(20) 25.09.01

Una tesi di laurea sul Patalogo
L'editoriale
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and1
 
Comunicazioni di servizio
& un paio di link
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and2
 
Godot in chatroom
Il Desktop Theater
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and3
 
A proposito di Hamlet: Wilson e Lepage
Il saggio di Andy Lavender Hamlet in pieces
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and4
 
Occupazione e no-profit. Il fund raising come risorsa per il terzo settore
Un convegno
di Nofret

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and5
 
Jerzy Grotowski: passato e presente di una ricerca (2001-2003)
Un convegno, una mostra, un libro
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and6
 
Fuori dallo spettacolo
Su Jerzy Grotowski
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and7
 
La lista nera
I brani cancellati dalla programmazione delle radio USA dopo l'11 settembre
di ???

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro/ateatro20.htm#20and8
 

Una tesi di laurea sul Patalogo
L'editoriale
di Redazione ateatro

Questo è un numero di "ateatro" abbastanza speciale (ma sono tutti un po' speciali, forse).
Perché il pezzo forte è la tesi di laurea di Leonardo Mello, attualmente direttore esecutivo del Patalogo (l'avevo detto, qualche tempo fa, che mi interessavano le tesi di laurea). La tesi di Leo è dedicata, ovviamente, al Patalogo: per la precisione, s'intitola Raccontare il teatro: aspetti drammaturgici nel Patalogo – relatore, per la cronaca, il Chiar.mo Prof. Renata Molinari (massimo rispetto!!!).
Per certi aspetti sembra un sogno: il giovane studente che s'appassiona a un'esperienza e ne diventa in breve "direttore esecutivo" (o è successo il contrario? Che proprio non sapendo che argomento scegliere per la tesi, il buon Leo ha pensato di acchiappare i classici due piccioni con una fava?)
Insomma, la tesi è online, il link è lìssopra, andate a vedere almeno il sommario (e se siete veri maniaci confrontate le "schedature ragionate" di Leo con gli Indici del Patalogo messi a punto dalla medesima Renata e dal sottoscritto).
Sempre in questo numero,
· per il fanatici del tecnoteatro, qualche info frescafresca sul Desktop Theater · per gli Hamletologi, Anna Maria Monteverdi recensisce il saggio di Andy Lavender Hamlet in pieces, dove si parla degli spettacoli di Wilson, Lepage e Brook · il programma definitivo dell'incontro Occupazione e no-profit: il fund raising come risorsa per il terzo settore di Bologna (28 settembre 2001) · il programma dell'incontro di Pontedera dedicato a Grotowski (dal 12 al 14 ottobre), più un (mio) pezzo dedicato al Maestro · la lista nera delle canzoni vietate da uno dei più importanti circuiti radiofonici USA dopo l'11 settembre (per le vostre feste di compleanno e anniversario)


 


Comunicazioni di servizio
& un paio di link
di Redazione ateatro

Una info per cominciare: è uscito il primo numero della nuova rivista di Franco Bolelli, "Frontiere. Il mondo visto e vissuto dalla parte della ricchezza vitale", con scritti, interviste e materiali di Andrea Zingoni, Tom Robbins, Kevin Kelly, Marina Abramovic, Giovanni Lindo Ferretti, Francesco Morace, Daniele Bolelli e Ciaja Rocchi. Per cominciare, inboccalllupo!!! (poi, il primo numero costa 7000 lire).
Per i fanatici di Beckett, da non perdere il Riccione TTV a Bologna dal 9 al 14 ottobre. Consultate il programmma della manifestazione nel forum Segnalazioni oppure sul sito del Premio Riccione. (e se proprio non sapete che fare, il 27 settembre al Teatro del Mare, Bergonzonica, serata unica e irripetibile!!!
Un paio di LINK...
E. Gordon Craig's and Konstantin Stanislavsky's Russian Hamlet
The Body in the Sphere of Literacy: Bakhtin, Artaud and Post-Soviet Performance Art di Jurij Murasov, professore di letteratura e media theory all'Università di Bielefeld.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
 > scrivi a amm

Godot in chatroom
Il Desktop Theater
di Oliviero Ponte di Pino

Per i fanatici del tecnoteatro, il nuovo numero di "TDR" (T171, Fall 2001) Adriene Jenik, una delle due creatrici (con Lisa Brenneis) del Desktop Theater ricostruisce in dettaglio una delle esperienze pionieristiche del settore.
In uno dei primi esperimenti, waitingforgodot.com Jenik e Brenneis hanno adattato il testo di Samuel Beckett per una chat room e l'hanno per così dire "recitato" (cfr. l'articolo di Scott Rosenberg su "Salon", in inglese). In altri casi hanno ideato e rappresentato vere e proprie pièce, in particolare Santaman's Harvest, sui cibi geneticamente modificati. Il lavoro sul Desktop Theatre ha aperto nelle due sperimentatrici una serie di questioni insieme pratiche e teoriche:
– Che cosa costituisce il teatro?
– Come è possibile esprimere il dramma in assenza di corpi, di voce e di spazio condiviso?
– È possibile attrarre la curiosità e mantenere viva l'attenzione con la parola poetica e i cambiamenti dell'espressione o il gesto in uno spazio attraversato da continue distrazioni?
– In questo forum, si creano nuovi linguaggi?
– È possibile utilizzare il teatro per comprendere la trasformazione della consapevolezza e della comunicazione determinata dalla rete?


 


A proposito di Hamlet: Wilson e Lepage
Il saggio di Andy Lavender Hamlet in pieces
di Anna Maria Monteverdi

E' uscito di recente in America il volume di Andy Lavender Hamlet in pieces (New York, Continuum), analisi dettagliata di tre spettacoli ispirati al testo shakesperiano: Hamlet: a Monologue di Robert Wilson, Qui est là di Peter Brook ed Elseneur di Robert Lepage.

Teatro immagine, teatro tecnologico, teatro della tradizione della ricerca.
Due di questi spettacoli furono concepiti come solo (Wilson e Lepage); tutti e tre i lavori di questi maestri della regia contemporanea furono progettati e allestiti tra il 1995 e il 1996.
Approfitto del tema libro per ricucire ragionamenti (che forse ci portano anche lontano dalle conclusioni del libro stesso) offerti dalla personale memoria dello spettacolo di Wilson (utilizzando il videodocumentario The Making of a Monologue, Usa, 1995) e di Lepage (utilizzando, anche in questo caso, la registrazione audiovisiva realizzata a Londra in occasione dello spettacolo al Royal National Theatre di Londra, consultabile presso l'Archivio di Lepage) La coincidenza temporale causò anche qualche piccolo inconveniente e contrattempo:

"Nel 1993 poco prima di dare via al mio progetto", ricorda Robert Lepage nel libro-intervista di Rémy Charest, "incontrai Bob Wilson a Toronto e mi disse della sua idea di fare una regia di un Amleto come one-man-show. Come me, voleva fare la parte di tutti i personaggi e il suo spettacolo sarebbe iniziato solo due mesi prima del mio. E durante un incontro che ebbi a Monaco, Peter Brook mi disse che era interessato all'Amleto di Shakespeare specialmente nella questione della traduzione. Dati tali progetti, mi trovai in una terribile situazione e per un po' misi da parte Amleto".

Si tratta, in realtà, di lavori molto distanti: Lepage allestisce una scena tecnologica-modernista (nonostante il tentativo della critica di voler legare l'opera di Lepage con il teatro-immagine di Wilson), Wilson sintetizza e accentua il dramma nel ricercato contrasto bianco e nero delle luci di scena, Brook guarda alla tradizione del teatro (Craig, Stanislavskij, Artaud, Mejerchol'd, Zeami).
Le sezioni del saggio di Lavender propongono una sorta di cronistoria degli spettacoli e un'analisi delle diverse fasi di creazione (nel caso dello stesso Lepage assolutamente essenziale per comprendere il senso più profondo dell'opera, la quale scaturisce proprio da una lunga elaborazione a più mani ed in cui cambiamenti sostanziali intervengono anche a lavori ultimati, dando vita a numerose varianti – interpretate da attori diversi da Lepage – di uno stesso spettacolo; il suo teatro è un vero "cantiere in costruzione permanente"). Scopo dichiarato del libro: cercare di indagare come sono state create le diverse interpretazioni dal testo shakesperiano. Partendo da Wilson, la caratteristica del suo Hamlet non è la variazione della trama, ma è l'abolizione della trama stessa all'interno della più generale abolizione del tempo della storia.
Secondo Wilson il testo di Shakespeare è una roccia. Wilson mette in scena il testo-roccia che viene a sua volta letteralmente inglobato nell'attore. Questi si fa cavità entro cui si raccoglie l'intera opera letteraria. L'immagine che Wilson suggerisce per darci un luogo (in senso craigghiano) e sopra il quale l'attore si presenta nella prima e più famosa scena è, appunto, la roccia, anzi una serie di lastre di pietra sovrapposte. Lastre di pietra che non sono elemento scenografico, ma appunto il testo di Shakespeare. La roccia non è immune al divenire. Esso accade, si sgretola, si demolisce. Quei pezzi man mano che si prosegue nello spettacolo diventano parte del corpo dell'attore stesso. Molti strati di roccia all'inizio fino a diventare niente perché totalmente assorbiti dall'attore. La metamorfosi della roccia va di pari passo con l'evoluzione della storia, con il suo divenire e l'attore ne è parte integrante. Nel finale la roccia diventa il baule del trovarobato teatrale: gli abiti dei personaggi (ovvero, tutto quello che rimane quando la storia è già stata raccontata) sono diventati il mestiere dell'attore. All'immagine della roccia Wilson pone una luce. Tutto è calcolato perfettamente con effetti computerizzati e l'attore deve adattare i propri tempi alla macchina. Le luci hanno una base che si stabilisce tra il bianco e il nero e tra il nero e il nero. A questi si accompagna un riflettore che mostra dettagli che sono i simboli dell'intero dramma. La luce direzionale permette di offrire un elemento costante dell'intero spettacolo: è il braccio, che è la vera arma. E' l'assassinio, è il gesto fratricida (Caino che uccide Abele), è il gesto archetipico della civiltà: il primo unico gesto fondatore. La nostra civiltà è segnata dal gesto. L'attore-Amleto evoca la Regina Gertrude che ha un braccio artificiale.
Il testo viene frammentato e ricomposto sulla base di temi comuni, anticipando a posticipando eventi o prelevandoli da situazioni diverse ma solo esclusivamente dall'Amleto. Il movimento è circolare, il testo non è letto nella sua successione ma si muove dalla fine e si ritorna alla fine. Tutto è presente contemporaneamente. La storia che viene racconta è già accaduta. Tutto sembra costruito come una sorta di flashback, il movimento è all'indietro, un riaffiorare di parole nella memoria di Amleto. Aver distrutto la trama, confuso le battute, ha fatto distruggere la stori: il teatro non è più ripetizione ma nuovo sguardo. Con questo tema ci troviamo in pieno nel teatro di ricerca: palcoscenico è il luogo dove ci si colloca oltre il tempo della narrazione per privilegiare il tempo-ora, quello dell'istante e della complessità. L'elemento portante di tutto il lavoro di Wilson è, indubbiamente, la luce; 370 unità di luci e speciali stoffe per il fondale per provvedere all'effetto di "blackness"; il nero è il colore predominante associato allo spettacolo: il suo visual book (un vero story board in 15 riquadri appena abbozzati e riportato nel libro di Lavender) creato per la preparazione dello spettacolo mostra schematicamente questo accentuato contrasto bianco e nero. Il nero è ora una tenda laterale (con un evidente richiamo alla "tendina cinematografica"), ora il fondale, ora il sipario teatrale (che ribadisce la natura "teatrale" della storia: la scena è, cioè, continuamente "incorniciata").
Elseneur (1995) si basa su un luogo – come mi ha precisato Lepage in una intervista – ed è un'esplorazione della mente di Amleto. Tutti i personaggi sono luoghi della sua mente: il padre l'orecchio, la madre gli occhi, gli attori la lingua; tutti i personaggi dell'Amleto sono, dunque, parti del suo stesso io. Ma la testa di Amleto, è a sua volta contenuta in un altro luogo, Elsinore, appunto. Un unico elemento scenico, un dispositivo mobile e roteante (progettato dal geniale stage designer Carl Fillion) attraverso le sue molteplici possibilità di movimento ed attraverso la relazione che instaura con il personaggio che abita dentro i suoi meccanismi, mostra questa indivisibile e opposta polarità. L'unico suo attributo è la trasformabilità:

"The combination of the moving set, continually creating new relationships between the performer and the space, and the depiction of a range of backstage areas configures a number of the play's theme. Elseneur is about instability, about a whirly of activity around a central figure, about continual tensions between a human figure and a piece of machinery which one could express, metaphorically, as a tension between individual and state, or even the human and the cosmic". (A. Lavender, Hamlet in pieces. Shakespeare reworked by Peter Brook, Robert Lepage, Robert Wilson, New York, Continuum, 2001)

Carl Fillion, come mi ha raccontato nel corso di un'intervista, ha creato un prototipo basandosi dapprima sull'immagine, fornita dal regista stesso, di un monolite e poi sul movimento del corpo umano. La forma finale risultante è quella di un cerchio inscritto in un quadrato, simbolo dell'armonia, della perfezione e dell'uomo stesso: un enorme pianale metallico quadrato è collegato a dei motori che gli permettono di alzarsi in verticale a 180 gradi, spostarsi orizzontalmente, diventando indistintamente muro, soffitto o parete. Il dispositivo (che lo stesso Lepage chiama "the machine") contiene, invisibile, un disco circolare che permette ulteriori rotazioni, lente o veloci. Esattamente collocato al centro, un varco rettangolare, una porta (o finestra o tomba). Alla struttura furono aggiunti due schermi laterali per le immagini in proiezione.
Importantissima l'indicazione fornita da Lepage al set designer Fillion circa il tema del monolite su cui il regista avrebbe voluto costruire l'intero dramma perché, a suo avviso, sintesi visiva del dramma: il blocco unico del monolite non può essere scalfito ma può assumere, teatralmente parlando, angolature diverse. Il monolite di pietra (che nel progetto di scena diventerà, invece, di metallo) è Elsinore, il mondo della corte, duro e compatto, a simboleggiarne la disumanità e la falsità: non è, infatti, attraversato dalla luce, non è trasparente. Ed è infinitamente più grande dell'uomo stesso. In riferimento al monolite ideato da Lepage per l'Amleto non sfuggirà all'occhio degli studiosi di teatro il richiamo ai numerosissimi disegni, progetti di scena e bozzetti preparatori di Edward Gordon Craig per Amleti e Macbeth mai realizzati e alle xilografie che illustrano gli screen (pannelli semoventi progettati per l'Amleto di Mosca in collaborazione con Stanislavskij, 1912). Questi materiali, da intendersi come idee o visioni dal testo di Shakespeare lontane da una specifica produzione, mostrano proprio altissime e massicce architetture di pietra, colonne monolitiche, pilastri giganteschi scanditi da una luce vibrante che incombono minacciosamente su una scena che si impone per il suo caratteristico respiro verticale e per la sproporzione tra essa stessa e l'attore. Elsinore è il luogo, al tempo stesso fisico e mentale, della tragedia, al cui centro è collocato Amleto, costretto a "stare tra", a vivere separato-unito dalla corte corrotta, relegato ad un'impossibilità di libero movimento, mentre la scena si muove incessantemente intorno a lui. Questa macchina ("umanizzata", come piace definirla allo stesso Fillion), soggetta a variazioni e mutevolezze, vera maschera teatrale, assume espressioni, volti e caratteri diversi, trasformandosi continuamente, vivendo di vita propria. Se tutte le scene sono state costruite in base al movimento stesso del dispositivo scenico, l'attore è obbligato a seguirne il ritmo, il respiro, attraversandola, standovi in bilico, aggrappandovisi, creando una relazione di convivenza simbiotica, dialogandovi, trovando in essa protezione ma anche pericoli mortali tra gli ingranaggi; è chiaro che avviene un rovesciamento dei ruoli: la macchina, che ha spezzato le sue ultime determinazioni artificiali per essere corpo, diventa vero protagonista e l'attore, diventato una sorta di "macchina attoriale-Supermarionetta", suo deuteragonista. Se la macchina è umanizzata, l'attore diventa macchina: "Pour moi, la machinerie", ammette Lepage, "est dans l'acteur, dans sa façon de dire le texte, d'approcher le jeu: il y a une mécanique là-dedans aussi ". La profezia di Craig sembra avverarsi. 1 Ma in Elseneur la macchina è anche la macchina a raggi X che penetra nei meandri dei pensieri di Amleto portando all'evidenza della sua coscienza ricordi e verità in forma di immagini e che, come Orazio, racconterà la sua storia. La macchina scenica diventa la macchina della verità, polygraphe appunto (Polygraphe, 1987: a causa di un omicidio il protagonista è sottoposto alla macchina della verità, verità che si rivela dai mille volti e che contiene altre verità "come una Matrioska". Alla macchina della verità fu realmente sottoposto Lepage stesso dopo l'uccisione di un'attrice della sua compagnia. La protagonista dello spettacolo, all'epoca del delitto stava interpretando proprio Amleto).
Si potrebbe dire che l'unica ricerca di tutti i personaggi – autobiografici, storici, metaforici – dell'universo lepagiano sia quella di cui proprio Polygraphe e Elsinore – con la loro tragica storia, personalissima e universale insieme – sono involontari emblemi: la ricerca della verità.

1. "Je raconte des histoires avec des machines. L'acteur en soi est une machine. Je sais que plusieurs acteurs n'aiment pas q'on parle d'eux comme étant des machines mais lorsque tu fais du théâtre, c'est un peu ça ", R. Lepage, in Lepage tourne la page, "Le Devoir", 16 novembre 1995. Sul rapporto che, nello spettacolo di Lepage, lega luogo e attore e sul tema della mobilità della scena riconosciamo, le medesime soluzioni progettate da Craig con i suoi screens. Così Ferruccio Marotti spiega tale rapporto: "La scena di Craig muta il suo volto non per seguire il filo di una storia, bensì per creare il luogo ideale per ogni stato d'animo, per ogni emozione, per ogni atmosfera (…) Craig creava non più un'immagine immobile ma una visione dinamica dello spazio, privo di qualunque soluzione di continuità; e ogni elemento in scena – compreso l'attore - diventava una funzione spaziale, era integrato nello spazio puro, nel suo divenire e trasmutarsi continuo sotto l'impulso dell'ispirazione poetica". F. Marotti, Amleto o dell'oxymoron, Roma, Bulzoni, 1966, p. 73.


 


Occupazione e no-profit. Il fund raising come risorsa per il terzo settore
Un convegno
di Nofret

Negli scorsi numeri di "ateatro" abbiamo parlato a più riprese della ricerca "Nofret" (e abbiamo anche invitato a riempire il questionario...). Qui di seguito, ecco la scaletta dell'incontro del 28 settembre prossimo a Bologna.

Bologna, 28 settembre 2001
Sala del Consiglio Comunale - Palazzo d'Accursio - Piazza Maggiore, 6

09.00 Registrazione dei partecipanti

09.15 Saluti di benvenuto da parte del Comune di Bologna

09.30 La ricerca NOFRET
- introduzione di Pier Giacomo Sola (Scienter)
- report di Enrico Giovannetti e Tindara Addabbo (Dipartimento di Economia Politica - Università di Modena)

10.20 Il punto di vista accademico
- intervento di Massimo Coen Cagli (esperto di fundraising per il non profit)
- intervento di Marco Crescenzi (ASVI - Associazione Sviluppo Non Profit)

11.00 Coffee-break

11.15 Il punto di vista dei finanziatori
- intervento di Fabio Abagnato (responsabile Unità Operativa Sistema Spettacolo e Libere Forme Associative del Comune di Bologna)
- intervento di Ivan Damiano (Cassa di Risparmio di Bologna)

13.50 Tavola rotonda aperta a tutti gli intervenuti.
Il fund raising nel terzo settore: esperienze e buone prassi per lo spettacolo
Conduce Massimo Marino
Parteciperanno:
Fabio Abagnato (Comune di Bologna)
Ivan Damiano (Cassa di Risparmio di Bologna)
Massimo Mercelli (Associazione da Bach a Bartok - Imola)
Georges Kiss (Musique sans frontières - Annecy - Fr) Mainzer Kammerorchester (Mainz - Germania)
Marcella Nonni (Ravenna Teatro)
Carlo Giunchi (Associazione Angelo Mariani - Ravenna)
Mietta Sighele (Associazione Musica Riva - Riva del Garda)
Pietro Valenti (ERT, partner)

13.50 Conclusioni
- Fulvio Liberatore (Thomas Consulting Group)


 


Jerzy Grotowski: passato e presente di una ricerca (2001-2003)
Un convegno, una mostra, un libro
di Redazione ateatro

Dal 12 al 14 ottobre, Pontedera ospita una importante iniziativa dedicata a uno dei maestri della scena contemporanea. Qui sotto, un articolo pubblicato sul "manifesto" in occasione della morte del Maestro e la presentazione del progetto curato da Carla Pollastrelli; ulteriori info sul sito di Pontederateatro.

Jerzy Grotowski: passato e presente di una ricerca (2001-2003)
Primo Tempo: Il Teatr Laboratorium tra Opele e Wroclaw 1959-1969
Secondo una scansione temporale, indicata dallo stesso Grotowski all'inizio degli anni '90, il suo percorso creativo si può dividere in tre fasi principali: L'arte come presentazione (il teatro degli spettacoli, dal 1957 al 1969), Il parateatro e il Teatro delle Fonti (il teatro della partecipazione, negli anni tra il 1969 e il 1982), L'arte come veicolo (a partire dal 1986).
Tra la fase del parateatro e L'arte come veicolo c'è quella denominata "Objective Drama", che va dal 1983 al 1986.
Il complesso delle opere e del lavoro artistico di Grotowski, nel teatro e fuori dal teatro, è un territorio ricchissimo e tuttora scarsamente indagato; generazioni di studiosi, dagli storici del teatro e dei fenomeni culturali e artistici, ai sociologi, ai filosofi, vi potranno trovare nutrimento; tuttavia l'analisi e la riflessione sul percorso creativo di Grotowski restano di vitale interesse per coloro che operano, in ambiti diversi, nel teatro: attori, registi, scenografi, autori, drammaturghi.
Il progetto dal titolo Jerzy Grotowski: passato e presente di una ricerca vuole ripercorrere (attraverso tre appuntamenti, nell'arco di due anni) le tappe principali della straordinaria avventura artistica di un grande ricercatore, un'avventura unica nella storia del teatro del '900.
La prima fase, dedicata al Teatr Laboratorium tra Opole e Wroclaw 1959-1969, propone, soprattutto all'attenzione delle giovani generazioni, una visione, una pratica e una metodologia che hanno mutato il teatro nella seconda metà del '900. Lo fa attraverso le testimonianze dei protagonisti dell'esperienza e quindi in primo luogo i membri dell'ensemble del Teatr Laboratorium: Zygmunt Molik, Rena Mirecka, Maja Komorowska ed Elizabeth Albahaca - attori; Jerzy Gurawski - architetto; Teo Spychalski - collaboratore artistico, e soprattutto Ludwik Flaszen, co-fondatore e direttore letterario, che ha dato anche un fondamentale contributo di idee e conoscenze all'elaborazione del nostro progetto. È questo l'asse portante dell'incontro: la partecipazione dei protagonisti, di coloro che hanno condiviso con Grotowski un progetto artistico quasi utopico nella sua radicalità, incarnato in un'etica e un artigianato impeccabili.
Ai protagonisti dell'esperienza si affiancheranno poi le testimonianze fondamentali di Eugenio Barba che ha trascorso al Teatro Laboratorio di Opole tre anni di apprendistato artistico ed è stato assistente alla regia per La tragica storia del Dottor Faust e Akropolis; di Zbigniew Osinski come storico-partecipante e di Józef Kelera come critico-partecipante. Sarà presente fra i relatori anche Torgeir Wethal, attore dell'Odin Teatret, che dialogherà con i colleghi del Teatro Laboratorio su temi legati al lavoro dell'attore e al training.
La relazione attore-spettatore, la funzione drammaturgica dello spazio, la relazione con il testo, il corpo-voce, il training, il montaggio, sono alcuni dei temi rilevanti che saranno toccati.
Il progetto dedicato al Teatro Laboratorio ha due ulteriori articolazioni importanti:
l'allestimento di una Mostra con la ricostruzione dello spazio scenico de Il Principe Costante, con materiali di scena di Akropolis, con la collezione dei manifesti degli spettacoli, opera di Waldemar Krygier, e con ingrandimenti delle foto di scena degli spettacoli.
La mostra è un contributo fondamentale per documentare le ricerche nell'ambito della grafica, della scenografia, dell'architettura del "teatro povero". Significativamente proprio il termine "teatro povero" suggerì per analogia a Germano Celant nel 1967 la definizione di "arte povera".
Tutti i materiali sono prestati da istituti polacchi.
La cura della mostra è affidata all'architetto Jerzy Gurawski, collaboratore di Grotowski nella ricerca sullo spazio fra il 1960 e il 1968.
Un altro aspetto di rilievo è la pubblicazione di un volume di materiali e testi relativi a questa prima fase della ricerca del maestro polacco (a cura di Ludwik Flaszen e Carla Pollastrelli, con la collaborazione di Renata Molinari). Il volume raccoglie testi di Jerzy Grotowski e di Ludwik Flaszen, inediti o poco conosciuti o difficilmente reperibili, di carattere programmatico (testi degli inizi) e ripropone i grandi testi canonici e metodologici del "teatro povero".

12 Ottobre
Museo Piaggio - ore 14.30
Benvenuto agli ospiti
Sindaco di Pontedera, Presidente della Provincia di Pisa,
Presidente della Giunta Regionale Toscana
ore 15.00/20.00
Prima Sessione - Le energie della genesi
Ludwik Flaszen, Jerzy Gurawski
coordina Carla Pollastrelli
Teatro di Via Manzoni - ore 22.00
Un libro e una mostra *
13 Ottobre
Museo Piaggio - ore 10.00/13.00
Seconda Sessione - Il lavoro dell'attore
Rena Mirecka, Zygmunt Molik, Elisabeth Albahaca, Maja Komorowska
interviene Torgeir Wethal
coordina Mario Biagini
ore 14.30/20.00
Terza Sessione - Il lavoro sugli spettacoli
Eugenio Barba, Teo Spychalski
coordina Roberto Bacci
ore 21.30
Domande e interventi
coordina Roberto Bacci
14 Ottobre
Museo Piaggio - ore 10.00/13.00
Quarta Sessione - La riflessione storica e critica
Zbignew Osinski, Józef Kelera
coordina Renata Molinari
ore 15.00
Hyde Park - Domande e interventi
coordina Luca Dini
Il libro:
Il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski 1959-1969
Testi e materiali di Jerzy Grotowski, Ludwik Flaszen, Eugenio Barba
a cura di Ludwik Flaszen e Carla Pollastrelli, con la collaborazione di Renata Molinari
pubblicato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dal Comune di Pontedera
(il libro sarà distribuito presso le Librerie Feltrinelli di Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Parma, Pisa, Roma, Siena, Torino)
La mostra:
Spazi, architetture e grafica dal Teatro Povero
a cura dell'architetto Jerzy Gurawski, collaboratore di Grotowski nella ricerca sullo spazio tra il 1960 e il 1968.
I materiali originali provengono da istituti polacchi, in particolare da Osrodek Badan Tworczosci Jerzego Grotowskiego i Poszukiwan Teatralno-kulturowych che ha coordinato dalla Polonia l'organizzazione della mostra.
L'esposizione è aperta al Teatro di Via Manzoni con i seguenti orari:
venerdì 12 ottobre: dalle 10 alle 13, dalle 15 alle 19 e dalle 21 alle 24
sabato 13 ottobre: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19
domenica 14 ottobre: dalle 10 alle 13, dalle 15 alle 19 e dalle 21 alle 23
*Teatro di Via Manzoni - venerdì 12 ottobre, ore 22.00
Ludwik Flaszen e Carla Pollastrelli presentano il libro Il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski 1959-1969
segue la visita alla mostra guidata dal curatore Jerzy Gurawski
Il convegno è aperto a tutti; è tuttavia opportuno prenotare scrivendo alla
Fondazione Pontedera Teatro, Via Manzoni 22 - 56025 Pontedera ITALIA
tel. +39.0587.55720/57034 fax +39.0587.213631
teatro@pontederateatro.it
È prevista la traduzione degli interventi in italiano, inglese e francese


 


Fuori dallo spettacolo
Su Jerzy Grotowski
di Oliviero Ponte di Pino

All’inizio degli anni Settanta i due padri del nuovo teatro, il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski e il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, quelli da cui tutto era cominciato, decisero di abbandonare lo spettacolo. Lo fecero per ragioni e con esiti diversi. Il Living, dopo l’utopia di Paradise Now e il ’68 decise di passare all’azione politica diretta, e finì nelle galere brasiliane. Grotowski, dopo i trionfi di Apocalypsis cum figuris, diede vita a una serie di misteriosi progetti basati sull’incontro degli attori del Teatr Labroratorium (ma il termine "attore" sarebbe stato presto bandito, a favore dei più neutri "performer" e, negli ultimi tempi, "doer") con gruppi selezionati di partecipanti.
Se non si vogliono attribuire queste scelte all’inevitabile crisi di ogni avanguardia (destinata, secondo i critici conservatori, all’integrazione o all’autodistruzione), la coincidenza era troppo clamorosa, anche se difficile da interpretare. E rappresentava un’obiezione quasi insormontabile per tutti quelli che, sull’onda di quegli spettacoli e dei libri dei loro creatori (a cominciare dal manifesto Per un teatro povero di Grotowski e Barba), erano caduti preda di una autentica "vocazione teatrale". La scelta del Living era più facile da capire e neutralizzare: in sostanza, abbandonavano la finzione e l’arte per l’azione politica diretta. La provocazione "polacca" appariva assai meno leggibile. A vedere gli spettacoli e leggeri i testi di Grotowski, era evidente che la riscoperta del corpo - il segno più forte di tutta quell’esperienza - aveva aperto nuove direzioni di ricerca, sia teatrale sia più in generale umana. L’effetto del training e delle azioni fisiche (una pratica indiscutibilmente "materialista") sull’emotività, sulla percezione di sé, del mondo e degli altri, avevano aperto nuove dimensioni alla coscienza e alla conoscenza di se stessi. Era una direzione di ricerca in sostanza estranea a una cultura occidentale razionalista e logocentrica (e fondata sul dualismo mente-corpo), e infatti circolavano accuse di "misticismo" e irrazionalismo (Nietzsche non era ancora di moda, soprattutto a sinistra). In quello snodo cruciale, qualcuno cercava addirittura di strumentalizzarlo (senza alcuna fortuna, va aggiunto). Gli studiosi cercavano di sistemare Grotowski e soci nei propri schemi museali, ma si trattava di una fase superata dal Maestro, e dunque ne veniva fuori una rigida caricatura. Lui invece, nelle sue apparizioni pubbliche, continuava a demolire schemi e pregiudizi, per dare un’impressione di continua evoluzione, di movimento vitale. Anche la prima fase del progetto L’albero delle genti, almeno a un’impressione superficiale, partiva dal lavoro di distruzione della maschera. Perché di maschere da destrutturare, per arrivare alll’essenza dell’umano, alla sua autenticità, ce n’erano molte: le maschere teatrali, ma anche quelle sociali, quotidiane, le mille rigidità dell’io; e le meccanicità che si generano non appena la creatività e l’improvvisazione si fissano nella ripetizione, e la realtà indicibile dell’esperienza autentica deve farsi codice e linguaggio. Senza dimenticare quelle "buoniste" della liberazione del corpo, della creatività diffusa, di un umanesimo superficiale e indolore, allora assai praticato. Certo il cammino che proponevano Grotowski e soci era assai più duro, basato su tecniche del corpo (e dell’estasi) ascetiche, a volte estreme, ma note e praticate sin dalla preistoria. Era solo il punto di partenza, e poteva suscitare diffidenze, sospetti ed equivoci, anche perché non c’era niente da vedere, solo un’esperienza da vivere. All’epoca, ai tempi Albero delle genti, era quasi impossibile capirlo, ma al di là delle diverse strade c’erano molti nodi in comune tra Beck-Malina e Grotowski. In loro la crisi della rappresentazione teatrale, a partire dal rapporto tra l’attore e il personaggio, aveva trovato nel lavoro sul corpo e sull’improvvisazione un esplosivo slancio creativo e un iniziale punto d’equilibro, che però si era presto incrinato. Per l’attore non era più possibile calarsi nel ruolo usando tutte le scorciatoie della psicologia e le trappole dell’autobiografia: dopo aver toccato quel momento di verità, non poteva più "essere un altro", e dunque tornava a cercare la sua radice etimologica: attore è "colui che agisce", il "doer". L’attore non "è", ma "fa". È una sorta di rivoluzione copernicana del teatro. Per elaborarla (e condurla con la massima radicalità possibile) Grotowski ha sentito il bisogno di abbandonare del tutto la rappresentazione, a favore dell’incontro tra esseri umani. Un incontro "asimmetrico", a causa della presenza delle "guide". Sarà necessario un periodo fisiologico di maturazione per cogliere le ricadute della specifica e sotterranea pratica grotwskiana di questi ultimi anni, e la sua influenza sui gruppi più giovani (perché il teatro è rimasto malgrado tutto un destinatario privilegiato). Tuttavia quella cesura ha già fatto sentire i suoi effetti in tutti questi anni: lo natura del lavoro dell’attore, e il suo statuto, il suo rapporto con il pubblico, sono irrimediabilmente cambiati. Gli attori-creatori, gli autori-attori che da allora hanno iniziano a far vivere le scene (riallacciandosi magari a tradizioni del tutto diverse), ne sono la riprova. Anche se forse non tutti lo sanno.


 


La lista nera
I brani cancellati dalla programmazione delle radio USA dopo l'11 settembre
di ???

Interrogato a trabocchetto da un giornalista della rivista "Glamour" su chi fossero gli studenti coranici (questo il significato della parola talebani), l'allora candidato repubblicano alla Casa Bianca fece scena muta. L'intervistatore lo aiutò: "La repressione delle donne... in Afghanistan".
Il governatore del Texas si iluminò: "Oh, credevo che tu parlassi di un complesso rock. I talebani dell'Afghanistan. Assolutamente! Repressivi!".
Questo un primo elenco di brani rock cancellati dalla programmazione di uno dei più importanti circuiti radiofonici USA dopo l'attentato dell'11 settembre 2001.
Mudvayne "Death Blooms"
Megadeth "Dread and the Fugitive", "Sweating Bullets"
Saliva "Click Click Boom"
P.O.D. "Boom"
Metallica "Seek and Destroy", "Harvester or Sorrow", "Enter Sandman", "Fade to Black"
Rage Against The Machine: tutte le canzoni
Nine Inch Nails "Head Like a Hole"
Godsmack "Bad Religion"
Tool "Intolerance"
Soundgarden "Blow Up the Outside World"
AC/DC "Shot Down in Flames", "Shoot to Thrill", "Dirty Deeds", "Highway to Hell", "Safe in New York City", "TNT", "Hell's Bells",
Black Sabbath "War Pigs", "Sabbath Bloody Sabbath", "Suicide Solution"
Dio "Holy Diver"
Steve Miller "Jet Airliner"
Van Halen "Jump"
Queen "Another One Bites the Dust", "Killer Queen"
Pat Benatar "Hit Me with Your Best Shot", "Love is a Battlefield"
Oingo Boingo "Dead Man's Party"
REM "It's the End of the World as We Know It"
Talking Heads "Burning Down the House"
Judas Priest "Some Heads Are Gonna Roll"
Pink Floyd "Run Like Hell", "Mother"
Savage Garden "Crash and Burn"
Dave Matthews Band "Crash Into Me"
Bangles "Walk Like an Egyptian"
Pretenders "My City Was Gone"
Alanis Morissette "Ironic"
Barenaked Ladies "Falling for the First Time"
Fuel "Bad Day"
John Parr "St. Elmo's Fire"
Peter Gabriel "When You're Falling"
Kansas "Dust in the Wind"
Led Zeppelin "Stairway to Heaven"
The Beatles "A Day in the Life", "Lucy in the Sky with Diamonds", "Ticket To Ride", "Obla Di, Obla Da"
Bob Dylan/Guns N Roses "Knockin' on Heaven's Door"
Arthur Brown "Fire"
Blue Oyster Cult "Burnin' For You"
Paul McCartney and Wings "Live and Let Die"
Jimmy Hendrix "Hey Joe"
Jackson Brown "Doctor My Eyes"
John Mellencamp "Crumbling Down"
John Mellencamp "I'm On Fire"
U2 "Sunday Bloody Sunday"
Boston "Smokin"
Billy Joel "Only the Good Die Young"
Barry McGuire "Eve of Destruction"
Steam "Na Na Na Na Hey Hey"
Drifters "On Broadway"
Shelly Fabares "Johnny Angel"
Los Bravos "Black is Black"
Peter and Gordon "I Go To Pieces"
Peter and Gordon "A World Without Love"
Elvis "(You're the) Devil in Disguise"
Zombies "She's Not There"
Elton John "Benny & The Jets", "Daniel", "Rocket Man"
Jerry Lee Lewis "Great Balls of Fire"
Santana "Evil Ways"
Louis Armstrong "What A Wonderful World"
Youngbloods "Get Together"
Ad Libs "The Boy from New York City"
Peter Paul and Mary "Blowin' in the Wind", "Leavin' on a Jet Plane"
Rolling Stones "Ruby Tuesday"
Simon And Garfunkel "Bridge Over Troubled Water"
Happenings "See You in Septemeber"
Carole King "I Feel the Earth Move"
Yager and Evans "In the Year 2525"
Norman Greenbaum "Spirit in the Sky"
Brooklyn Bridge "Worst That Could Happen"
Three Degrees "When Will I See You Again"
Cat Stevens "Peace Train", "Morning Has Broken"
Jan and Dean "Dead Man's Curve"
Martha & the Vandellas "Nowhere to Run"
Martha and the Vandellas/Van Halen "Dancing in the Streets"
Hollies "He Ain't Heavy, He's My Brother"
San Cooke Herman Hermits, "Wonder World"
Petula Clark "A Sign of the Times"
Don McLean "American Pie"
J. Frank Wilson "Last Kiss"
Buddy Holly and the Crickets "That'll Be the Day"
John Lennon "Imagine"
Bobby Darin "Mack the Knife"
The Clash "Rock the Casbah"
Surfaris "Wipeout"
Blood Sweat and Tears "And When I Die"
Dave Clark Five "Bits and Pieces"
Tramps "Disco Inferno"
Paper Lace "The Night Chicago Died"
Frank Sinatra "New York, New York"
Creedence Clearwater Revival "Travelin' Band"
The Gap Band "You Dropped a Bomb On Me"
Alien Ant Farm "Smooth Criminal"
3 Doors Down "Duck and Run"
The Doors "The End"
Third Eye Blind "Jumper"
Neil Diamond "America"
Lenny Kravitz "Fly Away"
Tom Petty "Free Fallin'"
Bruce Springsteen "I'm On Fire", "Goin' Down"
Phil Collins "In the Air Tonight"
Alice in Chains "Rooster", "Sea of Sorrow, "Down in a Hole", "Them Bone"
Beastie Boys "Sure Shot", "Sabotage",
The Cult "Fire Woman"
Everclear "Santa Monica"
Filter "Hey Man, Nice Shot"
Foo Fighters "Learn to Fly"
Korn "Falling Away From Me"
Red Hot Chili Peppers "Aeroplane", "Under the Bridge"
Smashing Pumpkins "Bullet With Butterfly Wings"
System of a Down "Chop Suey!"
Skeeter Davis "End of the World"
Rickey Nelson "Travelin' Man"
Chi-Lites "Have You Seen Her"
Animals "We Gotta Get Out of This Place"
Fontella Bass "Rescue Me"
Mitch Ryder and the Detroit Wheels "Devil with the Blue Dress"
James Taylor "Fire and Rain"
Edwin Starr/Bruce Springstein "War"
Lynyrd Skynyrd "Tuesday's Gone"
Limp Bizkit "Break Stuff"
Green Day "Brain Stew"
Temple of the Dog "Say Hello to Heaven"
Sugar Ray "Fly"
Local H "Bound for the Floor"
Slipknot "Left Behind, Wait and Bleed"
Bush "Speed Kills"
311 "Down"
Stone Temple Pilots "Big Bang Baby", "Dead and Bloated"
Soundgarden "Fell on Black Days", "Black Hole Sun"
Nina "99 Luft Balloons/99 Red Balloons"


 


Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
copyright Oliviero Ponte di Pino 2001, 2002