sociali, economici e culturali in atto nelle città, nel Paese e a livello internazionale.
La nuova forma associativa agirà nel contesto di riferimento che sin dall’inizio ha caratterizzato la "missione" dei Teatri pubblici e si muoverà in autonomia anche rispetto a precedenti forme associative del settore dello spettacolo.
Il coordinamento della "Costituente" dell’associazione è stato affidato a Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano, affiancato da Pietro Carriglio, Carlo Repetti, Pietro Valenti (rispettivamente direttori del Biondo di Palermo, dello Stabile di Genova e di Emilia-Romagna Teatri) e da Bruno Borghi dello Stabile di Torino.
Sono previsti tempi strettissimi per arrivare alla costituzione della nuova associazione.

Milano, 17 gennaio 2007

 


 

The Grotowski Institute (in inglese)
La nascita dell'Istituto e le linee di lavoro per il futuro
di The Grotowski Institute

 

The Grotowski Institute
Wroclaw
Directed by Jaroslaw Fret and Grzegorz Ziólkowski
January 2007


Establishing the Grotowski Institute

On 28th of December 2006 the Centre for Study of Jerzy Grotowski’s Work and for Cultural and Theatrical Research (the Grotowski Centre) was transformed into the Grotowski Institute. The name of the new institute refers to that of Grotowski’s theatre that operated at 27 Rynek-Ratusz in Wroclaw between 1965 and 1984. Grotowski added the name Institute for Studies of the Method of Acting (in 1970 abbreviated to the Actor’s Institute) to the name Laboratory Theatre ("of 13 Rows" until beginning of 1967 when this part was dropped off) at the time when he decided to carry out his work in Wroclaw (in the mid-1970s another change ofthis name into the Laboratory Institute was made but not finalized in a formal way). Such a solution enabled him to conduct "practical studies on technical principles of theatre art, focused on the creative technique of an actor" and relieved him of the necessity of producing performances. This enabled Grotowski to strengthen and expand his research and studio work, which greatly contributed to the historical transformation of 20th century theatre.

The present change of the name from the Grotowski Centre to the Grotowski Institute marks a realigning, expanding and developing of the institution's programmes.

The 18-year history of the Centre for Study of Jerzy Grotowski's Work and for Cultural and Theatrical Research (the Grotowski Centre) included ventures that confronted specific challenges laid down by the Polish artist's creative practice. The Grotowski Institute continues the line of work run by the Grotowski Centre and, in addition, puts more emphasis on the following aspects of its activities:
• education,
• promotion and producing,
• publishing.

The Grotowski Institute emphasizes equally all avenues of its programme, since it is only by focusing more on education and artistic activities that it will have the opportunity to keep, in the long term, the spirit of a place that is living - initiating and stimulating the growth of a young generation of artists and people of culture. The newly founded Grotowski Institute is the successor of the work and property of the Grotowski Centre, while maintaining the nature of an organization which leads ventures in the domains of culture, art and education, based on a variety of forms of activities.


Main Lines of Activities of the Grotowski Institute

Collaboration with Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards

In its 20 years of activity, Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards (Pontedera, Italy) has pushed back theatre's boundaries and has conducted an unparalleled research into alternative potentialities of performing arts. The Grotowski Institute will, through the support of the City of Wroclaw, act as the fundamental partner and coordinating agent in the frame of Workcenter’s project Horizons. This project will extend the contact that has already taken place between Workcenter, the City of Wroclaw and the Grotowski Centre throughout the Workcenter projects Tracing Roads Across (2003-2006) - backed by a network of cultural operators from five different countries - and New Stagiaires Program (2005-2006), both of which were supported by the Wroclaw Municipality.

Through its support of Horizons, the Grotowski Institute will provide a meeting point in Poland with Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards by periodically hosting the ongoing Workcenter research led by its Artistic Director,Thomas Richards. Jerzy Grotowski moved to Pontedera, Italy, from the USA at the invitation of the Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale (now: Fondazione Pontedera Teatro), its director Roberto Bacci and Carla Pollastrelli, establishing Workcenter of Jerzy Grotowski in 1986. Grotowski began working with Richards, whom he would eventually call his "essential collaborator", while still in California in the final stage of his Objective Drama research. Grotowski invited the young actor to accompany him to Italy, where Richards became a work-leader at Workcenter and a driving force in the research entitled Art as Vehicle. In 1996, Grotowski changed the name of Workcenter to Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards acknowledging the unique importance of their collaboration. In this final phase of his life's research, Grotowski was concerned with transmission: "The nature of my work with Thomas Richards has the character of 'transmission'; to transmit to him that to which I have arrived in my life: the inner aspect of the work." Prior to his death, Grotowski had passed the main responsibility of leadership of the practical research to Richards. And since Grotowski's passing in 1999, Richards has led Workcenter, continuing and developing its research. Mario Biagini, a key member of Workcenter team since shortly after its founding, is from 2003 its Associate Director.

Project Horizons (2007-2009) will bring Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards to Wroclaw for artistic residencies of three months each year for the length of the project’s duration. Horizons will see the realization in Wroclaw of the following forms of Workcenter’s activities:
• internal Workcenter research,
• presentations of Workcenter's performative opuses,
• Workcenter conferences, seminars, and work meetings,
• Forum of Exchange with Workcenter (exchanges of work between Workcenter team and theatre groups from Poland, as well as Central and Eastern Europe),
• documentation of Workcenter research (potentially including video, film, photography and written documentation),
• publishing (Internet, e-mail newsletters).


The Educational Dimension of the Grotowski Institute

The educational dimension of the Institute includes the formulation and realization of educational programs addressed to students of cultural and theatre studies from Poland and abroad. The specifics of these programs will be based on a close connection between theoretical classes and work sessions. In this way, the idea of a holistic education in and through the arts will be fulfilled. Such a proposal fits in with the growing tendency towards the self-contained shaping of curricula at universities as a part of inter-departmental and interdisciplinary education, as well as towards the support of postgraduate education. It is worth noting that the tradition of the Laboratory Theatre of Jerzy Grotowski that included studio work, trainee education, and the presentation of research results in the form of performances, can be exemplary in this domain. Additionally, the Grotowski Institute's activity in this area is an opportunity to create a counterpart to the increasing commercialisation of university education in Europe and in our country.

The core element of the Grotowski Institute's educational activity in 2007 and 2008 will be Ateliers Source Techniques - Sources of Techniques, consisting of series of practical and theoretical work sessions addressed to actors, musicians, singers, dancers, and theatre people. The Institute will also run guest lectures, video projections, practical seminars, and book-related meetings. This aspect will also be realised through workshops (including those led by actors from the Laboratory Theatre: Rena Mirecka and Zygmunt Molik) as well as through the Openings cycle, which includes meetings with secondary school and university students, such as Theatre A-Grade (addressed to secondary school pupils from Wroclaw and Lower Silesia in March), Exchange of Works (addressed to students of theatre studies from Poland and Europe), or Open Doors (for students from Wroclaw universities, at the beginning of the academic year).

Based on these experiences, after 2009 the Grotowski Institute will open the Academy of Theatrical Anthropology run in cooperation with universities from Poland, the United Kingdom, and Italy. An invited circle of practitioners and theorists from these centres, the Grotowski Institute's own personnel, and the close link between artistic and publishing projects conducted simultaneously by the Grotowski Institute, will all provide a strong basis for the execution of this innovative programme. Resources in the form of spaces for work, a multimedia reading room, and the archive will further support the educational process.


The Promotional and Producing Aspect of the Grotowski Institute

The Grotowski Institute will undertake duties in this field in answer to an idea that Jerzy Grotowski expressed in his speech on receiving an honorary degree from Wroclaw University in 1991. In his lecture, the creator of the Laboratory Theatre pointed out that theatre masters do not need support, but instead young artists do, as a priority. This statement aligns with a proposal formulated by Tadeusz Burzynski in 1988, i.e. before the Grotowski Centre was established. This critic wrote that such a place would "provide patronage to the theatrical or paratheatrical undertakings of young, unconventional, exploratory creators; it would provide several years of sponsorship to some of them, in order to give a creative kickstart to those who find it difficult to or simply cannot find a place in traditional theatre structures". The Grotowski Centre has already taken up such a challenge by supporting the work of such artists, including: Farma v Jeskyni Theatre (Prague, the Czech Republic), ZAR Theatre Association (Wroclaw), Song of the Goat Theatre (Wroclaw), Chorea Theatre Association and the Ancient Orchestra, and such artists as Maud Robart (France) or Natalka Polovynka (Lviv, Ukraine). However, a regular and systematic answer to this challenge is a current necessity due to the commercialisation of culture and its rapid homogenisation and, so to speak, its media-genisation.

Artistic and promotional activities will include the constant support of independent theatre in Central and Eastern Europe, structured through long-term, three or four-year projects. The Grotowski Institute will support three (four at the most) groups, providing them with administrative and logistical help in exchange for the representation of the Grotowski Institute and the City of Wroclaw in Poland and abroad. Artists from the promoted groups will also be invited to cooperate in the educational field. The quality of their artistic work will be the basic criterion for selection.

It should be highlighted that such an enterprise will also be an extension of the Eastern Line Programme, the first stage of which took place as a festival in 2005 during the 14th session of the International School of Theatre Anthropology (ISTA) founded by Eugenio Barba. This featured artists from Central and Eastern Europe, a region where extremely interesting theatre phenomena are currently happening, brought about by determined artists reacting keenly to the extreme changes in the political system, and who are seeking cultural identification by confronting traditions, and skilfully using the language of symbol and metaphor. The most serious impediment to these activities is the lack of any systematic solutions for their support. The actions of the Grotowski Institute in this field will be an answer to the diversification of the ways in which theatre operates and the needs of an audience in the new social and cultural situation. By taking on these promotional and producing tasks the Grotowski Institute aims to establish exemplary models for providing support to young independent artists.

Apart from providing several years of sponsorship for selected groups, we will host the regular presentation of work by groups eligible according to this Eastern Line idea, i.e. theatres from Central and Eastern Europe who resist commercialisation (e.g. Farma v Jeskyni Theatre, Plavo Pozoriste and Kanun Theatre from Serbia, Oleg Zhukovsky from Russia). Every year, one of the permanent foreign associates of the Grotowski Institute, including representatives of institutions from Western Europe who take part in the joint European projects (such as Teatro Atalaya from Spain, the Centre for Performance Research from Wales, Odin Teatret from Denmark, Teatro Potlach and Fondazione Pontedera Teatro from Italy, Alma Kalma from Greece, and Theaterlabor from Germany) will be invited to join this group. Thus the Grotowski Institute in Wroclaw will assume the role of being a place for meeting, interaction, and exchange.

In 2007-2009, the Grotowski Institute will promote artistic and research projects of theatre groups such as: Maisternia Pisni (Lviv, Ukraine) and the ZAR Theatre Association (Wroclaw, Poland).


Publishing projects of the Grotowski Institute

Publishing projects will be carried out by the Grotowski Institute Publishing House, which will significantly extend the Grotowski Centre Publishing Department’s current scope of activities. An analysis of titles published from 2004-2006 shows that the Centre has realized a distinct editorial strategy - on the one hand, in relation to works by renowned contemporary theatre artists: books were published by Eugenio Barba and Peter Brook, as well one devoted to Mei Lanfang, the remarkable Beijing Opera performer; on the other - an album about Rena Mirecka, the Laboratory Theatre actress, or an Italian anthology consisting of post-1989 texts by Polish authors on Jerzy Grotowski. The publishing projects focused on the work of Grotowski and theories developed by outstanding people of the contemporary theatre. These subjects will be continued in the editorial series Grotowski: Problems and Tasks and The Path of Theatre and Culture.

The Grotowski: Problems and Tasks series will include articles that show the reception of Jerzy Grotowski’s creative work: in Poland, which will be done through Tadeusz Burzynski’s texts collated in the volume Mój Grotowski (My Grotowski), and a three-volume series titled Penen gularstwa obrzdwitokradzki (Full of Sorcery a Sacrilegious Rite). The first volume, Misterium zgrozy i urzeczenia (Misterium tremendum and fascinans), will include reprints of the most important articles about Grotowski and the Laboratory Theatre’s performances. The other volumes will refer to active culture and Theatre of Sources (vol. 2), and the contexts of Grotowski's work (vol. 3). The Italian reception of Grotowski's later activities (Theatre of Sources and Art as Vehicle) will be represented by works by Antonio Attisani, Sista Bramini, Chiara Guglielmi, and Renata Molinari - to be published in 2007 and 2008 - thus filling a crucial gap in Polish literature on this subject.

The series will also include publications by the Grotowski Institute's research staff, as a result of research projects (including those devoted to Ludwik Flaszen, the Laboratory Theatre from 1965-1970, Theatre of Sources, and Jerzy Grotowski's artistic activity after he left Poland in 1982). There will also be supplementary albums documenting the Laboratory Theatre performances, including a monograph on Apocalypsis cum figuris with photographs by the renowned artist Maurizio Buscarino.

The aspiration of the Path of Theatre and Culture series, apart from the presentation of thinking by renowned theatre directors such as Eugenio Barba, Julian Beck, Peter Brook, Joseph Chaikin, Jacques Lecoq, Wlodzimierz Staniewski and Tadashi Suzuki, will be: to make the achievements of contemporary studies based on the study of theatre available to Polish readers (see Richard Schechner’s Performance Studies: an Introduction published by the Centre in Polish in 2006) and to popularise knowledge about key directors (e.g. the anthology on Evgeny E. Vakhtangov, edited by Katarzyna Osinska to be published in 2007). The series will also include the works of Polish theatre scholars who interpret the line of tradition in which Grotowski’s work can be situated - e.g. Polski teatr przemiany (Polish Theatre of Transformation) by Dariusz Kosinski from the Jagiellonian University. A special place will also be reserved for titles that .- although not in the theatre studies canon - have yet to find a Polish publisher. These include Stanislavski in Rehearsal by Vasily O. Toporkov and Zwity Bachus (Saint Bacchus) by Alexis Solomos (a book devoted to the Byzantine theatre - which is unique worldwide in terms of literature on this subject).

An international publishing cooperation initiated in 2006 as part of a Polish Theatre: Tradition of Transformation undertaking with the Welsh Centre for Performance Research will promote Polish theatre science in Anglo-Saxon countries. The project, which is planned to last several years, will result in English editions of works by Polish performance anthropologists and theatre historians, as well as texts by Juliusz Osterwa.

Additionally, the Grotowski Institute will run a theatre library that will distribute Polish and foreign works.


The Site for the Grotowski Institute

The current site in Wroclaw, the historical space of the Laboratory Theatre (27 Rynek-Ratusz) will be preserved and kept mainly for archival and documentary activity, as well as for related research. It will host the Grotowski Institute's Archive fulfilling its duties in five Divisions: Paper Documentation, Mechanical Documentation, Museum Collections, Manuscripts, and Access; and two Workrooms: Bibliography and Chronicle. The Access Division will include a multimedia reading room, a permanent exhibition in the Laboratory Theatre's historical space, and the theatre cinema. The most important change will concern the spatial separation of the Access Division from other divisions and workrooms. Guest lectures, talks on the subject of theatre studies publications, and smaller conferences will be organised in the current site. The centre will also have a bookshop with theatre publications.

Long-term artistic undertakings and workshops of a studio nature will mostly be carried out in Brzezinka near Olenica, the forest base of the Grotowski Institute.

The Grotowski Institute has acquired a new space at 30/32 Na Grobli in WrocB aw for the fulfilment of its extended activities and in particular for the collaboration with Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards in its project Horizons. This new place will be renovated in 2007-2008. It will serve mainly as Workcenter's site when Workcenter team is resident in Poland. When Workcenter is not present, the place will host performances and larger conferences as well as the educational programme of the Grotowski Institute. It will also house the Grotowski Institute's Publishing House with its storage rooms.


The Year of Grotowski 2009

The new Grotowski Institute will organise the programme The Year of Grotowski 2009.
2009 is the 10th anniversary of Jerzy Grotowski's death, the 50th anniversary of the taking control of the Theatre of 13 Rows in Opole (later the Laboratory Theatre) by Ludwik Flaszen and Jerzy Grotowski, and the 25th anniversary of the Laboratory Theatre's self-dissolution.

The Grotowski Institute works towards associating UNESCO with the 50th anniversary of establishing the Laboratory Theatre, in connection with The Year of Grotowski 2009. The following people will be invited to serve on The Year of Grotowski 2009 Committee: Prof. Kazimierz Grotowski (the artist's brother), Ludwik Flaszen (the closest collaborator with Grotowski at the Laboratory Theatre), as well as representatives of national, regional, and municipal authorities, remarkable artists, professors, heads of universities who awarded Grotowski with honorary degrees, and the heads of foundations who systematically supported his work.

When executing the The Year of Grotowski 2009 programme, the Grotowski Institute addressed with propositions of cooperation such institutions as: the Centre for Performance Research (Wales), Centre International de Recherche Théâtrales (France), Fondazione Pontedera Teatro (Italy), the Institute of Polish Culture at Warsaw University, New York University (USA), Odin Teatret (Denmark), the University of Rome 'La Sapienza' (Italy), and the University of Kent (England).

The Year of Grotowski 2009 programme includes: an exhibition at the historical site of the Laboratory Theatre, the conference The Worldwide Reception of Jerzy Grotowski’s Work, the practical seminar Giving Voice in Wroclaw in cooperation with the Centre for Performance Research, the theatre festival The World Should Be a Place of Truth with many outstanding theatre artists, the practical seminar Techniki zródlowe- zródla technik (Source Techniques - Sources of Techniques), and the conference Koci mi wewntrzne polamal... (He Has Broken My Internal Bones) devoted to Grotowski’s response to works by Juliusz Slowacki. Also in 2009, a series of books will be published, and a documentary material filmed that will aim to present the artist’s achievements from a new perspective.

(c) The Grotowski Institute, Wroclaw 2007

The Grotowski Institute
Rynek-Ratusz 27
50-101 Wroclaw, Poland
ph./fax 0048 71 34 34 267
www.grotowski-institute.art.pl
www.grotcenter.art.pl


 


 

Il Festival Opera Prima 2007: il bando
Il Teatro dello Spettatore a giugno
di Teatro del Lemming

 

Teatro del Lemming
FESTIVAL OPERA PRIMA
Il TEATRO dello SPETTATORE
Rovigo, giugno 2007
Il TEATRO DEL LEMMING organizzerà a Rovigo nel giugno 2007 l’XI° edizione del FESTIVAL OPERA PRIMA.
Per Opera Prima non intendiamo l’opera di esordio o lo spettacolo per la prima volta realizzato da un gruppo necessariamente di giovanissima costituzione.
Ogni evento teatrale è per noi Opera Prima quando pratica:
l’autonomia del linguaggio scenico dal testo teatrale
la ridefinizione dello spazio scenico
la riformulazione della presenza e dello sguardo dello spettatore
un legame che unisce gli attori al progetto del gruppo
un processo di lavoro che consenta una reale ricerca teatrale
Si vuole qui tentare una ricognizione nel sottosuolo del teatro, non solo italiano, alla ricerca di chi sperimenta una nuova relazione con lo spettatore teatrale.
Intendiamo, infatti, per TEATRO DELLO SPETTATORE il paradigma di un’Opera Prima, e cioè tutto quel teatro che continua ad interrogarsi sullo statuto teatrale rilevando oggi la sua necessità nel riformulare un nuovo patto e una nuova relazione con lo spettatore.
Se essere spettatori è divenuta metafora perfetta della nostra comune condizione di cittadini, sempre più passivi rispetto alle infinite forme della comunicazione di massa e impotenti rispetto a qualunque fatto che accade nel mondo, lo spettatore teatrale può essere, al contrario, esempio concreto di un ritorno ad una diversa e attiva forma di partecipazione, poiché il teatro può proporsi, innanzitutto, nella sua natura di esperienza condivisa: in direzione di uno sguardo e di una presenza non più voyeuristica ma partecipata.
A questi teatri il Festival vuole offrirsi come momento di riflessione e di costruzione di un progetto comune. Per partecipare occorre inviare entro il 31 marzo 2007:
- materiale sul progetto teatrale che si intende presentare;
- curriculum delle attività del gruppo;
Gli spettacoli, direttamente visionati dalla direzione artistica, saranno scelti in base alla congruenza col progetto del Festival.
Il materiale deve essere spedito alla segreteria del Festival, al seguente indirizzo:
Festival Opera Prima
Teatro del Lemming
Torre Pighin – via Pighin 22
45100 Rovigo


 


 

Gli Incunabula della Socìetas Raffaello Sanzio a Cesena
Giornate internazionali di immaginazione teatrale, danza, musica, computer art
di Ufficio Stampa

 


Teatro Comandini/ Teatro Bonci
Cesena
Febbraio-Marzo- Aprile 2007

direzione artistica e organizzazione: Socìetas Raffaello Sanzio

In collaborazione con:
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Assessorato alla Cultura del Comune di Cesena
E con il contributo di :
Assessorato alla Cultura- Regione Emilia Romagna



Nelle vecchie e fascinose aule del Teatro Comandini, già scuola di fabbri e tornitori del ferro, si svolgeranno le Giornate internazionali di immaginazione teatrale, danza, musica, computer art, distribuite tra Febbraio e Aprile 2007, organizzate dalla Socìetas Raffaello Sanzio in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Assessorato alla Cultura del Comune di Cesena e con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia Romagna.

Una rassegna, anche se breve, e ogni singola forma d’arte, possono ricevere un senso ulteriore dalla rottura delle solite recinzioni di genere per realizzare una confluenza di analisi e di tensioni istintive.
Le Giornate comprendono diverse forme dello spettacolo dal vivo, perché Teatro, Danza, Musica e Computer-art oltre ad avere un loro intrinseco valore singolare, esprimono, insieme, una funzione di riverberazione reciproca che, in una rassegna come questa, ne aumentano l’incisività espressiva.
La Danza, a questo punto, media il rapporto tra idealità musicale e imitazione teatrale del reale, e forse INCUNABULA conta la presenza preponderante di quest’arte, per marcare la tensione tra astrazione e fisicità, idea e fatto, che orienta queste Giornate di Immaginazione.
Se la Danza assume una veste mediatrice, è la Musica l’arte più egemonica, perché la sua logica numerale, assieme all’atmosfera stratificata da fasci di luce emotiva, alimenta ogni spettacolo qui presente.
Un’altra dilatazione del cono ottico che include le Giornate, è data dalla provenienza degli artisti: tutti stranieri, eccetto la Socìetas stessa e gli ZU, musicisti romani, votati alla sperimentazione.
Qui va specificato che l’internazionalismo è un dato che non dice assolutamente nulla, se preso come valore in sé, tanto più che tutti gli Artisti abitano il medesimo mondo culturale. La proposta internazionale è da leggersi, piuttosto, in negativo, e cioè per evitare il nazionalismo come valore. Ciò che conta è esclusivamente la scelta estetica ed ideale che opta con precisione in base a una tensione di fondo che può essere ricondotta al tema della nascita della parola, per ricostruire l’origine della sua venuta.
Eppure la via espressiva dominante di INCUNABULA è l’azione muta; il dire senza parole, così che la musica e la danza, soprattutto, sono le forme d’arte prevalenti di queste Giornate.
Il non parlare è come un programma che si osserva per capire l’avvento e l’essenza della parola.
E’ il silenzio di chi manifesta un pensiero non definito dalle parole, o inesprimibile con le parole.
Queste Giornate sono uno sperimentare la parola; giornate sperimentali della parola, sebbene la parola, quasi, non compaia, ma si tratta di un corteggiamento del linguaggio umano verbale, prima della scoperta di qualsiasi alfabeto; o di una nostalgia, dopo l’usura e la consumazione della parola.
Anche la danza e la musica, arti tradizionalmente esonerate dal dominio della parola, tessono invece qui, parole, più che schemi coreografici o discorsi melodici: alludono continuamente alla parola, anche se questa manca.
La parola è la protagonista nascosta di queste Giornate, ancora trattenuta in fasce (Incunabula), per fare spazio a tutto il dire che un volto ancora muto, o una musica, trattengono e promettono.


Dieci sono in tutto gli appuntamenti che si svolgeranno nelle sale del Teatro Comandini e del Teatro Bonci di Cesena.

In apertura la performance del gruppo belga Abattoir Fermé, collettivo di giovani creatori (per la prima volta in Italia) che ricercano nuove tematiche e drammaturgie a partire da una fascinazione per l’underground, l’outsider e tutto quello che esce dalla norma.
Ancora per il teatro Raimund Hoghe, coreografo tedesco già drammaturgo di Pina Bausch che, con lo spettacolo Another Dream conclude una trilogia intima sul passato della Germania del 900 e la Socìetas Raffaello Sanzio, al Teatro Bonci con Br.#04 Bruxelles, quarto episodio della Tragedia Endogonidia, che solo raramente è stato presentato in Italia.

Da non perdere, per gli appassionati della danza, Jonathan Burrows e Matteo Fargion (danzatore l’uno, musicista l’altro) con gli spettacoli Both Sitting Duet e The Quiet Dance, delicate e toccanti performance giocate su una profonda sintonia e un rigoroso minimalismo dove ogni singolo dettaglio contribuisce a creare una partitura del tutto singolare di suoni e movimenti ritmici;
la danzatrice svizzera Cindy Van Acker, accompagnata dal vivo da quattro musicisti, in Corps 00:00, sperimenta il gesto involontario - accanto a quello consapevole - nell’intento di arrivare a un movimento indipendente che la mente non è in grado di ottenere.
Chiude la sezione dedicata alla danza il ballerino francese Boris Charmatz, che con la performance Les Disparates presenta sul palco del Teatro Bonci un dittico che si muove tra cinema e coreografia.

La giornata dedicata alla computer art, prevede la doppia performance dell'americano Zachary Lieberman e del gruppo inglese Semiconductor, nello stretto connubio tra tecnologie avanzate, animazione digitale e impulso musicale.

Infine, per la musica, i concerti del noto gruppo americano Boom Bip e la musica magnetica degli italiani ZU, già gruppo cult che presenterà brani dal loro nuovo album.


L'ingresso ad ogni spettacolo è di euro 12, ad eccezione di Tragedia Endogonidia Br.#04 Bruxelles, euro 15.
Per assistere a tutte le giornate di Incunabula è stato realizzato un numero limitato di tessere non nominali da 5 ingressi, in vendita ad un prezzo promozionale di 45 euro (due tessere 80 euro).


Ufficio Stampa
Benedetta Briglia, Cosetta Nicolini
Tel. 0547/25566 (lun-ven, ore 9-16)

Informazioni e prenotazioni
Socìetas Raffaello Sanzio / Teatro Comandini
Tel. 054725566 (lun-ven, ore 9-16)


Riportiamo di seguito il calendario di INCUNABULA:

Mart. 13, Merc. 14 Febbraio, ore 20.30
Teatro Comandini
Abattoir Fermé [Teatro][Belgio][prima italiana]
Moe maar op en dolend (Memorie distorte)
Regia Stef Lernous
con Joost Vandecasteele, Mieke Laureys, Kirsten Pieters
durata 60’

Giov. 22, Ven. 23 Febbraio, ore 20.30
Teatro Comandini
Compagnia Greffe [Danza][Svizzera]
Corps 00:00
Di: Cindy Van Acker
Con: Perrine Valli
composizione sonora ed esecuzione dal vivo di: Frédérique Franke, Philip May, Denis Rollet, David Stampali

Sab. 3 Marzo, ore 20.30
Teatro Comandini
Jonathan Burrows e Matteo Fargion [Danza][Gran Bretagna]
Both Sitting duet
di e con Jonathan Burrows e Matteo Fargion

Dom. 4 Marzo, ore 20.30
Teatro Comandini
Jonathan Burrows e Matteo Fargion [Danza][Gran Bretagna]
The Quiet Dance
di e con Jonathan Burrows e Matteo Fargion

Giov. 15, Ven. 16 Marzo, ore 20.30
Teatro Comandini
Raimund Hoghe
[Teatro] [Germania][prima italiana]
Another Dream
Coreografia e interpretazione: Raimund Hoghe

Mart. 20 Marzo, ore 21
Teatro Bonci
Boris Charmatz
[Cinema + Danza][Francia][prima italiana]
Les Disparates
Interpretazione e improvvisazione: Boris Charmatz
dalla Coreografia originale di Dimitri Chamblas e Boris Charmatz

Sab. 24, Dom. 25 Marzo, ore 22.00
Teatro Comandini
Zachary Lieberman [Computer-Art][USA]
Drawn e The Manual Input Sessions
e, di seguito:
Semiconductor: Ruth Jarman & Joe Gerhardt [Computer-Art] [Gran Bretagna]
Sonic Inc
e Worlds in flux

Da Mart. 27 a Ven. 30 Marzo, ore 21 e Sab. 31 Marzo, ore 17.00
Teatro Bonci
Socìetas Raffaello Sanzio [Teatro][Italia]
BR.#04 Bruxelles/Brussel
Tragedia Endogonidia IV Episodio
di Romeo Castellucci
Regia, scenografia, luci e costumi: Romeo Castellucci
Regia, composizione drammatica, sonora e vocale: Chiara Guidi
Traiettorie e scritture: Claudia Castellucci
Musica originale: Scott Gibbons
Con: Sonia Beltran Napoles, Claudia Castellucci, Sebastiano Castellucci, Luca Nava, Gianni Plazzi, Sergio Scarlatella, Atos Zammarchi

Sab. 14 Aprile, Ore 22.00
Teatro Comandini
Boom Bip live [Concerto][USA]
e, di seguito: DJ-SET di Incunabula

Dom. 22 Aprile, Ore 22.00
Teatro Comandini
ZU [Concerto][ITALIA]
Jacopo Battaglia, batteria ed elettronica
Luca Tommaso Mai, sax baritono
Massimo Pupillo, basso ed elettronica


 


 

Ubu Buur: una lettera dal Senegal
Debutta il nuovo spettacolo delle Albe
di Marco Martinelli

 



Cari amici,
vi scrivo da Diol Kadd, nel cuore della savana, dove debutteremo tra pochi giorni con Ubu buur, che in wolof significa “Ubu re”.
Diol Kadd è un piccolo villaggio a trenta chilometri da Thies, la città in cui siamo alloggiati: 300 anime registrate all’anagrafe e un numero imprecisato di bambini. Non c’è la luce elettrica, non ci sono le fogne, l’acqua la si va a prendere al pozzo. Ogni giorno lasciamo la città per raggiungere il villaggio e provare fino allo scendere della luce del sole, che cala repentina.
Come già a Chicago nel 2005, anche qui le Albe smontano e rimontano I polacchi, lo spettacolo che portiamo in giro per il mondo dal ’98, affiancando alle tre maschere di Padre Ubu, Madre Ubu e Bordur, un coro composto per l’occasione da 15 adolescenti wolof , scelti da Mandiaye N’Diaye tra i giovani del villaggio. Con questi ragazzi Mandiaye ha lavorato per mesi, creando i materiali scenici necessari (cori, danze, improvvisazioni) che sono stati poi assimilati, rovesciati e trasformati da me e da Ermanna in queste ultime tre settimane di lavoro.
Il risultato è un affresco che ha scombinato la composizione linguistica dell’originale. Il wolof è diventata la lingua dominante lasciando al romagnolo qualche improvvisa accensione di Madre Ubu, il francese ha sostituito l’italiano. L’ambientazione “polacca”, immersa nella nebbia del Museum Historiae Ubuniversalis, ha lasciato il posto al sole di un villaggio di capanne, avendo deciso di debuttare alle 5 del pomeriggio, in piena luce. La vicenda si è spostata dall’Adriatica dei palotini ravennati al rifugio nella savana di un feroce signorotto della guerra (ce ne sono tanti, in Africa) e della sua femme bianca, iridescente come uno spettro, attorniati da una banda di children/soldiers armati di kalashnikov. La Sierra Leone e la Liberia sono a due passi da qui, con il loro carico di morti e di sangue. Il nostro Padre Ubu è il simbolo dei tanti dittatori e dittatorelli di questo continente martoriato: nella sua trasparenza tale immagine rivela anche un doppio fondo, tutta la sua ambiguità seducente: Ubu è certo terribile e impresentabile, ma quanto lo sono anche i signori in guanti bianchi che con le banche e le strategie economiche e il debito tengono alla fame popolazioni intere?
Il coro dei palotini wolof è carico di energia, come forse potete immaginare, contagioso nel suo scatenarsi nei cori e nelle danze, nell’esuberanza scenica dei corpi e delle voci, sospinto dalla musica dal vivo di tre percussionisti di gembe e sabar : ma quello che preferisco sottolinearvi è il lavoro d’arte che si sta facendo. Rigore e disciplina sono le prime armi di questi ribelli. Della non-scuola abbiamo esaltato spesso l’aspetto dionisiaco, sacrosantemente, ma mi piace da qui ricordare ancora una volta che i greci chiamavano gli attori oi tecnitai Dionisou, i tecnici di Dioniso: senza Dioniso non si dà teatro, ma anche senza “tecnica” (ovvero senza allenamento quotidiano, senza sapienza gestuale e vocale, senza precisione linguistica) non si dà teatro.
Lo spazio in cui lavoriamo è un perimetro di 30x40 metri, recintato in muratura: al centro un gazebo di cemento pitturato di nero col tetto di paglia, davanti al quale abbiamo costruito una piccola piattaforma trapezoidale. Piattaforma e gazebo sono il fulcro scenico, ma l’azione si svolge in tutto lo spazio, offrendo ad Alessandro Renda e alla sua telecamera primi piani e campi lunghi, come quello in cui arriva il re a cavallo (questa volta un cavallo vero). Nello spazio ci sono anche sei capanne, il suddetto cavallo, un asino, tre capre i cui belati si frammischiano ai canti dei palotini, diverse galline che attraversano il palco seguendo il loro libero arbitrio e un’oca da noi ribattezzata “oca mistica” per come si accuccia vicino ai percussionisti e li ascolta suonare.
Due parole sulle nostre maschere. Padre Ubu (Mandiaye N’Diaye) e Madre Ubu (Ermanna Montanari) sono impressionanti, a quasi un decennio dal debutto al Rasi, icone che superano il tempo: il primo finalmente improvvisa battute in wolof dopo aver recitato per anni in romagnolo, è fiero di essere tornato a casa, nel villaggio natale, dove sta realizzando insieme alle Albe il desiderio di un teatro in Africa, dove con Takku Ligey, l’associazione da lui fondata, combatte quotidianamente la sua pacifica guerra per strapparlo alla povertà e al deserto, la seconda si aggira bianchissima tra tutti quei corpi scuri come un fantasma in pieno giorno, tirando fuori dalla sua voce i suoni incantatori e le malie di uno spiritello malefico. Immutabili entrambi, e sempre ferocemente vitali. Chi è mutato invece è Bordur, qui incarnato da un Roberto Magnani saltellante, baffetti scuri disegnati sul volto, che si lancia nella danza senegalese scatenando l’ilarità popolare.
Ci aspettiamo alla “prima” una marea di persone. Già le prove sono state normalmente abitate da frotte di bimbi, da giovani, da donne che allattavano. Un giorno mi sono voltato pensando che non ci fosse nessuno, e invece erano in tanti e silenziosi, ma quanti sono ho chiesto? 110 ha risposto Ermanna, che li aveva contati. In questi ultimi giorni abbiamo chiuso le prove per avere un poco di intimità, allora molti di loro salgono sugli alberi fuori del recinto e da là continuano a seguire il lavoro. Sanno tutte le battute dello spettacolo.
In mezzo alla gente di Diol Kadd e a quella dei villaggi vicini ci saranno anche ospiti stranieri, come Marie-Agnès Sevestre e Denis Triclot, direttrice e amministratore del Festival Internazionale delle Francofonie di Limoges, che ha coprodotto lo spettacolo, e dove andremo in ottobre per il debutto europeo, prima di approdare in Italia, al Festival VIE di Modena (per il debutto nazionale) e a Ravenna, dove questa avventura ubuesca è partita.

25 gennaio 2007


Ubu Buur
dall’irriducibile Ubu di Alfred Jarry, sabato 27 gennaio 2007 ore 17,30 Diol Kadd (Khombole) Senegal

drammaturgia e regia Marco Martinelli; con Mandiaye N’Diaye (Padre Ubu), Ermanna Montanari (Madre Ubu), Roberto Magnani (Bordur), Moussa Ka (Re del Kajor); Aliou N’Diaye, Baba N’Diaye, Boubacar Diaw, Mame Mor Diop, Khadim Faye, Moussa Gning, Cheikh N’Diaye, Khadim Ndiaye, Lamine N’Diaye, Mamadou N’Diaye, M’Baye Babacar N’Diaye, Mouhamadou N’Diaye, Ndiaga N’Diaye, Mor Ndiaga N’Diaye, Omar N’Diaye (coro palotini-ribelli); Assane Fall, Mame Abdou Fall, Samba Fall (musicisti); Boubacar Diallo (dj); Alessandro Renda (cameraman); ringraziamenti a Pierre Edouard Diatta, Khadim Fakh N’Diaye, Khadim Ndiogou N’Diaye (custodi), Aw Dieng, Mame Asta Kandji, Maty N’Diaye, Mere Thioro N’Diaye (cuoche), Assane Kane, Daymane N’Diaye (muratori), Baye Moussa Gueye (costruttore delle quinte) Gorgui Yaba N’Diaye (proprietario del cavallo), Luca Ranieri.


 


 

Qualcosa di sinistra? 20 milioni di euro allo spettacolo
Il patto Stato-Regioni
di Redazione ateatro

 

E' stato firmato da Ministero BAC, Conferenza Regioni, UPI e ANCI il "patto" che orienta gli interventi promossi contestualmente da Stato, Regioni e Enti Locali, previsti e sostenuti con 20 milioni di Euro in finanziaria. Lo riportiamo di seguito, ricordando che questa scelta riequilibra in qualche misura l'integrazione del FUS (inferiore alle previsioni) e ha un doppio carattere "sperimentale".
Da un lato si propone di verificare in concreto la collaborazione fra i livelli centrali e periferici della pubblica amministrazione, che dovrebbe orientare anche la prossima legge (a proposito, il sottosegretario Elena Montecchi ha reso noto che è pronta una bozza - di iniziativa governativa - e che il Ministero intende promuovere, nei prossimi mesi, un ampio giro di discussioni, consultazioni in tutta Italia prima di portata in Parlamento).
Dall'altro s tratta di individuare nuovi modelli progettuali e nuove forme e modalità di sostegno. L'art. 1 del patto prevede infatti la "programmazione concertata degli interventi, allo scopo di individuare congiuntamente gli obiettivi e le azioni prioritarie da realizzare in una logica di condivisione delle responsabilità e utilizzo ottimale delle risorse". L'art. 2 delineando gli obiettivi, sembra individuare alcune priorità concrete: valorizzazioni delle identità territoriali, contemporaneità, nuovi linguaggi e nuovi talenti, l'importanza di creare reti, l’allargamento del pubblico e la perequazione generazionale e territoriale, la razionalizzazione degli interventi e monitoraggio.
Non possiamo che rallegrarci: in ateatro 92 (alla fine del 2005, dopo Mira), indicavamo alcune priorità, anche in funzione di un nuovo quadro legislativo, che presentano numerosi punti di contatto con questo provvedimento. Auspicavamo infatti “il b>riequilibrio territoriale nord/sud e non solo”, attraverso:

- livelli minimi di offerta per il territorio;
- condizioni e livelli garantiti di accesso e fruizione;
- il consolidamento dei soggetti di riferimento pubblici e privati, secondo un piano che ne garantisca chiarezza e rispetto di funzioni, indipendenza, qualità, sobrietà di gestione;
- il sostegno alla multidisciplinarità e alla contemporaneità: ovvero a progetti, spazi, idee, e forse la creazione di nuovi modelli/soggetti che favoriscano l'incontro e il rinnovamento dei linguaggi
- il sostegno alla creatività e all'imprenditorialità giovane: in tutte le forme possibili e senza modelli rigidi;
- il sostegno alla domanda (la questione del pubblico).


Dopo qualche nomina o mancata nomina e il ventilato Festival Nazionale lanciato dal ministro Rutelli, questo sembra il primo atto concretamente innovativo di questo governo dal suo insediamento (qualcosa "di sinistra"). Almeno sulla carta: ora il Ministero dovrà emanare un regolamento per l'attuazione, i progetti andranno poi analizzati, scelti e i finanziamenti quantificati (dal patto non è ancora chiaro chi opererà le scelte), e dai principi alla loro attuazione, passando attraverso la mediazione politica degli interessi locali e la probabile distribuzione territoriale delle risorse - e con mezzi significativi ma esigui per accontentare tutti - le buone intenzioni possono perdersi per strada.
L'iniziativa offre però anche l'occasione al teatro italiano di mostrare la sua capacità di formulare concretamente progetti di rilevanza pubblica al di fuori degli schemi consueti (in una logica di trasparenza, ma anche in linea con le nostre "buone pratiche", sarà interessante analizzare le proposte che verranno presentate nel complesso, anche indipendentemente dal sostegno che otterranno o meno).
Insomma: il "patto" sembra una buona idea e una buona occasione da molti punti di vista; vale la pena di essere un po' ottimisti senza dimenticare di VIGILARE. (redazione ateatro)


PATTO PER LE ATTIVITA´ CULTURALI DI SPETTACOLO TRA IL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA´ CULTURALI, LE REGIONI, LE PROVINCE AUTONOME, LE PROVINCE ED I COMUNI


Premesso che:

la Repubblica, nel rispetto degli articoli 9, 33 e 117, comma 3, della Costituzione, concorre alla promozione e alla organizzazione delle attività culturali, con particolare riguardo allo spettacolo in tutte le sue componenti;

la Costituzione prevede la leale collaborazione tra lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e le Città metropolitane al fine di coordinare l´esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune;

lo spettacolo costituisce un´attività di interesse pubblico, rappresenta una componente essenziale della cultura e dell´identità del Paese e un fattore di crescita sociale, civile ed economica della collettività;

lo Stato e le Regioni favoriscono la promozione e la diffusione nel territorio nazionale delle diverse forme dello spettacolo, ne sostengono la produzione e la circolazione in Italia e all´estero, valorizzano la tradizione nazionale e locale, garantiscono pari opportunità nell´accesso alla sua fruizione e promuovono la formazione del pubblico;

nel rispetto del principio di sussidiarietà lo Stato, le Regioni, i Comuni, le Province, le Città metropolitane ed i soggetti privati collaborano per lo sviluppo dello spettacolo e operano per garantire la libertà di espressione;

Considerata la necessità di garantire l´adeguamento dell´ordinamento alla riforma del Titolo V della Costituzione, ai sensi della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

Ritenuta essenziale, nelle more del processo di adeguamento di cui sopra, la necessità di individuare principi informatori comuni dell´azione di governo dei soggetti istituzionali sottoscrittori del presente patto;

tra il Ministero per i beni e le attività culturali, le Regioni, le Province Autonome, le Province ed i Comuni si conviene quanto segue:

Art. 1
(Finalità)

Il Ministero per i beni e le attività culturali, le Regioni, le Province Autonome, le Province ed i Comuni, nell´ambito delle rispettive competenze, sono tenuti a collaborare al fine di sostenere il processo di armonizzazione dell´ordinamento giuridico al dettato della Costituzione in tema di valorizzazione e supporto alle attività culturali di spettacolo.

In questo contesto, i soggetti di cui al comma 1 assumono il metodo della programmazione concertata degli interventi, allo scopo di individuare congiuntamente gli obiettivi e le azioni prioritarie da realizzare in una logica di condivisione delle responsabilità e di utilizzo ottimale delle risorse.

Art. 2
(Obiettivi)

Gli obiettivi che si intendono perseguire con il presente patto sono i seguenti:
La qualificazione del sistema dello spettacolo e la valorizzazione delle identità e delle vocazioni territoriali, attraverso il sostegno economico ed organizzativo di progetti caratterizzati da uno stretto contatto con il territorio;
La diversificazione dell´offerta culturale e la valorizzazione della programmazione legata alla contemporaneità, con particolare riguardo ai giovani e ai nuovi autori prestando attenzione alla sperimentazione dei nuovi linguaggi e alla promozione di nuovi talenti;
La valorizzazione dei progetti in rete, in ambiti territoriali sovracomunali, sovraprovinciali, interregionali;
La promozione di azioni volte all´ampliamento del pubblico e alla diffusione dello spettacolo presso le generazioni più giovani e le fasce di pubblico con minori opportunità di fruizione, anche con riferimento agli interventi pubblici nel Mezzogiorno d´Italia.
L´adozione di strumenti che consentano una razionalizzazione sul piano degli interventi delle risorse statali e territoriali disponibili, al fine di evitarne la frammentazione garantendo una maggiore efficacia della spesa, anche attraverso forme di monitoraggio dell´offerta culturale del territorio e lo scambio reciproco di conoscenze ed informazioni in merito all´offerta culturale ed agli strumenti economici di intervento adottati.

Art. 3
(Accordi programmatici)

Il Ministero per i beni e le attività culturali, le Regioni e le Province Autonome, le Province ed i Comuni sottoscrivono accordi programmatici per le finalità di cui agli articoli 1 e 2.
In ciascun accordo verranno definiti gli obiettivi che i soggetti sottoscrittori intendono perseguire, le azioni prioritarie da realizzarsi, i tempi di realizzazione dei progetti, le necessità finanziarie ai fini della loro attuazione e le modalità di compartecipazione alla spesa.
Il Ministero provvede al cofinanziamento degli accordi di cui al comma 1 con le risorse economiche individuate all´art..... della legge finanziaria 2007; gli altri soggetti firmatari degli accordi concorrono al finanziamento con le risorse previste nei rispettivi bilanci.

Roma

MINISTRO DEI BENI E DELLE ATTIVITA´ CULTURALI
PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
PRESIDENTE UPI
PRESIDENTE ANCI


 


 

I vincitori dei Premi Ubu
La premiazione il 22 gennaio al Piccolo Teatro Studio
di Ubulibri

 

I Premi Ubu per la stagione 2005/2006, promossi dall’annuario del teatro Il Patalogo, edito da Ubulibri e da anni considerati i più importanti premi del teatro italiano, votati per iscritto da studiosi e critici, sono un’altra volta in vista del traguardo. Sono stati consegnati per la ventinovesima volta a Milano, in una serata aperta al pubblico, lunedì 22 gennaio, alle ore 18.30, amichevolmente ospitati nella sede del Piccolo Teatro Studio in via Rivoli 6.
52 critici hanno preso parte alla votazione scritta, svolta in due tornate.


1. Spettacolo dell’anno

Gli uccelli di Aristofane (Compagnia Lombardi-Tiezzi)
Il silenzio dei comunisti di V. Foa, M. Mafai, A. Reichlin (Luca Ronconi, Progetto “Domani”)
Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller (Marco Sciaccaluga, Teatro Stabile di Genova)

2. Regia
Federico Tiezzi (Gli uccelli di Aristofane)
Antonio Latella (La cena de le ceneri da Giordano Bruno)
Vincenzo Pirrotta (La sagra del signore della nave da Luigi Pirandello)

3. Scenografia
Tiziano Santi (Troilo e Cressida, Il silenzio dei comunisti, Lo specchio del diavolo)
Maurizio Balò (Il padre e Alcesti)
Carlo Sala (Riva abbandonata Materiale per Medea Paesaggio con Argonauti di Heiner Müller)

4. Attore
Luigi Lo Cascio (Il silenzio dei comunisti)
Eros Pagni (Morte di un commesso viaggiatore)
Glauco Mauri (Delitto e castigo)
Umberto Orsini (Il padre)
Massimo Popolizio (Atti di guerra: una trilogia)

5. Attrice

Elisabetta Pozzi (Ecuba)
Mascia Musy (La locandiera)
Maria Paiato (Il silenzio dei comunisti)

6. Attore non protagonista

Massimo Verdastro (Gli uccelli)
Arturo Cirillo (Le intellettuali)

7. Attrice non protagonista
Gianna Giachetti (Il padre)
Monica Piseddu (Le intellettuali)
Orietta Notari (Morte di un commesso viaggiatore)


8. Nuovo attore o attrice (under30)
ex-aequo
Alessandro Argnani
Raffaele Esposito
Lorenzo Gleijeses


9. Migliore novità italiana (o ricerca drammaturgica)
Il sorriso di Daphne di Vittorio Franceschi
La gabbia di Stefano Massini
La pecora nera di Ascanio Celestini

10. Migliore novità straniera
La chiusa di Conor McPherson
Disco Pigs di Enda Walsh
Les escaliers du Sacré-Coeur di Copi

11. Migliore spettacolo di teatro-danza
nessuno spettacolo ha raggiunto il quorum

12. Migliore spettacolo straniero presentato in Italia
Winch Only (Christoph Marthaler; kunstenFestivaldesarts)
La Celestina (Robert Lepage, Ex Machina e Fundacion de la Comunidad)
Eraritjaritjaka (Heiner Goebbels)

13. Segnalazioni per premi speciali
· Progetto “Arrevuoto. Scampia-Napoli”, ideato da Roberta Carlotto, curato da Marco Martinelli e prodotto dal Teatro Mercadante di Napoli.
· Progetto “Domani”, ideato da Luca Ronconi e Walter Le Moli e prodotto dal Teatro Stabile di Torino.
· Biennale Teatro 2005, diretta da Romeo Castellucci.
· Teatrino Giullare per l’originalità nell'uso del teatro di figura per fare rivivere dei classici contemporanei.

 


 

A Milano l'Altrofestival Rassegna teatrale delle migrazioni
Al Teatro Guanella dal 1 all'11 febbraio
di Ufficio Stampa

 

RIAPRE AL PUBBLICO IL TEATRO GUANELLA, OSPITANDO LA 9^ EDIZIONE DELL'"ALTROFESTIVAL": RASSEGNA TEATRALE DELLE MIGRAZIONI.

dal 1 al 11 febbraio 2007

INIZIO SPETTACOLI: h 21.00 (domenica h 18.00)

TEATRO GUANELLA-CampoTeatrale

Via Dupré 19 - Milano

Ingresso unico € 8

Iscritti a Campo Teatrale: Ridotto € 6,00

Abbonamento a 4 spettacoli: € 28

Abbonamento a tutta la rassegna: € 50
Prenotazioni spettacoli solo via mail:
teatro.lamadrugada@tiscali.it
prenotazioni e info laboratori e mattinate scuole tel. 02.76012132
Di seguito il PROGRAMMA DETTAGLIATO del Festival.

Per gli altri appuntamenti della stagione, visitate il sito www.teatroguanella.it


Laboratorio Studio Teatro La Madrugada (Milano): I NEGRI
giovedì 1 febbraio ore 21,00

Stasera reciteremo per voi. Ma, siccome vogliamo che vi sentiate a vostro agio, nelle vostre poltrone, davanti al dramma che già si svolge qua sopra, e che non vi sfiori nemmeno il dubbio che un simile dramma possa penetrare nelle vostre preziose vite, avremo inoltre la gentilezza, appresa appunto da voi, di rendere impossibile ogni comunicazione. Con i nostri fasti, le nostre affettazioni, la nostra insolenza - poiché siamo anche dei commedianti -cercheremo di aumentare la distanza che fin dall'origine ci divide...
di: Jean Genet
con: Corinna Agostoni, Valentina Bianda, Aloisa Clerici, Camilla Caccia Dominioni, Elisa Dell'Orto, Deborah Ferrari, Manuele Laghi, Riccardo Martinelli, Alberto Meanti, Emanuela Pinna, Anna Torre, Tiziana Tricarico, Monica Zipparri
Percussionisti: Alessandro Piccolo, Riccardo Trovati
Disegno luci: Marco Bolla
Regia e drammaturgia: Raul Iaiza

Yousif Latif Jaralla (Palermo) LA CASA DELLE FARFALLE
Venerdì 2 febbraio ore 21

Quando scoppia un guerra, all' improvviso sei senza una via di scampo, si mutano gli stati d'animo, la volontà e i sentimenti. Scopri che il mondo non più quello che hai conosciuto o sognato; scopri che appartieni a una specie che uccide facilmente. Ti tocca ingoiare l'ipocrisia dei politici e dei loro giullari, che vanno delirando che la guerra é un diritto, che la sovranità di un stato cambia da continente al altro, che la dignità di un popolo si misura con gli interessi economici. Qui narriamo le vicende umane di un suonatore di nay (flauto) che si trova a suo malgrado nella guerra con l'Iran, e che assieme ad un plotone di soldati, attende sul fronte, una guerra talmente assurda da sembrare un fatto di fantasia… 1.000.000 di vite recise… Dicono che per un anno di guerra ci vogliono 10 anni per un paese per ricuperare la sua normalità. Oh, Dio ci vogliono 70 anni perché l'Iraq per riprendi la sua normalità. Cioè, forse il figlio del figlio del mio figlio vedrà un Iraq normale. Se nel frattempo non succederà qualcos'altro. Ci hanno sistemato per sempre, vogliono farmi credere che li dispiace. Via, beviamoci sopra un bicchiere, è più dignitoso
di e con: Yousif Latif Jaralla
musiche dal vivo di: Giuseppe Guarrella

Felix Kama (Stuttgart): DOV'E' MEGLIO?
sabato 3 febbraio ore 21

L'essere umano è alla ricerca quotidiana di un posto migliore dove portare a termine i propri scopi della vita. Quando qualcuno raggiunge la vetta, questa si trasforma rapidamente in un fondale data l'eterna insoddisfazione umana.. Un principe africano abbandona il proprio paese per andare in Germania - Europa a verificare se potrà trasferirsi lì con la sua tribù per una vita migliore.Attraverso una maniera molto ingenua di percepire i fatti, scoprirà le differenze tra i due mondi. Ma la sua avventura è anche la nostra visto che ognuno di noi prima o poi arriva in un posto nel quale non è mai stato prima e risulta difficile paragonare le cose vecchie con quelle nuove. Alla fine del suo soggiorno il principe non può più ritornare; andrà altrove a cerare se sarà meglio lì. Perché nessuno può raggiungere la vetta. Alza la testa e vedrai una collina più alta che non potevi cedere quando stavi da basso. Un po' come l'erba del vicino, sembra sempre meglio da un'altra parte.
di e con: Félix Kama
traduttore in scena: Olivier Elouti

Mascherenere (Milano): FALEMINDERIT SHUKRAN
Domenica 4 febbraio ore 18 - lunedì 5 febbraio ore 10,30

Albania e Marocco; due paesi di antica cultura si incontrano in Italia. L'Italia, da secoli terra di emigranti, diventa oggi rapidamente paese di accoglienza per tante persone provenienti da località più o meno lontane. Il narratore, con pochi elementi scenografici e costumi, dà vita ai due salotti di Abdul e Alfrd. Alfred ha portato con sé una storia mozzafiato sul destino e Abdul ci racconta delle furbizie della sua gente per sopravvivere ai soprusi dei prepotenti.
Grazie a l'uso particolare di oggetti quotidiani e ad una recitazione che cambia continuamente di registro, le due storie si animano coinvolgendo tutti gli invitati a casa di Alfred e Abdul. La conoscenza e stima dell'altro sono indissolubilmente legate al riconoscimento delle proprie radici.
SPETTACOLO PER LE FAMIGLIE
con: Franco Salerno
collaborazione artistiche di: Alfred Cenaj e Abderrahim El-Hadiri
musiche da Albania e Marocco
testi e regia di Leonardo Gazzola

Mo'o Me Ndama (Milano - Yaoundé): EYNGANGA
martedì 6 febbraio ore 21

Eynganga è la danza della nascita, dell'incontro tra il vecchio e il nuovo, tra quello che era e quello che sarà. Tradizioni a confronto, vite diverse, attese, paure e speranze. Un perpetuo rinascere e rinnovarsi: di giorno in giorno, di padre in figlio, di paese in paese… La solitudine si alterna al bisogno dell'altro e in questo incontro nasce la vita.
con: Lazare Ohandja e il gruppo danza
regia e coreografie di: Lazare Ohandja

Gruppo Teatrale U (Milano) CHIEDO ASILO ALLA LUNA
mercoledì 7 febbraio ore 21

Dall' incontro tra due drammaturghi e un gruppo di richiedenti asilo politico, nasce la storia di questo viaggio a ritroso. Dall'Italia fino al centro dell'Africa. Pericoloso, perché ad affrontarlo sono dei richiedenti asilo politico, e un richiedente non può allontanarsi dal paese in cui fa la richiesta, peggio se tenta di tornare a casa sua. Un viaggio fatto in clandestinità, dove è importante non farsi riconoscere e davvero fondamentale andare avanti e sopravvivere. E' la storia di un fratello e di una sorella che si incontrano a Milano dopo che la guerra nel loro paese li aveva separati, e decidono di tornare indietro per liberare il padre. Ma la strada è specchio di un mondo allucinato: uomini-cartello in mezzo al deserto, altri che fuggono dentro a bidoni, soldi che parlano, morti si mischiano ai vivi. A casa i due fratelli trovano che chi era l'oppresso ora è diventato l'oppressore: non resta che chiedere asilo alla luna. Grazie alla loro ironia, i richiedenti asilo sono diventati attori per raccontare questa storia.
con: Jessica Aghaulor, Yamtou Banangassou, George Brown, Giovanni De Giorni, Amafe Kassa, Eslim Sewornu
scene e costumi: Anna Gubiani
drammaturgia e regia: Federica Di Rosa e Davide Stecconi

Claudio Batta - Henri Olama (Lombardia): ADINKRA, parallelismi erranti
giovedì 8 febbraio ore 21

Claudio Batta in questo spettacolo, si ispira a dei racconti brevi tratti dal libro "Le mappe degli Adinkra" di Henri Olama, artista poliedrico camerunese ormai cittadino Milanese da vent'anni. Batta legge ed interpreta aneddoti, alcuni provenienti dal villaggio di Ekoudbessanda ed altri dalla storia realmente vissuta da un ragazzo arrivato in Italia dal Camerun alla fine degli anni ottanta. Risaltano le difficoltà d'integrazione, i disagi e le burocrazie, che spesso un immigrato si trova davanti. Il comico da un'impronta inevitabilmente ironica alla storia, senza però tralasciare momenti di poesia e riflessione. A suo fianco l'autore del libro distilla musiche avvolgenti.
Concepito e interpretato da: Claudio Batta
musiche dal vivo di: Henri Olama

Associazione Daidalon (Palermo) : LO STRAPPO
Venerdì 9 febbraio ore 10,30 e ore 21

Modou, lavorò per un anno, faticò come un mulo, visse a pane ed acqua. Sette giorni su sette. Raccolse la cifra per quel biglietto che nemmeno una crociera da nababbi costerebbe tanto. Poi rimase in attesa per mesi. Gli dicevano: c'è mare cattivo, c'é nessuno a prendervi in Italia…non insistete e non rompete palle al capitano….Quando più nessuno ci credeva, la carretta prese il largo. Per tanto tempo i suoi ricordi si interrompevano qui. Per anni aveva tentato di ricordare. Ogni volta che passeggiavamo e si prendeva l'argomento si dannava per quest'amnesia. Finché un giorno l'onorevole fece il comizio in una città di mare, con il palco vicino al mare. Io non ho mai capito se fosse tutto vero o una favola che si inventava o addirittura forse il segno che la sua mente iniziava a vacillare. Mi diceva che quel giorno, passeggiando sul molo, aveva notato in acqua una bottiglietta. E quasi istintivamente l'aveva recuperata. Fatto sta che ripescandola - questo è quello che raccontava - quasi immediatamente iniziò a ricordare il viaggio...
con: Modou Gueye, Martino Lo Cascio
musiche di: Veronica Fazzi, Lelio Giannetto
realizzazione video: Igor D'India
scritto e diretto da: Martino Lo Cascio

Peruan-Ità (Milano) : AFRICA IN PERU'
sabato 10 febbraio ore 21

Ecco la storia semisconosciuta degli afro-peruviani. Con la complicità dei ritmi della zamacueca, del alcatraz, festejos, tonderos y coplas, panalivios, ingà, estampas, zocabòn, landos ed altri; entriamo nella storia della schiavitù dalle sue origini. Appaiono le "Aires del Perù Negro" con i canti antichi - lamenti, cori e danze. Poi nascono il valzer creolo e la polka creola, restituiti anche grazie a strumenti come il "cajòn" - la cassa xilofonica - e le congas. Fino a celebrare tutti insieme, in una grande comunione con il pubblico, la fine della schiavitù.
con: Ana Charun ed i Canela
regia di: Sergio F. Garcìa Rodriguez





Teatro Blu (Cadegliano - VA) : GIULIETTA E ROMEO

domenica 11 febbraio ore 21

In scena due anime, quelle di Giulietta e Romeo, che accanto al loro sepolcro tentano di risvegliare i loro ricordi e di ripercorrere a ritroso la loro breve e tumultuosa esistenza per carpirne le trame più nascoste. In una città vivace ed in movimento, nel fervore e nell'eccitazione delle feste e dei banchetti, nella freschezza e nell'anelito d'amore dei due giovani, nella profondità e nell'irruenza della passione amorosa di Romeo e Giulietta, si respira aria di vendetta, si percepisce l'ombra nera dei presagi e dei pericoli. Le due famiglie non sanno che i loro figli si sono innamorati, gli amici di Romeo non sono stati informati del loro matrimonio, la famiglia di Giulietta non sa che lei non può sposare Paride perché è già sposata, Romeo non sa che Giulietta sta dormendo e che non è morta… nessuno sa niente! Un amore che testimonia la condanna agli eterni conflitti di potere, un amore che va oltre le convenzioni, specchio della nostra epoca come il bisogno di riaprire un diverso rapporto tra adulti e giovani attraverso la ricerca di nuovi codici di comunicazione.
scritto, diretto e interpretato da: Roberto C. Gerbolés e Silvia Priori
musiche: Robert Gorik
costumi: Primavera Ferrari - scene: Roberto C. Gerbolés

MATTINATE PER LE SCUOLE
Lunedì 5 febbraio - ore 10,00 "FALEMINDERIT SHUKRAN"
(primarie e prima secondaria)
Venerdì 9 febbraio - ore 10 "LO STRAPPO" (superiori)


LABORATORI
Seminario pratico di tecniche di base nel lavoro sulle azioni fisiche
a cura di Raul Iaiza

Tenuto da Raul Iaiza, regista argentino dal 2001 assistente alla regia di Eugenio Barba all'Odin Teatret, Il seminario affronta le possibilità dell'allenamento fisico e vocale, e apporta modi di procedere nel lavoro sulle azioni fisiche. Plastica, orchestrazione del corpo (segmentazione-dissociazione-coordinazione), equilibrio-disequilibrio, dinamiche e impulsi, ritmica, pre-acrobatica e acrobatica a terra, utilizzo dinamico dello spazio. Tecniche respiratorie e di emissione vocale, registri e timbrica localizzata, dinamica e agogica, coralità vocale, rapporto canto-movimento, rapporto parola-tecniche di allenamento fisico. Elaborazione delle strutture e drammaturgia dell'attuante, montaggio e drammaturgia di gruppo, livelli di attenzione e di percezione. sabato 3 e domenica 4 febbraio dalle 10,00 alle 17,00 Quota partecipazione individuale: 50 €. prenotazione obbligatoria Al "Permèss de Séjour" FdV - Via Procaccini, 4 Milano

Sessione di body art
a cura di Henri Olama

Lasciare che il proprio corpo entri in contatto con la simbologia Adinkra, del Ghana. L'arte di comunicare attraverso questi simboli:
Adinkra e Beti, la pittura corporea, esperienze di pittura collettiva, rielaborazioni multimediali delle opere prodotte.
sabato 3 e domenica 4 febbraio dalle 10,00 alle 17,00
Quota partecipazione individuale: 50 €. Prenotazione obbligatoria
Al Teatro La Madrugada - Via Orti, 12 Milano

Sessione di danza "Energie Vivant"
A cura di Lazare Ohandja

Un percorso tenuto dal danzatore e coreografo camerunese Lazare Ohandja, attraverso la danza contemporanea, la danza africana e l'hip-hop per dare vita alla fusione tra i diversi stili. Energia viva e vibrante, dal contatto col suolo, al gesto e al movimento. La sessione porterà a sviluppare espressione corporea, presenza scenica e capacità di improvvisazione.
sabato 10 febbraio dalle 10,00 alle 17,00
Quota partecipazione individuale: 30 €. prenotazione obbligatoria
Al "Permèss de Séjour" FdV - Via Procaccini, 4 Milano

Seminario di canto per attori
a cura di Raul Iaiza

Tenuto da Raul Iaiza, regista argentino dal 2001 assistente alla regia di Eugenio Barba all'Odin Teatret, il seminario offre tecniche musicali in rapporto al canto, tradotte in termini attorali. Tecniche respiratorie e di emissione vocale, registri e timbrica localizzata, dinamica e agogica, coralità vocale, rapporto canto-movimento, rapporto parola-tecniche di allenamento fisico. Brani di diverse matrici culturali e musicali utili a mettere in pratica:
armonizzazione vocale a tre e a quattro parti, tecniche di trasporto e modulazione, tecniche di arrangiamento vocale strumentale.
sabato 10 e domenica 11 febbraio dalle 10,00 alle 17,00
Quota partecipazione individuale: 50 €. prenotazione obbligatoria
Al Teatro La Madrugada - Via Orti, 12 Milano

Jam session di percussioni Malinké
a cura di Franco Campus

Suonare insieme non-stop nel pomeriggio conclusivo del Altrofestival
domenica 11 febbraio dalle 14,00 alle 17,00
Ingresso individuale: 5 €. Vi sarà una turnazione per i tamburi messi a disposizione dal festival. Portare il proprio strumento per essere sicuri di suonare sempre.
Al "Permèss de Séjour" FdV - Via Procaccini, 4 Milano







MOSTRE A INTRUSIONE
NEL FOYER E NELLA SALA DEL
TEATRO GUANELLA - CAMPO TEATRALE


Mostra di pittura collettiva e body art a cura di Henri Olama nel foyer - ispirata ai simboli Adinkra del Ghana.

Esposizione di statue antropomorfe dell'Atelier Pak Loabé del quartiere Guediewaye a Dakar. A cura di Stefania Silvia Gesualdo

L'Altrofestival 2007
produzione: Coopi - Cooperazione Internazionale
organizzazione: Mascherenere
direttore tecnico: Marta Montevecchi

direzione artistica: Leonardo Gazzola

Tutti gli spettacoli sono al Teatro Guanella - Campo Teatrale
festival gemellato con le RETIC, festival teatrale del Camerun


 


 

Totonomine Un'inchiesta di "Panorama"
Alessandro Gassman all'Aquila (sicuro), Le Moli o Lavia a Roma (forse)
di Redazione ateatro

 

Su “Panorama” in edicola questa settimana Roberto Barbolini e Giorgio Fabre offrono un’ampia panoramica della situazione teatrale italiana, con il titolo “Il valzer delle poltrone”: rende conto delle recenti nomine ai vertici del teatro pubblico (con qualche sprazzo di Totonomine). Molte delle notizie del servizio di “Panorama” sono già state anticipate da ateatro; non quella della nomina di Alessandro Gassman al vertice dello Stabile dell’Aquila.
Tra i nodi problematici individuati dal servizio, le difficoltà che dovrà affrontare il neo-direttore dell’ETI Ninni Cutaia – definito “l’uomo nuovo del teatro italiano” - alle prese con un consiglio d’amministrazione “bloccato”; il dopo-Albertazzi al Teatro di Roma (con le candidature del “terzo uomo” Le Moli e di GabrieleLavia); il ruolo di Marcello Dell’Utri al Lirico (dopo gli attacchi di Sgarbi, dovrebbe limitarsi a entrare in un “comitato di direzione” senza assumere in prima persona la direzione artistica. Ma soprattutto quello che viene denunciato è il sostanziale immobilismo del teatro italiano, con i solito noti pressoché inamovibili.


 


 

Totonomine Federico Tiezzi direttore a Prato
In bocca allupo!!!
di Redazione ateatro

 

Federico Tiezzi è il nuovo direttore artistico del Teatro Metastasio di Prato. La nomina è stata ufficializzata nel corso della riunione del consiglio d'amministrazione del 7 febbrao 2007. Tiezzi sostituisce José Sanchis Sinisterra e Sandro Bertini che alla fine del 2006 avevano rassegnato le dimissioni in polemica con la presidenza del teatro. Tiezzi ha vinto il ballottaggio con Stefano Massini, rivale nella corsa per la poltrona del Metastasio.
Tiezzi è da trent'anni uno dei protagonisti della scena italiana, prima con il Carrozzone, poi con i Magazzini e infine con la Compagnia Lombardi-Tiezzi.
A Federico un grandissimo in bocca al lupo dagli amici di ateatro.

Federico Tiezzi nella atea@tropedia.


 


 

Teatro, biografia e gender studies
Roma il 15 e 16 febbraio 2007
di Roberta Gandolfi

 

Giovedì 15 e venerdì 16 febbraio si svolgeranno, presso l'Università di Roma Tre, due incontri di studio intorno al tema “Teatro, biografia e gender studies“, con relazioni di studiose italiane e straniere. I contributi, trasversali a varie aree delle discipline dello spettacolo, riguardano l’approccio biografico nello studio delle arti performative. Quali direzioni può prendere la biografia d’artista, incrociando le riflessioni sulle storie di vita, sulla memoria e la narrazione, maturate dalla storia delle donne, dagli studi culturali e dai gender studies?

Il 15 febbraio si terrà il seminario: “Studi di caso fra teatro e danza” organizzato in collaborazione con la prof. Paola Bono, Università di Roma Tre.
Il 16 febbraio si discuterà di: “L'approccio biografico nella storia delle artiste di palcoscenico”, in un panel a carattere metodologico, all'interno dei lavori del Quarto Congresso Nazionale della Società Italiana delle Storiche.

Per il programma generale del Congresso della Società Italiana delle Storiche rimandiamo al sito della Società delle Storiche



L'iniziativa è promossa dalla prof. Annamaria Cecconi (Conservatorio di Alessandria) e dalla dott. Roberta Gandolfi (Università di Ferrara).
Per contatti:

Annamaria Cecconi
e-mail: annamaria.cecconi@fastwebnet.it

Roberta Gandolfi
e-mail: glb@unife.it

Teatro, biografia e gender studies:
due appuntamenti presso l’Università di Roma

IL PRIMO APPUNTAMENTO:

Seminario
presso Università di Roma Tre,
Facoltà di Lettere e Filosofia,
Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo
giovedì 15 febbraio 2007
Polo Didattico Dams, Via Ostiense 133, Roma
aula B6, h. 9.30-13

Studi di caso fra teatro e danza

Responsabile: Paola Bono (Università di Roma Tre)
Presenta e coordina: Maria Vittoria Tessitore ( Università di Roma Tre)


Intervengono:

MARA NERBANO (Università di Cassino) e FEDERICA VERATELLI (Università di Ferrara-Katholieke Universiteit Leuven)
La performance mistica tra esperienza vissuta e costruzione agiografica

EMILY WILBOURNE (New York University)
Virginia Andreini, Florinda, e la rappresentazione di sè

LIVIA CAVAGLIERI (Università di Genova),
Il caso Adelaide Ristori

CONCETTA LO IACONO (Università di Roma Tre)
La ricreazione del corpo della danzatrice: Virginia Zucchi e l'innovazione del costume teatrale

SUSANNE FRANCO (Università degli Studi IUAV di Venezia)
Una vita tra coreografia e narrazione: il corpo e la voce di Martha Graham

CARLOTTA PEDRAZZOLI (Università di Bologna)
Divina (Torino, 1990-1998): il recupero e la rielaborazione di un'esperienza teatrale collettiva femminile.


IL SECONDO APPUNTAMENTO:

Panel presentato al Quarto Congresso Nazionale della Società Italiana delle Storiche, Donne e uomini nella storia: diacronie e trasversalità
Venerdì 16 febbraio 2007
Università di Roma Tre, Facoltà di Scienze Politiche,
Via Gabriello Chiabrera, 199
Aula 1c, h. 8.45 - 11

L’approccio biografico nella storia delle artiste di palcoscenico

Presiede: Roberta Gandolfi ( Università di Ferrara)
Discussant: Annamaria Cecconi ( Conservatorio di Alessandria )

Intervengono:

LAURA MARIANI (Università di Cassino)
Come l’attrice costruisce il personaggio di sé, tra oralità e scrittura, in scena e fuori scena.

SUZANNE G. CUSICK ( New York University)
Francesca Caccini (1587 -c1646) questioni per una biografia tra gender e musicologia

TERESA MEGALE (Università di Firenze)
Tracce di biografie negate: soubrettes e capocomiche nella scena italiana fra Otto e Novecento

MARINA NORDERA (Università di Nizza)
Come si costruisce una ballerina. Marie Madeleine Guimard tra vita e scena nelle biografie del XIX secolo.

PAOLA BONO (Università di Roma Tre )
Scritture della vita tra finzione e verità. Esperienza, narrazione, significazione.

ROBERTA GANDOLFI (Università di Ferrara)
Per una critica dell’approccio biografico nel campo di studi sulla regia.
La variante ‘scomoda’ delle donne registe.


 


 

Il bando di "Kilowatt Festival 2007"
Per gruppi emergenti di tearo e danza
di Kilowatt Festival

 

TEATRO, DANZA, MUSICA
BANDO DI SELEZIONE PER “KILOWATT FESTIVAL 2007”

È una prassi diffusa fuori e dentro il mondo dello spettacolo, e dell’arte in generale, valutare le nuove proposte in base a un sistema di cooptazione per cui certi artisti e certi operatori valorizzano quel che gli è simile, quel che già conoscono, quello con cui sono già entrati in relazione.
Il festival “Kilowatt, l’energia del nuovo teatro” intende promuovere un meccanismo di reale attenzione alle proposte pervenute, mettendo il pubblico e gli spettatori al centro dei processi di decisione, dando vita a un processo di direzione artistica condivisa.
Pertanto, “Kilowatt” lancia una selezione riservata a tutte le compagnie professionali di teatro e di danza che abbiano prodotto o stiano per produrre un nuovo lavoro originale, nonché ai gruppi e alle formazioni musicali emergenti con repertorio originale (no cover band) che abbiano prodotto o stiano per produrre un nuovo lavoro. Per nuovo lavoro si intende uno spettacolo o un insieme di brani musicali nuovi, composti e presentati al pubblico nel periodo compreso tra settembre 2006 e giugno 2007. La selezione intende valorizzare giovani gruppi professionali orientati alla ricerca e alla sperimentazione di linguaggi propri e personali.
Chi intende partecipare deve inviare entro il 30 aprile 2007 materiale video di prove, o dell’allestimento (o concerto) già realizzato o in via di realizzazione con cui si intende partecipare alla selezione. In alternativa, si può anche inviare materiale video che non sia solo la documentazione del lavoro ma ne illustri i contenuti, le urgenze, il significato. Il video deve avere una durata massima di 20 minuti. Tale materiale può essere integrato con materiale audio, fotografico, cartaceo.
Tutti i lavori candidati alla selezione verranno proposti all’attenzione di un giovane gruppo di quindici spettatori che si riuniranno a cadenza settimanale per visionare e ascoltare tutte le proposte pervenute con lo scopo di selezionare 8-10 lavori per l’edizione 2007 del festival Kilowatt che si terrà in Valtiberina Toscana a fine giugno.
Ai gruppi selezionati verrà offerta l’ospitalità e garantito un cachet adeguato per l’acquisto dello spettacolo, da stabilirsi a seconda del numero degli artisti coinvolti, del viaggio da affrontare e delle esigenze tecniche utili alla rappresentazione. L’organizzazione del festival si impegna a lavorare per ottenere la presenza di un osservatorio critico di valore nazionale che sia da stimolo e confronto per gli artisti che presenteranno i propri lavori.
Inviare il materiale a: “Kilowatt Festival”, Via Antiche Prigioni 4, 52036 Pieve Santo Stefano (Ar).
Info su: www.kilowattfestival.it

 


 

Caro Rutelli, i festival non si inventano
L’elzeviro su "Liberazione" del 10 febbraio 2007
di Pippo Delbono

 

Leggo la notizia di un prossimo festival di teatro in Italia «tipo il festival di Avignone o Edimburgo» proposto dal ministro per i Beni e le attività culturali, Francesco Rutelli.
Già l'idea di fare qualcosa che deve assomigliare a qualcos’altro mi sembra improbabile. Conosco il festival di Avignone abbastanza bene. Sono stato invitato e prodotto diverse volte nella sezione "in", dove vengono presentati spettacoli scelti da una direzione che, nei 60 anni di vita, ha creato una fortissima équipe di persone, le quali mettono tutto il tempo, la passione, la competenza, a far si che l'evento, con un pubblico di migliaia e migliaia di persone, diventi una vera, grande presentazione delle esperienze più importanti del panorama teatrale internazionale.
Ma tutto questo succede in Francia. In una Francia dove da moltissimi anni la cultura è stata messa al centro delle priorità dello Stato, dove un lungo e appassionato progetto di decentramento culturale ha fatto si che importanti teatri nazionali siano stati creati anche in piccoli paesi. Questa politica ha permesso di attirare migliaia di persone e, soprattutto, di mostrare negli spazi pubblici un teatro che parla con linguaggi diversi: con la danza, la musica, con incontri tra pubblico e artisti.
Succede così che, grazie a questo forte fermento culturale creato in tanti anni di lavoro, d'estate molte persone decidano di andare ad Avignone spinte da un reale desiderio di cultura, di conoscenza. Ma in un paese come l'Italia dove c'è stato un appiattimento culturale totale, dove la televisione ha ridotto tutto alla riconoscibilità o meno del viso famoso che appare sul piccolo schermo, dove un’oligarchia di potere culturale tiene in mano tutto, dove di teatro non si parla più nei giornali, nella tv, se non in una maniera totalmente salottistica e inutile (“mi è piaciuto, bravo lui, intensa lei, serata piacevole, la parola al critico …”), fare un festival di teatro "tipo..." cosa vuol dire?
Ridare agli stessi padroni le redini di altro potere? Essere costretti a chiamare visi noti della televisione perché altrimenti un pubblico inesistente o comunque reso morto sia attirato? Parliamo di un paese dove i pochi festival sono stati fatti morire, dove sono stati fatti morire i teatri, i gruppi, dove antichi baroni hanno creato lobby di potere non per fare cultura, nel profondo, ma per mantenere salde le loro poltrone: hanno confuso il senso di fare cultura con il bisogno esclusivo e anche patetico di mantenere "per sempre" quel potere.
Non sarebbe forse meglio iniziare a prendere coscienza del punto a cui siamo arrivati, ripartire da un livello zero, dare nuova linfa a tutto quell'humus sotterraneo, a quel fondamentale e vitale ricambio culturale, per costruire veramente un nuovo luogo, fregandosene di averne i meriti personali, un luogo dove la cultura ci ridarebbe gli occhi per vedere con più lucidità il mondo? E forse a quel punto, da quelle nuove radici, scoprire che potremmo fare un festival non “come …”, ma più bello, più vero di quelli presi a modello, perché sarebbe effetto di un autentico cambiamento culturale di questo paese. Siamo davanti a un bivio: o ci si ribella o si rischia di lasciarsi morire culturalmente.


 


 

Autore chiama Autore: una proposta di scrittura per il teatro
Il bando
di Bancone di prova

 

Il gruppo “Bancone di Prova” apre un bando per autori

Il gruppo, composto da tre autori e una regista, propone un percorso di scrittura di un testo originale per le scena.

Il percorso si sviluppa in quattro tappe:

- ideazione del soggetto e incipit del testo;
- stesura della prima metà del testo;
- stesura dei tre quarti del testo;
- stesura finale.

Ogni tappa prevede un appuntamento di confronto interno e un momento di apertura al pubblico in forma di lettura alla presenza dell’autore.

“Autore chiama Autore”, attraverso un’azione concreta, si propone di creare un territorio di confronto e crescita per la drammaturgia italiana.

Regole del bando

Possono partecipare tutti gli autori teatrali residenti in Italia senza limite d’età che abbiano già all’attivo almeno un testo scritto e rappresentato, anche da compagnie amatoriali o all’interno di realtà scolastiche.

Gli interessati devono inviare in forma cartacea:

un soggetto per il testo teatrale che intendono sviluppare all’interno del progetto (max una cartella);
curriculum;
dati personali e recapito;
un testo considerato rappresentativo del lavoro svolto.

Il materiale, in quattro copie, va inviato via posta a:

Progetto Bancone di Prova - Via Vincenzo Monti 26 - 20123 Milano.

I materiali non verranno restituiti.

A tutti i partecipanti sarà data risposta via mail.

L’ammissione al Progetto sarà soggetta a colloquio in data da stabilirsi.

La data di scadenza per l’invio dei materiali è il 2 aprile 2007.

Ad ogni autore partecipante verrà inviato via mail il regolamento interno del gruppo, la cui accettazione sta alla base della partecipazione.


 


 

Organizzare e gestire il non profit
Un corso “OPEN” a cura di Marina Gualandi
di Paolo Grassi

 

Gestire una struttura non profit, raccogliere fondi ed amministrarli, i diversi modelli organizzativi e legislativi.

Sono i temi del seminario guidato da Marina Gualandi, Direttore Organizzativo dell’Associazione riconosciuta CAF-Centro di aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia in crisi con sede a Milano.

Il mondo del non profit si sta fortemente evolvendo e si avvale di professionisti rigorosamente formati e, sempre più frequentemente, provenienti da esperienze professionali in altri settori.



Il corso è composta da 5 incontri, nelle giornate di sabato, dal 3 al 31 marzo, ore 10,30-13,30/14.30-17,30 alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, via Salasco 4, tel. 02/58302813

Costo: 150 euro; ex allievi Paolo Grassi:100 euro



Sabato 3 marzo

GLI ENTI NON PROFIT E LA LORO ORGANIZZAZIONE
• Cosa significa
• Mission, vision, politica aziendale
• Definizione dei soggetti secondo il codice civile
• Le leggi che regolano la materia
• Le ONLUS
• La gestione del personale
Esercitazione in aula – consegna schemi di lavoro





Sabato 10 marzo

FUND RAISING: EVENTI, MANIFESTAZIONI, RAPPORTI CON ENTI PUBBLICI E PRIVATI, CRM
Esercitazione in aula – consegna schemi di lavoro



Sabato 17 marzo

DIRECT MARKETING E DATABASE PER IL NON PROFIT a cura di Michela Ledi, responsabile raccolta fondi diretta per il CBM – Missioni cristiane per i ciechi nel mondo


Sabato 24 marzo

FUND RAISING E COMUNICAZIONE
Esercitazione in aula – consegna e analisi di campioni di materiali



Sabato 31 marzo

CONTABILITA’, BILANCIO, CONTROLLO DI GESTIONE a cura di Pinuccia Foti, responsabile amministrazione e contabilità VIDAS
• Pianificazione strategica
• Contabilità analitica
• Analisi degli scostamenti
• Costruzione di un budget preventivo e del bilancio consuntivo
• Controllo di gestione
• Bilancio sociale


 



Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
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