ateatro

n. 23 - 10 novembre 2001
a cura di Oliviero Ponte di Pino

Come certo sapete, la situazione al vertice del Teatro di Roma sta cambiando. E' stato nominato il nuovo cda e si parla con insistenza della nomina di Giorgio Albertazzi a direttore. Anzi, sul suo nome si sono subito scatenate feroci polemiche, di cui potete trovar traccia nel mitico forum Teatro di guerra.Ci potete leggere, tra l'altro, brani degli interventi di Gianfranco Capitta sul "manifesto" e di Paolo Mieli sul "Corriere della Sera" (e se proprio volete tutta la storia dall'inizio, sul sito si ripercorrre tutto il "caso Martone").
Come la penso io, potete facilmente immaginarlo. A giudicare da quello che ha fatto sulle scene negli ultimi decenni, e da quello che ha detto del teatro italiano (e in particolare del teatro pubblico) in dichiarazioni e interviste che i grandi giornali italiani hanno sempre pubblicato con grande enfasi, Giorgio Albertazzi non mi sembra certo la persona più adatta a dirigere il teatro stabile della capitale.
Dal punto di vista culturale, è una svolta semplicemente regressiva. Non è neppure una scelta conservatrice, cioè un ritorno al teatro di regia vecchia maniera, che è alla base del teatro pubblico italiano. In rapporto all'evoluzione delle nostre scene, quella di Albertazzi rappresenta una scelta reazionaria, alla ricerca di qualcosa che non esiste più da tempo: il fantasma del grande attore all'italiana. Albertazzi aveva cercato negli anni Sessanta di incarnare la sua versione moderna, facendosi carico di inquietudini, nevrosi, curiosità culturali che il grande attore all'antica non poteva avere. E tuttavia questa ricerca, mi pare, si è progressivamente isterilita: per narcisismo, per fragilità delle basi del progetto culturale, per presunzione, forse. (Basta fare un parallelo con Carmelo Bene da un lato e Gassman dall'altro, o ancora Umberto Orsini, a paragone di quel che ha fatto Albertazzi.) In questo, le scelte e gli atti giovanili non c'entrano nulla. O meglio, c'entra l'egocentrica superficialità con cui decenni più tardi ne ha parlato l'interessato.
A rendere ancora più triste la situazione, la scelta di Albertazzi nasce dal più squallido compromesso lottizzatorio: il cda alla sinistra, la direzione alla destra. Se la sinistra e la destra avessero un qualche progetto culturale, il futuro del Teatro di Roma sarebbe già segnato: una schizofrenia nelle scelte e nella programmazione, e in breve la paralisi. Siccome siamo in Italia, ce la caveremo con qualche ulteriore lottizzazione (con le varie sedi del Teatro di Roma che verrano ridotte a ghetti più o meno ricchi e dorati) e una pioggia di prebende calmieratrici.
Ma sono un inguaribile pessimista: se vedete prospettive più rosee, ditelo al forum Teatro di guerra.

olivieropdp
 

INDICE

Les "mèmes"du Momo
appunti sulla diffusione delle idee di Artaud sul teatro
di Oliviero Ponte di Pino

Il segreto di Peter
I fili del tempo, l'autobiografia del grande regista inglese
di Oliviero Ponte di Pino

I-TIGI
Il canto per Ustica di Marco Paolini
di Oliviero Ponte di Pino

Netmage 2002
Info & programma
 

COMUNICAZIONI DI SERVIZIO

Per i miei fans (ce ne sono?) sabato 17 novembre, alle 14, su Radiotre, conduco il glorioso Grammelot (programma di Patrizia Todaro a cura di Elio Sabella, che guida in redazione Nicola Pedone e Stefania Fioravanti) dallo studio di corso Sempione (Milano) con Gaia Varon. La redazione non vede l'ora di essere seppellita da mail grammelot-spettacoli@rai.it, fax e telefonate (02-34531140).

A Milano, lunedì 26 novembre, Teatro Grassi di via Rovello, ore 18.00, i PREMI UBU e la presentazione del nuovo Patalogo.

A Trieste mercoledì 21 novembre, ore 21, alla Sala Tripcovich, in occasione della riunione dei Capi di Governo di Iniziativa Centro Europea unica eccezionale replica dei Microdrammi 1991-2001 Dieci anni d'Europa (già visti al Mittelfest di Cividale a luglio). Testi di Ismail Kadaré (Albania), George Tabori (Austria), Aleksey Dudarev (Bielorussia), Almir Imsirevic (Bosnia-Erzegovina), Elin Rahnev (Bulgaria), Vaclav Havel (Rep. Ceca), Slobodan Snajder (Croazia), Edoardo Erba e Claudio Magris (Italia), Zanina Mircevska (Macedonia), Dumitru Crudu (Moldova), Artur Grabowski (Polonia), Mircea Cartarescu (Romania), Viliam Klimacek (Slovacchia), Matjaz Berger (Slovenia), Yaroslav Stelmakh (Ucraina), Arpad Gönc e Peter Esterhazy (Ungheria), Biljana Sbrljanovic (Yugoslavia) e Lorenzo Vignando (Italia-Friuli).
Puoi leggere il programma completo e alcuni dei testi (compreso quello di Claudio Magris) in "ateatro 15". Ma se li vuoi leggere proprio tutti, i Microdrammi sono pubblicati nelle lingue originali e in traduzione inglese e italiana da Franco Angeli.
Sempre a proposito di Mittelfest, è uscito anche  Scene dell’altra Europa di Roberto Canziani: dieci anni di teatro, con un inedito atlante sullo spettacolo nei paesi dell’Europa centro–orientale durante gli anni Novanta. Per ulteriori info sulla disponibilità del volume, rivolgetevi a Mittelfest.

Per i cultori di Eleonora Duse, da non perdere la mostra alla Fondazione Cini di Venezia (San Giorgio) aperta fino al 6 gennaio 2002.

"neolinguaggi arte e creatività digitale" al Museo Pecci di Prato, da lunedì 19 ore 21 (ingresso libero). Partecipano a questa serie di incontri bruno corà, luca farulli, carlo infante, davide venturini, giancarlo cauteruccio, michele sambin, cristina cilli, antonio caronia.


Imperdibile: Chi non legge questo libro è un imbecille. I misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, Garzanti, Milano, 1999.

Chi non legge questo libro è un imbecille


Les "mémes" du Mômo
(appunti sulla diffusione delle idee di Artaud sul teatro)
di Oliviero Ponte di Pino

AVVERTENZA: questo è una prima provvisoria versione di un work in progress, è dunque aperto a segnalazioni, correzioni, integrazioni sia da parte mia sia da parte di tutti voi. Vi sarò dunque grato di qualunque suggerimento o contributo.

"T171" ovvero il numero dell'autunno 2001 di "The Drama Review" ha pubblicato il saggio di Nicola Savarese su Artaud spettatore della serata di danze balinesi all'Esposizione Coloniale del 1931 a Parigi (lo spettacolo è stato tra l'altro ricostruito in una delle recenti edizioni del Festival d'Automne).

A proposito di Artaud e della sua fortuna, questa è la prima stesura di un saggio di storia delle idee (si dice così?) che non finirò mai (perché da solo non ce la farò mai). Sono alcuni appunti, buttati già in gran fretta un paio d'anni fa, solo una traccia di un lavoro che dovrebbe essere molto più serio. Se qualcuno ha qualche tassello da aggiungere a queste noterelle, qualche correzione-precisazione, gliene sarò assai grato (e inserirò).

Se devo pensare al "libro che ha cambiato la mia vita", la risposta più sincera è probabilmente Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud, pubblicato nella Piccola Biblioteca Einaudi nel 1968. Mi interessava già il teatro, frequentavo con un paio di compagni di classe, Carlo e soprattutto Sandro, il Teatro Uomo (allora in corso Manusardi) e il Teatro Officina (allora in viale Monza). Quel libro l’ho letto, probabilmente su consiglio di Renata Molinari, e sottolineato durante qualche mattinata di lezione, al liceo. (Non sottolineo mai i libri: di solito piego l’angolino della pagina dove si trova il passo che mi colpisce.) Siamo dunque nella prima metà degli anni Settanta, il "finito di stampare" di quella edizione porta la data 16 settembre 1972.

La lettura fu un’esperienza sconvolgente, che irreversibile rese il mio contagio teatrale: fu più convincente degli spettacoli che avevo visto fino ad allora, e mi permise di giudicare quelli che vedevo (o dei quali leggevo le descrizioni) in base a un ideale di teatro che mi si presentava con assoluta chiarezza. Del testo di Artaud mi colpirono confusamente alcuni aspetti: in primo luogo l’enfasi sul corpo come campo di forze (e dunque un ancoraggio materialista) mentre però queste forze riflettono forze misteriose e in qualche misura ineffabili ma percepibili (e dunque una linea di fuga trascendente). Sulla coincidenza di questi due aspetti, mi pareva, si fondava quella fede profetica (dato che gli spettacoli di Artaud si erano rivelati assolutamente inadeguati al suo progetto) nell’efficacia della comunicazione teatrale, con l’attore all’incrocio tra la materialità della carne, l’inadeguatezza del linguaggio rispetto al pensiero, la capacità di cogliere i segni del mondo (e magari anche della storia), per farsi artefice, cavia e modello di una sorta di Rivoluzione spirituale – la peste.

Quelle pagine mi infiammarono, determinando molte delle mie scelte successive. Senza quella lettura in quel momento della mia vita sarei diventato una persona molto diversa. Oltre alla mia, credo che quei forsennati manifesti abbiano suscitato molte altre vocazioni teatrali. Inoltre, come stavo scoprendo, quei manifesti avevano cambiato la storia del teatro: le esperienze che più mi affascinavano, quelle che avrei seguito con maggior interesse, senza Artaud sarebbero semplicemente impensabili. E questo lo sanno (e lo sapevano) tutti.

Più di recente, però, mi è venuta la curiosità di ricostruire con maggiori dettagli la storia di questa influenza, di questa peste. Secondo alcuni teorici, il pensiero avrebbe delle unità minime e indivisibili (i "memi"), che si trasmettono da un essere umano all’altro (o agli altri, visto che spesso la comunicazione è collettiva). Il pensiero di Artaud è certamente ricchissimo di "memi" (che non sempre soddisfano, nel loro insieme, il principio di non contraddizione). Ma il suo era anche il pensiero un uomo dichiarato folle, dimenticato in manicomio, affamato, torturato con elettroshock. Aveva solo pochi amici, tanto fedeli quanto ostinati. Nel giro di pochi anni, è diventato un pensiero enormemente attivo nei campi del teatro, della letteratura e delle arti visive. Quella che segue è una frettolosa (e parziale) cronologia, per offrire i primi punti di riferimento a una ricostruzione più completa e filologicamente più attendibile dell’effettivo sviluppo dell’influsso visibile di Artaud (o meglio, del Teatro e il suo doppio) sul teatro.

1937, settembre: Artaud viene internato in un ospedale psichiatrico, con motivazioni che non verranno mai del tutto chiarite. Ritroverà la libertà solo nove anni dopo.

1938, 7 febbraio: Gallimard stampa, con una tiratura di 400 copie, Le Théâtre et son Double; il libro passa praticamente inosservato, con una sola recensione, quella di Yanette Delétang-Tardif, su "Le Jour/L’Echo de Paris", 27 aprile 1938. Artaud è ovviamente conosciuto nell’ambiente teatrale parigino, dove conta numerosi amici.

1943 (Jean Genet): Olivier Larronde, giovane poeta amico di Jean Genet, è un appassionato lettore, tra gli altri, di Artaud – anche se Genet negherà sempre qualsiasi influenza di Artaud sul suo teatro, malgrado numerosi elementi di convergenza (cfr. White 1993, pp. 269-270, 310).

1944, 10 maggio: prima ristampa (1200 copie) di Le Théâtre et son Double.

1945, marzo: Henri Thomas pubblica sul n. 26 della rivista "Action" un testo su Le Théâtre et son Double; un altro testo dello stesso autore su Artaud viene pubblicato sul n. 1 dell’"Heure Nouvelle". Sono i primi testi su Artaud pubblicati dopo il 1938.

1945, settembre: Artaud è finalmente libero, scrive agli amici che lo vengano a prendere.

19 marzo 1946: lascia l’ospedale di Rodez. Il Grand Gala che saluta il suo ritorno a Parigi (16 luglio 1946, Théâtre Sarah Bernhardt, viene registrato dalla radio: intervengono Dullin, Jouvet, Cuny, Barrault, Blin, Vilar…). A Parigi, frequenterà tra gli altri Arthur Adamov, Jean-Louis Barrault, Roger Blin, André Gide, Tristan Tzara, Marthe Robert, Maria Casarès (interprete con Paule Thévenin e Roger Blin del suo Pour en finir avec le jugement de dieu, registrato e censurato dalla radio). Il suo nome riprende a circolare fuori dalla ristretta cerchia degli amici.

1946, luglio-agosto: si definisce il progetto di pubblicazione delle Oeuvres Complètes con l’editore Gaston Gallimard.

1947, 13 gennaio: è il giorno della celebre conferenza al Vieux Colombier, un evento che s’imprime nella memoria dei partecipanti; vedi le testimonianze di Gide (Feuillets d'automne, 1949), Audiberti, Jouhandeau e Jean-Paul Aron (Les Modernes, pp. 23-26)

1948, 4 marzo: Artaud viene trovato morto ai piedi del suo letto. Poco dopo, alcune riviste gli dedicano un numero speciale: "K", n. 1-2, giugno; "84", n. 5-6; "France-Asie", n. 30, settembre.

1949 (Allen Ginsberg): lo psichiatra Carl Solomon fa leggere a Allen Ginsberg (che diventerà amico e consigliere dei Beck), ricoverato in ospedale psichiatrico, alcuni testi di Artaud e Genet: prima, scriverà Ginsberg, mi consideravo un’anima sensibile, dopo – sotto il loro influsso – la mia visione della poesia si è fatta più dura, più violenza. (Edmund White, Jean Genet, Gallimard, Parigi, 1993, p. 502, ma anche Barry Miles, Ginsberg. A Biography, Harper Collins, 1989).

1949 (Jean Louis Barrault): nel suo Réflections sur le théâtre saluta Artaud come un maestro, dedicandogli un intero appassionato capitolo (Jean Louis Barrault, Riflessioni sul teatro, Sansoni, Firenze, 1954). Tornerà su Artaud anche nel successivo Souvenirs pur demain, 1972, pp. 102-106.

1952 (Andé Breton): in una serie di interviste radiofoniche (a cura di André Parinaud) rievoca i suoi rapporti con Artaud; ma sono numerose le trasmissioni a lui dedicate dalla radio francese negli anni Cinquanta, compresa la trasmissione per il decimo anniversario della sua morte, il 5 marzo 1958, su France 3.

1955: Maurice Nadeau, Histoire du surrealisme.

1956: inizia la pubblicazione delle Oeuvres Complètes presso Gallimard.

1956 (Maurice Blanchot): esce il saggio Artaud, "N.R.F.", novembre 1956 (ora in Le Livre a venir). Blanchot è il primo di un gruppo di autorevoli pensatori francesi che si confronta con la dimensione letteraria e filosofica dell’opera e dell’itinerario esistenziale di Artaud: dopo di lui (vedi infra) verranno tra gli altri Bosquet ("A. Artaud ou la vocation du délire", "Revue de Paris", marzo 1959), Derrida, Deleuze. E Foucault nella Storia della follia (o meglio, nell'appendice alle edizioni più recenti, riproducendo un testo originariamente pubblicato su "La Table ronde", maggio 1964, "La follia, l'assenza di opera"): "Artaud apparterrà alla base del nostro linguaggio" (p. 626).

1958, aprile (Living Theatre): "…a un altro [party] nell’appartamento di Anais Nïn, (…) M.C. Richards parlò a Julian [Beck] dell’importanza del Teatro e il suo doppio di Antonin Artaud, che aveva quasi finito di tradurre" (John Tytell, The Living Theatre. Art exile and outrage, Grove Press, New York, 1995, p. 146).

1958, maggio: numero dei "Cahiers de la Compagnie Renaud-Barrault", n. 22-23, dedicato a Antonin Artaud et le théâtre de notre temps (il materiale verrà ampliato e riproposto nel n. 69, I trim. 1969).

1958, agosto (Living Theatre): "In agosto, M.C. Richards lasciò le bozze della sua traduzione del Teatro e il suo doppio, e un mese dopo Paul Goodman diede a Julian la bozza della sua recensione del libro di Artaud che sarebbe uscita su "Nation". Julian rimase affascinato da Artaud, e riconobbe immediatamente l’utilità del suo approccio radicale al teatro" (Tylett, cit., pp. 148-149). "Le Théâtre et son Double apparve per la prima volta nel 1938. Fu ristampato nel 1948 [1944, n.d.r.]. La prima traduzione inglese, o si può dire americana, di M.C. Richards fu pubblicata nel 1958. Fu allora che lo scoprii. (…) Quando Judith Malina e io incontrammo per la prima volta la sua opera più importante sentimmo che avevamo improvvisamente trovato un compendio articolato di cose che pensavamo da molto tempo senza esserci accorti che costituivano una teoria. Fu un richiamo all’ordine che si manifestò nei proclami del I e II Manifesto del Teatro della Crudeltà" (Julian Beck, Theandric, 1992, pp. 238-239; l’appunto è datato "Stoccolma 9 agosto 1982")

1959: esce la prima importante monografia su Artaud, quella di Georges Charbonnier, Essai sur Antonin Artaud, Seghers, 1959 (per la seconda, Otto Hahn, Portrait d’Antonin Artaud, Le Soleil Noir, bisognerà aspettare il 1968).

1959, marzo (Alain Bosquet): Artaud ou la Vocation du délire, "Revue de Paris", pp. 96-104.

1959, dicembre: numero speciale della rivista "La Tour de Feu", n. 63-64: Antonin Artaud ou la santé del poètes. La rivista tornerà su Artaud nel 1961, n. 69, aprile; e nel 1971, n. 112, dicembre, con una ripresa dei nn. 63-64 e 69, arricchita da un’intervista di Jean-Louis Barrault.

1963 (Eugenio Barba e Jerzy Grotowski): "Non parlammo mai di Artaud. Io non lo conoscevo e forse neppure Grotowski. Ne sentii parlare per la prima volta da Raymonde Temkine che venne ad Opole nella Pasqua del 1963. La cosa è ancora più divertente dato che nel 1958-59 io avevo studiato letteratura francese all’Università di Oslo, specializzandomi in letteratura del Ventesimo secolo. Ma Artaud non era preso in considerazione come poeta e come scrittore e il suo mito scoppiò solo quando Gallimard tra il 1961 e il 1964 pubblicò i primi tre tomi delle sue Opere Complete con i suoi manifesti e testi sul teatro" (Eugenio Barba, La terra di cenere e diamanti. Il mio apprendistato in Polonia, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 65); già nello stesso anno, tuttavia, dopo il congresso dell’ITI (Varsavia, 8-15 giugno 1963) verrà stesa una mozione in difesa di Grotowski e del suo teatro, definito "concretizzazione diretta delle idee di Craig, Mejerchol’d e Artaud (…) abbiamo visto queste teorie divenire realtà, quello che sembrava impossibile è avvenuto" (Barba, cit., p. 87). Grotowski era stato in Francia nel 1957, passando anche per Avignone, e vi era tornato due anni dopo, quando aveva incontrato tra l’altro Marcel Marceau (Kumiega 1985); forse aveva sentito parlare di Artaud in quelle occasioni, o perlomeno aveva potuto cogliere l’eco delle sue visioni.

1963: negli Stati Uniti "Tulane Drama Review", t. 22, inverno 1964.

1963 (Odette Aslan): L'Art du Théâtre (pp. 581-589).

1964, 12 gennaio (Peter Brook): debutta lo spettacolo-manifesto del Teatro della Crudeltà, che si apre con Le Jet de Sang di Artaud. "Charles Marowitz e io, col Royal Shakespeare Theatre, istituimmo un gruppo chiamato il Teatro della Crudeltà, (…) per cercare di imparare per noi stessi che cosa potesse essere un Teatro sacro. Il titolo ovviamente era un omaggio ad Artaud, ma non significa che noi stessimo cercando di ricostruire il teatro di Artaud" (Peter Brook, Il teatro e il suo spazio, Feltrinelli, Il teatro e il suo spazio, Feltrinelòli, Milano, 1968, p. 61). "Artaud messo in pratica è Artaud tradito" (ivi, p. 66). "Nel 1964 [probabilmente 1963, n.d.r.], quando costituimmo il nostro gruppo di ricerca teatrale al lambda di Londra, parecchio tempo prima della visita di Grotowski, il lavoro di gruppo ancora non era di moda. Ricordo bene che a un certo punto del nostro lavoro sui suoni, sulla voce, sui gesti e i movimenti, un amico mi disse: "Sono stato in Polonia di recente e ho incontrato una persona che sta facendo un lavoro sperimentale che t’interesserebbe molto". Certo che m’interessava: dovevo riuscire a sapere che cosa stava facendo Grotowski. Grotowski, a sua volta, mi raccontò che mentre lavorava su alcuni temi che lo interessavano, qualcuno gli disse: "Tutto il lavoro che fai si basa su Artaud!". A quell’epoca Grotowski non aveva la minima idea di chi fosse Artaud. E io neanche. Infatti, appena terminata la regia di uno spettacolo a New York [dalle teatrografie di Brook, risulta una regia a New York nel 1959, The Fighting Cock,, n.d.r.], mentre giravo Il signore delle mosche [uscito nel 1963, n.d.r.], una signora mi chiese di scrivere un breve articolo su Artaud per un piccolo giornale d’avanguardia [la TDR?] e m’invitò anche a tenere una conferenza e a rispondere ad alcune domande sull’influenza che Artaud aveva avuto su di me e sul mio lavoro in teatro. Ma, appunto, non avevo la più pallida idea di chi potesse essere Artaud, perché ero lontanissimo, come al solito, da qualsiasi riferimento teorico sul teatro. Il fatto che questa signora mi avesse scritto, non soltanto con passione ma anche con la ferma convinzione che io dovessi conoscere Artaud, mi fece riflettere. Un giorno andai in una libreria, vidi un libro di Antonin Artaud e lo comprai: fu così che cominciai a conoscerlo. Senza che io me ne fossi reso conto, per anni il terreno era stato preparato; ecco perché ero pronto a esserne toccato così in profondità" (Peter Brook, Il punto in movimento 1946-1987, Ubulibri, Milano, 1988, pp. 42-43). Nella sua autobiografia I fili del tempo (Feltrinelli, Milano, 2001): "Lo chiamammo "Teatro della Crudeltà". In omaggio ad Antonin Artaud. Sebbene non avessi mai nutrito particolare interesse per la teoria teatrale e sebbene riscontrasi che nelle concezioni artistiche di Artaud le indicazioni necessarie al lavoro pratico fossero pochissime, io e Marowitz ammiravamo l'intensità bruciante delle sue posizioni rispetto al teatro paludato del suo tempo".

1964: Le Théâtre et son Double, in edizione tascabile Gallimard.

1964, aprile: Tre testi sul teatro, "Il Verri", n. 14.

1964, autunno (Alberto Arbasino): ""Teatro della Crudeltà" è una definizione che si presta agli equivoci più iniqui, o a gaffes ridicole. Parecchi, intanto, lo confondono con una rappresentazione scenica di episodi di crudeltà fisica violenta e feroce, tipo Grand Guignol. Poi, il suo teorico più grande, il surrealista erratico Antonin Artaud, è specialmente conosciuto come Eretico Folle, proprio clinicamente folle, morto in manicomio, venti anni fa dopo aver "pagato di persona" più di chiunque altro, lasciandosi dietro un caos di foglietti a pezzi e d’intenzioni mai realizzate" (Alberto Arbasino, Grazie per le magnifiche rose, Feltrinelli, Milano, 1965, p. 311). In questo contesto, Arbasino cita Genet messo in scena da Blin, Carmelo Bene, Peter Brook e le sue regie dei Paravents e del Marat-Sade.

1965, gennaio: intervista di Jean-Pierre Faye a Roger Blin: "Artaud vu par Blin", "Les Lettres Françaises", 21 gennaio 1965.

1965, giugno: 8 lettere in "Sipario", n. 230.

1965 (Jacques Derrida): esce il saggio La parole soufflée ("Tel Quel", n. 20), ripreso in L’Ecriture et la Différence (Seuil, 1967).

1965 (Jean Duvignaud): Sociologie di théâtre.

1966, 12 marzo (Nicola Chiaromonte): conferenza al circolo di cultura Francesco De Sanctis di Napoli su Artaud e la sua doppia idea del teatro (poi in "Tempo Presente", marzo-aprile 1966, e in Scritti sul teatro, Einaudi, Torino 1976, pp. 53-67). Controllare anche La situazione drammatica (1959) e Credere e non credere (1951).

1966, marzo (Jacques Derrida): conferenza a Parma Le théâtre de la cruauté et la clôture de la représentation (poi in "Critique", n. 230, luglio 1966 e con qualche variante in L’Ecriture et la Différence, Seuil, 1967, e come prefazione all’edizione tascabile italiana del Teatro e il suo doppio, 1968). Gli atti del convegno di Parma in "Teatro Festival", n. 2-3.

1966 (Jean-Paul Sartre): conferenza "Mithe et réalité du théâtre", da cui verrà poi tratto un capitolo di Un théâtre de situations (Gallimard, 1973). L'anno successivo, Sartre torna su Artaud in un articolo, "La route de l'hystérie", per "Le Point" (mensile studentesco di Bruxelles).

1966: Al paese dei Tarahumara e altri scritti, Adelphi, Milano.

1967: Artaud vu par Blin, intervista a cura di Jean-Pierre Faye, "Les Lettres Françaises", gennaio 1967 (poi ripresa in Jean-Pierre Faye, Le Récit hunique, Seuil, 1967).

1967: Bernard Dort, Théâtre public, dedica molto spazio a Artaud.

1968 (Peter Brook): "Oggi si mette in discussione Genet, si rivaluta Shakespeare, si cita Artaud, si parla molto di riti e rituale" (Peter Brook, 1968, p. 33).

1968 (Gilles Deleuze): Différence et Répétition, pp. 150 e 191.

1969 (Gilles Deleuze): il saggio Du schizophrène et de la petite fille, in Logique du sens, pp. 101-114.

1970: Antonin Artaud et le théâtre di Alain Virmaux, Seghers, 1970. Ma a questo punto iniziano a uscire anche le prime monografie parascolastiche: Daniel Joski, Artaud, Editions Universitaires, cui seguirà Gérard Durozoi, Artaud, l'aliènation et la folie, Larousse, 1972.

1971: esce la prima biografia di Artaud, quella – con qualche errore – di Jean-Louis Brau (La Table ronde).

1972, febbraio: sul "Magazine littéraire", n. 61, Artaud sans légende.

1972, 29 giugno-9 luglio: al Centre Culturel International de Cerisy-La-Salle si tiene un convegno diretto da Philippe Sollers dal titolo Vers une Révolution Culturelle: Artaud, Bataille; su Artaud intervengono Xavière Gauthier, Pierre Guyotat, Jacques Henric, Julia Kristeva, Georges Kutukdjan, Marcelin Pleynet, Guy Scarpetta, Philippe Sollers.

1976, dicembre: "Obliques", speciale Artaud, n. 10-11.

1979, maggio: Speciale Artaud a cura di Cesare Nissirio sulla rivista "Il Dramma", con scritti di Jacqueline Risset, Grazia Marchianò, Carlo Pasi, Elémire Zolla.

1984, aprile: dossier Artaud sul "Magazine Littéraire", n. 206.

NOTA. Per compilare questa cronologia mi sono stati particolarmente utili:
- Jacques Maeder, Antonin Artaud, Plon, Parigi, 1978.
- Paule Thévenin, Antonin Artaud, ce Désespéré qui vous parle, Seuil, Paris, 1993.
- Alain e Odette Virmaux, Antonin Artaud, La Manufacture, Besançon 1991.

Dopo aver steso questa cronologia, posso provare a immaginare la sfilata di diversi gruppi di figure che in maniere diversissime hanno incontrato Artaud.
In primo luogo ci sono alcuni degli intellettuali francesi, in genere letterati, che avevano conosciuto Artaud prima della follia (aveva praticamente esordito sull’autorevole "N.R.F.", che nel 1924 aveva pubblicato la sua corrispondenza con Jacques Rivière) e ora che è tornato da Rodez dopo nove anni d’internamento lo osservano con un misto di compassione e imbarazzo. Alcuni lo ignorano, ma altri hanno partecipato alla sottoscrizione in suo favore, lo frequentano e lo sostengono. Sono certo più interessati allo scrittore e al "caso clinico" che all’ex-attore e al teorico del teatro. Qualcuno di loro capisce, o intuisce, che la voragine che lo scrittore francese ha conosciuto, e le fratture dell’io che ha esplorato, sono il rischio di ogni esperienza umana estrema (e qualcuno di loro avrà certo pensato a Hölderlin e Nietzsche, Nerval e Rimbaud).
Un secondo gruppo è costituito dagli amici di Artaud, quelli che hanno condiviso la sua passione teatrale: tra di essi spiccano Blin, Barrault, Adamov. Nessuno di loro prova a dare forma alle visioni teatrali di Artaud; le ritengono in sostanza "impossibili", anche se certamente hanno avuto un forte impatto sulla loro attività.
Per questi due gruppi di persone, l’incontro con Artaud è un incontro personale, privato, un’esperienza magari sconvolgente, vissuta con grande intensità e profondità, e che tuttavia non riesce a trovare una diretta espressione artistica (Gide nei Falsari fa di Alfred Jarry un indimenticabile personaggio romanzesco; Artaud invece trova posto solo nei suoi Diari).
Dopo la morte di Artaud, in questa immaginaria sfilata s’incontrano coloro che hanno raccolto la sfida sul piano filosofico-letterario, e che nel giro di una decina d’anni fanno di Artaud un punto chiave nell’esperienza del pensiero del Novecento, con una serie di saggi di grande respiro. Sono Blanchot, Bosquet, Derrida, Deleuze, Foucault, Sollers (non so quanti di loro abbiano conosciuto Artaud di persona). Il nucleo della loro riflessione riguarda il problema della scrittura, e l’esperienza di una soggettività "esplosa".
Per quanto riguarda il teatro, i primi autentici artaudiani – tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Settanta - sono i Beck, Brook, Barba e Grotowski. Insomma, i creatori del nuovo teatro. Nessuno di loro ha letto preventivamente Il teatro e il suo doppio per poi decidere di applicare le sue teorie. Anzi, molti di loro erano artaudiani senza saperlo: spesso (Brook, Grotowski) sono stati riconosciuti come tali da studiosi di teatro, che avevano letto quei testi e che per la prima volta vedevano un teatro alla loro altezza. (È un po’ quello che è accaduto quando Aragon ha visto gli spettacoli di Robert Wilson, decenni dopo i manifesti surrealisti). Per tutti questi registi, leggere Artaud ha significato scoprire qualcuno che aveva saputo dare una forma e un’unità a quello che avevano solo presentito e stavano faticosamente cercando di praticare. È stata un’illuminazione. Artaud aveva visto, con trent’anni di anticipo, quello che sarebbe stato il loro teatro. Le sue idee erano in qualche modo necessarie, l’evoluzione dell’arte doveva – prima o poi – incontrarlo.
Non appena si opera questo riconoscimento (non appena s’incontrano la teoria di Artaud, la prassi del Living, Grotowski e Brook, la teoria dei loro spettatori), Artaud diventa un passaggio obbligato per chiunque sia intenzionato a fare qualcosa di serio in teatro. Negli ambienti degli addetti ai lavori il nome di Artaud e i suoi testi hanno una diffusione capillare. Diventano la lettura obbligata e il manifesto della generazione post-brechtiana. Dopo gli anni Settanta (e fino a oggi), il teatro è sostanzialmente artaudiano (se poi si tratti di un Artaud profondo o superficiale, è una questione che esula da questo rapido excursus).
Com’è ovvio, il silenzio iniziale si trasforma in un chiasso assordante (anche se molto lentamente), e a tratti quasi in moda. Sulla scena la crudeltà diventa un must. Le Théâtre et son Double esce in edizione tascabile prima in Francia e poi in Italia. Gli articoli e i saggi si moltiplicano, arrivano le biografie e le monografie, le storie del teatro gli trovano una collocazione. A occuparsi di Artaud non sono più solo raffinate riviste d’avanguardia ma periodici di ampia diffusione. Anche gli studenti avranno diritto al loro Artaud, condensato in appositi volumetti fin dagli inizi degli anni Settanta.
Tra i vari aspetti della creatività di Artaud, quello che ha più faticato per imporsi è quello grafico: è solo a partire dagli anni Ottanta che i suoi torturati autoritratti vengono riscoperti in tutto il loro valore.


Il segreto di Peter
I fili del tempo, l'autobiografia del grande regista inglese
di Oliviero Ponte di Pino

Apparso originariamente su "Diario", 2 novembre 2001.

Quella di Peter Brook è una carriera artistica eccezionale, e di straordinaria longevità, sempre ad altissimo livello. Da oltre mezzo secolo il regista inglese continua a stupire e conquistare gli spettatori - gli ingenui e gli smaliziati - con le sue messinscene, ma soprattutto con le sue curiosità e la sua capacità di reinventarsi. Basta citare alcuni dei suoi Shakespeare: il giovanile Pene d'amor perdute ispirato ai quadri di Watteau (1947); il Re Lear barbaro e terribile con Paul Scofield (1962); il vitalissimo Sogno di una notte di mezza estate acrobatico e circense (1970); l'austero Timone d'Atene con cui inaugurò il suo teatro parigino, Les Bouffes du Nord (1974); la Tempesta multietnica (1990) e i vari confronti con Amleto. O altri spettacoli ormai leggendari: la prima dello scandaloso Balcone di Genet (1960), lo sconvolgente Marat-Sade (1964), la discussa Carmen "melodramma da camera" (1981), il kolossal mitologico Mahabharata (1985), l'essenziale e geometrico Don Giovanni diretto da Daniel Harding (1998)...

Così, di fronte a un'autobiografia come I fili del tempo, ovvero Memorie di una vita, che si aggiunge a una bibliografia già ricca, vien voglia di scoprire il segreto della creatività di questo instancabile viaggiatore. Non bisogna però cercarlo negli incontri con mostri sacri come Scofield e Olivier, Gielgud e Jeanne Moreau, Genet o Dalì. E nemmeno nel filo rosso di un'intera vita, il rapporto con i seguaci di Gurdjieff (Brook firmerà la versione cinematografica di Incontri con uomini straordinari nel 1979, in stretto rapporto con la continuatrice dell'opera di Gurdjieff, Madame de Saltzmann).
È un segreto che deve trascendere quel che si apprezza nei suoi spettacoli: la semplicità (o meglio la necessità di tutto quel che accade in scena), la ricerca dell'essenziale (o dell'essenza), il senso ritmo. A spiegare la forza dei suoi lavori non basta neppure la paziente ricerca nell'attore dell'energia originaria, verso la fonte della vita che ciascuno di noi porta in sé: "Un regista impiega molto tempo a smettere di pensare in termini di risultati desiderati e a dedicarsi, invece, alla scoperta della fonte di energia insita nell'attore, da cui possono emergere impulsi veri" (p. 87). Certo, quello di Brook è stato un lavoro "in levare": ma per uno straordinario paradosso questo progressivo azzeramento ha continuato a rivelarsi un arricchimento.
Forse la maggior qualità del regista inglese è stata la capacità di rischiare. Di mettersi in discussione, radicalmente, fino all'ingenuità. Perché tutte le situazioni, persino più banali, possono portargli una lezione. Basta saperla cogliere, in tutte le sue conseguenze. Ecco un insegnamento tratto dal lungo peregrinare africano: "Ciò che conta è il modo in cui entri in un villaggio. (...) In Africa e in Asia centinaia di occhi registrano ogni dettaglio del linguaggio del corpo del forestiero e lo decifrano all'istante. Cammina con arroganza come fosse il padrone del mondo? Il ritmo dei suoi passi esprime la presunzione dell'uomo superiore? Muove la testa di qua e di là con la curiosità indiscreta del turista? O, peggio ancora, è colmo dell'entusiasmo benevolo della brava persona? Dovemmo padroneggiare il primissimo esercizio in cui teatro e vita si incontrano: come camminare tentando di essere né più né meno ciò che siamo, ma un po' più padroni di noi stessi e un po' più aperti del solito" (p. 174).
Quella di Brook è la carriera di un eterno rivoluzionario. Giovanissimo, diventa l'enfant terrible del teatro inglese per ripiego: il suo sogno era diventare regista cinematografico (e avrebbe diretto film come Moderato cantabile, 1960, e Il signore delle mosche, 1963). Ma l'estremista culturale s'accorge quasi subito di essere un rivoluzionario sui generis. Presto inizia a collaborare con il tempio della lirica londinese, il Covent Garden: "Entrai all'opera con uno scopo molto semplice: dare a quest'istituzione sonnolenta e antiquata una serie di scossoni che l'avrebbero fatta sbalzare nel mondo contemporaneo. A quel punto mi imbattei in ciò che veramente si intendeva per tradizione e fui sorpreso nello scoprire che aveva un suo fascino speciale, un fascino che promanava dall'odore della polvere e dall'antica colla dell'immenso palcoscenico, dalle cataste di telai di scenografie dipinte che creavano un'accozzaglia di frammenti sparsi: alberi appoggiati a colonne, balaustre che spuntavano sopra le nuvole, rocce irregolarmente spaccate a metà (p. 54)".
Pur avendo scritto uno dei saggi più influenti di teoria teatrale, Il teatro e il suo spazio (Feltrinelli 1968), non è un ideologo. Allora forse il segreto del pragmatico Brook sono proprio le apparenti contraddizioni, la capacità di far convivere ricerca e tradizione, semplicità e profondità, esperimento e boulevard. Ai tempi della guerra del Vietnam, mentre preparava US con un gruppo di attori, ricorda, ci siamo tutti "convinti che la ricerca fosse una medaglia a due facce: da una parte, un tempo infinito da dedicare a un singolo gesto; dall'altra, la rapidità" (p. 135).
Peter Brook, I fili del tempo. Memorie di una vita, traduzione di Isabella Imperiali. Feltrinelli, 2001, 228 pagine, 45.000 lire. Acquistalo su Internetbookshop.


I-TIGI
Il canto per Ustica di Marco Paolini
di Oliviero Ponte di Pino

E' arrivato in libreria in questi giorni I-TIGI, lo spettacolo su Iscita di Marco Paolini (libr+cassetta, lo pubblica Einaudi). Ecco la recensione dello spettacolo pubblicata a suo tempo su "Diario".

Scritto su sollecitazione dell’Associazione Parenti delle Vittime da Daniele Del Giudice con  Marco Paolini, partendo dal breve e denso capitolo con frammenti dei dialoghi tra l’aereo e i controlli in Staccando l’ombra da terra e riprendendo spunti dalle 1.800.000 pagine d’istruttoria, sulla scia di inchieste, libri e film, I-TIGI (è la sigla dell’aereo Itavia abbattuto nel cielo di Ustica il 28 giugno 1980) non vuol essere solo uno spettacolo teatrale, ma un momento di riflessione civile che unisce la città del decollo (Bologna, nella splendida piazza Santo Stefano) e la destinazione di quel volo, mai raggiunta (Palermo, allo Spasimo).
Le due ore di questo Canto per Ustica sono anche un evento mediatico (ripreso da Radiotre e Raidue) e un lamento funebre per le 81vittime di una tragedia senza colpevoli. Sono un memoriale con venature pedagogiche (in scena campeggia una lavagna trasparente con la penisola fitta di sigle aeronautiche) e un oratorio laico, grazie all’accompagnamento vocale in cui Giovanna Marini (qui in scena con Patrizia Bovi, Francesca Breschi e Patrizia Nasini) prosegue il suo straordinario lavoro di scavo sulla lingua italiana e sulle sue sonorità e timbri. Non ci sono - né ci possono essere - rivelazioni. Anche le emozioni, ormai, è difficile riaccenderle, dopo decenni di silenzi e depistaggi, tra parole un tempo chiare ma ripetute fino a perdere significato, in una trappola di rabbie, illusioni e rassegnazioni.
Operazioni come quella condotta da Marco Paolini (in scena con l’abituale maestria, malgrado un testo inevitabilmente schematico) si nutrono del conflitto tra due Italie. Una è fatta di gente comune (il semplice elenco delle professioni delle vittime, sulla scia della poesia di Pasolini su piazza Fontana, è uno dei momenti più toccanti), di giornalisti e magistrati: non dimentica, pretende di conoscere i mandanti, persuasa che la ricerca della verità sia strumento di crescita democratica. Ma c’è anche un’Italia cinica e pacioccona, crudele e omertosa, antica e modernissima, convinta che la verità la decida il più forte, che il nucleo oscuro del potere sia inconoscibile, che tutti noi, prima o poi, avremo un peccato da far perdonare. Spettacolo dopo spettacolo, il solitario Paolini evoca il conflitto tragico di questi due cori e ci chiede a quale vogliamo appartenere.

I-TIGI. Canto per Ustica
scritto da Daniele Del Giudice con Marco Paolini
con Marco Paolini e il Quartetto Vocale Giovanna Marini
Bologna, piazza Santo Stefano, 27 giugno 2000
Raidue, 6 luglio 2000
Compralo su Internetbookshop



Netmage

Il concept: Net versione. 0.2.

Netmage 2001 si presenta in una nuova versione.
Abbiamo voluto “tradire” i presupposti di continuità che caratterizzano di solito le tradizioni festivaliere.
Occupandoci di innovazione ci siamo costretti a pensare che la formula di questo appuntamento dovesse essere pensata come un sistema di possibili variazioni, declinazioni che, mutando nei formati e nelle modalità di presentazione, ci consentissero di seguire con maggior elasticità le mutazioni di scenario di un area produttiva i cui confini sono sfumati e che attende ancora forme precise di definizione e di collocazione.

Netmage 2001 si concentrerà quest'anno principalmente sulle pratiche del design immateriale con l'obiettivo di cogliere lo stato del gusto e i trend di stile più attuali riferiti al continente europeo.

Un dispositivo progettato appositamente (una arena multiscreen) permetterà la visione di materiali inediti e realizzati ad hoc per il primo contest europeo di video-jing.
Lo stesso dispositivo verrà utilizzato frazionando diverse aree di proiezione, sfruttando le possibilità on-off del meccanismo del multiscreen – schermi accesi e spenti -, per consentire la visione di materiali retrospettivi selezionati dalla redazione del festival. Il multiscreen consentirà queste forme di “cambio palco”.
Si tratta di andare incontro ad una necessità di presentazione che occupandosi di materiali che potremmo definire post-cinematografici, trova discrete difficoltà di presenzializzazione nel tradizionale dispositivo di proiezione da sala.
Grande attenzione verrà posta infine alla emissione sonora, tenuto conto del fatto che i visual-live saranno nella maggior parte dei casi accompagnati dalle performances di musicisiti elettronici e djs, partners molto spesso elettivi delle crew di produzione visisiva invitate.

A questo ambiente spiccatamente sinestesico si affiancheranno aree di servizio e consultazione di materiali e repertori degli ospiti in programma nel festival.
Dobbiamo sottolineare che il meeting investirà questa’anno una area di produzione contraddistinta oltre che da un forte approccio multidisciplinare e mixedmediale, anche da una capacità produttiva che si esplica in oggetti diversi: dall’advertising alla videografica, dal web-design alla produzione editoriale fino a forme di espressione installativo/performative molto vicine all’universo delle arti visive.
Netmage à la carte, consentirà pertanto la visione di questi molteplici prodotti, rispetto ai quali il visual live non rappresenta altro che un momento di verifica empirica in relazione all’impatto di ritmi iconografici e tracce di gusto nei confronti di un pubblico vivo e presente.

Una serie di workshop pomeridiani e interventi speciali completeranno il programma consentendo nella fascia pomeridiana un incontro ed una preziosa testimonianza di esperienza con alcuni dei protagonisti del visual/styling contemporaneo.
La presenza degli ospiti dei workshop, delle special guest che si esibiranno nell’arena, dei partecipanti al contest europeo, del pubblico, rappresentano le premesse di un meeting internazionale che riteniamo abbia grande senso istituire proprio in questo settore e in questa epoca di tele-comunicazione generalizzata.

L’articolazione dell’evento: il contest europeo.

L’arena multiscreen è un videodromo, ossia un ambiente dedicato alla percezione di suoni e di immagini elettroniche (multi-fonia e multi-proiezione).
Il Videodromo sarà l’arena per un inedito confronto internazionale dedicato alla nuova, instabile e perciò quanto mai stimolante disciplina del Vjing.
Ci risulta essere il primo contest internazionale dedicato a questa disciplina.

Un bando internazionale di partecipazione ed alcuni special guest faranno vivere questo dispositivo nell’arco di tre giornate: giovedì, venerdì, sabato.

Il Vjing.

Mixare immagini, grazie allo sviluppo di impianti di video-proiezione e diverse piattaforme tecniche di manipolazione e mixaggio, è divenuta ormai una pratica abbastanza diffusa.

L’ “arte” del Vj, sviluppatasi in modo complementare al ben più noto lavoro dei “miscelatori di suoni” (Dj) è un sistema di arricchimento percettivo e spettacolare che si affianca, sul piano visivo, a quella già espressa dai sound systems sul piano sonoro, attraverso l’uso di uno o più schermi, consentendo così una maggiore versatilità ed un’alta qualità performativa e di intrattenimento.

Ma c’è di più: in quanto sistema più o meno complesso di videoproiezioni, il dispositivo del Vjing diventa un vero e proprio medium in sé, in grado di ospitare immagini - live e non – appartenenti a campi e generi espressivi diversi.

Il Vjing perciò sta ampliando sempre più i suoi confini, arrivando a comprendere prodotti di operatori provenienti da ambiti come il design o la produzione televisiva oltre che dai contesti più disinvoltamente mixed-mediali.

Oltre allo specifico valore spettacolare, il Vjing si è rivelato infatti come una vera e propria palestra di sperimentazione sul gusto visivo e sullo styling per diverse generazioni di operatori multi-media.
Un contesto come quello di cui stiamo parlando è caratterizzato perciò, oltre che dal dato spettacolare più evidente e immediatamente percepibile, da un aspetto conoscitivo non secondario sugli scenari degli orientamenti di gusto e sulle estetiche visive contemporanee, che vivono spesso su molteplici piattaforme mediali.

Le connessioni con altre aree di sensibilità contemporanee – quella musicale, innanzitutto e quelle visive nel loro complesso – pongono dunque questo fenomeno in un interessante incrocio rispetto al quale Netmage, un festival che si occupa per statuto di immagine contemporanea, non poteva essere indifferente.

A differenza di altri contesti di presentazione, Netmage vuole mettere al centro la natura visiva di questo fenomeno e svilupparne, entro i limiti del possibile, le conseguenze con una decisa attenzione rispetto alle varie ricadute di ordine produttivo, sociale ed estetico.
E’ per questo che, ribaltando il piano rispetto a talune consuetudini, al centro della attenzione proponiamo la “visione” e le sue qualità, sviluppando una concezione di “visual-system” curata con pari attenzione rispetto all’elemento sonoro, producendo di fatto un ambiente sinestesico decisamente “potenziato”.

I contenuti Videodrome

I materiali che animeranno il Videodrome provengono da due fonti distinte e complementari: una selezione speciale di circa 20 “emergenti” ottenuta tramite un concorso internazionale e alcuni special guests selezionati tra i partecipanti ad altre sezioni del festival, nel tentativo di coprire in modo il più possibile ampio ed estensivo la produzione europea sia già riconosciuta che emergente e ancora da esplorare.

Il programma

NETMAGE 02
Diesel/Netmage Award

Intro

La seconda edizione di Netmage Festival, Netmage 02, si presenta al pubblico sotto una veste nuova e per molti aspetti inedita: un Vj contest internazionale, il Netmage/Diesel Award,  accompagnato da un programma di workshop e da un evento performativo/teatrale.

Attraverso la modalità del vjing – performance basata sul mixaggio di immagini e suoni live - Netmage 02 indaga un’area di produzione contraddistinta da un forte approccio multidisciplinare e mixedmediale: dall’advertising alla videografica, dal web-design alla produzione editoriale fino a forme di espressione molto vicine all’universo delle arti visive.

Dal punto di vista allestitivi e spaziale la nuova forma di Netmage 02 si concretizza in un dispositivo di diffusione e di visione “post-cinematografico”, multisensoriale ed immersivo: un’arena visiva multiscreen dove le immagini più che essere proiettate vengono, letteralmente, “performate”.

Dietro allo spettacolo, però, non solo puro intrattenimento. Da multiscreen e sound system provengono suoni e immagini che sono indicatori decisi di gusti, di estetiche, di stili, di universi biografici, di immaginari.

Un’area attrezzata consente, su richiesta, una visione più attenta di repertori originali, fonti, referenze e produzioni molteplici degli ospiti selezionati o direttamente invitati dallo staff di Netmage.

Uno spazio quotidiano di approfondimento e workshop con personalità di spicco dell’area creativo/produttivo europea consente infine di approfondire gli eclettici repertori dell’immaginario visivo contemporaneo.

Vj Contest: Netmage/Diesel Award
Netmage 02 ospita il primo contest internazionale di vjing  al termine del quale verranno asseganti i due premi del Netmage/Diesel Award.
Il vjing è una modalità spettacolare che si affianca, sul piano visivo, a quello che rappresenta il djing o i “live electronics” sul piano sonoro, ottenendo una grande versatilità ed un’alta qualità performativa e di intrattenimento attraverso la proiezione e il rimixaggio di immagini in tempo reale su uno o più schermi. I 109 team che hanno risposto da tutto il mondo al bando del Diesel/Netmage Award, provengono da ambiti quali il design immateriale, la produzione televisiva, oltre che naturalmente dai contesti tipicamente mixed-mediali. Oltre che un contest Netmage è perciò anche un meeting point per i molti e inafferrabili protagonisti di questi mondi diversi e tangenti.

Workshop
Il programma di workshop di Netmage 02 è affidato quest’anno a tre differenti realtà europee con cui il Festival ha aperto un progetto di collaborazione – Batofar, Onedotzero, Plug&Play - tre strutture relativamente diverse tra loro, accomunate dalla comune identità di realtà osservativo/produttive di primaria importanza nel vivace e metamorfico terreno della produzione innovativa elettronica e digitale di immagini e suoni.
Le tre città di provenienza, Londra, Parigi e Roma, rappresentano altrettanti spunti per questo triplice appuntamento pomeridiano, impostato sulla visione, l’ascolto e la discussione.
Si tratta di scenari produttivi di città “capitali”, situate in quel contesto di comunicazione mediata, digitale e telematica, che meglio può rendere conto dell’interessante dialettica tra “scuola locale e nazionale” e nuovo “international style”.
Gli incontri consistono in una presentazione della struttura di riferimento e dei singoli ospiti da questa proposti, con screening di produzioni video e materiali multimedia fra progetti commissionati specificatamente e percorsi biografici.

Giovedi 6  H 21.00
Venerdi 7   H 21.00 + replica H 23.00
Sabato 8  H 21.00 + replica H 23.00
Domenica 9  H 21.00
parcheggio sotterraneo Piazza VII Agosto
MOTUS
ROOM 101
...we'll slide down the surface of things…

Netmage lounge/à la carte
Netmage 02 mette a disposizione del pubblico nelle ore pomeridiane un’area attrezzata di consultazione, uno spazio di fruizione individuale appositamente studiato dove è possibile consultare tutti i materiali presentati all’interno del Festival: dalle selezioni di video dei workshop a tutto quanto può costituire showreel, sguardo retrospettivo attraverso opere e contributi audio, video e multimedia sia delle guest sia soprattutto dei prescelti finali per il Vj Contest. In questa sezione sono resi disponibili inoltre i materiali di team e autori vj che, pur non essendo stati selezionati, rappresentano spaccati professionali di qualità indiscutibile, in vista anche di un’ipotetica prima mappatura internazionale. Netmage lounge/à la carte, consentirà una visione completa di questi molteplici prodotti, rispetto ai quali il visual live non rappresenta altro che un momento di verifica in relazione all’impatto di ritmi iconografici e tracce di gusto nei confronti di un pubblico.

PROGRAMMA
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Giovedì 6 dicembre
H 15.00 Scuderie Bentivoglio, area Forum:
BATOFAR (Paris): Lola Duval, Daniel Klein, Cécile Paris.
Batofar è un progetto pluridisciplinare realizzato a bordo di un battello ormeggiato sulla Senna a Parigi, interamente ristrutturato e trasformato in spazio per spettacoli. Batofar articola le sue attività intorno alle forme artistiche urbane tentando di mettere in discussione la città contemporanea. Le attività si svolgono a bordo del battello ma anche al di fuori, nel 13° arrondissement dove è situata la struttura, oppure all’estero. Batofar diffonde forme espressive provenienti dall’ambito urbano (musica elettronica e sperimentale, audiovisivi, installazioni multimedia, performance), accoglie artisti in residenza sul tema della città, ospita autori provenienti da città estere, produce incontri pluridisciplinari e rassegne attraverso lo scambio con strutture analoghe con sede nelle città prescelte (sinora Berlino, Barcellona, Budapest, Londra, paesi nordici, Vienna). Inoltre Batofar realizza progetti che consentano la promozione all’estero di artisti francesi poco noti o mal distribuiti. L’attività di Batofar è incentrata sulla programmazione musicale, con un deciso orientamento sulla musica elettronica e sperimentale in un’area che va dalla musica colta al dance floor passando attraverso l’improvvisazione e l’incontro di strumenti e macchine. Batofar si propone di colmare la frammentazione del pubblico soprattutto nella spaccatura fra musica colta e musica pop e di aprirsi come piattaforma, luogo di incrocio e interdisciplinarietà alla scoperta di nuovi fenomeni.
Batofar è diventato con gli anni un punto di riferimento per i produttori parigini in diverse aree disciplinari, fornendo un ausilio produttivo e una efficace vetrina, e restituendo al suo pubblico uno confronto aggiornato con gli scenari internazionali di produzione culturale innovativa.

Lola Duval, grafica di formazione si è presto orientata verso l’ambito delle nuove tecnologie. Ha lavorato come art director sia per la mostra Nouveaux réseaux, nouvelles images alla Vilette di Parigi sia in ambito editoriale. Si occupa dell’immagine coordinata di Batofar e, contemporaneamente, insegna all’Ecole Nationale Superiore des Beaux Arts di Parigi, lavora per il circo 360, il canale ARTE (con un progetto di fotoromanzo sul sito di Arte stesso). Ha inoltre lavorato per progetti espositivi e mostre d’arte fra cui ZAC 99 al Musée d’Art Moderne de la ville de Paris.

Daniel Klein, nato nel 1973 a Merzig in Germania, ha una formazione nell ' ambito dell ' animazione. Realizza fra 1995 e 1998 una serie di cortometraggi super8 con il gruppo La Lueur Déchirée. Con il collettivo Poilutation cyclique nel 2000 presenta invece una serie di installazioni e progetti visivi per conto del Batofar a New York e all’ICA a Londra. Sotto lo pseudonimo Jürgen Lego realizza videoclip per, fra gli altri, Console, Russ Gabriel e Philippe Catherine.
E’ inoltre autore dei flyer interattivi per la serata Infamous Labels del Batofar.

Cécile Paris è artista visiva e lavora principalmente con foto, video e installazioni. Il suo lavoro prende forma in spazi privati e pubblici urbani che lei stessa attraversa osservandoli ed interrogandoli. Le sue opere restano spesso effimere, percepibili solo come semplici slittamenti, cambiamenti di scala e spostamenti di materiali. Ha esposto in mostre personali e collettive fra cui recentemente Traversée al Musée d’Art moderne de la ville de Paris, Street Life presso la galleria chez valentin, e La ville en projet, al Magasin, Centre d’Art Contemporain di Grenoble (1998). Batofar ha presentato Cécile Paris e la sua ricerca in occasione di Nouvelles Scènes, festival svoltosi a Dijon nel 2001 e per il Downtown Arts Festival, a New York nel 2000.
 
 

H 22.OO Scuderie Bentivoglio:
Vj Contest
Selected 1
Selected 2
Selected 3
Selected 4
Selected 5
Selected 6

H 00.30 Scuderie Bentivoglio:
Live show (presented by Batofar): Norscq (F)
Norscq è un musicista elettronico che vive e lavora a Parigi e viene considerato uno degli personaggi-chiave della scena underground francese degli ultimi quindici anni. Nel 1984 ha fondato il gruppo iconoclasta The Grief, è stato ingegnere del suono e produttore per Von Magnet e Quattrophage, Wild Shores e Mimetic Fields. E’ un artista prolifico con una gamma espressiva, sempre nell’ambito dell’elettronica, che va dall’ambient alla ritmicità più esplosiva. La sua ricerca si svolge contemporaneamente con il progetto “orientalista” The Atlas Project, di cui Barbaresque e Wechma (cd/Cd-Rom) sono gli album sin qui pubblicati, viaggi in paesaggi sonori fatti di una musica ibrida che incrocia elegantemente scenari del Mahgreb con un’elettronica “di lusso” che può vantare confronti altisonanti (Aphex Twin, Autechre, Pansonic). Per ogni progetto il misterioso Norscq invita a collaborare un artista nel suo laboratorio di ricerca, come è accaduto con Servovalve per l’album Wechma. Lavatronic è il primo e più recente album di Norscq, ancora un itinerario magico in texture cool e minimali punteggiate di click, blip e drones che lo avvicinano all’immaginario sonoro di artisti come Pole o Farben e all’universo dell’etichetta tedesca di culto Mille Plateaux. Ogni live di Norscq è accompagnato da visual in forte sintonia con i molti mondi evocati dalla sua musica.
 

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Venerdì 7 dicembre.
H 15.00 Scuderie Bentivoglio, area Forum:
ONEDOTZERO (London): Shane Walter, Richard Fenwick, Michael Faulkner, Tim Hope
Onedotzero, adventures in moving images, è un festival diretto da Matt Hanson e Shane Walter nato nel 1996. Onedotzero si occupa principalmente di effettuare una ricognizione a livello internazionale nell’area dell’innovazione del film digitale e dei new media. Una delle specificità di Onedotzero è la produzione di audiovisivi presentati in occasione della rassegna annuale stessa, tradizionalmente in primavera presso l’ICA di Londra. Dal 2001 onedotzero torna alla produzione televisiva con onedottv un progetto di dieci film commissionati da Channel 4. L’ultima edizione del festival ha visto alternarsi lavori di ricerca nell’area del digitale da tutto il mondo, oltre a selezioni di opere new media, workshop, installazioni, live performance interattive e night clubbing. Il festival è un appuntamento fondamentale nell’ambito della cultura digitale e delle infinite vie e possibilità dell’immagine-movimento contemporanea. Onedotzero è inoltre un progetto di rassegna itinerante nel Regno Unito ed in Europa e, con il workshop Pioneering. original event digital creativity event, si presenta per la prima volta in Italia.
 

Shane Walter, co-direttore di onedotzero, è fotografo di formazione con esperienza pluriennale nelle performing arts (compagnia 606). Ha lavorato nell’area del multimedia/new media come producer di progetti interattivi e giochi per aziende informatiche, realizzando oltre 50 fra Cd-Rom e opere interattive.

Richard Fenwick (Newcastle, 1973) ha studiato graphic design lavorando presto nell’area televisiva per Channel 4 e Carlton Television. E’ stato uno dei key designers per l’immagine di rete di Filmfour Channel. Attivo come designer e regista Fenwick ha lasciato il progetto Static per co-fondare OS2, casa di produzione cinematografica indipendente e d’avanguardia. Il suo primo film è States, selezionato da onedotzero e dal Resfest seguito da opere in digitale e film ‘tipografici’. Lavora per clienti istituzionali e grandi aziende percorrendo la via dell’intreccio fra regia e graphic design nella realizzazione di cortometraggi, commercials e clip video (fra cui per Death in Vegas, Teenage Fanclub, Sander Kleinenberg, The Servant, Lights). Alla fine del 2000 ha ricevuto la nomination come ‘best new director’ ai 2001 Creative and Design Awards. Fenwick prosegue inoltre un lavoro di sperimentazione e ricerca con progetti personali e promo per etichette musicali indipendenti di qualità come Rephlex.

Michael Faulkner è graphic designer e artista multimedia residente a Londra. E’ fondatore di D-Fuse, agenzia di design nell’area dei new media e associazione di visual designer dal Regno Unito, gli Usa e l’Europa. D-Fuse progetta installazioni e vj set per la scena dei club, facendo uso di video, fotografia e media informatici, disegna e mantiene siti web, crea film e progetti di corporate identity per aziende e istituzioni.
“D-fuse are realising concepts and transmitting ideas throughout the whole media-scape.
D-fuse abuse the tools of the digital revolution, filter the streams of
data, experiment and develop a unique language for the needs of the digital world
D-fuse output spans from communicating ideas to time-based art, from CYMK to RGB, from web-concepts to motion-graphics – diversity is our asset”.
 

Tim Hope, uno degli animatori britannici di maggior importanza. alterna un percorso di ricerca personale con opere di tipo commerciale e clip video. La bizzarra animazione The Wolfman ha vinto un gran numero di premi, tra cui il McLaren Animation Prize, presso l’Edinburgh Film  Festival 2000, il Japan Digital Animation Festival e le categorie Cutting  Edge and Public Choice per l’animazione ai British Animation Awards nel 2000. Nel maggio 2000 Tim Hope ha raggiunto la società Passion Pictures  come regista di video musicali e commercials. Fra le sue realizzazioni Don’t Panic per Coldplay e I Walk the Earth per King Biscuit Time con cui ha vinto il premio per il miglior clip musicale di animazione al festival di Annecy 2001. Recentemente Hope ha realizzato per Playstation 2 di Sony The Wolfman e un nuovo video per Coldplay per il brano Trouble.
 

H 17.30 Scuderie Bentivoglio, area Forum:
Screening #1, presented by onedotzero: Wawelenght 01
Wavelength 01
Visioni d’autore di promo, video musicali e commerciali da onedotzero5: Richard Kenworthy/Shynola, H5/Antoine Bardou – Jacquet + Ludovic Houplain, Geffroy de Crecy, Tim Hope, …
 

H 22.OO Scuderie Bentivoglio:
Vj Contest
Selected 7
Selected 8
Selected 9
Selected 10
Selected 11
Selected 12

H 24.00 Scuderie Bentivoglio:
Screening #2, presented by onedotzero: J-star 01
J-star è un eclettico mix del meglio del visual style dal Giappone, con animazioni, clip video, promo commerciali e videografiche con opere di: Hideyuki Tanaka, Furi Furi,  Satoshi Tamioka, Gen Sekiguchi, …

H 00.30 Scuderie Bentivoglio:
Live show: Farmersmanuelle (A)
Farmersmanuelle o Farmers Manual è un team di sperimentazione digitale fondato a Vienna nel 1995 da Mathias Gmachi, Stefan Possert, Oswald Berthold e Gert Brantner, cui contribuiscono occasionalmente ulteriori collaboratori. Referenti fondamentali della laptop generation, un’area performativa musicale che fa uso quasi esclusivamente di Powerbook Apple e loro eredi, i Farmers rifiutano ormai l’attributo di sperimentatori elettronici vedendosi proiettati esclusivamente nell’universo produttivo digitale che attraversano con progetti web, riflessione teorica, prodotti multimedia e performance. In quest’ultime, esoteric exercises in mobile computing, sotto il motto di Total automation vs. Human interaction, Farmersmanuelle fa uso di immagini provenienti dal web, replicandole e decostruendole secondo un’estetica tipica dell’area antagonista della rete, tutta incentrata sull’utilizzo del cascame e del rumore possibile generato involontariamente o indotto dalla macchina e dal suo linguaggio. A questo scenario visivo è abbinato un live basato su frequenze estreme e distorsioni, dissonanze e loop, per uno show intenso a metà fra un’installazione e il live di uomini e macchine. I Farmersmanuelle si sono esibiti nei principali centri d’arte e festival di ricerca internazionali dedicati a musica elettronica e ricerca multimedia. Legati alla Mego, etichetta viennese di referenza e culto assoluto a livello internazionale, hanno all’attivo cinque album e partecipazione a numerose compilation. I Farmersmanuelle si esibiscono a Netmage per la prima volta in Italia.
 

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Sabato 8 dicembre
H 15.00 Scuderie Bentivoglio, area Forum
PLUG&PLAY, presentato da Ala Est (Roma)

PLUG&PLAY è il primo prodotto on-line dell'OSSERVATORIO SULLA CREATIVITA' NEI MEDIA INTERNAZIONALI strutturato per individuare casi e marchi di produzione che si sono distinti con successo nel mercato internazionale dei programmi radio-tv e dei contenuti per Internet. Si tratta di casi di produzione ad alto tasso di contenuto ideativo, esempi in cui la catena virtuosa della creatività è stata messa alla prova dalla realizzazione industriale e dall'inserimento nel circuito mediale mondiale. L’OSSERVATORIO (in fase di allestimento per gli utenti di internet), intende indirizzarsi a tutti coloro che siano interessati a completare il loro bagaglio d'informazione sulla creatività attraverso un servizio di aggiornamento internazionale ed è rivolto principalmente studenti e ricercatori del mondo della comunicazione, giovani autodidatti che sperimentano la "creazione" digitale, operatori professionali del settore della produzione indipendente, broadcaster.
 

H 22.30 Scuderie Bentivoglio, area Forum
Vj Contest: Netmage Diesel Awards, premiazioni

H 23.00 Scuderie Bentivoglio:
Live show: Santi Saule (I/B) super8 vj-iing

H 23.30 Scuderie Bentivoglio:
Vj contest
Live Show vincitori Netmage Diesel Award: 2°-1°

H 00.30 Scuderie Bentivoglio:
Live show (presented by Batofar): Dat Politics (F)
Dat Politics è un quartetto di “laptop musicisti” francesi di Lille. Mescolando ricerca sonora e puro divertimento Dat Politics propone una musica fondata su una tecnologia middle-class, una pop elettronica petulante e a tratti acida, composta di segnali digitali corrosivi e suoni acustici bislacchi. Dat politics ha dato vita nel 1999 a Skipp, una propria etichetta con quattro pubblicazioni all’attivo, sostenuta da label americane, giapponesi e tedesche come A-musik, Mille Plateaux, Digital Narcis e Fällt. I Dat hanno al proprio attivo tre album, Villiger, per A-musik, Tracto Flirt per l’etichetta Tigerbeat6 e Sous hit per Digital Narcis. Loro pezzi sono inoltre presenti in varie compilation di indubbia qualità a fianco di protagonisti della ricerca elettronica contemporanea come Kid 606, to rococo rot, Fennesz, Autechre, Pansonic, Matmos, Aphex Twin, R. Ikeda, Noto, Tone rec, Farben, F. Kubin, … E’ possibile parlare di Dat Politics come di imprenditori low tech che, disegnando direttamente il proprio sito e le copertine dei propri cd e surfando in un universo sonico electro-noise, esplorano a fondo le possibilità della home-production. Dat Politics si sono esibiti nei principali club, centri d’arte e festival di ricerca internazionali. Ai live di Dat Politics si accompagnano visual caotici e multiformi, perfetto pendant del loro universo digitale spasmelodico.
http://www.ski-pp.com

Giovedì 6 – Domenica 9
Motus (I): Room 101. Parcheggio sotterraneo di Piazza VII Agosto. H 21.00 - repliche Ven 7 H 23.00 + Sab 8 H 23.00
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 Giovedì 6 Venerdì 7 Sabato 8
 H15 Workshop presentato da
Batofar
Parigi H15 Workshop presentato da
Onedotzero
London H15 Workshop
PLUG&PLAY
Roma
 H 22 Vj contest
Selected 1
Selected 2
Selected 3 H 22 Vj contest
Selected 7
Selected 8
Selected 9 H 22.30 Vj contest
Assegnazione di
NetmageDiesel Awards
 

 H 23 Vj contest
Selected 4
Selected 5
Selected 6 H 23 Vj contest
Selected 10
Selected 11
Selected 12 H 23.00
Santi Saule (I/B)
super8 vj-iing
 

 H 24 Onedotzero video screening:
J-Star H 23.30 Vj contest
Show 2°-1°

 H 00.30 Guest
Norscq
Presented by Batofar H 01.30 Guest
Farmersmanuelle (A) H 00.30 Guest
Dat politics (F)
Presented by Batofar

Credits
Netmage 02

Prodotto da Xing in collaborazione con Diesel

All’interno del programma di “Via Zamboni Strada delle Arti. Spettacoli, concerti, mostre, emozioni.” Del Comune di Bologna.

Supported by:
-Adcom
-Apcoa Parking
- AFAA (Association Française d'Action Artistique, Ministère des Affaires Etrangères)
- Blow Up
- British Council
- Edizioni Zero
- Gianni Grassilli Sound Service
- Kartell
- Kataweb
- RaiSat
-Tele+/D+

Direzione: Daniele Gasparinetti e Andrea Lissoni
Fundraising e comunicazione : Giovanna Amadasi
Sezione performativa: Silvia Fanti
Direzione generale esecutiva: Davide Rossi, Paolo Liaci
Ufficio Stampa: Silvia Fanti, Nelsy Leidi
Promozione: Simona Pari
Accoglienza: Sandra Murer
Ottimizzazione bilancio: Adelaide Ronchi
Coordinamento area lounge/à la carte: Valentina Monti
Design: Loew & associati
Styling e illuminotecnica: h-amb

Premio Netmage/Diesel Award
Coordinamento generale: Lino Greco
Comunicazione e rapporti con Diesel: Giovanna Amadasi
Diesel: Luigi Mezzasoma, Valentina Tagliamacco
Preselezione partecipanti:
Silvia Fanti, Daniele Gasparinetti, Lino Greco, Andrea Lissoni, Andrea Mi.

Giuria:
Carlo Antonelli, Alberto Piccinini, Daniele Del Pozzo, Massimo Coppola, Lola Duval (Batofar), Shane rj Walter (Onedotzero), XY (Diesel).

Si ringraziano per la preziosa collaborazione: Andrea Amichetti, Brendan Griggs, Giancarlo Cammarota, Cheti Corsini, Julie De Meur, DNAconcerti, Anna Doyle, Marzia Kromauer, Paolo Giaccio, Laprimavolta S.r.l., Roberto Grandi, Stefano Isidori Bianchi, Isabelle Mallez, Claudio Naccari, Federica Rossi, Teatro Comunale di Bologna, Enrica Viola, Johannes Wilms, Marco Zanzi, Giovanna Zapperi.

www.netmage.it
www.xing.it
www.diesel.com
 


Appuntamento al prossimo numero.

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