(78) 19/12/04

ateatro è molto più buono di Babbo Natale (o no?)
L'editoriale di ateatro78
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and1
 
L'opera d'arte totale del XXI secolo
Andrea Balzola – Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali, Garzanti, Milano, 2004
di Erica Magris

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and4
 
Una linkografia essenziale per Le arti multimediali digitali
Siti e opere di artisti, banche dati eccetera
di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and5
 
Storia, teoria e pratica della critica teatrale
Lo sguardo che racconta. Un laboratorio di critica teatrale di Massimo Marino, Carocci
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and7
 
Peter & Robert, rock e teatro in tour
Il teatro di Robert Lepage nei concerti di Peter Gabriel
di Andrea Lanini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and8
 
Il sangue vero: in scena La belle époque della Banda Bonnot da Boris Vian
Il disco e lo spettacolo di Giangilberto Monti
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and10
 
Pettegolezzeria: un corcorso di idee per il Teatro dell'Arte
Le migliori menti della mia generazione (e non solo) in soccorso del Crt
di Perfida de Perfidis

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and15
 
La scommessa di «Ubu Settete»
Cronaca di una pratica (buona?)
di Redazione di «Ubu Settete»

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and20
 
Le recensioni di "ateatro": Bang Bang/in Care - Filottete e l’infinito rotondo
Uno spettacolo di Giancarlo Cauteruccio con Patrizia Zappa Mulas
di Pietro Gaglianò

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and25
 
Le recensioni di "ateatro": Edoardo II di Christopher Marlowe
Traduzione di Letizia Russo, regia di Antonio Latella
di Tiziano Fratus

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and29
 
Teatro e disagio
Il convegno “Teatri di Roma, percorsi di inclusione sociale”
di Erika Manni

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and30
 
Le commedie di Eduardo in DVD
In vendita dal 15 dicembre
di 01 Distribution

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and81
 
Selezione del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards
Per la nuova sessione 2005-2006
di Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and82
 
I Premi Ubu 2005
E il Patalogo 27
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and83
 
Taglio del 20% ai fondi per lo spettacolo: a rischio 10.000 posti di lavoro
Il comunicato stampa del 10 dicembre
di Direttivo Tedarco

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and85
 
Silvio Berlusconi al Festival di Sanremo 2005?
Una voce che non leggete sul Dizionario dei cantautori
di Giangilberto Monti

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and86
 
Il teatro di ricerca manifesta contro i tagli
Giovedì 16 dicembre alle 14.30 a Montecitorio
di Tedarco

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and87
 
Valerio Valoriani direttore della Pergola
Fino al 31 marzo 2005
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and90
 

 

ateatro è molto più buono di Babbo Natale (o no?)
L'editoriale di ateatro78
di Redazione ateatro

 

Babbo Natale ha portato al teatro e allo spettacolo un bellissimo regalo: un sostanzioso taglio al FUS, dentro il pacco dono annuale del governo agli italiani, la Finanziaria. Era prevedibile (da anni), lo abbiamo scritto (per anni). Abbiamo anche scritto (fino alla nausea) che il sistema teatrale italiano ha reagito a questa prevedibile stretta in maniera puramente difensiva: arroccandosi sui diritti acquisiti, riducendo ogni margine di rischio, aspettando che a cadere fossero i più deboli. Così l’avanguardia è diventata la retroguardia, quella che protegge le spalle durante la ritirata e spesso ci lascia le penne...
Non ci voleva una gran fantasia a immaginare che le cose sarebbero finite così. Ma questo è solo l’inizio, perché questa ritirata finora ordinata (in apparenza) rischia di trasformarsi in una disfatta rovinosa, in un «Si salvi chi può» quando i tagli al FUS, cui si aggiungeranno quelli – più difficili da quantificare sull'immediato, ma ancora più pesanti – degli Enti Locali, manderanno qualche corazzata del teatro italiano (leggi grossi stabili e compagnie) al di sotto della linea di galleggiamento.
In questa situazione, forse ha qualche possibilità di salvarsi chi è in grado di contare soprattutto sulle proprie forze, senza sperare in un aiuto dall’alto. Insomma, chi del sostegno pubblico non ha finora goduto (o ha goduto poco), chi ha vissuto il teatro come necessità, e non come mestiere o dovere. Chi è in grado di immaginare e di inventare nuove forme di organizzazione e di rapporto con il pubblico. In questa direzione andavano le nostre piccole Buone Pratiche, che dovranno dimostrare la loro bontà natalizia in un momento abbastanza accidentato. (Ci sono anche un sacco di cattive pratiche in giro, però: provate a leggervi la richiesta di aiuto postata da Mimma Gallina nel forum apposito, e cercate di contribuire partendo dalla vostra esperienza).

Ma basta lagne. Perché ateatro è molto più buono di Babbo Natale e anche con il numero 78 vi fa un sacco di regali – e vi consiglia qualche regaluccio per amici e fidanzati, amiche e fidanzate (e parenti). Naturalmente libri, perché ci occupiamo di cultura del teatro (e non solo di tagli al FUS, per fortuna).
In questo numero si parla della summa di Balzola Monteverdi Le arti multilediali digitali, e se avete capito di che cosa parla la sezione tnm di ateatro non potete farne a meno (insomma, fatevi un regalo). E poi, il saggio-laboratorio di Massimo Marino Lo sguardo che racconta, una riflessione sulle attuali forme della critica teatrale, un altro dei cavalli di battaglia di codesta webzine.
Ma ci sono altri libri interessanti da spacciare durante le feste (un libro costa poco, e fate sempre bella figura), così vi spifferiamo qualche altro consiglio editoriale dai precenti numeri della webzine.


Gli anni felici di Sandro Lombardi
Il testo del risvolto
di Dante Isella

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and22
 
La felicità del teatro
Sandro Lombardi, Gli anni felici. Realtà e memoria nel lavoro dell’attore, Garzanti
di Andrea Balzola

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro77.htm#77and7
 
Teatro della memoria memoria del teatro
Prefazione a il meglio di ateatro 2001-2003 a cura di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi
di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and10
 
Dal teatro alla rete al libro
Il teatro di Robert Lepage: un percorso di ricerca
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and14
 
Una tecnica del destino
Prefazione a Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2004
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and15
 
L'opera d'arte totale del XXI secolo
Andrea Balzola – Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali, Garzanti, Milano, 2004
di Erica Magris

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and4
 
Una linkografia essenziale per Le arti multimediali digitali
Siti e opere di artisti, banche dati eccetera
di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro78.htm#78and5

Se questi libri non comprate,
ignoranti voi restate,
il teatro non capite
e Marzullo vi beccate.


PS E se pensate che siamo favvero buoni, vi aspetta una nuova Pettegolezzeria di Perfida de Perfidis...


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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L'opera d'arte totale del XXI secolo
Andrea Balzola – Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali, Garzanti, Milano, 2004
di Erica Magris

 

Il volume miscellaneo Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio (Milano, Garzanti, 2004, pp. 622, € 27, 50), curato da Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi, è il primo in Italia ad affrontare il rapporto fra arti e nuove tecnologie in maniera ampia ed articolata, con uno sguardo che spazia fra forme e generi diversi e che assume una prospettiva insieme storica e teorica, etica ed estetica.
Il suo cardine è la nozione trasversale di multimedialità, oggetto di un fondamentale chiarimento terminologico e metodologico nell’introduzione. L’espressione "multimediale" indica, nell’uso corrente, l’integrazione tecnica di media differenti tramite il computer. Tuttavia, oltre a determinare una particolare condizione tecnologica, racchiude in sé un reticolo di implicazioni e di possibilità:

«il passaggio dalla tecnologia elettronica analogica al digitale ha trasformato i linguaggi artistici codificati, dando vita all’integrazione di precedenti forme artistiche e alla nascita di nuove; ha prodotto "rimediazioni" delle forme storiche dei mass-media; infine ha trasformato il contesto e le modalità di creazione.» (p. 11)

Partendo da questo assunto, i curatori hanno riconosciuto l’esistenza di un’idea di multimedialità precedente alla rivoluzione digitale, che, dal Romanticismo in poi, percorre la cultura occidentale come utopia della sintesi delle arti. La scelta di considerare i fenomeni attuali alla luce dell’osservazione del passato costituisce uno dei motivi di pregio del volume, poiché permette da un lato di costruire la consapevolezza storico-critica necessaria a valutare gli elementi di continuità e di rottura fra le arti pre e post-digitali, dall’altro di dare un più largo respiro alla riflessione sulla contemporaneità, uscendo dalla sterile polemica che vede contrapposti coloro che rifiutano le applicazioni artistiche delle tecnologie a coloro che ne esaltano acriticamente la novità.
La prima parte del libro – Verso la sintesi della arti. I precursori – è dedicata a richiamare le esperienze trascorse che costituiscono un patrimonio di memoria fondamentale per le sperimentazioni odierne. Al centro di questo insieme variegato si trova la Gesamtkunstwerk di Wagner, una sorta di catalizzatore che, raccogliendo e sviluppando le premesse dell’estetica romantica, ha generato, anche in virtù dei propri limiti, critiche e interrogativi che hanno animato la ricerca artistica nel corso del Novecento. Balzola e Monteverdi, studiosi provenienti entrambi dall’ambito teatrale, hanno accolto l’impostazione del volume curato da Denis Bablet e Elie Konigson L’œuvre d’art totale, pubblicato dal Laboratoire des Arts du Spectacle del CNRS nel 1995, e ne hanno ampliato gli orizzonti, estendendoli a campi artistici eterogenei. Il teatro resta comunque un punto di riferimento ricorrente delle sperimentazioni prese in esame. La scena è infatti il luogo privilegiato dell’idea di multimedialità, in quanto campo di incontro e di interazione dei diversi linguaggi artistici, "luogo di valori", secondo la definizione di Fabrizio Cruciani, in cui si esplica al massimo grado il rapporto fra arti, tecnica e società. Come sottolinea Anna Maria Monteverdi nel saggio Il laboratorio teatrale delle avanguardie (pp. 73-107) il teatro contemporaneo è "arte d’interpretazione, d’intervento e d’opposizione, sintomatica di una crisi generale della rappresentazione all’indomani delle rivoluzioni del 1848, influenzata sia dalle contemporanee innovazioni tecniche e teorie scientifiche sia dalle utopie rivoluzionarie di una nuova società" (p.74), in cui i linguaggi e le tecnologie tendono ad assumere il "valore antropologico e concettuale di maschera" (p. 82) per dichiarare "la visione di un mondo trasformabile" (p.75). La radicalità con cui le sperimentazioni teatrali novecentesche interrogano e mutano le molteplici relazioni presenti nell’evento teatrale – spazio-temporali, attoriali, spettatoriali, artistiche – le rendono un centro di irradiazione che entra in contatto con altre regioni del territorio multimediale: la musica, le arti plastiche, il cinema e, dalla seconda metà del Novecento, la videoarte, che sono affrontate nei diversi saggi. La polifonia delle voci degli autori, anche nel ricorrere dei medesimi elementi osservati da punti di vista differenti, rende la complessità delle questioni poste in campo dall’aspirazione alla sintesi delle arti, i cui leitmotiv concettuali risultano la tendenza al coinvolgimento percettivo e attivo dello spettatore nell’opera d’arte e la progressiva preminenza del processo sul prodotto.
Nella seconda parte del volume, Verso la sintesi del digitale. La genesi multimediale delle arti, tali elementi riemergono, trasformati e ulteriormente estremizzati. I numerosi interventi raccolti dai curatori compongono un quadro molto articolato, in cui vengono presi in considerazione i diversi campi di azione della multimedialità digitale nella loro dimensione sperimentale in fieri: le arti visive, con i mutamenti della fotografia e del cinema da un lato, e la novità dell’immagine di sintesi, che nasce dal calcolo e non ha più alcun rapporto generativo con la realtà materiale; la musica e la coreografia, dove stanno emergendo nuove possibilità di interazione fra composizione sonora e movimento; le arti dello spazio, il teatro e le installazioni, che creano delle inedite relazioni fra il corpo e l’ambiente; la scrittura, che, abbandona la linearità e il dispotismo creativo dell’autore per trasformarsi in ipertesto, dove blocchi testuali sono liberamente percorribili dal lettore, o in nuova drammaturgia multimediale, intesa come scrittura sinestetica dei linguaggi della scena. La riflessione dedica ampio spazio alla nozione di rete e di web, e si concentra su forme artistiche di recentissima invenzione, come la hacker art e la net art, che scardinano il concetto stesso di opera d’arte e che uniscono la protesta politico-sociale all’azione artistica. Il concetto chiave che accomuna queste esperienze brevemente citate è l’interattività, intesa in un senso più ampio e più problematico dell’interazione fra uomo e macchina. Come Balzola chiarisce nel saggio conclusivo di questa sezione, Principi etici delle arti multimediali (pp. 424-447), l’interattività ha il valore più ampio di "principio di interdipendenza", fra il fruitore e l’opera, fra diversi linguaggi, fra i soggetti che si trovano a collaborare. La figura dell’artista muta e tende a diventare un autore collettivo, in cui la creatività deve essere affiancata e supportata da competenze tecniche sempre più raffinate, e l’opera d’arte tende a trasformarsi in un laboratorio dell’esperienza. Balzola affronta un nodo che, come emerge sia dai singoli saggi che dall’impostazione generale dell’opera, i curatori considerano fondamentale: la necessità che un’esigenza etica forte animi le arti che si propongono di sperimentare la multimedialità digitale. In un mondo in cui la tecnologia è spesso usata per produrre illusione, per manipolare la realtà e per obnubilare il senso critico delle persone, l’arte, "il cui compito è stato di dare forme al pensiero, ha forse la possibilità di ridare pensiero alle forme"(p.435), smascherando i meccanismi tecnologici e inventando nuove modalità di utilizzazione in contrasto con quelle massmediatiche.
Il volume è completato da una terza parte intitolata Percorsi emblematici fra pratiche artistiche e teorie estetiche, composta di due sezioni complementari: una raccolta di 39 schede, che, in ordine cronologico, illustrano sinteticamente le opere più significative del panorama delle arti multimediali, dal Fregoligraph, dispositivo utilizzato dal trasformista Leopoldo Fregoli nel primo Novecento, allo spettacolo Voyage di Dumb Type del 2003; un’antologia di testi riuniti tematicamente e commentati dai curatori, in cui il lettore può ritrovare alcuni scritti dei teorici e degli artisti menzionati nei saggi. Il termine "percorso", scelto per definire quest’ultima parte, si addice a designare opera nella sua interezza, poiché in essa il lettore può "navigare" con libertà, definendo il proprio tracciato secondo i suoi interessi peculiari. La ricca bibliografia tematica che chiude il libro costituisce uno strumento ulteriore di approfondimento, per quegli studenti e studiosi, appassionati ed artisti che intendano acquisire una maggiora consapevolezza "est-etica", per dirla con le parole dei curatori, dei fenomeni tecno-artistici contemporanei.



Il sommario

VERSO LA SINTESI DELLE ARTI: I PRECURSORI
Andrea Balzola
L’utopia della sintesi delle arti dai romantici alle avanguardie storiche Sandra Lischi Le avanguardie artistiche e il cinema sperimentale Anna Maria Monteverdi Il laboratorio teatrale delle avanguardie Emanuele Quinz Dal Gesamstkunstwerk agli ambienti sonori. Linee di deriva della musica Gilberto Pellizzola Arte espansa: dal quadro alla performance. Coordinate per un tracciato (1895-1968) Marco Maria Gazzano Comporre audio-visioni. Suono e musica sulle due sponde dell’Atlantico alle origini delle arti elettroniche Alessandro Amaducci Prime luci elettroniche. Le tante origini della videoarte

VERSO LA SINTESI DIGITALE: LA GENESI MULTIMEDIALE DELLE ARTI
Fabio Amerio La mutazione digitale. Fotografia, cinema ed elettronica Mauro Lupone Suono, media e tecnologie: percorsi in divenire Tommaso Tozzi Dal multimedia alla rete: ipertesto, interattività e arte Antonio Caronia New media e narrativa Carlo Branzaglia La nuova comunicazione del web design e le trappole della rete Lorenzo Taiuti E-learning: arte e didattica via rete Maria Grazia Mattei Il percorso storico della computer art Valentina Tanni Net art: genesi e generi Simonetta Cargioli Oltre lo schermo: evoluzioni delle videoinstallazioni Andrea Balzola Verso una drammaturgia multimediale Anna Maria Monteverdi Per un teatro tecnologico Elisabetta Ajani Scenografie virtuali Saverio Barsali Il light design e lo spettacolo per il grande pubblico Alessandro Pontremoli La danza fra vecchie e nuove tecnologie Emanuele Quinz Coreografia digitale Antonio Camurri L’interazione uomo-macchina nell’informatica musicale Andrea Balzola Principi etici delle arti multimediali

PERCORSI EMBLEMATICI FRA PRATICHE ARTISTICHE E TEORIE ESTETICHE
39 schede di opere emblematiche tra arte, cinema, danza, musica e teatro.
Un’antologia commentata in tre parti: "L’opera d’arte totale, teatro, cinema, musica"; "I new media digitali, ipertesti, web, realtà virtuali"; "Estetiche delle arti tecnologiche", con testi tradotti, inediti e citazioni dei più significativi studiosi, teorici e artisti.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Una linkografia essenziale per Le arti multimediali digitali
Siti e opere di artisti, banche dati eccetera
di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi

 

Siti di artisti e gruppi e opere citati

Laurie Anderson

Jacques Polieri

Studio Azzurro

Critical Art Ensemble

Ricardo Dominguez (the thing)

www.rtmark.com

Giacomo Verde

Giardini Pensili-Roberto Paci Dalò

Robert Wilson

The Wooster Group

Merce Cunningham

Charlotte Davis

Mark Amerika

Realworld

Stelarc

Peter Gabriel

Dumb Type

Tam Teatro

Motus

www.xear.org

La Fura dels Baus

Marce-lí Antunez Roca

www.0100101110101101.org

ex Machina (Robert Lepage)

David Rokeby

Mark Reaney

www.jodi.org

etoy Corporation

Grammatron

digital hijack

Desktop Theater

Progetto Eutopie

The Tulse Luper Suitcase (Peter Greenaway)

The EyesWeb Project

Wu Ming

Luther Blisset

Indymedia

Eastgate

ALT-X


Data base su artisti, riviste digitali e siti di interesse tecnoartistico

Digital Performance Archive

Theatre Library (Libreria del Burcardo)

Olats (Observatoire Leonardo des Arts et des Techno-Sciences)

www.teatron.org (Carlo Infante)

Oliviero Ponte di Pino

www.ateatro.it

www.exibart.com

ars numerica (ex Céntre International de Crèation Vidéo P. Schaffer)

Zentrum fuer Kunst und Medientechnologie

anomos

ngv (New Global Vision)

nettime

CyberStage

Neural.it

Decoder

www.rhizome.org

Noemalab

Electronic Arts Intermix

www.theatredesign.org.uk

www.dancetechnology.com

www.scenografia.rai.it

www.digitalsetdesign.com/index.html

www.virtualsetlab.it

www.infomus.dist.unige.it/EywIndex.html


 


 

Storia, teoria e pratica della critica teatrale
Lo sguardo che racconta. Un laboratorio di critica teatrale di Massimo Marino, Carocci
di Anna Maria Monteverdi

 

Peter Brook, ne Il teatro e il suo spazio a proposito del mestiere del critico (non quello «mortale» bensì quello «vitale»..), prendeva atto che questi «rende sempre un importante servizio al teatro quando va a snidare l'incompetenza» ed è un «vero alleato per scoprire chi attraversa il teatro irresponsabilmente».
E aggiungeva: «I nostri rapporti con i critici possono apparire tesi, ma in profondità si tratta di rapporti assolutamente indispensabili». Presenza necessaria quindi, che si tratti di un acuto analista del lavoro teatrale o di una rassicurante presenza «familiare»: «Non vedo che del bene nel lavoro del critico che scava nella nostra vita privata che cerca di incontrare gli attori chiacchierando, discutendo, osservando, intervenendo. Non mi dispiacerebbe persino che mettesse mano al medium, tentando di lavorarci in proprio».
Mi sono venute in mente queste frasi mentre terminavo di leggere Lo sguardo che racconta. Un laboratorio di critica teatrale (Carocci, Roma, 2004, 200 pp., 16,10 euro), il bel libro di Massimo Marino, giornalista e critico dell’«Unità», che prende in esame proprio il tema della critica teatrale, a partire anche dalla sua personale esperienza di insegnamento universitario al CIMES di Bologna in collaborazione con il DAMS. Marino si pone l'obiettivo di disegnare i contorni della critica moderna dall'inizio del secolo a oggi – con un'attenzione però anche alla proposta pratica di esercizi di analisi e di descrizione – partendo dalla sua «storia», dai modelli di scrittura e fa il punto sui dibattiti passati e presenti, sullo svecchiamento apportato al mestiere del critico da sperimentazioni, ideologie, politica, tecnologie (dal critico militante al critico «navigante» al critico impuro), sulle trasformazioni e sulle reciproche influenze di scrittura critica e poetica teatrale, infine sulla stessa messa in crisi della critica. Qual è la funzione del critico in un'epoca dove la fanno da padrone i rumours e l'informazione veloce (misurabile in kbite)? E inoltre, il critico influenza ancora il pubblico? Infine, qual è il suo ruolo di fronte all'incombere di vari media che assorbono sempre più il «tempo» a disposizione di possibili «utenti teatrali»?
Ma dietro queste domande si intravedono anche le trasformazioni del teatro a partire dalla rivoluzione delle avanguardie degli anni Sessanta. Da format sostanzialmente rigido, ospitato in luoghi deputati (i teatri all’italiana) e presentato all’interno di un complesso e rigido rituale sociale, il teatro ha assunto in questi anni forme diversissime, invaso tutti i possibili spazi extrateatrali, reinventato forme di interazione e comunicazione sottilmente articolate. Insomma, in questi decenni il teatro è spesso uscito dai teatri, per ritrovare la propria necessità e identità; allo stesso modo la critica teatrale ha dovuto reinventarsi e ritrovare il proprio senso.
Il convegno di Ivrea (1967), come ricorda Marino, segna un momento chiave per la nascita non solo del nuovo teatro, ma di una nuova critica orientata altrimenti dalla letteratura e dal giudizio estetico: assorbita più dalla ricca e variegata temperie artistica che non dal testo, trova una nuova investitura e un nuovo ruolo non più solo nel tracciare le linee descrittive dello spettacolo, ma nel condividerne (e talvolta vivere) il processo collocandosi consapevolmente dentro il cerchio della creazione. Ferdinando Taviani, probabilmente mutuando il termine dalla scuola britannica dell'antropologia, definiva questo approccio questo metodo osservazione partecipe, in un testo più volte citato e tratto dallo storico numero speciale di «Quaderni di teatro» dedicato proprio alla critica teatrale.
La risposta data da Ugo Volli negli anni Ottanta sulla funzione della critica non era davvero ottimistica: orientamento dello spettatore pressoché nullo, stimolo del teatranti scarso, promozione di tendenze nuove in calo, informazione dall'estero inesistente. Ma allora a cosa servono gli articoli sui giornali? Il caustico Volli affondava la lama: pezze d'appoggio per politiche di finanziamento del Ministero e degli enti locali. Non c'è via di uscita? Sono in molti a teorizzare la figura del critico che si accosta umilmente e intimamente all'arte scenica prendendosi tutto il tempo e lo spazio necessario a comprendere, a conoscere, a esplorare il mondo del teatro e i suoi artefici. Marino ricorda che «il critico deve cercare di comprendere la complessità del campo, orientandosi e orientando dentro posizioni compresenti, dentro diverse modalità concomitanti...Risalire la catena creativa e produttiva».
Per orientare il giovane cronista e offrire modelli di «visione», Marino mette anche a confronto descrizioni di spettacoli apparsi su riviste diverse (sulla Socìetas Raffaello Sanzio a firma di Ponte di Pino, Manzella, Quadri e Cordelli). Ma come si legge davvero uno spettacolo o come lo si racconta? Bisogna contestualizzare l'opera o limitarsi all'esperienza visiva? E per chi lo si racconta? In cosa il lavoro del critico è diverso e in cosa contiguo a quello del saggista, dello storico, dello scrittore? Quali i suoi strumenti di indagine? Quale lo spazio adeguato per raccontarlo? Un libro, la pagina di un giornale, un programma radiofonico o le 3500 battute di una schermata web? Questi alcuni degli interrogativi a cui il libro cerca di rispondere, salvo constatare amaramente che i «luoghi» dove riversare questi contenuti sono in realtà rari se non rarissimi, collocati in un limbo di sopravvivenza e precarietà in qualche modo non curante del mercato editoriale ben più ricco dei rotocalchi: esclusi i quotidiani, alcune riviste teatrali specializzate di scarsa distribuzione, qualche rubrica sporadica in riviste di musica rock o d'arte.
Internet sembrava avesse superato il problema della visibilità della piccola editoria. www.ateatro.it è un buon esempio – molto citato nel libro, peraltro – di come un serio lavoro di indagine teatrale associato a una semplice interfaccia grafica possa penetrare nelle maglie di una comunità molto numerosa e attiva; sin dalla nascita la webzine si è proposta proprio come luogo reale di approfondimento, di confronto e di dialogo (o di scontro) e non solo come contenitore monodirezionale (televisivamente parlando). Ma il notevole dilagare di siti collegati a teatri stabili, a Scuole di Formazione, ad Accademie, a Enti regionali, a reti di teatri e Scuole d'Attore, spesso a loro volta impegnati a dare «informazioni» su spettacoli e festival, attivando magari «diari di bordo», ha moltiplicato in maniera esponenziale l'informazione teatrale che è diventata incontrollata e incontrollabile. Questo quindi è anche il momento in cui la differenza la fanno davvero la qualità e il rigore dei testi, l'impostazione editoriale e le scelte contenutistiche – e non più solo la «presenza» sul web.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Peter & Robert, rock e teatro in tour
Il teatro di Robert Lepage nei concerti di Peter Gabriel
di Andrea Lanini

 

Credo sia necessario ripercorrere, seppur limitandosi ad alcuni aspetti, la biografia di Peter Gabriel, le tappe del suo percorso artistico – per certi versi unico, all’interno del panorama rock mondiale - in modo da far emergere le affinità che legano il musicista inglese alla personalità, alla poetica e al lavoro di Robert Lepage: tratti comuni capaci di mettere in connessione due carriere il cui incontro ha dato vita a tre tour mondiali memorabili: il "Secret World Tour" del 1993, il "Growin Up Tour" del 2003, lo "Still Growing Up Tour" del 2004.



Per descrivere questo incontro artistico sarebbe probabilmente riduttivo definire Lepage lo «scenografo» dei concerti di Gabriel: le caratteristiche espressive, per molti versi profondamente simili, che legano i due autori hanno permesso la realizzazione "a quattro mani" della regia di un evento multimediale affascinante e complesso, ipertecnologico e camaleonticamente multiforme, capace di amplificare drammaturgicamente il significato dei testi e della musica, e di proporre messaggi e significati grazie a una sapiente contaminazione di linguaggi diversi che vanno dal teatro al cinema, dal video alla danza.
Peter Brian Gabriel è nato a Cobham, nella contea di Surrey (U.K), il 13 febbraio 1950 (sette anni prima della nascita di Lepage: i due artisti appartengono alla stessa generazione). Fin da bambino prende lezioni di pianoforte, lo strumento che oggi il musicista utilizza abitualmente nei suoi concerti: è il suo primo contatto con la musica.
La famiglia Gabriel passava spesso le vacanze estive a casa del nonno di Peter. Lui e la sorella Anna amavano passare ore e ore a rovistare nel solaio della vecchia casa vittoriana di famiglia: lì si trovava un baule pieno di costumi teatrali, di bizzarre maschere carnevalesche. Questa sorta di "baule dell’attore", degno di una compagnia dell’Arte, è la molla che fa scattare nel piccolo Peter la passione per il travestimento, per la rappresentazione di sé attraverso la metamorfosi dell’aspetto e della personalità, per l’uso della maschera. E’ importante notare che il "camaleontismo" è da sempre una delle cifre stilistiche di Gabriel: il periodo che ha visto l’autore inglese legato ai Genesis è fortemente caratterizzato dalle performances dal gusto teatrale che Gabriel ha saputo regalare al pubblico; nei concerti interpretava i personaggi delle sue canzoni ricorrendo a travestimenti e trucco, e a una gestica perfettamente calibrata sul contenuto dei testi e sul desiderio di comunicare fisicamente il loro messaggio. Fin dai primi concerti dei Genesis fu chiara la componente drammaturgica che Gabriel – indiscusso leader del gruppo e "mente" dei progetti della formazione (anche dal punto di vista mediatico, infatti, erano spesso i costumi e i travestimenti di Gabriel a fare notizia e ad occupare le foto di giornali e riviste) – volle imprimere alle esibizioni della band. Anche questo elemento, e questo tipo di sensibilità artistica, spiegano perché Gabriel abbia scelto Robert Lepage, attore, autore e regista, per realizzare i suoi concerti.
Peter Gabriel comincia a suonare con i Genesis nel 1967 e deciderà di uscire dal gruppo nel 1975: sono otto anni così carichi di stimoli e innovazioni (sia musicali che spettacolari) da cambiare i lineamenti del rock mondiale e imprimere un’evoluzione determinante alla tipologia della performance live. L’album che consacra la fama del gruppo è The Lamb Lies Down On Broadway (1974), una sorta di "opera rock": è con questo lavoro che a Gabriel viene l’idea di trasferire sul grande schermo i contenuti del disco e del tour, di raccontare attraverso il cinema i lati nascosti di un’opera che il pubblico conosce solo per ciò che ha sentito dal palco dei concerti o dai solchi del vinile. Anche la vita delle creazioni di Lepage si snoda spesso attraverso più livelli espressivi, caratterizzati dall’utilizzo di differenti media: uno spettacolo teatrale può ad esempio trovare la sua forma, "cristallizzarsi" sui palcoscenici del mondo e poi continuare il proprio percorso artistico e la propria storia all’interno di un film, di un libro, di una scenografia di un concerto. Mi sembra che sia significativo che già nel ’74 Gabriel abbia lanciato l’idea di creare un’opera fruibile con modalità e in ambiti diversi: questa capacità di vedere la vita della creazione artistica come una somma di differenti passaggi, come la caleidoscopica apparizione di diversi linguaggi facenti capo allo stesso messaggio, avvicina il lavoro di Lepage a quello di Gabriel (Gabriel non riuscì a realizzare il film su The Lamb, non trovando una sponsorizzazione che potesse coprire gli altissimi costi dell’impresa: avrà però modo di rifarsi in epoca multimediale, nella seconda metà degli anni Novanta, quando usciranno i suoi due cd-rom, Xplora 1 e Eve. Peter Gabriel è stato il primo artista a realizzare dei cd-rom multimediali, grazie ai quali l’utente può scegliere vari percorsi da seguire per scoprire i pezzi dell’enorme puzzle – tanto per usare l’immagine di un "oggetto-risorsa" caro a Lepage - dietro il quale si cela la vita e l’opera dell’autore inglese).
Dopo The Lamb, Gabriel decise di lasciare i Genesis: scrisse una lettera aperta al settimanale "Melody Maker", in cui spiegava le ragioni di questo divorzio artistico (la rottura tra Gabriel e i Genesis avvenne probabilmente per ragioni non molto diverse da quelle che spinsero Robert Lepage ad allontanarsi da Théâtre Repère: dietro a queste due decisioni si può leggere la stessa voglia di non veder "ingabbiato" il proprio talento espressivo e comunicativo). Un passaggio della lettera di Peter Gabriel dice: "Credo che l’uso dei suoni e delle immagini visuali possa essere sviluppato per realizzare molto di più di quanto noi abbiamo fatto, ma ragionando in termini generali, è necessaria una direzione chiara e coerente che il nostro sistema collegiale pseudodemocratico non era in grado di fornire"; questo desiderio di sperimentazione e di ricerca espressiva, in qualche modo limitato nella sua corsa visionaria dai meccanismi e dalle regole della band, porterà Gabriel lungo un percorso artistico che passerà – in epoca post-Genesis - attraverso un attentissimo uso del corpo e della mimica, lo studio delle tradizioni e degli stili musicali di tutto il mondo (è lui a lanciare la "world music"), la collaborazione con alcuni degli artisti più significativi del panorama internazionale, la creazione di una propria casa discografica (la "Real World", etichetta impegnata a far conoscere artisti di musica etnica poco noti a livello internazionale), l’incontro con Robert Lepage per gli ultimi, grandiosi tour.
Molti di questi aspetti – ingredienti di una carriera solistica che da anni non smette di far parlare di sé, per le sue trovate geniali, per la qualità del prodotto artistico, per la capacità di stupire costantemente il pubblico con performance che sembrano provenire dal futuro e che nel futuro proiettano chi assiste all’evento – sembrano avvicinarsi notevolmente a Robert Lepage, costruendo un’affinità di fondo che in qualche modo prelude al loro incontro del ’93: Lepage ha una preparazione teatrale che passa dalla scuola di mimo, e i suoi spettacoli sfruttano moltissimo il linguaggio del corpo; il suo interesse per la cultura e per le tradizioni dei paesi lontani (tra cui gioca un ruolo privilegiato la fascinazione per l’Oriente: è utile sottolineare che Gabriel ha studiato molto la musica orientale e i suoi strumenti, ampiamente utilizzati negli album da solista); l’arte di Robert Lepage utilizza costantemente la tecnologia, che negli anni è diventata il mezzo attraverso cui l’autore canadese è arrivato alla costruzione di una poetica assolutamente personale, di un linguaggio mediatico capace di prolungare ed enfatizzare l’"umanità" dei personaggi in scena grazie ad un codice espressivo giocato sulla contaminazione di diversi codici e generi. E’ questo il punto d’incontro dei due artisti, la tecnologia che diventa "maschera" del performer e suo deuteragonista, strumento della sua espressività e parte integrante del suo linguaggio. La prima "maschera mediatica" che Gabriel e Lepage creano va in scena, come si è detto, con i concerti del "Secret World Tour" del 1993: in una delle canzoni più famose tra quelle scelte per il tour e per il dvd (del quale è la prima traccia), Come Talk To Me (apparsa per la prima volta nell’album Us del 1992, un disco fortemente autobiografico), è possibile vedere come la regia pensata da Lepage e da Gabriel, e le scenografie che caratterizzano la performance live, si rifacciano a quel concetto di "oggetto-risorsa" fondamentale anche per i lavori teatrali dell’artista canadese. La cabina telefonica, la conversazione al telefono (il concerto si apre appunto con lo squillo di un telefono) sono elementi molto ricorrenti in Lepage: la stessa cabina telefonica rossa che Gabriel usa in Come Talk To Me caratterizza anche la scenografia di The Busker’s Opera (articolata da Lepage lungo il percorso metamorfico di questo oggetto-risorsa: unico oggetto in scena, essa si trasforma fino a rappresentare, contenere, far vivere, luoghi e contesti diversissimi come un carcere o un locale a luci rosse) e il tema del telefono permea di sé Les aguilles et l’opium (La voix humaine di Cocteau, autore amatissimo da Lepage, è la "pièce telefonica" che in gran parte ha ispirato il lavoro del canadese). La canzone parla del desiderio di usare la parola per trasmettere all’altro, al mondo, qualcosa di sensato, della volontà di ristabilire un dialogo che sta scomparendo: spesso la comunicazione che va ristabilita è quella con noi stessi (In La face cachée de la lune, la volontà di ripristinare una comunicazione possibile col fratello equivale al desiderio di riscoprire il proprio Io). In questo brano si vede come Gabriel utilizzi molto la gestica per potenziare il valore espressivo del proprio testo: con fatica, il filo della cornetta viene allungato per cercare di raggiungere una possibilità di dialogo-contatto rappresentata dalla corista. In Secret World, il brano che dà il titolo al tour (e che ricompare anche in "Growing Up"), Gabriel parla della lontananza che spesso può separare due persone apparentemente molto vicine: il tema del distacco, della scomparsa, della ricerca di una comunicazione necessaria, della speranza di ritrovarsi, torna molto spesso anche negli spettacoli di Lepage (la triste vicenda autobiografica di Polygraphe; l’incomunicabilità, le separazioni e i ricongiungimenti di Les plaques tectoniques, la "disintossicazione amorosa" di Lepage in Les aguilles et l’opium ecc.).



Vediamo più dettagliatamente le caratteristiche "lepagiane" del "Secret World Tour", tra le tournée di Gabriel quella sicuramente più teatrale: il dvd ha una presentazione giocata sulle ombre cinesi, e che verrà riproposta all’inizio di Kiss the Frog; l’ombra sullo schermo suggerisce infatti l’idea della trasformazione di un corpo che da minuscolo si fa sempre più grande (la rana diventa Principe…). Per tutte le scenografie dei brani lo schermo girevole – una delle cifre più riconoscibili dello stile di Robert Lepage - usato in modi sempre diversi, resta una costante.
In Steam sullo schermo gigante vengono proiettate immagini filmiche ce rendono l’atmosfera di un film anni Venti: non sarà un caso che la sequenza scelta da L. sia una di quelle da "cinema della modernità", da fascinazione per la macchina e per il movimento (l’inquadratura è caratterizzata dal movimento della ruota di una locomotiva a vapore); in Slow Marimbas si vede chiaramente come tutti i componenti della band partecipino ai movimenti coreografici, caratterizzati da una coralità che richiama le danze africane e i riti tribali.



In Shaking the Tree si ha un albero che emerge da sotto il palco: nella parte inferiore del palcoscenico sono installati numerosi ascensori capaci di far apparire/scomparire oggetti e persone; per Blood of Eden vengono impiegate metonimicamente delle forti luci rosse che trasformano l’albero in quello del Peccato Originale; in San Jacinto c’è un abbondante uso delle ombre cinesi e dello schermo girevole: la presenza della Luna (elemento femminile, madre, specchio della propria anima…) fa sì che questo brano sembri un vero e proprio spettacolo di Lepage; in Digging in the Dirt c’è l’uso della telecamera per autoriprendere la propria immagine proiettandola sullo schermo gigante (tema dell’autocontemplazione, della ricerca interiore); interessante, all’inizio di Sledge Hammer, il charleston della batteria sincronizzato con il loop della sequenza proiettata sullo schermo.
In Secret World, brano veramente spettacolare dal punto di vista scenografico, si ha l’uso del dolly, e di una telecamera fissata su una delle estremità dello schermo girevole (che viene tenuto in costante movimento): il risultato è una sorta di straniamento che deriva da un vorticismo ipnotico, da una "roteazione totale" di tutto e di tutti. Il nastro scorrevole viene usato metonimicamente per dare l’idea del terminal di un aeroporto: tutti scompaiono all’interno della valigia di Gabriel (la gag di Levin, il bassista della band, ricorda le aperture verso il territorio del comico che spesso caratterizzano la drammaturgia lepagiana: sottili iniezioni di verve umoristica spesso usate per controbilanciare un passaggio narrativo caratterizzato da forte tensione emotiva): infine, come fosse un sipario, cala su tutto una sorta di soffitto a forma di astronave. Quando esso si rialza, tutti i musicisti sono di nuovo al loro posto per le ultima note del dvd.
Il "Growing Up Tour" arriva dopo una lunga pausa dell’attività live di Gabriel, dieci anni durante i quali il musicista ha continuato la sua ricerca artistica e la sperimentazione delle più raffinate tecnologie: il risultato di tale lavoro viene racchiuso nello show del tour mondiale del 2003, un evento mediatico di grande impatto, per la realizzazione del quale Gabriel chiede di nuovo la collaborazione di Lepage. Il palco per i concerti del tour è circolare, pensato in modo da "immergersi" nel pubblico (cosa che dà un sapore particolare al senso della presenza di chi guarda l’evento: affiora l’idea dell’"essere" lo spettacolo, anziché assistervi, e quella della rottura della frontalità cara anche al teatro di Lepage), e articolato su due differenti piani, collegati da una specie di ascensore interno che permette il cambio di scenografie e di strumenti (un funzionamento che ricorda un po’ i pageants inglesi di medievale memoria). Per tutto il concerto, la macchina spettacolare è mossa e controllata da un piccolo esercito di uomini in tuta arancione fosforescente, perfettamente (e non poteva essere altrimenti) visibili nei loro movimenti: appare chiaro in questa scelta la volontà di "denudare" il meccanismo che regola lo spettacolo, mettendo in mostra la componente umana (ma, di conseguenza, anche quella tecnologica) che sta alla base del castello di luci e immagini visibile sul palco. Questa scelta richiama da vicino una delle cifre stilistiche tipiche di Lepage, quella cioè di non occultare ciò che crea gli effetti dello spettacolo (l’intervento misterioso della tecnologia, e la conseguente non spiegabilità del "trucco", creerebbero secondo Lepage una "sudditanza psicologica" dell’uomo nei confronti della macchina, con effetti negativi per la comprensione e la fruibilità della performance). Uno dei momenti più emozionanti del concerto è sicuramente quello caratterizzato dalla discesa sul palco dell’enorme sfera di gomma che Gabriel usa per il brano Growin up: una sorta di luna-utero (mirabolante oggetto-risorsa) all’interno della quale Gabriel entra per farla rotolare per tutto il palco; la sfera rappresenta il nostro Io, che dobbiamo perlustrare e indagare per crescere (in La face cachée de la lune Lepage ci accompagna in una esplorazione che si articola su un doppio binario: quella del "lato oscuro" della luna - non è probabilmente un caso se la sfera di Gabriel riproduce la superficie lunare – e quella del proprio Io e della propria coscienza, attraverso le vicende di Philippe e del fratello).



In Downside up, Gabriel e la figlia Melanie cantano appesi a testa in giù ai tubi del palco, che intanto si è alzato: in molte delle sue performance Gabriel usa una forte fisicità e una notevole componente atletica (in una sua partecipazione al Festival di Sanremo si fece letteralmente catapultare sopra il pubblico grazie ad un’imbracatura appesa a fili d’acciaio): anche questa caratteristica trova un suo riscontro nei movimenti acrobatici che Lepage prevede nei suoi spettacoli (come per esempio in Les aguilles et l’opium). Elementi come questi fanno capire il successo del lavoro della coppia Lepage-Gabriel, due artisti che fanno agire le loro creature all’interno di un simile universo caleidoscopico, dove l’uso di monitor in scena che propongono immagini registrate o live (durante il concerto Gabriel gioca spesso a riprendere con una telecamera il pubblico, proponendo un inedito punto di vista del performer capace di interagire con la scena e di creare una seducente esperienza visionaria), e di un’illuminazione utilizzata in funzione diegetica, mirata a creare mondi apparenti che si animano tra luci e ombre (la scenografia craighiana fatta di luce e movimento è sicuramente un punto di riferimento per questa ricerca), richiedono un approccio percettivo inedito allo spettatore, approccio che le ricerche di "Ex machina" e le sue creazioni hanno contribuito fortemente a formare.


 


 

Il sangue vero: in scena La belle époque della Banda Bonnot da Boris Vian
Il disco e lo spettacolo di Giangilberto Monti
di Oliviero Ponte di Pino

 

Si replica con successo in questi giorni al Teatro Arsenale di Milano La belle époque della Banda Bonnot, spettacolo di e con Giangilberto Monti, tratto dal musical che Boris Vian ha dedicato al bandito anarchico (repliche fino a domenica 19 dicembre).
Dallo spettacolo (o meglio dalla sua prima versione) lo stesso Monti ha tratto uno sceneggiato radiofonico per la Radio Svizzera e un doppio cd.



Qui di seguito, la presentazione del CD, che è anche la storia di questo strano spettacolo.


SANGUE VERO

I.

Jules Bonnot (1876-1912). Operaio, autista, anarchico e poi bandito. Siamo nel cuore della Belle Époque, poco prima che inizi la terribile mattanza della Grande Guerra, in una società dove è troppo difficile ottenere giustizia e rispetto. In tutta Europa gli anarchici hanno lanciato bombe contro tribunali e parlamenti, ucciso re, principi e presidenti. Il principe Kropotkin spiega che l’azione violenta è «la propaganda del fatto». Bum!
L’anarchico «illegalista» Bonnot si mette a capo di una banda che compie una serie di colpi clamorosi. Si scatena una feroce caccia all’uomo, la latitanza dura diversi mesi. Bonnot è un abile meccanico, la gang ruba auto di lusso con cui compiere azioni sempre più audaci. Ben presto il cerchio si stringe, uno dopo l’altro i suoi compagni vengono catturati o ammazzati dalle forze dell’ordine. Bonnot si nasconde presso amici e comunità anarchiche. Per fermarlo, davanti a ventimila parigini accorsi per godersi l’assalto finale, tra giornalisti e fotografi, arriveranno cinquecento soldati. A finirlo, dopo le fucilate e la dinamite dei poliziotti, saranno le sassate della folla.
Anche se lascia dietro di sé una scia di omicidi e rapine, questo fuorilegge idealista e feroce, violento e romantico, entra subito nella leggenda: ha depredato gli esattori delle tasse e terrorizzato i possidenti, è stato protagonista della prima rapina di una banca con l’automobile, ma anche del primo inseguimento di banditi in auto. Non è facile, nel suo caso, districare la politica dalla criminalità, la ribellione dal furto, la lotta contro l’ingiustizia dall’istantaneo e violento miglioramento della propria situazione personale.
Jules Bonnot ha lavorato per sir Arthur Conan Doyle, il creatore del più celebre detective letterario, Sherlock Holmes.

Boris Vian (1920-1959). Ingegnere, romanziere e poeta, musicista, giornalista, critico letterario e musicale, sceneggiatore, autore di almeno 478 canzoni, esperto di fantascienza e pornografia, discografico, e molto altro... Scrive noir firmandosi con lo pseudonimo di Vernon Sullivan ma anche romanzi rabbiosi e struggenti, attirando scandali e processi. Nella Parigi del dopoguerra è il re delle caves di Saint Germain des Prés dove esplode il movimento esistenzialista, tra Jean-Paul Sartre (che prende in giro nei suoi libri, ribattezzandolo Jean-Sol Partre) e Juliette Gréco. Canta «Amo l’amore che fa bum!». Irriverente e provocatorio, ai tempi della Guerra d’Indocina è l’autore del Disertore, una canzone che diventerà un inno – ma le radio preferiscono non trasmetterla. E’ malato di cuore, sa che non sopravviverà a lungo e dunque vive con una velocità e un’intensità che tolgono il fiato. E’ amico di Henry Salvador e di Miles Davis, e come lui suona la tromba, finché gli reggono polmoni. Inventa il rock & roll francese, lui è Fredo Minablo e il suo gruppo si chiama la Pizza Musicale.
Nel 1954 Henry-François Rey, che dall’epopea feroce di Bonnot aveva tratto una commedia, gli chiede aiuto: con Jimmy Walter, compositore e pianista, Vian scrive diciannove canzoni, ma lo spettacolo – forse anche per una forma di sottile censura – resta in cartellone solo per un paio di settimane. Il materiale viene disperso e alcuni spartiti scompaiono. Nel 1970 un amico di Vian, il fisarmonicista Louis Bessières, rimonta questo materiale, musicando gli spartiti perduti e modificando alcuni testi, per uno spettacolo che nel 1975 diventerà anche un disco.
Vian muore poco dopo l’inizio dell’anteprima del film tratto dal suo capolavoro, il romanzo J’irai cracher sur vos tombes. Andrò a sputare sulle vostre tombe.
Una delle sue ultime poesie si intitola Je ne voudrais pas crever – Non vorrei crepare...

Giangilberto Monti (1952). Ingegnere, cantautore, drammaturgo, scrittore, regista, oltre che autore di un fondamentale Dizionario dei cantautori. Si è formato nella Milano della strage di piazza Fontana e degli attentati delle Brigate Rosse. Bum!
Ha una vera passione per Boris Vian: alle sue canzoni ha già dedicato uno spettacolo, un libro e un bel disco. Così si mette sulle tracce della sua Banda Bonnot, raccoglie i testi originali e li adatta in italiano, recupera tutti gli spartiti su cui riesce a mettere le mani e reinventa i tasselli che mancano. Mixa gli ingredienti muovendosi tra jazz e folk, con la direzione musicale di Carlo Cialdo Capelli. Si procura tutto quello che trova su Bonnot: il fumetto di Clavé e Godard La bande à Bonnot (Glénat, 1982), il libro di Pino Cacucci In ogni caso nessun rimorso (Longanesi, 1994, Feltrinelli, 2001), il film di Philippe Fourastié con Annie Girardot e e Jacques Brel (1964), la canzone di Joe Dassin. Nel 2001 crea uno spettacolo dove le diciannove canzoni di Vian ritrovano l’ordine originale e vengono inserite in un racconto affettuoso e scanzonato. Due anni dopo lo spettacolo diventa uno sceneggiato per la Radio Svizzera. Oltre ai due narratori (lo stesso Monti e Alessandra Falletti) e ai musicisti (Roberto Carlotti, fisarmonica, Caroline Tallone, violino, organetto e ghironda, Renata Mezenov, voce e chitarra, Marco Mistrangelo, contrabbasso), La Belle Époque della Banda Bonnot impegna per gli episodi chiave anche una decina d’attori, a cominciare da Luca Sandri che dà voce al protagonista. Dopo essere andata in onda tra l’8 e il 12 marzo 2004, con regia di Claudio Laiso e la regia musicale di Lara Persia, la trasmissione vince il Prix Suisse, l’Oscar della radiofonia elvetica.
Quando parla del suo spettacolo, Giangilberto Monti ama citare un contemporaneo di Bonnot, l’inventore della medicina legale in Francia, il professor Alexandre Lacassagne: «Les sociétés ont les criminels qu'elles méritent» – «Ogni società ha i criminali che si merita».



II.

Jules Bonnot era senz’altro un cattivo ragazzo. O forse lo avevano trasformato in un pessimo soggetto, a furia di botte, sfruttamento, galera, tradimenti e ingiustizia.
Invece Giangilberto Monti – lo si capisce subito – è un bravo ragazzo. E dunque come noi – che siamo tutti bravi ragazzi – è affascinato dalle cattive compagnie e vuole capire il segreto del loro memorabile destino. Della loro energia, delle loro ingenuità, della loro incoscienza.
Per fortuna il genio di Boris Vian -– l’incazzato che sapeva come divertirsi – ha permesso a questo bravo ragazzo di trafficare con un «individuo dalle tendenze antisociali» senza scottarsi. Anzi, a furia di frequentare la strana coppia Bonnot-Vian, Giangilberto ha potuto riflettere sul destino dei cattivi ragazzi, sulla giustizia e sull’ingiustizia, sulla violenza e sulla non violenza, sulla politica e sul terrorismo. Su un terrorismo che appare quasi ingenuo rispetto agli orrori dei giorni nostri – anche se ai tempi di Bonnot l’eroe era un bandito violento e imprendibile come Fantômas: i romanzi di Pierre Souvestre e Marcel Allain vennero pubblicati con enorme successo proprio tra il 1911 e il 1913 e subito grazie a Louis Feuillade diventarono film di enorme successo.
Quella in cui viveva Jules Bonnot era una società ingiusta e violenta, che criminalizzava le pulsioni libertarie se non riusciva a trasformarle in moda o in merce. Insomma, più o meno come accade oggi, quando diventa sempre più difficile vedere la differenza tra un rivoluzionario e un bandito.

La Belle Époque della Banda Bonnot è un disco insieme colto e popolare, raffinato e immediato. Anzi, sono due dischi. Nel primo ci sono i brani di Vian-Monti dedicati al bandito Bonnot. Sono belle canzoni, spesso intense e divertite e divertenti, interpretate con perfido garbo. Sono di quelle canzoni che ci riscopriamo a canticchiare senza neppure pensarci, come l’irresistibile Tango del macellai: perché hanno dentro l’umorismo perfido e graffiante di Vian, e perché lo scarto tra il desiderio e la realtà, tra il sogno e la miseria di ogni giorno, tra la tenerezza e l’odore del sangue può diventare facilmente una bella canzone. Sembrano canzonette, arrivano al cuore come un fucilata, esplodono come un candelotto di dinamite. Ma con dolcezza, e facendoti sorridere.
Il secondo cd contiene la registrazione della radiocommedia musicale: una forma di spettacolo in cui si intrecciano canzoni, narrazione e teatro. Monti è un cantastorie raffinato, che conosce Jarry (Vian era anche un patafisico) e Brecht. Ha trovato un tono e uno stile di racconto appropriati ed efficaci. Una avventura in cui s’intrecciano cronaca nera ed epopea metropolitana, rabbia e sentimento, storia e politica, viene ripercorsa mescolando musica e parole, teatro e canzone, ironia e cronaca, didascalie e humour noir.

Giangilberto Monti guarda Bonnot e sceglie di non giudicare. Vuole solo raccontarci una vicenda che gli è piaciuta, un’epopea di incazzati sognatori dove ha sentito risuonare qualche corda che lo affascina e lo incuriosisce. Attraverso Bonnot e i suoi compari vuole raccontare un’epoca, un momento storico in cui tutto in apparenza sembra andare bene, seguendo un ordine che possiamo decifrare. Anche se sappiamo che è ipocrita. Anche se non sappiamo cosa ci sarà dietro il prossimo angolo della storia. Anche se ci sentiamo inquieti senza sapere il perché. Bum!
Giangilberto Monti ha imparato a raccontare le sue storie con spensierata leggerezza, ma forse neanche lui è davvero un bravo ragazzo.


 


 

Pettegolezzeria: un corcorso di idee per il Teatro dell'Arte
Le migliori menti della mia generazione (e non solo) in soccorso del Crt
di Perfida de Perfidis

 

Ho un amico noioso, però a letto non è male. Perciò quando passo a Milano a volte questo teatrante culturista me lo porto all’happy hour (e dove me lo porto dopo sono affari nostri).
L’altra sera a Gioia 69 ha iniziato la sua solita lagna, su quello che è o non è l’avanguardia, se sia giusto o no ghettizzarla in un teatro oppure a fine stagione, o se sia più corretto diffondere il suo verbo nelle sue punte più alte di qua e di là, nel teatro «normale», e – uffa!!! – che senso ha oggi l’avanguardia e altre palle di questo genere.
Mentre il mio teatrista culturante blaterava, pensavo che preferisco l’estate all’inverno, perché almeno avrei potuto lustrarmi l’occhio goloso con il suo muscolo attraverso quelle camicie (due misure sotto) che ama indossare (un vero tamarro, direte voi, ma a volte non guasta). Invece il neo-futurista mi faceva venire il mal di testa a immaginare cosa c’era sotto quella giacca, costringendomi a una margarita dopo l’altra...
Insomma, mi ero già distratta assai quando il teatroso culturante ha iniziato a raccontarmi una faccenduola che magari può interessare a voi, oscuri teatranti milanesi – che siete probabilmente noiosi come lui, e nell’intimità di certo non potete competere con il suo muscolo. Insomma, mi diceva quel Marinetti (o Marinaretti?) in ritardo, in questi anni c’è stata nell’avanguardia milanese una quasi-monarchia, Crt-Teatro dell’Arte, che è stato in compenso il palcoscenico di un vero tourbillon di primi ministri, tra consulenti e direttori organizzativi, che ora vagano spersi qua e là nel vasto mondo (a meno che non facciano rimpatriate annuali tipo Festa degli Alpini...).
La struttura milanese, noiosava il teatrone culturone, modello e prototipo degli stabili di innovazione, ne ha consumati una quantità impressionante, di sedicenti esperti teatrali – e secondo lui erano tutti degli avidi cialtroni, naturalmente, e dunque il Presidente ha fatto bene a scacciarli come moschini. Per convincermi (ma di che?) mi ha fatto un elenco al cui cospetto sbiadisce persino la lista delle fidanzate di Don Giovanni (a proposito, la vostra Perfida de Perfidis ha smesso di fare la sua, di lista, dopo la chiusura dell’imperdibile Sex and the City; vi prego però di notare che non sono ancora una casalinga disperata, idraulici e giardinieri non riesco proprio a trovarli, né per esigenze strettamente professionali né per quei piccoli extra che rendono le casalinghe meno disperate... Anche se dovrò iniziare a pensarci: tra i teatranti di sex a Milano di questi tempi se ne vede sempre meno, e tocca sperare in qualche festicciola osé tra i manager nelle villette a schiera della Brianza!).
Persino – insisteva il muscolofuturista – persino la figlia del Conducador della prestigiosa istituzione, che in un estremo sussulto di familismo aveva preso in mano la barra del comando del teatro, qualche settimana fa ha dovuto alzare bandiera bianca e abbandonare la nave.
Per superare questa cronica situazione di crisi, la direzione del Crt avrebbe deciso di adottare una soluzione brillante e trasparente. La gestione del Teatro dell’Arte nella stagione 2005-2006 verrà affidata in base a un concorso di idee a chi presenterà in progetto più interessante e adeguato alle caratteristiche e alla storia di quel prestigioso teatro, tenendo presente la capacità di integrarsi con il cosiddetto «sistema teatrale milanese». Ne sapete nulla? Ve l’ho già detto, quando sento puzza di potere, anche se piccolino, un po’ mi eccito...
Me lo mangio con gli occhi, ma diffido del mio teatroso culturoso, perché secondo me ha qualche conflitto di interessi in corso, e sospetto che voglia farvi arrivare un qualche messaggio che non riesco a capire, e che in realtà non mi interessa gran che. Ma a voi magari può essere utile, vero carini?
Insomma, grazie ad alcune moine, sono riuscita a ottenere qualche dato sui progetti presentati. Ve li spettegolo immediatamente, anche se sul budget non ha voluto dirmi nulla (secondi me ci sta provando anche lui...). Vorrei anche dirvi per chi tifo, ma mi piacerebbe sentirlo da voi. Dopo di che, come sapete, io sto a priori con i vincitori, e dunque aspetto.

FAQ: il cosiddetto coordinamento delle compagnie teatrali lombarde affiliate (in totale 23, come risulta da censimento alle ore 9.15 del 16 dicembre u.s.) ha diviso i 365 giorni del calendario solare per (appunto) 23: dunque a ciascuna compagnia 15,86956521 giorni, in base a un sorteggio democratico. Così ogni aderente a FAQ gestirà il teatro per 15 giorni (i restanti saranno destinati a una grande festa all’insegna del Volemose Bbbene). Le compagnie potranno vendere le giornate di repliche tra loro, ma non potranno venderle a terzi (show rooms, dirette tv, sfilate, convention aziendali sono bandite). Per la compravendita delle date è stato appositamente creato un tabellone molto simile al Monopoli, disegnato con la consulenza degli Enti Locali. All’interno del proprio spazio-tempo, ogni compagnia sarà assolutamente libera di fare della sala il miglior uso - a suo insindacabile giudizio. Le compagnie che nel frattempo hanno già ottenuto o riusciranno a ottenere la gestione di uno spazio nella metropoli milanese, lo potranno liberamente affittare e con i proventi pagarsi lussuose vacanze nelle isole dell’Egeo. Si prega di mandare cartolina per la nostra collezione di boring postcards. Possibilmente senza il comunciato stampa di dissociazione dell'iniziativa che FAQ (previdenti!!!) sta già discutendo prima ancora che l'iniziativa abbia inizio.

Uowo: dopo la fortunata esperienza del festival omonimo, l’organizzazione capitanata da Umberto Angelini (che peraltro al Crt è già transitato) ha proposto una megarassegna lunga un anno con 8 spettacoli-performance quotidiani della durata massima di 12’ 30", disseminate in tutti i locali del teatro (platea, foyer, balconata, atrio, scantinato, camerini, sale prove, uscite di sicurezza) a cura di giovani perfomer, artisti, danzatori provenienti da tutti i paesi dell’Unione Europea, tutti con la w nel nome dell’artista, della compagnia, o in casi disperati nel titolo dello spettacolo.. La stessa organizzazone garantisce che si tratta in ogni caso di geni destinati segnare la storia dello spettacolo nei prossimi anni, con il loro irriverente anticonformismo e la loro crudele ironia. Saranno articolate in apposite sezioni: Uowo di Giornata (improvvisazioni), Uowo al Tegame (teatro e cibo, con merende), Uowo in cCmicia (assoli di danza nude look), Uowo Sodo (performance hard rock), Uowo Frittata (i cosiddetti work in progress), Uowo Strapazzato (esperimenti sul coinvolgimento del pubblico). Uowo di Pasqua (performance a sopresa a cura dei grandi nomi della scena internazionale). Eccetera.
Antonio Calbi: da anni si vocifera che sia proprio lui il direttore designato del Teatro dell’Arte. S dice che a volte sia lui stesso a raccontarlo, natiuralmente usando la formula: «Sai, mi hanno fatto questa proposta, so di essere la persona più adatta, anzi l'unica che può ricorpire un incarico di questo genere, ho un sacci di idee, ma non so se accettare...». Beh, Calbi a Milano ci ha provato e riprovato, ha organizzato rassegne, prodotto e ospitato e spettacoli, inventato tournée. Ha dimostrato di avere qualche idea e molta voglia di fare. Spesso ci ha azzeccato, vedi «Teatri 90» (e guarda caso i gruppi migliori di quella rassegna sono stati subito comprati in blocco proprio dal Crt). Così ha presentato la sua nuova idea, Teatri 90+10+5=Teatro 2005, un appassionante progetto di teatro e scienza dove il plurale diventa singolare e viceversa, e i conti tornano (mica come nella gestione dei teatri!). Però, dicono, Calbi si agita troppo, ha cattivo carattere e rischia di rompere il fragile equilibrio del sistema teatrale meneghino. E qualcuno – pare – non gli ha perdonato quel «Franco, grazie di esistere!» sul glorioso catalogo Teatri 90. Perciò meglio evitare guai, tenerlo sulla graticola, lasciarlo lì a bagnomaria, tanto a Roma ci sta così bene... E poi se c'è qualcuno che da Roma cerca una sponda milanese, aggiunge il mio amico, è Monique Veaute!

Xing: hanno quasi trovato lo sponsor. Appena lo trovano mandano. Perché l’idea è ottima. Garantito al limone.

Piccolo Teatro: se non volete guai, ecco la soluzione. Chi oserà metterla in discussione? Il più grande e prestigioso teatro italiano, che peraltro in un passato non troppo lontano, ha gestito il Teatro dell’Arte (non troppo gloriosamente, in verità, ma non ci sono mai stati problemi). Dopo la chiusura del Teatro Lirico dispone solo di tre sale, troppo poche per una istituzione di livello europeo, che dico, mondiale. E viste la tradizione, le professionalità, la lungimirante progettualità dello stabile milanese, gestire una quarta sala sarà un gioco da ragazzi. Anzi, proprio per i ragazzi, naturalmente puntando come sempre all’eccellenza (e speriamo garantendo anche cachet robusti...).

Marcello Dell’Utri: il senatore esternamente associato era stato designato come garante culturale della cordata che aveva vinto il concorso per il restauro e la gestione del Teatro Lirico. Un uomo di cultura e di passioni civili, meglio di Maria Giovanna Elmi, naturalmente, molto meglio!!! Però in quel concorso qualcosa non andava, e grazie ai soliti azzeccagarbugli tutto si è bloccato tra tribunali, ricorsi, appelli, perizie e controperizie. Come possiamo lasciare un uomo di tale valore, amante dei libri e del teatro, sponsor di una fortunata rassegna nel suo Teatro di Verzura, senza una sede adeguata? (del resto le uscite di sicurezza del Teatro dell’Arte danno proprio sul Parco....). Però lo sa anche il senatore, la giustizia non è di questo mondo...

Attenzione, carini. Tra una Margarita e l’altra, ho commesso l’errore di chiedergli, al FuturBalla, se il bando era già chiuso: no, carini, c’è ancora tempo fino al 15 gennaio. Dunque se avete delle idee... L’ho fatto per voi, ma il mio bel teatrante culturista credeva che davvero mi interessasse l’argomento, e ha ricominciato il suo monologo. Porca miseria, ma non potevo sceglierlo più stupido?

Torno a Milano dopo le feste (ho un programmino niente male, poi vi racconto). Però con l'intellettuale tricipite ci vedremo di sicuro. Mi racconterà gli sviluppi. Però se arrivano altre proposte, non ve le racconto. Del resto voi non avete saputo aiutarmi sul quiz della prima puntata della mia rubrichetta, «Per chi scalda la poltrona?», in ateatro 76. Mi toccherà a chiederlo proprio a lui, a Giorgio, che intanto in tv si fa bacchettare con il suo amichetto Dario Fo da Aldo Grasso. Ma voi li avete visti, i due arzilli vecchietti? Che ve ne pare? A me, per quel poco che ho visto, sembra sublimemente kitsch...


 


 

La scommessa di «Ubu Settete»
Cronaca di una pratica (buona?)
di Redazione di «Ubu Settete»

 

IL PROGETTO
«Ubu Settete»
è una fanzine teatrale, ma è anche una "rete", un circuito teatrale informale fondato da alcuni collettivi romani. Circuito fatto di eventi, relazioni e reciproche collaborazioni che da qualche anno si propone di portare alla luce e valorizzare quell’area marginale e "abusiva" del teatro romano, area fatta di professionismo a metà, di autoproduzioni coraggiose che sondano le dimensioni della "ricerca", della nuova drammaturgia, del teatro civile.

I FATTI
«Ubu Settete»
muove i primi passi a Roma all’inizio del 2003. In principio c’è la "semplice" reciproca conoscenza che, trattandosi di teatro, si concretizza nell’assistere ai rispettivi lavori e nel confrontare le rispettive idee, poetiche, estetiche, condizioni, ecc. Non c’è ancora la chiarezza sul da farsi, ma c’è subito la coscienza di condividere una peculiare condizione marginale costituita da: l’essere giovani e praticamente sconosciuti; il sentirsi "professionali", assolutamente non amatoriali ma, contemporaneamente, l’essere esclusi da qualunque circuito "ufficiale"; il sentire la propria vocazione teatrale in termini di progetto artistico personale da sviluppare, far crescere, portare avanti a prescindere dai riscontri di pubblico e di critica. Il nucleo originario di questo progetto è fatto da tre compagnie: Circo Bordeaux, amnesiA vivacE, OlivieriRavelli_Teatro.
A marzo del 2003 «Ubu Cheese» al Blue Cheese Factory (Roma Ostiense) è il primo atto ufficiale: alle tre compagnie originarie si affiancano Residui Teatro e Ygramul LeMilleMolte (più una ospite da Genova) dando vita a tre giorni di rassegna, 6 spettacoli, circa 250 spettatori.
Pochi mesi dopo nasce l’idea di produrre una fanzine, un "foglio" autogestito di critica e cultura teatrale da distribuire gratuitamente presso i teatri romani. A fine luglio 2003 la registrazione ufficiale al Tribunale di Roma e ad ottobre 2003 il primo numero: «Ubu Settete» – periodico autogestito di critica e cultura teatrale è nato.
Contemporaneamente all’uscita del primo numero arriva la rassegna n° 2 al teatro di Villa Lazzaroni (Roma Appio): Ubu Settete! Fiera Autogestita di Alterità Teatrali. Alle 5 compagnie della prima rassegna si affiancano LABit, Stradevarie, Mungodream: in totale 8 compagnie (tutte romane) per 16 spettacoli (più 2 concerti) in cinque giorni di rassegna; circa 400 spettatori.
A gennaio del 2004 esce il n° 2 della fanzine nel definitivo formato a 8 pagine. «Ubu Settete» diventa ospite fissa del portale www.dramma.it (con i vari numeri in versioni digitali scaricabili).
Il n° 3 esce a maggio 2004. Viene composta una redazione con i rappresentanti di 4 compagnie: LABit, OlivieriRavelli_Teatro, amnesiA vivacE, Circo Bordeaux.
Il n° 4 (anno 2 numero 1) esce a novembre 2004. Contemporaneamente, Ubu Settete produce la sua terza rassegna (al Rialto Sant’Ambrogio, Roma, Centro storico): Ubu Settete! Terza fiera di Alterità Teatrali Romane. Le compagnie partecipanti sono 9: le vecchie amnesiA vivacE, Circo Bordeaux, LABit, OlivieriRavelli_Teatro, Stradevarie, Residui Teatro, Ygramul LeMilleMolte, più le nuove ct Gramigna e Teatro riflesso… in movimento. 5 giorni di rassegna, 15 spettacoli, circa 450 spettatori.

I RISULTATI
Tanto lavoro, soldi anticipati che non sempre ritornano, abbondante stress, buona presenza di pubblico, due o tre critiche sui giornali, un invito ad "andare avanti sempre più cattivi", un regista che minaccia uno di noi perché il suo spettacolo era stato stroncato nel 3° numero della fanzine. Il resto è silenzio.

LE RIFLESSIONI
«Ubu Settete»
è una buona pratica? Difficile dirlo… dipende anche dagli obiettivi che uno si prefigge. Tra noi c’è un po’ di tutto, c’è chi "morde il freno" e vorrebbe urlare la propria esistenza a tutto il mondo, chi si contenta della piccola visibilità raggiunta, chi aspira al salto di livello, chi si compiace di essere un "ghettizzato". Certamente è un’esperienza che ci ha dato molto a livello umano e professionale ma, visti i risultati, non possiamo non chiederci se valga la pena continuare. Siamo nella fase di chi non si aspetta assolutamente nulla né dai politici (ETI) né dai critici: disillusi, che è il modo migliore per non restar delusi. Di una cosa, però, siamo certi: data la situazione nazionale (su cui è inutile sprecare ancora parole), o si va alla cerca di un buon referente politico (e si mettono in scena quei bei drammetti borghesi che piacciono a tutti), oppure non c’è alternativa all’unione, al farsi "rete", al costituirsi "scena"; isolarsi equivale al suicidio. Un po’ come nel pari pascaliano, «Ubu Settete» è una scommessa più conveniente.


 


 

Le recensioni di "ateatro": Bang Bang/in Care - Filottete e l’infinito rotondo
Uno spettacolo di Giancarlo Cauteruccio con Patrizia Zappa Mulas
di Pietro Gaglianò

 

In scena c’è una donna, sola, che si chiama Filottete. E c’è il dolore. C’è una donna che grida il proprio dolore dall’orbita di una successione di cerchi concentrici: sale, acqua, poi ancora sale e, fuori, il resto del mondo. La donna (che nella vita di tutti i giorni è Patrizia Zappa Mulas) aspetta che venga il suo turno in ‘medicheria’ e si aggira inquieta nella sospensione di una sala d’attesa. Solo che dentro, a farsi medicare, c’è un altro Filottete – proprio lui, quello di Sofocle, del piede purulento e dell’esilio sull’isola di Lemno – e lei, la donna, viene dopo di lui.



L’attesa consuma, logora, ma non conosce fine, è un “tempo di piaga e di esilio”; ogni strada conduce al punto di partenza, e al centro di tutto, del sale e dell’acqua, c’è sempre il dolore: “Sa di sale questo mio dolore al piede”, lamenta Filottete.
Il testo drammaturgico di Lina Prosa esamina la cura come necessità contrapposta ad un male (che può essere accidentale, congenito o masochista). Il benessere, lo stato di grazia, non è nemmeno intravisto tra una spira e l’altra della sofferenza. Nonostante tutto, la cura non arriva e la narrazione del dolore coincide con il dolore stesso. La dimensione eroica del mito greco slitta verso lo scenario prosaico del traffico di carne tritata che alimenta le multinazionali dei fast-food, tragica metafora della fisicità nel mondo contemporaneo dove tutto, anche la malattia, diventa strumentale ai meccanismi dello sfruttamento indiscriminato. La condizione del malato è in contrasto con una cultura edonista che mette ai margini ogni suggerimento di tormenti, dello spirito e del corpo. La protagonista si chiede: “è sicuro che Filottete/Piede marcio non sia già all’ammasso nel grande imbuto della produzione di carne al consumo”, e già, forse, conosce la risposta.



La regia di Giancarlo Cauteruccio si concentra sulla condizione di isolamento di Filottete e la fa risuonare, sinesteticamente, in molti mondi. La scenografia è incisiva, semplice e sontuosa ad un tempo. Cauteruccio sfrutta al massimo il potere espressivo di ingredienti elementari: la luce, la materia, il buio, il suono. La circolarità dell’infinito rotondo del titolo è scandita nella successione di barriere di acqua e sale. Filottete/Zappa Mulas trascina il piede piagato nell’acqua aprendo, ad ogni passo, altrettanti cerchi che svaniscono rapidamente. La protagonista sembra non farci caso e guarda, invece, il sale che la circonda, chiedendosi quale sia la ragione di tanto patimento. I simboli rassicuranti delle croci farmaceutiche sono segnali sordi e svuotati di senso, così come le flebo penzolanti, unici richiami ad una struttura ospedaliera opaca, atona, irrimediabilmente distante.
Il commento sonoro è stato curato da Giovanni Sollima: nella prima parte dello spettacolo il rumore amplificato e distorto di macchine per la terapia si alterna con brani di testi scientifici. Il suono freddo e meccanico sottilinea in modo ossessivo il pulsare del dolore nelle vene e nella carne. Quando Filottete (il primo, quello sofocleo) sorge da dietro le quinte con l’arco, certo, e la sedia a rotelle, il dramma culmina nella performance musicale di Sollima che si esibisce con la sua band. È una specie di tragedia nella tragedia, con i monologhi, i cori, i dialoghi, le catastofi. Il tutto giocato sul filo dell’improvvisazione talentosa di Sollima che cava dal violoncello un ipertesto della vicenda di Filottete. Un altro violoncello, completamente rivestito di candide bende, giace a fianco del musicista; nel finale, incredibilmente, Sollima suona anche quello. L’attrice, ancora in attesa del suo turno, ancora, per sempre, seconda, urla.
La fertilità di innesti tra diversi ambiti culturali riflette le intenzioni di chi cura e promuove le attività del Progetto Amazzone (che è stato la cornice in cui è stato rappresentato lo spettacolo). Da tempo, con cadenza biennale, una settimana di incontri multidisciplinari contribuisce alla lotta contro il cancro.


Bang Bang/in Care - Filottete e l’infinito rotondo,
Regia Giancarlo Cauteruccio
Testo Lina Prosa
Creazione musicale originale Giovanni Sollima
Interpretazione Patrizia Zappa Mulas
Esecuzione dal vivo Giovanni Sollima Band
Produzione Associazione Arlenika Onlus e Compagnia Teatrale Krypton


 


 

Le recensioni di "ateatro": Edoardo II di Christopher Marlowe
Traduzione di Letizia Russo, regia di Antonio Latella
di Tiziano Fratus

 

Edoardo II è un testo che continua a divorare quella minima speranza nelle possibilità di riscatto che l’essere umano reclama e tenta di garantirsi da epoca in epoca, ma che costantemente annulla per avidità, brama di potere, follia o peggio ancora, stupidità. L’inettitudine è una delle peculiarità che costeggia tanto la storia fattuale delle battaglie e delle date quanto quella mitica e letteraria. Pensare che questo testo, rappresentato per la prima volta nel 1592 e dato alle stampe esattamente quattrocentodieci anni fa, fu scritto da un ragazzo di ventisette-ventotto anni, Christopher Marlowe, a pochi mesi dall’assassinio in una taverna di Deptford, fa correre un brivido lungo la spina dorsale. Eppure ben poco di giovanilistico o di non-ancora-maturo può essere ravvisato nella lingua del testo, nello sviluppo della trama, nell’epilogo tragico.



Lo spettacolo diretto da Antonio Latella deve un certa asperità linguistica alla traduzione di Letizia Russo (il volume edito dal Teatro Stabile dell’Umbria è acquistabile presso i teatri che ospitano lo spettacolo), che ripropone in questa riscrittura alcune peculiarità della propria drammaturgia, da Tomba di cani a Babele all’ultimo Edeyem; spesso saltano i congiuntivi che vengono resi in un indicativo presente, gli articoli e i pronomi talvolta s’invertono. E’ curioso notare come la riscrittura di Fedra fatta alcuni anni fa da Sarah Kane suoni come una parente stretta, sebbene in alcuni frangenti le ondate di sproloqui possano urtare l’orecchio più attento abituato ad altre forme di traduzione, più caute, più misurate, più moderate.
Latella divide lo spettacolo in due parti, i primi tre atti nel primo tempo, il quarto ed il quinto nel secondo. La scelta risulta funzionale soprattutto per la prima sezione che scorre rapida, con un bel ritmo incalzante dando addirittura l’illusione della fine dello spettacolo quando improvvisamente termina il tempo.
Per molti della mia generazione Edoardo II significa Derek Jarman, il lungometraggio diretto nel 1991 dal regista inglese con le scenografie di Christopher Hobbs, i costumi di Sandy Powell e le interpretazioni di Tilda Swinton, Andrew Tiernan, Steven Waddington.
L’adattamento e la regia di Latella, grazie all’uso di costumi neri, scuri, monacali, all’uso di luci che sottolineano il vuoto della spazialità scenica, nonché l’intervento di impulsi sonori ed amplificati, elettronici, studiati per l’occasione da Franco Visioli, porta in dote gli esiti estetici raggiunti da Jarman ma senza riproporli alla lettera. Questo Edoardo II risulta quindi essenziale ma al contempo ricco di stratificazioni, soprattutto caratterizzato da un alto tasso di bravura attoriale: la monolitica espressività del protagonista, Danilo Nigrelli, la plasticità gestuale e vocale di Marco Foschi in Pierce di Gaveston, la misura orchestrata della drammaticità da Cinzia Spanò nella regina Isabella, il fulcro di tutta la pièce, il fuoco denso che rimette in moto la macchina con la sua leggerezza e le sue furie. Ma tutto il cast manifesta una pregevole coralità: Rosario Tedesco in Mortimer, Fabio Pasquini nel Vescovo, Nicola Stravalaci nel Conte di Warwick, Annibale Pavone in Edmund il fratello del sovrano, Matteo Caccia in Lancaster, Alessando Quattro nel Principe Edoardo, Enrico Roccaforte in Spencer.
Il primo tempo si sviluppa secondo un ritmo crescente ed equilibrato: Edoardo II deve affrontare il dilemma fra l’amore – la passione che lo infiamma per lo sprezzante Gaveston – e la fedeltà alla corona e dunque al volere dei nobili di corte, i quali già una volta esiliarono Gaveston ed ora nuovamente premono per allontanarlo. La moglie, la regina Isabella, ama il sovrano che però oramai riserva alla donna soltanto aridità e indifferenza. La sete di potere dell’amante del re, ovviamente, impedisce una convivenza diplomatica. Sarà scontro frontale fino alla guerra che porterà alla sconfitta dell’esercito del re e all’assassinio di Gaveston.
Nel secondo tempo il sovrano giustizierà i responsabili della sua perdita e si troverà ad affrontare una nuova guerra che lo porterà alla tomba. Il potere passerà sotto la reggenza del figlio immaturo, che però proprio nel momento di massima crisi vendicherà il tradimento che Mortimer aveva condotto a buon fine insieme alla madre Isabella. Troppo lunga ed insistente però appare la scelta di Latella di sostare per diversi minuti sull’agonia del re, nonostante un’abile trovata scenografica che sancisce con una suggestiva pioggia d’acqua e di sabbia la morte del sovrano, mentre il successivo funerale con ombrelli che ricorda la matericità nera di alcuni dipinti di Francis Bacon.


 


 

Teatro e disagio
Il convegno “Teatri di Roma, percorsi di inclusione sociale”
di Erika Manni

 

“Teatri di Roma, percorsi di inclusione sociale”: questo è il titolo del convegno che si è svolto a Roma il 10 e l’11 dicembre presso il Teatro Lido di Ostia, promosso dalla V Commissione Consiliare Permanente del Comune di Roma in collaborazione con l’Enea (progetto di sviluppo tecnologie per gli anziani e i disabili). Fulcro dell’incontro è stata l’analisi del rapporto tra Teatro e Disagio, che ormai rappresenta una delle realtà più vive del teatro italiano.
Obiettivo comune è stato quello di ragionare sul processo di formazione e sull’attuale situazione del cosiddetto «teatro integrato», che cambia di esperienza in esperienza su tutto il territorio nazionale; un aiuto concreto è stato dato da una convenzione sottoscritta il 30 marzo 2004 a Roma, che ha dato l’avvio alla realizzazione del primo censimento nazionale Teatro e Disagio.
La ricerca mostra una situazione eterogenea e sfaccettata: il centro nord Italia ne esce più impegnato di un sud che è ancora lontano dai numeri della Lombardia, dell’Emilia Romagna, della Toscana e del Lazio, dove la scuola pubblica e gli istituti sociosanitari pubblici sono le strutture che ospitano maggiormente tali attività.
Tra i soggetti coinvolti nell’esperienza i disabili fisici sono secondi solo ai disabili psichici che risultano in assoluto i più integrati all’interno dei progetti.
Grazie questa fotografia quantitativa è possibile supportare con maggior efficacia l’attività di cinque organismi: l’ETI, Università di Urbino (Facoltà di Sociologia, Cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo), Associazione culturale Nuove Catarsi, Enea (progetto tecnologie per la qualità della vita) e la cooperativa sociale “Diverse Abilità”, che si sono prefissati l’obiettivo di formalizzare un “centro di documentazione” per non perdere le esperienze passate, monitorare il presente e avere la possibilità di costruire un futuro.
Dalla necessità di trovare gli strumenti per legittimare e dare voce a questo nascente “teatro di ricerca” si sono formati nel pomeriggio del 10 dicembre, all’interno del convegno, quattro gruppi di lavoro che hanno approfondito altrettante problematiche.

1) La committenza: qualità e forme di finanziamento
Il problema della qualità e delle forme di finanziamento non investe il solo teatro integrato, ma è sicuramente uno dei nodi cruciali della nostra politica culturale contemporanea. La committenza resta per lo più pubblica e va di pari passo con la realizzazione di eventi di Teatro e Disagio generalmente frutto di percorsi diversi, generati dalla contaminazione di risorse umane eterogenee, che rappresentano la reale ricchezza di un teatro distaccato nettamente da quello tradizionale e proprio per questo potenzialmente considerato di serie B.

2) Gli operatori: formazione e qualificazione
Figure professionali differenziate convivono e collaborano all’interno del teatro sociale e del teatro integrato; l’integrazione delle competenze è stato probabilmente il punto di partenza, ma è diventata caratteristica imprescindibile di questo nuovo scenario che tenta di far convivere soggetti appartenenti a categorie svantaggiate e professionisti del settore artistico.
Laddove non c’è la possibilità (quasi sempre economica) della effettiva compresenza costante di diverse figure professionali (psichiatra, educatore, assistente sociale, teatrante…), la conduzione di un laboratorio o di un corso è delegata a un unico operatore che, per determinare la propria professionalità, può aver intrapreso strade distinte: di natura accademica, ma più spesso di autoformazione e di esperienza sul campo.
Nel nuovo panorama che si sta delineando diventa perciò importante individuare una nuova figura professionale. Ma non si corre il rischio che un eventuale riconoscimento accademico potrebbe tagliare fuori dal mercato lavorativo chi non ha una qualifica istituzionale, ma che possiede competenze pratiche maturate negli anni?

3) La proposta teatrale: linguaggi scelti e soggetti coinvolti
Il teatro integrato può essere inscritto nel teatro di ricerca, così da mettere lo spettatore in condizione di assistere ad uno spettacolo in cui quello che conta è la dimensione poetica, in cui non conta l’arte di un disabile, ma conta solo «l’arte di raccontarsi». Lavorando con persone diversamente abili si recupera il senso primario del teatro: persone che nella loro unicità (con o senza handicap) si esprimono in modo differente.
Il gruppo di lavoro ha posto l’accento sull’esigenza di avere contesti in cui esibirsi, senza cercare per forza un circuito professionale. Ma senza la ricerca di professionalità non si rischia di imprigionare le esperienze in un ambito esclusivamente estemporaneo, che ridurrebbe l’importanza del processo artistico intrapreso?

4) Il pubblico: spettatori e destinatari
E’ quasi scontato ricordare che nel teatro praticato da soggetti socialmente svantaggiati il processo artistico e il risultato finale sono altrettanto importanti, ma lo è ancora di più la condivisione dell’esperienza con il pubblico; anche quando il pubblico reclutato è un pubblico «vicino» composto da amici, parenti,operatori del settore.
Il salto di qualità sta nella ricerca dell’altro pubblico, quello di «propaganda», che ha un intento militante, sensibile e che possa sensibilizzare. Se questo coinvolgimento di nuovo pubblico non dovesse funzionare il teatro integrato potrebbe essere considerato un genere. Ma anche questo non sarebbe limitante?
L’arte in tutte le sue espressioni è stata ed è veicolo importante di integrazione; il teatro nel suo essere tale è aggregazione artistica e sociale che risponde all’istanza umana di comunicare ed esprimersi.

Integrare un gruppo di teatro non significa solo unire normodotati e disabili in un progetto comune, ma trovare una intesa artistica ed emotiva scavalcando tutte le forme di assistenzialismo per incontrarsi in una professionalità paritaria. L’incontro diretto con il pubblico e la successiva diffusione di un prodotto artistico sul mercato suggelleranno il processo di integrazione in favore di una visibilità più ampia.
Compito dei Ministeri, delle Regioni, degli Enti Locali è quello di permettere che tutto ciò avvenga, sostenendo una programmazione di sostentamenti per il settore del Teatro e Disagio che negli anni Novanta ha trovato una sua fisionomia e che adesso vive di un futuro incerto.


 


 

Le commedie di Eduardo in DVD
In vendita dal 15 dicembre
di 01 Distribution

 

01 Distribution ha il piacere di annunciare la prima uscita della collana "Le Commedie di Eduardo in DVD", la prima raccolta in DVD dedicata al più grande e geniale autore-attore-regista della commedia napoletana, Eduardo De Filippo.



Il primo cofanetto de "Le Commedie di Eduardo in DVD " uscirà il 15 Dicembre 2004 e conterrà 5 Dischi con alcune tra le più belle commedie di Eduardo "Uomo e Galantuomo", "Chi è cchiù felice ‘e me", "Non ti pago" e "Natale in Casa Cupiello" in un doppio disco che conterrà due edizioni della commedia, quella televisiva a colori del 1977 e quella in bianco e nero del 1962.

La collana "Le Commedie di Eduardo in DVD" è un progetto promosso da Luca De Filippo, in collaborazione con Rai Cinema e Rai Trade che prevede in tre anni la pubblicazione in DVD di tutte le opere teatrali realizzate da Eduardo De Filippo per la Rai.

Tutte le registrazioni originali delle opere realizzate dalla Rai con la regia di Eduardo - documenti e testimonianze importantissime tanto per la storia del teatro e della televisione italiana quanto per quella del costume e della cultura del nostro paese (da "Natale in Casa Cupiello" a "Napoli Milionaria", da "Il Contratto" a "Il Berretto a Sonagli" e "La Paura Numero Uno") - verranno appositamente restaurate per il DVD e proposte al pubblico arricchite da straordinari contributi speciali curati dalla Proff.ssa Antonella Ottai e dalla Proff.ssa Paola Quarenghi dell’Università "La Sapienza" di Roma, con il coordinamento di Luca De Filippo.

La realizzazione tecnica dei DVD è affidata alla Digital Studio & DVD di Alex Ponti.
La Collana delle commedie di Eduardo in DVD è prodotta dalla società Elledieffe di Luca De Filippo in collaborazione con Rai Cinema e Rai Trade.
La distribuzione è affidata a 01 Distribution.

Le commedie di Eduardo in DVD

La 01 Distribution ha il piacere di presentare la collana delle commedie di Eduardo in DVD prodotta dalla società Elledieffe di Luca De Filippo in collaborazione con RAI Cinema e RAI Trade.

La collana è a cura delle professoresse Antonella Ottai e Paola Quarenghi dell’Università "La Sapienza" di Roma ed è coordinata da Luca De Filippo. La realizzazione tecnica dei DVD è affidata alla Digital Studio & DVD di Alex Ponti.


Descrizione della collana

La collana è divisa nei seguenti sei gruppi di 4 DVD

1° gruppo (Autunno 2004)
UOMO E GALANTUOMO, CHI E' 'CCHIU' FELICE 'E ME, NON TI PAGO, NATALE IN CASA CUPIELLO

2° gruppo (Primavera 2005)
DITEGLI SEMPRE DI SI, SEI ATTI UNICI IN B/N (Il dono di natale, Quei figuri di tanti anni fa, I morti non fanno paura, Pericolosamente o San Carlino 1900… e tanti, Amicizia, Le chiavi di casa o Il chiamino), DUE ATTI UNICI A COLORI (Quei figuri di tanti anni fa, Gennariniello), NAPOLI MILIONARIA

3° gruppo (Autunno 2005)
QUESTI FANTASMI, FILUMENA MARTURANO, LA GRANDE MAGIA, LE VOCI DI DENTRO

4° Gruppo (Primavera 2006)
LA PAURA NUMERO UNO, MIA FAMIGLIA, BENE CORE MIO, DE PRETORE VINCENZO

5° Gruppo (Autunno 2006)
IL SINDACO DEL RIONE SANITA', L'ARTE DELLA COMMEDIA, IL CILINDRO, IL CONTRATTO

6° Gruppo (Primavera 2007)

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI, L'ABITO NUOVO, IL BERRETTO A SONAGLI, DVD EXTRA


Contenuti editoriali

Per ogni commedia saranno realizzate le seguenti versioni in DVD:

La Commedia – Contiene la commedia con la suddivisione in capitoli e i sottotitoli per non udenti
Collector’s Edition – Contiene la commedia con la suddivisione in capitoli, i sottotitoli per non udenti e i seguenti contenuti speciali:
Pensieri – Curiosità sulla commedia raccontate da Luca De Filippo, Isabella Quarantotti De Filippo e da altri personaggi
La vita della commedia – Un racconto filmato della vita della commedia e dei tempi in cui fu ideata e messa in scena
Scenografie – I bozzetti delle scenografie
Galleria fotografica – Un gruppo di fotografie, alcune delle quali inedite, relative alla commedia
Teatrografia di Eduardo – La teatrografia completa di Eduardo De Filippo

I contenuti speciali sono realizzati sotto la direzione artistica di Luca De Filippo, il figlio di Eduardo, con la collaborazione di Isabella Quarantotti De Filippo, la moglie di Eduardo, e saranno a cura delle professoresse Antonella Ottai e Paola Quarenghi, profonde conoscitrici dell’opera e della vita di Eduardo De Filippo.

Cofanetto – Le Collector’s Edition di ciascun gruppo di 4 DVD sono raccolte in un cofanetto.


Caratteristiche tecniche

Le registrazioni originali delle commedie realizzate dalla RAI con la regia di Eduardo sono state appositamente restaurate per il DVD.

Le caratteristiche tecniche per ogni DVD sono le seguenti:

Commedia (Video: 4/3, Audio: Dolby Digital 2.0)
Contenuti filmati extra già esistenti e/o girati appositamente (Video: 4/3, Audio: Dolby Digital 2.0)
Menù interattivo ed animato
Sottotitoli in lingua italiana per non udenti


 


 

Selezione del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards
Per la nuova sessione 2005-2006
di Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards

 

Cari Amici,

Vi informiamo che a partire dal 7 Febbraio, 2005, il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards terrà una sessione di Selezione. Per i candidati che alla fine della sessione di Selezione saranno ammessi a partecipare alle attività del Workcenter il periodo minimo di partecipazione è di un anno (Marzo 2005 – Aprile 2006). I partecipanti devono essere in grado di pagare le proprie spese per viaggio, vitto e alloggio durante l’anno di lavoro. Tuttavia, esiste la possibilità in casi individuali che alcuni partecipanti scelti possano ricevere una borsa di studio.

Gli interessati sono pregati di spedire una lettera di motivazione e un Curriculum Vitae completo, con data di nascita, attuale indirizzo, numero telefonico e indirizzo e-mail (l’e-mail è obbligatoria) a:

Email: workcenter@pontederateatro.it

Le domande e-mail devono pervenirci non oltre il 15 Gennaio, 2005 (coloro che necessitano del visto per entrare in Italia sono pregati di inviare le domande di partecipazione il prima possibile). Attenzione: la squadra del Workcenter non sarà in Italia fino al 12 Gennaio, 2005, perciò è necessario che tutte le applicazioni siano inviate esclusivamente via e-mail.

Vi chiediamo di essere così gentili da diffondere queste notizie.
Per ulteriori informazioni sul Workcenter si prega di consultare:

www.tracingroadsacross.net

Troverete inoltre ulteriori informazioni sulla sessione di Selezione e un poster eventualmente da scaricare, stampare e affiggere, alla pagina web:

http://www.tracingroadsacross.net/cgi-bin/event/event.pl?id=129

Molte grazie,

Saluti

Thomas Richards

PS! Per favore ricordate di aggiornare i dati personali come: indirizzo, e-mail, ecc se necessario.


 


 

I Premi Ubu 2005
E il Patalogo 27
di Redazione ateatro

 

Sono stati assegenati oggi al Piccolo Teatro di Milano i Premi Ubu per il teatro, frutto di un referendum e ballottaggio tra 55 critici.
Nell'occasione è stato presentato il Patalogo 27, l'indispensabile annuario dello spettacolo pubblicarto dalla Ubulibri e diretto da Franco Quadri.
Qui di seguito, l'elenco dei Nominati e dei Vincitori.

Le Nominations e i Vincitori dei Premi Ubu 2004

1. Spettacolo dell'anno
I Pescecani ovvero quello che resta di Bertolt Brecht; di Armando Punzo (Compagnia della Fortezza)
L'Avaro di Moliere (Gabriele Lavia)
Edipo a Colono di Sofocle (Mario Martone)

2. Miglior regia
Danio Manfredini (Cinema Cielo)
Arturo Cirillo (L'ereditiera)

Mario Martone (Edipo a Colono)
Massimo Castri (Questa sera si recita a soggetto)
Armando Punzo (I Pescecani)

3. Miglior scenografia
Carmelo Giammello (L'Avaro)
Mimmo Paladino (Edipo a Colono)

Pietro Babina (Madre e assassina)
Luigi de Angelis (Ardis I)

4. Miglior attore
Roberto Herlitzka (Lasciami andare, madre)
Giancarlo Cauteruccio (L'Ultimo nastro di Krapp)
Fabrizio Gifuni ('Na specie de cadavere lunghissimo)

5. Miglior attrice
Michela Cescon (Giulietta)
Elisabetta Pozzi (Il benessere)
Fiorenza Menni (Madre e assassina)

6. Miglior attore non protagonista

Valerio Binasco (Edipo a Colono)
Riccardo Bini (Peccato che fosse puttana nei ruoli di Vasques e Putana)
Massimiliano Speziani (In fondo a destra, I danni del tabacco e Antigone di Sofocle)

7. Miglior attrice non protagonista

Barbara Valmorin (Peccato che fosse puttana)
Pia Lanciotti (Peccato che fosse puttana)

8. Nuovo attore o attrice (under 30)

Filippo Timi
Francesca Bracchino

9. Nuovo testo italiano
Il Cortile di Spiro Scimone
Maggio '43 di Davide Enia
Alcesti di Giovanni Raboni
Italiani Cingali! di Nicola Bonazzi e Mario Perrotta

10. Nuovo testo straniero
Inverno di Jon Fosse
Il tenente di Inishmore di Martin McDonagh

11. Miglior spettacolo di teatro-danza
Empty Space di Virgilio Sieni
non assegnato

12. Premi speciali
Remondi e Caporossi per la loro ultima personale e per una fedeltà a se stessi che li ha resi un modello per il teatro
Tragedia endo-gonidia
per il rinnovamento operato nel sistema produttivo a livello internazionale e la ricchezza creativa di un linguaggio che è già confluito nel cinema e in una moltiplicazione di perfromance
Nanni Garella
per il suo lavoro coi disabili mentali sui grandi testi


13. Miglior spettacolo straniero presentato in Italia
Agamennone di Rodrigo García


 


 

Taglio del 20% ai fondi per lo spettacolo: a rischio 10.000 posti di lavoro
Il comunicato stampa del 10 dicembre
di Direttivo Tedarco

 

Il maxi emendamento alla legge finanziaria 2005 proposto dal Governo taglia i fondi per lo spettacolo del 20%, circa 100 milioni di euro.
Cinema, opera, prosa, musica e danza, già ampiamente sottofinanziati rispetto alle necessità e rispetto a tutti i principali Paesi europei, con questo ulteriore taglio pesantissimo, vedono messe a rischio non solo le attività, ma soprattutto i posti di lavoro. Una stima prevede la perdita di almeno 10.000 unità/lavoro, per effetto diretto (minore livello di sostegno alle imprese) e indiretto (inevitabile consistente contrazione del mercato). E tutto ciò senza aver ancora potuto verificare l’impatto negativo sul settore conseguente ai tagli operati verso le Regioni in questa finanziaria.

Alcune cifre: i fondi per lo spettacolo vengono finanziati attraverso il FUS (fondo unico per lo spettacolo) e il Lotto, per una somma nel 2004 di 580 milioni di euro. La proposta descritta dal Governo prevede un intervento complessivo di 472 milioni di euro, con una perdita di oltre 100 milioni di euro sul 2004, ma una riduzione addirittura del 60% rispetto al 1985, anno di istituzione del FUS (l’Italia è l’unico grande Paese europeo a non raggiungere per la cultura nemmeno l’1% del PIL in termini di investimenti e contributi, considerata la soglia di adeguatezza).

Il Governo, se dovesse mantenere questo taglio, si assumerebbe la responsabilità di dare un colpo mortale a un settore che nel suo complesso rappresenta una delle immagini, forse la più forte e significativa, dell’Italia.
Solo qualche giorno fa, il Primo Ministro, membri del governo e autorità dello Stato erano al Teatro alla Scala a magnificare l’importanza della cultura italiana, ma nello stesso momento hanno dato il via a una manovra che metterà in ginocchio economie di imprese ed economie di famiglie di lavoratori dello spettacolo.

Se poi dovessimo immaginare quali saranno i primi tagli che il Ministero competente opererà, quanto avvenuto nel 2004 rappresenta l’evidente anticipazione: taglio indiscriminato alle piccole produzioni, soprattutto legate all’innovazione teatrale, smentendo una delle dichiarate volontà del Governo di sostenere, nel sistema italiano, innovazione e ricerca.

Tutto ciò avviene mentre si annuncia una inaccettabile condizione di vuoto legislativo per il teatro a partire dal 1 gennaio 2005: per la prima volta non c’è, al momento, alcuna norma che fissi regole e criteri, non c’è alcun principio di relazione tra lo Stato e gli operatori.

Chiediamo al Governo di ripensare strutturalmente il suo intervento a favore dello spettacolo, non solo ripristinando i finanziamenti tagliati, ma individuando nuove risorse che permettano il rilancio del sistema dello spettacolo in Italia. Chiediamo al Governo di intervenire insieme alle Regioni, alle Province, ai Comuni e agli operatori, per dare regole certe, trasparenti e moderne all’intero settore dello spettacolo.

Ci appelliamo al Presidente della Repubblica perché intervenga a sostegno delle richieste dello spettacolo italiano, perché si faccia garante di un settore vitale e creativo dell’Italia, di chi sempre è chiamato a rappresentare il nostro Paese in Italia e all’estero.

Teatri d’Arte Contemporanea


 


 

Silvio Berlusconi al Festival di Sanremo 2005?
Una voce che non leggete sul Dizionario dei cantautori
di Giangilberto Monti

 

Un anno fa Giangilberto Monti e Veronica Di Pietro hanno pubblicato un fortunato Dizionario dei cantautori. L'autore e l'editore sono stati a lungo indecisi se inserire una voce dedicata a un protagonista del genere, che allora appariva di secondo piano, ma che con il passare dei mesi ha assunto una rilevanza via via maggiore, tanto che una delle sue composizioni pare candidata, secondo recenti indiscrezioni della stampa, al Festival di Sanremo 2005.
Insomma, gli autori del
Dizionario non hanno saputo prevedere l'ascesa di questo nuovo astro della canzone d'autore. Ma ora cercano di rimediare. Ecco dunque in esclusiva per il lettori di ateatro la voce dedicata a questo chansonnier brianzolo di grande talento. (n.d.r.)



Silvio Berlusconi

Cantante e performer, oltre che imprenditore di successo e affermato uomo politico, Berlusconi è ormai un noto autore di canzoni grazie al suo alter ego, il cantante-chitarrista Michele Apicella, più noto come «il posteggiatore», uomo della più pura tradizione melodica napoletana e grande animatore di matrimoni.
Silvio Berlusconi nasce a Milano il 29 settembre 1936. Muove i primi passi nel mondo della canzone con l’amico Fedele Confalonieri, pianista precoce specializzato in slow da night; suona il contrabbasso e canta i classici dello swing. Durante le vacanze estive degli ultimi anni di liceo, e poi universitari, si esibisce al Tortuga di Miramare di Rimini e in locali milanesi, il Gardenia e il Carminati. Lavora come animatore sulle navi Costa in crociera nel Mediterraneo e la sera imita Maurice Chevalier per i passeggeri. Presa la maturità classica, si iscrive alla Statale di Milano in giurisprudenza e si mantiene agli studi alternando l’attività di bassista e cantante nella band Confalonieri con la vendita porta a porta di spazzole elettriche, per poi impiegarsi in una ditta di costruzioni, lasciando in secondo piano la sua attività di cantante. Ma i suoi rapporti con il mondo dello spettacolo non si interrompono del tutto: nel 1974 fonda l’emittente via cavo Telemilano e l’anno dopo costituisce la Fininvest srl, dando inizio alla creazione di un impero mediatico. In seguito si trasferisce ad Arcore, in Brianza, nella villa settecentesca appartenuta ai marchesi Casati Stampa di Soncino, dove nel tempo libero continua a coltivare la musica e il canto, esibendosi per gli amici. Nonostante i numerosi impegni, trova il tempo per dedicarsi alla scrittura di testi per canzoni, cantando in feste private spesso accompagnato dal posteggiatore e musicista partenopeo Mariano Apicella.
Firma con Renato Serio uno degli inni di Forza Italia, Azzurra libertà: «...è il sogno che c'è in noi / azzurra libertà / per te ci batte il cuore / azzurra libertà / liberi noi, ti difendiamo noi / tutti insieme ed i doni che dai / son parte di noi / ci danno forza, vita...». Al Festival di Napoli (2002), trasmesso in diretta su Retequattro e condotto da Iva Zanicchi, viene presentato`A gelosia (Berlusconi-Apicella): «Dinta Œstu core tengo sul'a'tte / te voglio bene ma me faie suffrî / te voglio bene ma me faie mpazzì / me guarde e rire e nun me vuò sentì». Berlusconi firma il testo con l'aiuto del maestro Rino Giglio, in previsione di un album di brani napoletani composti insieme ad Apicella, che esce nel 2003, Meglio una canzone, eseguiti dallo stesso «posteggiatore»: «Un disco assolutamente da dimenticare e di cui vergognarsi, soprattutto all’estero» (Luca Trambusti, www.chansonnier.it).
Quando è per la seconda volta Presidente del Consiglio lavora con Tony Renis a un album: «Grazie (..) all'amicizia trentennale che li lega, Tony Renis e Silvio Berlusconi tornano a fare lo stesso lavoro e a farlo insieme: i due stanno progettando un disco per l'Unicef. Il cantante imprenditore scriverà la musica, il premier le parole. La coproduzione dei brani li porterà probabilmente anche a cantarli insieme, in duetto (..) Per i tempi molto dipenderà dagli impegni del Presidente del Consiglio» (www.repubblica.it, 7 aprile 2002).
Una composizione della coppia Berlusconi-Apicella è candidata al Festival di Sanremo del 2005.
Telegenico e abile comunicatore, Berlusconi è interprete dalla chiara impostazione melodica con una tessitura da tenore leggero, anche se la sua vera specialità rimane l’intrattenimento e la narrazione di barzellette.


 


 

Il teatro di ricerca manifesta contro i tagli
Giovedì 16 dicembre alle 14.30 a Montecitorio
di Tedarco

 

Appello al Capo dello Stato
"La Finanziaria 2005 taglia il Fondo unico dello Spettacolo (FUS) di 28 milioni di euro cui vanno aggiunte minori risorse da parte del Lotto per altri 62 milioni di euro. Una prima stima prevede la perdita di almeno 10.000 posti di lavoro. Ci appelliamo al Presidente della Repubblica perché intervenga a sostegno delle richieste dello spettacolo italiano e si faccia garante di un settore vitale e creativo dell’Italia".
Così la Tedarco, l’associazione dei teatri d’arte contemporanea, aderente all’Agis, denuncia una situazione che ha indotto il direttivo dell’associazione presieduta da Paolo Aniello, a convocare per giovedì 16 dicembre, a Roma, in piazza Montecitorio, alle 14,30, una "iniziativa pubblica di protesta contro i tagli dei fondi e per la definizione di nuove regole per lo spettacolo, certe, trasparenti e adeguate a rilanciare il nostro sistema"
L'iniziativa "non sarà naturalmente chiusa ai soli associati della Tedarco, ma verrà aperta e proposta a tutti gli operatori dello spettacolo, dal cinema all'opera, dalla musica alla danza. E' assolutamente necessario che lo spettacolo faccia sentire pubblicamente la propria voce, per non continuare a subire passivamente una degradante condizione di secondarietà e di subordine alla politica, che ne dileggia valori e professionalità. Chiediamo a tutti gli artisti di intervenire e di portare il loro pensiero, a tutti gli organizzatori di portare i numeri e la forza delle proprie strutture, compagnie, teatri e orchestre".
Queste le cifre riportate dalla Tedarco: "i fondi per lo spettacolo vengono finanziati attraverso il FUS e il Lotto per una somma, nel 2004, di 580 milioni di euro. La proposta del governo prevede un intervento complessivo di 472 milioni di euro, con una perdita di oltre 100 milioni sul 2004, e una riduzione addirittura del 60% rispetto al 1985, anno di istituzione del FUS. Se il governo, dovesse mantenere questo taglio, si assumerebbe la responsabilità di dare un colpo mortale a un settore che nel suo complesso rappresenta una delle immagini, forse la più forte e significativa, dell’Italia".
Ancora più preoccupante per la Tedarco "immaginare quali saranno i primi tagli che il ministero delle Attività culturali opererà. Quanto avvenuto nel 2004 ne rappresenta l’evidente anticipazione: taglio indiscriminato alle piccole produzioni, soprattutto legate all’innovazione teatrale, smentendo una delle dichiarate volontà del governo di sostenere, nel sistema italiano, innovazione e ricerca".
Da qui, le richieste "al governo di ripensare strutturalmente il suo intervento a favore dello spettacolo, non solo ripristinando i finanziamenti tagliati, ma individuando nuove risorse che permettano il rilancio del sistema dello spettacolo in Italia, e di intervenire insieme alle regioni, alle province, ai comuni e agli operatori, per dare regole certe, trasparenti e moderne all’intero settore dello spettacolo".


 


 

Valerio Valoriani direttore della Pergola
Fino al 31 marzo 2005
di Redazione ateatro

 

ateatro 72 l'aveva gia' anticipato, e il 29 novembre e' arrivata la delibera con cui il consiglio di amministrazione dell'ETI ha affidato l'incarico di direttore facente funzioni del Teatro della Pergola di Firenze a Valerio Valoriani, drammaturgo, regista e organizzatore teatrale. Con questa nomina - e' detto in una nota - si conferma il suo rapporto con l'Ente Teatrale Italiano, di cui e' stato consigliere di amministrazione (1988-1990) e con cui ha anche collaborato per il rilancio del Teatro Valle a Roma (1991).
Gia' direttore della Biblioteca Teatrale Alfonso Spadoni, con sede proprio nella storica sala fiorentina direttamente gestita dall'ETI, Valoriani ricoprira' la carica di facente funzioni sino al 31 marzo 2005.
Al nuovo direttore i migliori auguri di buon lavoro, nella convinzione che ai cosiddetti giovani non piacciano solo i classici ma anche i moderni e magari i post-moderni...


 



Appuntamento al prossimo numero.
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