(80) 02/02/05

Con-FUS-i & senza FUS
L'editoriale di ateatro 80
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and1
 
Le recensioni di ateatro: il teatro politico secondo Luca Ronconi
Il professor Bernhardi di Arthur Schnitzler
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and2
 
Il teatro italiano tra mercati e botteghe: verso il ridisegno dell'assetto economico
Con l'analisi di alcune Buone Pratiche
di Serena Deganutto e Michele Trimarchi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and10
 
Il sostegno alle attività teatrali milanesi attraverso convenzioni
Una Buona Pratica nella gestione del denaro pubblico
di Lory Dall’Ombra (Responsabile Servizio Spettacolo Comune di Milano)

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and11
 
Fuori i mercanti dal tempio
La pubblicità all'interno dello spettacolo di Fortebraccio Teatro per compensare il taglio del FUS
di Roberto Latini (Fortebraccio Teatro)

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and12
 
Dalla Russia (danzando) con amore
La danza al Russkij Festival di Roma
di Mara Serina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and15
 
Libri & altro: la prima monografia italiana su Robert Lepage
Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, pref. di O. Ponte di Pino, Pisa, BFS, 2004, pp. 159, €15.00
di Fernando Mastropasqua

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and18
 
Marco Paolini: una scheda
da "Hystrio" 1.2005 Dossier "Teatro di narrazione"
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and20
 
Dal "Decalogo del buon narratore"
da "Hystrio" 1.2005 Dossier "Teatro di narrazione"
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and21
 
Una poltrona pirandelliana
Una conversazione con Cacà Carvalho
di Andrea Lanini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and22
 
Riflessioni 2005
In occasione della nona edizione di "A teatro nelle case"
di Stefano Pasquini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and37
 
Febbraio 2005: l'Odin Teatret per Torino
Le date della tournée
di Odin Teatret

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and80
 
Sul nuovo "Hystrio" un dossier sul teatro di narrazione
Nelle migliori librerie dalla fine di gennaio
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and81
 
Scomparso Rino Sudano
Era nato a Catania nel 1940
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and82
 
La conferenza dell’Institutet för Scenkonst a Torino
Giovedì 27 Gennaio 2005 ore 15, via Botero 15
di C.R.U.T. Centro Regionale Universitario per il Teatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and84
 
dramma.it: le novità di febbraio
La drammaturgia contemporanea online
di www.dramma.it

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and85
 
Le arti multimediali digitali all'Accademia di Brera


 

La presentazione del libro di Balzola-Monteverdi a Milano il 3 febbraio (e a Carrara il 1° febbraio)
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and86
 
Selezione di un progetto di spettacolo per il Festival di Castel dei Mondi
Il bando sul tema "Città ideale, città globale"
di Festival Internazionale Castel dei Mondi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and87
 
Danio Manfredini a Parma
Venerdì 4 e sabato 5 febbraio
di Il principe costante Edizioni

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and88
 
Il bando del Premio Riccione per il Teatro 2005
Il regolamento della 48a edizione
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro80.htm#80and89
 

 

Con-FUS-i & senza FUS
L'editoriale di ateatro 80
di Redazione ateatro

 

Dove sono finiti i nostri soldi?
I denari che confluiscono nel FUS – continuiamo a ripeterlo – vengono dalle nostre tasse. Dalle nostre tasche. E’ per questo che è giusto e indispensabile rendere pubblica e accessibile a tutti la ripartizione del FUS. Per esempio pubblicando questi dati sul sito del Ministero.
Invece che cosa è successo, negli ultimi mesi del 2004?
Il 18-19 ottobre scorsi la Commissione Ministeriale e il Direttore Generale dello Spettacolo dottor Nastasi hanno deciso come ripartire il FUS per il 2004; poco dopo inizia ad arrivare ad alcune compagnie e teatri l’abituale lettera che indica l’ammontare dei contributi. Le decisioni della Commissione sono state, come d’abitudine, comunicate anche all’AGIS, che attraverso le associazioni di categoria le ha fatte conoscere ai soci: c’è una sorta di vincolo di riservatezza, le tabelle non sono pubbliche anche se poi circolano ampiamente tra i teatranti, ovviamente assai curiosi. Ma questa “visura AGIS” viene ritenuta indispensabile per “aggiustare” qualche decisione azzardata e garantirsi l’appoggio della corporazione dei teatranti (i non soci, si arrangino…).
Qualcuno, a cominciare ateatro (vedi gli ultimi numeri e i forum), protesta per alcune decisioni: molti tagli paiono ingiustificati; oltretutto queste scelte sono state fatte quando l’annata teatrale era praticamente conclusa e tagli di questo genere spingono molte realtà verso un inevitabile fallimento.
Il dottor Nastasi difende con durezza le decisioni e il metodo di lavoro della Commissione, ma l’abituale diffusione di questi dati sul sito del Ministero viene ritardata a tempo indeterminato. Dopo di che, con i dati per così dire secretati, una riunione (tenutasi pare il 17 dicembre) reintegra alcuni dei tagli, in particolare decidendo recuperi totali o parziali per alcune realtà.
Oggi il fatidico 17 dicembre è passato da più di un mese e della ripartizione del FUS sul sito del Ministero non c’è ancora traccia. Anzi, i funzionari del Ministero, rispondendo a una precisa richiesta, spiegano che questi dati non vengono diffusi perché si sta ancora decidendo come pubblicarli “tenendo conto delle leggi sulla privacy”: una motivazione inaccettabile, perché trattandosi di assegnazioni di fondi pubblici, comunicate con lettere ufficiali dal Ministero, devono ovviamente essere pubblici e accessibili ai cittadini contribuenti.
Una procedura come questa, con aggiustamenti in corso d’opera e una cortina di fumo, consente per di più ampi margini di discrezione, può recepire pressioni di varia natura, favorisce i peggiori vizi del sottogoverno, diminuendo ulteriormente la già scarsa trasparenza dei processi decisionali. Già la Commissione ha una discrezionalità quasi assoluta. Ma quale credibilità può avere un organismo che in base a valutazioni qualitative taglia molti contributi, per poi reintegrarli qualche settimana dopo?
Per il 2005 la situazione si presenta, se possibile, ancora peggiore. A parte i tagli del FUS, il 29 dicembre in Consiglio dei Ministri ha semplicemente deciso di reiterare il Decreto Ministeriale che regolava il teatro nel 2004, prorogando fino al 29 gennaio i termini della presentazione delle domande e autorizzando l’erogazione automatica del 50% dei contributi assegnati nel 2004. Così le premesse per ripetere il pasticciaccio ci sono tutte. L’orientamento è quello di procedere con una sorta di pilota automatico, previo accordo tra Stato e Regioni, in attesa che questa Commissione giunga al suo termine naturale, tra poche settimane. Ma questo stallo, in mancanza di regole, mentre si discute della legge che regolerà il passaggio di molte competenze alla Regione, può succedere di tutto.
Dunque bisogna vigilare, e far circolare le informazioni. E per il momento va almeno richiesta con grande fermezza la pubblicità delle assegnazioni del FUS 2004 e una maggiore trasparenza nelle scelte per il 2005. Forse anche da qui – e non solo dalle lamentele sui tagli - dovrebbe iniziare l’audizione del Ministro Urbani alla Commissione Cultura del Senato, annunciata per le prossime settimane. Va anche segnalato che per la prima volta l'AGIS sta prendendo per la prima volta nella sua storia una posizione assai dura nei confronti del governo: la "vertenza spettacolo" sta insomma diventando una vera vertenza, e non una serie di iniziative di sensibilizzazione di governo e stampa.
Nel frattempo noi di ateatro abbiamo deciso di pubblicare i dati raccolti con pazienza da Luigi Marsano dei Teatrini di Napoli (manythanks). In modo che si possa giudicare l’operato della Commissione, e in attesa che TUTTI i dati delle assegnazioni del FUS 2004 vengano finalmente resi pubblici.
Ah, dimenticavamo: la privacy. Per quanto detto in precedenza, riteniamo di non aver violato alcuna norma. Ma se qualcuno si ritenesse danneggiato con fondate ragioni dai dati qui pubblicati (e che dovrebbero essere secondo noi di pubblico dominio) siamo pronti a prendere i necessari provvedimenti.
Nei prossimi numeri della webzine continueremo a seguire la vicenda, cercando di raccogliere e diffondere informazioni. E per questo ci serve la collaborazione di tutti voi, che frequentate questo sito: per avere dati e numeri, ma anche per tenere vivo il dibattito sullo stato del nostro teatro.

Alcuni tagli e reintegri nel teatro di ricerca & affini   
.COMPAGNIA  contributo 2004 taglio ottobre 2004
 
integrazione dicembre 2004 motivazione 
TEATRO RICERCA . .  .
1 STRAVAGARIO MASCHERE€ 40.000,00 -€ 10.000,00    
2 TEATROINARIA€ 100.000,00 -€ 20.000,00    
3 TEATRO NUOVA EDIZIONE€ 60.000,00 -€ 23.000,00  € 23.000,00  nessuna motivazione
4 TEATRO TASCABILE BERGAMO€ 70.000,00 -€ 10.000,00    
5 IL GRUPPO LIBERO€ 70.000,00 -€ 2.000,00  € 2.000,00  
6 TEATRINO CLANDESTINO€ 40.000,00 -€ 15.000,00  € 15.000,00  
7 LAMINARIE€ 26.000,00 -€ 13.000,00   perché tutte le produzioni sono a firma del direttore artistico
8 MASQUE TEATRO€ 0 -€ 30.000,00    valutazione qualitativa
9 ACCADEMIA ARTEFATTI€ 40.000,00 -€ 10.000,00  diminuita attività, regie del direttore artistico
10 LIBERA MENTE€ 30.000,00 -€ 15.000,00    perché quasi tutte le produzioni sono a firma del direttore artistico
11 CHILLE DE LA BALANZA€ 35.000,00 -€ 7.000,00  € 7.000,00  
12 FORTEBRACCIO TEATRO€ 18.000,00 -€ 13.000,00    Nessuna lettera
13 COMPAGNIA SP. DRAMMATICA€ 15.000,00 -€ 12.000,00    
14 STALKER TEATRO€ 15.000,00 -€ 11.000,00    l'intero progetto presenta opere del direttore artistico che risulta autore e regista
  TEATRO INFANZIA E GIOVENTU’      
15 UNOTEATRO€ 100.000,00 -€ 12.000,00  € 12.000,00  ridotta attività
coincidenza tra direttore artistico/autori/registi
16 TEATRO VERDE€ 130.000,00 -€ 17.000,00    attività ridotta rispetto al 2003
17 RUOTALIBERA€ 85.000,00 -€ 8.000,00    Nessuna lettera
18 TEATRO DI PIAZZA O D'OCCASIONE€ 65.000,00 -€ 10.000,00   ancora non hanno ricevuto la lettera ufficiale
19 GIALLO MARE MINIMAL TEATRO€ 55.000,00 -€ 7.000,00    ridotta attività rispetto al 2003
20 TEATRO DEL SOLE€ 50.000,00 -€ 10.000,00  riduzione dell'attività
21 I TEATRINI€ 50.000,00 -€ 6.000,00    per ridotta attività
22 TEATRO IMPROVVISO€ 40.000,00 -€ 11.000,00    il progetto presentato prevede opere il cui autore e regista è quasi sempre esclusivamente il direttore artistico della Cooperativa
23 TEATRO INVITO€ 15.500,00 -€ 15.500,00  € 3.000,00  perchè trattasi di un progetto composto quasi esclusivamente da "riprese" il cui autore e regista è, per la maggior parte dei casi, il direttore artistico.
24 ONDA TEATRO€ 15.000,00 -€ 12.000,00    per ridotta attività
25 ERBAMIL€ 0 -€ 23.000,00    valutazioni qualitative
26 SCENA MOBILE€ 0 -€ 16.000,00    valutazioni qualitative
27 BARACCA DI MONZA€ 15.000,00 -€ 6.000,00    
28 LA MANSARDA€ 20.000,00 -€ 1.000,00    Nessuna motivazione
29 TEATRO CITTÀ MURATA€ 10.500,00 -€ 10.500,00    ridotta attività preventivata per il 2004
30 LANCIAVICCHIO€ 5.000,00 -€ 5.000,00    valutazioni qualitative
  PRIMA ISTANZA ART. 14     
31 COOPERATIVA TANGRAM€ 0 -€ 10.000,00    
32 BEL TEATRO€ 0 -€ 10.000,00    
   PROMOZIONE ART. 18       
33 TEATRI POSSIBILI€ 0 -€ 10.000,00    
34 LA BARRACA€ 0 -€ 5.000,00    
35 ISOLE NELLA CORRENTE€ 0 -€ 5.000,00    
  TOTALE GENERALE€ 1.215.000,00 -€ 401.000,00  € 62.000,00  
 


NOTA

Va notato che il numero (eccessivo) di regie del direttore artistico è un criterio previsto per gli Stabili di Innovazione e NON per le compagnie.
Va aggiunto che la valutazione qualitativa permette di aumentare o diminuire del 100% i contributi calcolati in base a criteri quantitativi.


 


 

Le recensioni di ateatro: il teatro politico secondo Luca Ronconi
Il professor Bernhardi di Arthur Schnitzler
di Oliviero Ponte di Pino

 

Una premessa

Nella carriera di Luca Ronconi le grandi macchine sceniche e l’uso inventivo dello spazio, l’ampliamento e il recupero del repertorio soprattutto italiano, la scelta di portare spesso in scena testi non teatrali, la decostruzione di testo e personaggio (con le sue conseguenze sulla recitazione) hanno messo in secondo piano la dimensione politica e civile di alcuni dei suoi migliori spettacoli.
Un indizio dell’attenzione del regista a questo aspetto della comunicazione teatrale – la sua dimensione politica e civile - può essere un titolo come Utopia, creato nel pieno dei turbolenti anni Settanta. In tempi più recenti, c’è il clamoroso esempio degli Ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, il memorabile spettacolo montato al Lingotto di Torino alla vigilia della Prima guerra del Golfo. Ma anche in allestimenti come Ruy Blas e Misura per misura nei primi anni Novanta non sarebbe stato difficile cogliere allusioni a quel momento della realtà politica italiana, e in particolare ai temi della corruzione e della giustizia. Anche se poi la più polemica più dura, finita persino sulle prime pagine dei quotidiani italiani, si è accesa in Sicilia intorno ai cartelloni con le effigi di Berlusconi, Fini e soci inseriti nella scenografia delle Rane a Siracusa e immediatamente tolti a causa del minaccioso intervento dei politici locali: non deve sorprendere che la valenza politica di un segno teatrale venga colta solo in occasioni come queste, in un paese dove la riflessione civile, al di fuori dei santuari della politica, si è ormai ridotto da anni quasi unicamente alla sua forma più superficiale, la satira.
Dunque ad alcuni può apparire sorprendente la lucidità politica, e anche il tempismo, con cui Luca Ronconi ha portato in scena al Teatro Strehler di Milano Il professor Bernhardi di Arthur Schnitzler, un testo che affronta con straordinaria lucidità una impressionante serie di temi caldi del momento, a cominciare dal contrasto tra scienza e fede, alla vigilia del referendum sulla procreazione assistita.


Lo spettacolo

Di Arthur Schnitzler Ronconi aveva già portato in scena Al pappagallo verde e Commedia della seduzione. Al Professor Bernhardi il regista pensava da tempo, tanto da immaginare un dittico proprio con Gli ultimi giorni dell’umanità, il testo-monstre sulla catastrofe della prima guerra mondiale. Allo stesso periodo storico rimanda anche questo testo, scritto nel 1912 ma rappresentato solo nel 1918, cioè dopo la fine dell’impero austro-ungarico; e soprattutto centrato su un tema, quello dell’antisemitismo, destinato nei decenni successivi a diventare ancora più tragicamente centrale.
Al centro del Professor Bernhardi è un episodio ricollegabile a una situazione vissuta dal padre dello scrittore. All’Elisabethinum, la clinica che il professor Bernhardi dirige a Vienna, e proprio nel suo reparto, una ragazza sta morendo per un’infezione, provocata con ogni probabilità da un aborto. Una iniezione di canfora trasforma la sua agonia in uno stato euforico, che le fa dimenticare la sua situazione. A quel punto Bernhardi (un Massimo De Francovich ai vertici della sua carriera d’attore) impedisce l’accesso al sacerdote (Gianluigi Fogacci) chiamato per impartire l’estrema unzione alla ragazza.
In una situazione dove già circolano i veleni dell’antisemitismo il gesto del medico ebreo diventa presto un caso esplosivo. All’interno della clinica le lotte di potere tra primari di diverse tendenze politiche e cordate carrieristiche si riaccendono immediatamente. Poi è la volta della politica, con i diversi partiti che strumentalizzano l’episodio per le loro battaglie, e successivamente della giustizia, perché il caso finisce inevitabilmente in tribunale. E non può mancare la stampa, prontissima a gettarsi nella mischia, ovviamente con i suoi metodi e obiettivi.
Nel Professor Bernhardi i temi di un teatro civile ci sono tutti: nei loro intrecci e rapporti reciproci, la politica e l’informazione, la scienza e la fede, l’antisemitismo, l’informazione e la giustizia, il denaro e la corruzione, le politiche sociali e l’insegnamento… Perché quella che mette a nudo Il professor Bernhardi è la meccanica del potere, forse addirittura quella che Michel Foucault ha definito “microfisica del potere”.
Attraverso un esauriente campionario di casi umani, a partire soprattutto dai medici dell’Elisabethinum, Schnitzler mostra come si costruiscono i discorsi politici: non tanto i grandi discorsi, gli ideali (o le ideologie), i programmi, quanto più modestamente i rapporti di forza, le alleanze, i centri di potere, le complicità. Ecco dunque schierarsi i nemici di Bernhardi, con le diverse sfumature della loro retorica e aggressività: il dottor Ebenwald (Giovanni Crippa), nazionalista e antisemita; il dottor Filitz (Riccardo Bini), per il quale la scienza senza fede “resta sempre una pratica insicura”; il carrierista dottor Tugendwetter (Lele Vezzosi); il dottor Schreimann (Sergio Leone), tedesco e cristiano; il tirocinante mediocre, servizievole e opportunista Hochroitzpointner (Pasquale Di Filippo). Ma si schierano, anche se con minor efficacia, anche i suoi sostenitori: il dottor Loewenstein (Elia Schilton), subito pronto a gridare al complotto antisemita; il dottor Pflugfelder, che difende l’operato di Bernhardi (Simone Toni) soprattutto come medico; e il dottor Cyprian, sempre alla ricerca del compromesso (Virgilio Zernitz). Completerà il quadro il geniale – ma totalmente impolitico – dottor Wenger (Tommaso Minniti), che Bernhardi sostiene nella carriera.
E’ già una illuminate galleria di tipi psicologici e politici (nazionalisti tedeschi, cattolici, sionisti…). La loro interazione – vivisezionata con lucida freddezza da Schnitzler - non può che risultare esemplare. Per di più intorno a loro si muovono altre figure ugualmente rivelatrici, a cominciare dal dottor Flint, un tempo compagno di studi di Bernhardi e di recente arrampicatosi fino alla poltrona di Ministro della Pubblica Istruzione (Massimo Popolizio gli regala una straordinaria caratterizzazione). Flint è ovviamente il prototipo dell’uomo politico, abilissimo a fiutare dove soffierà il vento, sempre pronto a cambiare posizione e amici, opportunista e cinico, sentimentale e spietato. E malgrado la diffidenza della sua vittima, continuerà facilmente a giocare al gatto con il topo.
I cinque atti della commedia – perché di commedia si tratta, malgrado i temi scottanti – si svolgono in altrettanti diversi luoghi deputati: tre luoghi pubblici inframmezzati da due luoghi privati, a dar conto dell’intreccio tra i due poli della vicenda, quello personale e quello politico.


La scenografia di Margherita Palli per i cinque atti del Professor Bernhardi nelle foto di Marcello Norberth. Il primo atto, nell'Elisabethinum, la clinica privata del professor Bernhardi.


Il secondo atto, nell'ambulatorio privato del professor Bernhardi: Massimo Popolizio (Flint) e Massimo De Francovic (Bernhardi) (foto di Marcello Norberth).


Il terzo atto, nell sala riunione dell'Elisabethinum. (foto di Marcello Norberth).


Il quarto atto, nel salone di casa Bernhardi (foto di Marcello Norberth).



Il quinto atto, nella segreteria del Ministero della Pubblica Istruzione: ancora un testa a testa tra Massimo Popolizio (Flint) e Massimo De Francovic (Bernhardi) (foto di Marcello Norberth).

Nel primo atto siamo nel reparto del professor Bernhardi, il teatro dell’incidente. Il secondo nel suo studio medico privato, dove è momentaneamente sostituito dal figlio Oskar (Raffaele Esposito), a rispecchiare, in un testo carico risvolti autobiografici, il rapporto tra lo stesso Schnitlzer – che era medico - e suo padre. Il terzo ci porta invece nella sala riunioni della clinica, per il fatidico consiglio in cui Bernhardi deciderà di dimettersi, in seguito alle dimissioni del consiglio d’amministrazione e al tradimento dell’amico Flint, che in Parlamento lo ha dato in pasto ai partiti antisemiti e ai giudici. Il quarto ci riporta a casa di Bernhardi, poco dopo la disastrosa conclusione del processo che ha condannato il protagonista a due mesi di detenzione (è lì che si svolge anche una delle scene chiave del testo, il dialogo “impossibile” ma chiarificatore tra il medico e il sacerdote). L’ultimo atto ci porta al cuore del potere, nell’ufficio di Flint al Ministero, proprio nel giorno in cui Bernhardi ha finito di scontare pena, accolto fuori dal carcere da una folla plaudente. E’ il momento della riabilitazione e del lieto fine. Questa vicenda tutta maschile, come si conviene a una storia di potere, era però iniziata con l’agonia di una donna. E alla fine sarà un’altra donna a rovesciare il destino del protagonista: perché la suora laica che dopo aver chiamato il parroco l’aveva accusato ora ritratta, aprendo la strada alla riabilitazione del medico ingiustamente perseguitato.
Con il senno di poi, Schnitzler appare un inguaribile ottimista: vedeva e sentiva con lucidità i veleni e i pericoli dell’antisemitismo, ma sperava che potessero essere neutralizzati. Non poteva sapere che nella stessa città in cui viveva e scriveva abitava in quegli anni Adolf Hitler.

La tensione fondamentale che dà energia al testo nasce dal rapporto tra il protagonista e tutti coloro che lo circondano. Lo scandalo che travolge Bernhardi parte da un evento apparentemente minimo, quasi privato, un episodio marginale: la scelta di compiere quello che ritiene il proprio dovere professionale, in quel momento, senza neppure pensare alle eventuali conseguenze, ma solo alla felicità e al benessere della sua paziente, lo induce a fermare il sacerdote. Insomma, Bernhardi agisce a prescindere dal contesto politico, seguendo solo la propria coscienza. A questa posizione Bernhardi resterà sempre ancorato, con pacata ostinazione, fino a perdere tutto. Pretenderà – all’inizio del suo calvario – giustizia e magari vendetta, ma alla fine chiederà solo di tornare a fare il proprio lavoro, rifiutando di dare una dimensione politica alla sua vicenda.
Invece gli altri personaggi – tanto gli amici quanto i nemici – misurano i suoi gesti e le sue scelte in base al contesto e ai loro obiettivi. In questa sua ottusità, Bernhardi è insieme un eroe e un antieroe, un martire che però può apparire vocato all’autodistruzione. La sua ostinazione, quella che il parroco definisce la sua “presunzione”, lo rende irrimediabilmente diverso, e in questa diversità sta il nucleo tragico della sua vicenda.
Da un lato c’è l’individuo, il caso particolare. Insomma, i diritti del singolo e il sentire etico al quale si attiene. Dall’altro c’è la collettività, con tutte sue logiche di appartenenza (le chiese, i partiti, le professioni, la famiglia, le istituzioni, le scuole, le cordate, eccetera), e con l’inevitabile subordinazione del bene immediato del singolo a un bene comune che ha scadenze più lunghe. Sono i due poli inconciliabili tra i quali siamo tutti per così dire sospesi: dunque cerchiamo quotidianamente mediazioni e compromessi più o meno dignitosi, più o meno efficaci. In condizioni “normali”, per così dire, tutto questo è possibile e giusto, praticabile, perché il corpo sociale ha flessibilità e inerzia sufficienti a evitare le esplosioni del tragico. Perché alla fine, malgrado le sue vicissitudini e traversie, Bernhardi verrà riabilitato (e, si può aggiungere, i malvagi la faranno franca…).
Ma a volte, quando il veleno s’insinua nelle menti e nei rapporti interpersonali, la “gestione corrente” delle coscienze diventa impossibile. I rapporti tra il singolo e la collettività determinano scontri sempre più duri. Nel caso del Professor Bernhardi, e della storia del Novecento, uno dei veleni più tossici è stato l’antisemitismo. Il testo di Schnitzler mostra gli effetti dell’antisemitismo allo “stato nascente”, quando è ancora difficile capire le sue conseguenze estreme, ma è tuttavia facile identificare le distorsioni che impone alle relazioni sociali e interpersonali, e come in qualche modo queste distorsioni si possano autoalimentare, in una spirale perversa.
Per l’austro-ungarico Schnitzler, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nell’atmosfera ovattata ma già carica di tensioni della Finis Austriae, l’esito della vicenda non è tragico, anche se potrebbe chiaramente esserlo (alcuni dei personaggi di Ibsen, nei quali però è spesso presente una hybris violenta che in Bernhardi è totalmente assente, vivono per certi aspetti drammi analoghi). Anzi, nel dialogo finale sarà proprio un funzionario come il Consigliere Aulico del Ministero, il paradossale dottor Winkler (Massimo De Rossi), a offrire a Bernhardi l’ultima sponda: questa volta quella di un ingranaggio di un sistema in fondo impersonale come quello amministrativo-statale, che proprio per questo può professare una sorta di paradossale anarchia e trovare uno spazio di libertà, fino a sostenere le scelte di un singolo refrattario ai meccanismi di condizionamento collettivo.

Ronconi ha portato in scena il capolavoro di Schnitzler con umiltà e assoluto rigore, senza alcun filtro intellettualistico, come se si divertisse a dissezionare i meccanismi che governano le interazioni tra i personaggi ¬– e la drammaturgia analitica dello scrittore austriaco. La scena di Margherita Palli differenzia i cinque diversi ambienti con i colori del fondale, dal grigio al rosso, dal verde all’azzurro, disseminando nello spazio scenico gruppi di mobili che li scandiscono visivamente con rigore grafico. Questi oggetti abilmente disposti suggeriscono agli attori una serie di percorsi e di posizioni, quasi creassero un campo di forze e una griglia su cui scandire e misurare i rapporti reciproci. E’ proprio a partire da questa gerarchia spaziale che la regia costruisce i movimenti di scena. Basta osservare, nella scena nella sala riunioni, i percorsi dei diversi membri del consiglio direttivo dell’ospedale: quella che porta in scena Ronconi è una vera e propria politica dello spazio, che mette a nudo i rapporti che collegano i vari personaggi, gli individui e i gruppi, le fazioni. Ma è l’intero spettacolo a essere impaginato con una sapienza registica che permette di portare alla luce i diversi temi e livelli interpretativi del testo. La regia di Ronconi non privilegia una chiave con cui interpreta il testo, un’unica lettura, ma riesce invece a tirare contemporaneamente diversi fili ideologici e narrativi.

Sono cinque ore di spettacolo, Il professor Bernhardi, e tutte godibili. L’intreccio si sviluppa quasi come un thriller, seguendo la parabola del protagonista, e poi squaderna via via altri colori e temi in una complessità quasi sinfonica. Non si tratta mai di trasmettere un messaggio, ma di evidenziare le ambiguità e le contraddizioni del reale. Lo sostiene un cast di grandissimo livello, dove possono il rigore e la pulizia di alcuni attori possono convivere con caratterizzazioni più marcate, sempre di grandissimo livello, a cominciare dagli straordinari Bini e Popolizio. E tra tutti, naturalmente, perno centrale della vicenda anche nelle sue passività, c’è il Bernhardi di Massimo De Francovich, ormai diventato emblema quasi irrinunciabile del teatro ronconiano: lucido e misurato, nella sua costante introspezione, e tuttavia sempre pronto a mettere in gioco la propria sensibilità, a lasciar trasparire la forza trattenuta dei sentimenti. Mai vittimistico, trasforma l’umiltà e la ritrosia in una forza morale che gli permette di fornire un costante contrappunto al girotondo di amici e nemici. E’ proprio questo a permettergli di essere insieme, per l’appunto, eroe e antieroe. E di incarnare così i paradossi e le ambiguità di un testo di straordinaria ricchezza e sottigliezza. Prima di tutto politica, e di totale attualità.

Il professor Bernhardi di Arthur Schnitzler
Traduzione di Roberto Menin
Regia di Luca Ronconi
Scene di Margherita Palli
Costumi di Gianluca Sbicca e Simone Valsecchi
Luci di Gerardo Modica
Milano, Teatro Strehler


 


 

Il teatro italiano tra mercati e botteghe: verso il ridisegno dell'assetto economico
Con l'analisi di alcune Buone Pratiche
di Serena Deganutto e Michele Trimarchi

 

Cattedra di Economia dello Spettacolo e dei Media
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Ve l’avevamo promesso nel corso dell’ormai mitico incontro sulle Buone pratiche, e le promesse noi di ateatro cerchiamo di mantenerle. Stiamo parlando della relazione di Serena Deganutto e Michele Trimarchi sugli aspetti economici della Buone pratiche e della relazione di Lori Dall’Ombra sull’attività del Comune di Milano.
Per quanto riguarda il testo di Deganutto e Trimarchi, confluirà nel volume che Mimma Gallina sta pubblicando per Franco Angeli (e al quale stanno collaborando altri amici di ateatro), una riflessione sull’attuale situazione del nostro teatro con una particolare attenzione agli aspetti economici, politici e organizzativi, e una serie di proposte concrete.
Ma per tutto questo c’è ancora tempo: riparleremo a tempo debito del libro di Mimma e delle sue proposte. Per il momento, leggete e riflettete. (n.d.r.)



1. Stasi istituzionale e risposte organizzative

Il settore teatrale italiano si evolve da molti anni all’interno di un paradigma istituzionale ed economico che appare statico e per più d’un verso renitente all’innovazione. Una forte e diffusa avversione al rischio, corroborata sul piano teorico da quelle interpretazioni – fondate sulla legge di Baumol – che vedono lo spettacolo dal vivo “condannato al fallimento” in quanto endemicamente incapace di coprire la massa dei costi con i propri ricavi diretti, sembra aver congelato la struttura del settore.

Le imprese teatrali, tradizionalmente sostenute in proporzioni notevoli dal finanziamento pubblico (le cui dimensioni e dinamiche sono governate da meccanismi sostanzialmente automatici che garantiscono la stabilità a prezzo dell’assenza di capacità innovativa), si trovano negli ultimi anni a fronteggiare una situazione inedita: da una parte, la struttura stessa del sostegno finanziario pubblico viene mantenuta immutata a dispetto di un crescente grado di cristallizzazione del settore; dall’altra i fondi pubblici - massimamente quelli statali – destinati al sostegno del teatro subiscono diminuzioni progressive, senza alcuna ragionevole aspettativa di un effettivo ritorno ai livelli precedenti.

A questo si aggiunga una certa discrasia tra gli aspetti formali e quelli sostanziali. In particolare si consideri che, mentre sul piano dei principi il finanziamento statale viene accordato a fronte della presentazione di un programma di attività e della valutazione della sua caratura culturale, le dinamiche dei fondi statali indicano una quasi assoluta rigidità nella loro evoluzione. In altre parole, le quote del Fondo Unico dello Spettacolo destinate a ciascun teatro rimangono più o meno fisse nel corso degli anni, a mostrare che il destinatario effettivo di tale forma di sostegno è il teatro stesso in quanto tale, e non la sua attività. Pertanto, non essendo l’attività la determinante del finanziamento statale, si può ritenere che i fondi siano stabiliti con un possibile margine di discrezionalità burocratica, derivante dalla valutazione che i dirigenti e i componenti delle Commissioni fanno del “blasone” dei destinatari, indipendentemente dalle variazioni dei loro programmi artistici e culturali.

In questa situazione, già di per sé complicata, si inseriscono nuove incertezze legate al ridisegno istituzionale attualmente in corso, che dovrebbe riallocare attribuzioni e responsabilità tra i diversi livelli di governo e del quale non si intravvede allo stato attuale uno sbocco univoco e incontroverso; al tempo stesso, l’emersione e il consolidamento di nuovi mercati della cultura e dello spettacolo, basati su supporti materiali a elevata tecnologia e capaci di veloce diffusione a costi bassi (si pensi anche soltanto alle ampie possibilità di scaricare files audiovisivi da internet) sembrano emarginare l’attività teatrale a baluardo di un passato non più riproducibile, relegandone le pur varie e vitali manifestazioni a una sorta di museo dello spettacolo destinato a consumatori nostalgici.

E’ vero che in un contesto siffatto la prima e più rilevante mossa spetterebbe allo Stato, che dovrebbe elaborare un disegno istituzionale e una serie di strumenti legislativi capaci di adeguare forme e modi del sostegno pubblico – in un indispensabile coordinamento con i livelli sub-centrali di governo – a una struttura complessa dei mercati: si pensi ai processi osmotici tra letteratura, teatro, televisione e cinema quanto all’utilizzo e allo sviluppo dei testi e delle loro diverse redazioni; o alla complessità di un mercato delle risorse umane (attori, registi, tecnici, esperti di comunicazione, etc.) in cui la formazione del valore passa attraverso le relazioni interne tra spettacolo dal vivo, settori dell’audiovisivo e cinema.

Va tuttavia osservato che la lunga attesa, sia pur legittima e tecnicamente più che giustificata di un radicale intervento da parte del legislatore, non può paralizzare il settore dello spettacolo dal vivo, che comunque porta una rilevante quota di responsabilità soprattutto in merito all’interpretazione proattiva delle trasformazioni delle società, della cultura, e dell’economia. Il dibattito sul sostegno del teatro, sempre acceso e vivace nel nostro Paese, spesso non produce che pressanti richieste di fondi, ignorando quasi del tutto le vistose problematiche legate alla definizione dei principi, dei criteri e dei meccanismi del finanziamento stesso.

Anche se si deve osservare che la riduzione sistematica del valore reale (e talvolta anche di quello nominale) del Fondo Unico dello Spettacolo non fa che minacciare la sopravvivenza stessa del settore. Pertanto, l’effetto delle scelte governative e legislative – voluto o meno che sia – è quello di indurre gli stessi operatori del settore a prestare più attenzione ai problemi dimensionali della finanza del settore, e conseguentemente a preoccuparsi troppo poco di aspetti meno eclatanti ma più importanti in un’ottica di medio-lungo periodo, come la dotazione infrastrutturale, l’adeguamento tecnologico, i network e le cooperazioni, le strategie dell’accesso, l’attrazione del pubblico potenziale.

Naturalmente, questa situazione di paralisi indotta appare dominante ma non del tutto pervasiva: vi sono operatori, imprese e gruppi operanti nel settore teatrale che hanno percepito con un certo anticipo rispetto agli altri la rilevanza sostanziale delle trasformazioni in atto, e hanno avviato una sorta di risposta empirica alla stasi istituzionale, mostrandosi consapevoli della necessità di esplorare nuove e diverse opportunità di crescita, nello sforzo di adeguare la qualità delle proprie risorse e l’incisività delle proprie scelte a un quadro strategico più complesso. Quelle che appaiono come delle buone pratiche rappresentano certamente dei casi di eccellenza nel variegato panorama del teatro italiano, ma soprattutto indicano alcune tra le possibili tendenze lungo le quali il settore teatrale crescerà nei prossimi anni.


2. Un modello rinascimentale, tra invenzione e informalità

I teatri italiani agiscono di norma come delle imprese di diritto privato (qualunque sia la loro etichetta formale, dovuta al consolidamento di una tassonomia burocratica non necessariamente corrispondente alla realtà), i cui programmi vengono valutati e “premiati” dall’istituzione pubblica con un certo ammontare di risorse finanziarie pubbliche. Il meccanismo del finanziamento statale, e spesso quello dei finanziamenti regionali e locali, che in sostanza ne imitano la struttura, appare privo di qualsiasi incentivo alla responsabilità imprenditoriale, nonostante si richiami ricorrentemente a criteri di efficacia e buona gestione e adotti come un parametro rilevante il risultato di pubblico e di finanza; per effetto di tale meccanismo, lo Stato si limita a erogare senza alcuna previsione di monitoraggio e di sanzione, e soprattutto a premiare la costanza dimensionale – causa ultima di un fiorente mercato dei borderò – rispetto all’innovazione linguistica, culturale, organizzativa o finanziaria.

L’attuale disegno del sostegno allo spettacolo mostra non soltanto di considerare il settore incapace di accrescere la propria autonomia finanziaria, ma non appare efficacemente finalizzato alla creazione di un sufficiente processo di ricambio sociale e generazionale del pubblico teatrale. In sostanza, il teatro è trattato come un settore che rischia l’estinzione, anche alla luce della convinzione – tutta da provare e per il momento soltanto intuitiva – che per diventare spettatore è necessario un lungo processo di apprendimento con caratteristiche iniziatiche, e che solo un elevato reddito e un buon grado d’istruzione possono costituire l’indispensabile viatico per poter varcare la soglia di un teatro.

E’ evidente come questa lettura sia paradossale, nella misura in cui imbalsama un settore che per sua natura dovrebbe distinguersi per capacità innovativa e per efficacia strategica; al contrario, gli stessi operatori teatrali spesso finiscono per accreditare questa visione delle cose, accettando di diventare una sorta di branca periferica di una burocrazia dedita a garantire una minima dotazione di “circenses” alle diverse aree del territorio nazionale.

Uscire da questo quadro statico e deresponsabilizzante implica innanzitutto una scelta interpretativa: qual è il ruolo che l’impresa teatrale intende assumere in una società complessa i cui temi di fondo diventano sempre più l’accesso all’informazione e il possesso delle tecniche, la convivenza tra strati sociali e gruppi culturali, la mobilità settoriale e territoriale degli individui e dei gruppi? I termini di uno slogan abusato ma attuale sulla città del prossimo futuro, tecnologia, talento e tolleranza, sembrano tratti direttamente dalla cassetta degli attrezzi del mondo teatrale. Lo spettacolo dal vivo, in questo senso, può porsi tuttora con pieno diritto – come sempre, in definitiva – nel ruolo emblematico di specchio acuto e di settore pilota in una società nella quale la gerarchia dei valori appare sempre più permeata da grandezze intangibili e caratterizzate da un forte contenuto informativo.

Si può osservare, di primo acchito, che per poter svolgere questo ruolo l’impresa teatrale deve liberarsi delle rigide gabbie nelle quali la pone la legislazione statale, regionale e locale; una condizione preliminare per il superamento di questa tassonomia ingessata è lo spostamento del proprio punto focale, dall’identità istituzionale verso l’evoluzione dell’attività. In altre parole, piuttosto che la struttura giuridico-organizzativa, ciò che dà forza al teatro è la sua attività (e dunque la coerenza, la riconoscibilità, l’evoluzione, la capacità di penetrazione e di diffusione della sua attività). Allentare le maglie significa in prima battuta superare i formalismi, e ragionare come una bottega rinascimentale, in cui la produzione è assistita da un processo continuo e piuttosto magmatico di scambi e relazioni con il mondo esterno, dalle altre botteghe a tutti gli interlocutori a monte e a valle.

A ben guardare, il settore teatrale ha sempre operato seguendo un modello organizzativo dai confini poco definiti, caratterizzato da un’acquisizione informale delle risorse umane, attraverso un processo in cui la formazione delle competenze avviene in gran parte durante lo svolgimento dell’attività, in cui la trasmissione del saper fare avviene in modo non strutturato e flessibile; tali caratteristiche generano due effetti paradossalmente opposti; da una parte, le risorse umane acquisiscono un valore crescente attraverso la propria mobilità tra diverse organizzazioni, grazie alla varietà delle esperienze realizzate in diversi contesti creativi e produttivi; dall’altra, le organizzazioni che svolgono la propria attività con continuità maturano nel corso del tempo una sorta di identità qualitativa di tipo stilistico che costituisce l’elemento più rilevante della loro attività produttiva.

Questi aspetti mostrano con chiarezza che le organizzazioni teatrali possono sfruttare in massimo grado le proprie potenzialità assecondando questo modello che abbiamo definito rinascimentale; ciò non deve tuttavia far ritenere che la scelta, più o meno consapevole, di rinunciare alla flessibilità negli ultimi decenni sia stata il frutto di una rinuncia o il sintomo di un atteggiamento passivo; si deve considerare che le trasformazioni della società e della sua gerarchia di valori nel secondo dopoguerra abbia sostanzialmente modificato il ruolo del teatro, non più centrale – sia come divertimento sia come consumo culturale – in una società in corso di democratizzazione e progressivamente attratta da mezzi d’espressione più a buon mercato che comportano un più basso costo d’accesso e d’apprendimento (e pertanto d’apprezzamento).

Se, dunque, la cristallizzazione del settore teatrale in Italia sembra potersi ascrivere a una sorta di “smarrimento” derivante da un veloce e crescente allontanamento della società dal paradigma che dominava fino alle Guerre Mondiali (la “pace dei cent’anni” descritta da Karl Polanyi nella “Grande Trasformazione”(1) essa comincia ad apparire meno giustificata negli anni più recenti, in cui la diffusione della tecnologia informatica e l’articolazione dei mercati culturali in una concatenazione caratterizzata dal diverso supporto materiale ma da un omogeneo contenuto creativo aprono la strada a un nuovo, più pertinente ruolo del teatro.


3. Buone pratiche per una strategia imprenditoriale

I segni di questo mutamento di rotta si cominciano a cogliere in una serie di esperienze, spesso embrionali e certo non consolidate, che danno la traccia di una consapevolezza nuova e più responsabile da parte di alcuni operatori teatrali. Non l’innovazione fine a se stessa, ma la necessità di sperimentare nuove vie alla creazione, alla produzione, all’organizzazione e al finanziamento del settore dello spettacolo dal vivo appare alla base di queste azioni orientate al fine ultimo di restituire al teatro la propria incisività linguistica e simbolica in una società che ha smesso di autocelebrarsi, che si interroga pesantemente sulle proprie dinamiche e sui propri valori, che percepisce se stessa come fragile e mutevole.

L’analisi di alcune di queste “buone pratiche”, lungi dal pretendere l’esaustività, e altrettanto renitente a fornire valutazioni comparative, può mostrarsi utile quanto meno a porre in evidenza alcune tra le possibili vie attraverso le quali il teatro si riposiziona nell’attuale temperie culturale, non soltanto per effetto di una consapevolezza forte sulla nuova ossatura della società, ma anche in conseguenza di una presa d’atto delle proprie più estese e versatili opportunità derivanti dalla tecnologia e dalla stratificazione dei mercati culturali. E’ naturale attendersi ulteriori sperimentazioni nel prossimo futuro, così come forse qualche fallimento di esperienze meno mature e solide. Ma l’ancora è gettata, e il teatro sembra aver comunque abbandonato le rassicuranti sponde della propria istituzionalizzazione.


a) Fanny & Alexander, la bottega dell’arte

Riconversione indirizzata alla differenziazione dell’attività produttiva, finalizzata a un’espansione dell’attività in diversi settori, e alla combinazione di esperienze collettive e individuali, in modo da perseguire efficacemente la crescita e la gratificazione sia dei singoli componenti sia dell’intera compagnia

L’associazione culturale “Fanny & Alexander” si sviluppa in un territorio che si può considerare teatralmente generoso. Conosciuta dal grande pubblico per un festival internazionale e per una notevole attività di prosa, Ravenna rappresenta uno dei poli più interessanti nella recente storia culturale della Regione Emilia-Romagna. Va osservato, sia pure incidentalmente, che si tratta di un caso in cui la presenza di un notevole (nel caso di Ravenna, unico) patrimonio culturale legato all’archeologia, all’arte visiva e all’offerta museale, non impedisce lo sviluppo di una serie di attività culturali rientranti nel settore dello spettacolo. Sono del tutto maggioritari i casi in cui il patrimonio architettonico, artistico e archeologico finisce per agire da zavorra rispetto alla possibilità di sviluppare altre vie d’espressione creativa e culturale.

Il contesto ravennate presenta un altro motivo d’interesse per la particolare importanza strategica che le istituzioni pubbliche attribuiscono alla cultura e allo spettacolo; dall’amministrazione regionale, provinciale e comunale alla Fondazione Cassa di Risparmio (ente giuridicamente privato ma dedito a finalità ampiamente sociali e ad un ruolo di parziale supplenza pubblica), le iniziative culturali sono sostenute e finanziate, anche se la progettualità e la responsabilità rimangono saldamente in capo alle organizzazioni che operano nel settore dello spettacolo dal vivo.

“Fanny & Alexander” si distingue per due aspetti precipui, che mostrano un modello emergente di struttura produttiva: da una parte, la deliberata informalità delle relazioni interne che compongono e scompongono, indefinitamente, gruppi e aggregazioni creative e progettuali all’interno dell’istituzione stessa; dall’altra, la scelta ecumenica di mostrare svariate possibili sfaccettature di un unico discorso culturale, uscendo dalle maglie del teatro e articolando la produzione in attività editoriali, convegni e seminari, attività formative, progetti culturali realizzati con diversi strumenti tecnologici ed espressivi (dall’audiovisivo alla performance), laboratori. In questo senso, particolare importanza risiede nella scelta di realizzare una sorta di “tutorato” maieutico (realizzato dal Teatro Stabile di Innovazione “Le Albe” di Ravenna) nei confronti della variegata attività teatrale svolta nel territorio, contribuendo ad articolare il pubblico e dimostrando che la generosità nei confronti degli operatori meno consolidati e del pubblico è capace di generare stabili effetti positivi di medio periodo.

Il primo aspetto appare particolarmente importante nel processo di generazione del valore (culturale ed economico), in quanto elabora e realizza un modello nel quale le singole individualità vanno a fondersi in una sorta di identità creativa collettiva, tornando in modo del tutto pertinente alla struttura ed alle finalità della bottega, in cui il “nome” è costituito da un coagulo di competenze, esperienze e prodotti che risultano sempre meno facilmente attribuibili a una singola risorsa, ma che al tempo stesso appaiono del tutto riconoscibili dal punto di vista della qualità identitaria.

In questo modo si esce da una delle trappole più insidiose della cultura borghese, il “divismo” anticipato dagli enfants prodige del tardo Settecento (si ricordi che il padre del giovane Beethoven gli abbassava l’età nelle occasioni pubbliche per renderlo più interessante all’uditorio), e consolidato nella figura del concertista à la Liszt. La diluizione identitaria individuale è il modo più efficace per rifiutare un modello culturale che spesso presta più attenzione all’interprete che non all’interpretazione, come testimonia la prassi dell’applauso di sortita, omaggio all’attore prima ancora che cominci a recitare.

Il secondo aspetto, tanto più importante in quanto associato al primo, riguarda la revoca in dubbio delle gerarchie canoniche tra i prodotti culturali. Il discorso culturale di “Fanny & Alexander” si realizza attraverso una molteplicità di mezzi espressivi e di prodotti materiali, ed è ricostruibile compiutamente soltanto a patto di analizzarne l’intera gamma. La vocazione culturalmente poliglotta del consumatore contemporaneo viene riconosciuta, rispettata e alimentata con una strategia del molteplice che esplicita la multidimensionalità dell’offerta culturale, al tempo stesso capace di generare reazioni emotive, cognitive, intellettuali.

E’ un modo del tutto efficace per accreditare uno dei cambiamenti più radicali nei mercati della cultura: la sopravvenuta insufficienza dell’esperienza diretta come unico prodotto culturale rilevante (a fronte di un ventaglio di riproduzioni o sottoprodotti tradizionalmente considerati di grado inferiore). L’articolazione dell’offerta culturale è una risposta razionale e incisiva al bisogno di superare l’esperienza diretta come unica azione culturale, e di inserirla invece in un più ampio spettro di consumi dal contenuto simbolico e informativo capaci di concorrere sostanzialmente a formare il valore culturale complessivo. In altri termini, tutte le attività diverse dalla messa in scena teatrale – e che appaiono caratterizzanti e maggioritarie nella strategia di “Fanny e Alexander” – sono esse stesse offerta culturale, con pari dignità rispetto alle attività da palcoscenico.

Un modello di azione culturale come quello realizzato da “Fanny & Alexander” incorre in un’evidente debolezza di fondo, derivante dalle scarse opportunità di finanziamento pubblico e dalla conseguente necessità di rivolgersi alle entrate di mercato in proporzione elevata per finanziare la propria attività produttiva. E’ possibile trasformare questa fragilità in un elemento di forza? Se si intercettano e si anticipano le aspettative e i bisogni dei consumatori emergenti, e se si allarga il proprio orizzonte strategico a quelle fasce di consumatori potenziali finora tenuti al margine del settore teatrale, si può immaginare un congruo incremento della propria quota di autonomia finanziaria, e dunque una minore dipendenza dalla variabilità (e un minore rischio di condizionamenti) dei finanziamenti pubblici.

Inoltre, potrebbe essere efficace, proprio nell’ottica della bottega e del distretto che ne è un coagulo territoriale, identificare una serie di possibili azioni pubbliche non consistenti nella mera erogazione di denaro, ma nella fornitura di infrastrutture, di tecnologie, di relazioni esterne agevolate, in una parola di opportunità capaci di comportare sensibili riduzioni dei costi e al tempo stesso visibili incrementi di stabilità.


b) Teatro Metastasio di Prato, innovazione e sensibilità sociale

Realizzazione di progetti originali in campi non convenzionali, capaci di moltiplicare reciprocamente lo spessore culturale e l’impegno sociale; particolare attenzione alla formazione dei giovani artisti e alla collaborazione con altri teatri del territorio

L’attività del Teatro Metastasio di Prato attribuisce un valore determinante alle opportunità derivanti dalla collaborazione con le altre istituzioni culturali operanti nel proprio territorio, e realizza una massiccia attività di orientamento e formazione nei confronti di giovani professionisti e di istituzioni teatrali non ancora strutturate e consolidate. Il dato saliente di questa strategia è la consapevolezza che un territorio culturalmente fertile e adeguato tanto sul piano artistico quanto su quello tecnico genera benefici ampi e condivisi.

A monte delle attività svolte, il Teatro Metastasio mostra di attribuire notevole importanza alla conoscenza analitica e critica del territorio teatrale; in questo senso, nel 2002 ha costituito un Osservatorio le cui rilevazioni sono finalizzate alla selezione e al sostegno di una serie di progetti culturali e artistici emergenti (e, in quanto tali, fragili o quanto meno non del tutto consolidate).

Inoltre, il Teatro Metastasio elabora e realizza un intenso programma di collaborazione interregionale; in questo ambito, ha proceduto all’associazione in un unico progetto di due rassegne teatrali (una propria e l’altra realizzata dal Teatro Stabile dell’Umbria); ha inoltre in corso di perfezionamento la proposta di attivare un sistema di sostegno congiunto da destinare a giovani artisti teatrali nell’ambito di un esteso bacino di riferimento che comprende l’Emilia-Romagna (ERT-Emilia-Romagna Teatro), l’Umbria (Teatro Stabile dell’Umbria), le Marche (Inteatro-Stabile di Innovazione delle Marche) e ovviamente la Toscana. Le collaborazioni riguardano anche alcune istituzioni straniere: il Theater an der Ruhr in Germania, con il quale viene realizzato un programma di scambi e riflessioni comuni su una serie di tematiche dell’attività teatrale; il Baltijskij Dom di San Pietroburgo in Russia, con il quale la cooperazione è focalizzata essenzialmente sulle attività formative e didattiche svolte congiuntamente.

Tale scelta, di uscire dai confini regionali con un progetto più complesso, risulta una risposta efficace nei confronti di una dominante tendenza all’isolamento e alla parcellizzazione delle opportunità. Questa risposta appare tanto più incisiva e pertinente quanto più si considera la lunga tradizione teatrale della città di Prato (considerata dagli addetti ai lavori la “capitale” teatrale della Toscana), e il conseguente progetto di mantenerne da una parte la vitalità e il livello senza adagiarsi su allori passati, e di espanderne dall’altra lo spettro di efficacia verso più ampie istanze sociali e partecipative.

L’adozione di una strategia aperta e cooperativa non va interpretata come un segno di consapevole “insufficienza”. Al contrario, essa si basa su una solida e multidimensionale attività artistica e produttiva, caratterizzata dalla realizzazione di una stagione teatrale in senso più canonico (ricca di approfondimenti critici e di occasioni di formazione del pubblico), e dalla programmazione di una serie di attività più segnate da un approccio progettuale (“Finestre sul mondo”, “Teatro ragazzi”, convegni e cicli di letture) e da incursioni culturali in settori contigui (“Rassegna Jazz”, “Filmare il teatro”, concerti di vario genere). In questo modo non soltanto è possibile intercettare le aspettative di fasce pù ampie e diversificate di pubblico, ma si riesce a consolidare, per il teatro, il ruolo e l’immagine di fucina culturale dallo spettro produttivo esteso ed eterogeneo.

Molto intensa è l’attività di formazione realizzata dal Teatro Metastasio; essa spazia da progetti di formazione e orientamento professionale che si avvalgono dei finanziamenti dell’Unione Europea erogati attraverso la Regione Toscana (“Patto ex Machina”), a percorsi formativi destinati a giovani attori (“Officina di Rem e Cap”); dalla Master Class per studenti e giovani professionisti (“Progetto Luca Ronconi”) al Laboratorio Internazionale (“Progetto Massimo Gorky”). Finanziato dalla Regione Toscana, dalla Provincia e dal Comune di Prato, suoi soci fondatori, il Teatro Metastasio interpreta la responsabilità derivantigli dall’uso dei fondi pubblici in un modo del tutto pertinente, e potenzialmente efficace nel moltiplicarne il valore in massimo grado, dal momento che rivolge il proprio interesse e le proprie risorse ad attività che promettono una ricaduta molto estesa e soprattutto che si mostrano capaci di generare flussi di benefici stabili nel lungo periodo (ad esempio, formando attori di qualità, o attirando un pubblico variegato).

Infine, va sottolineata la specifica sensibilità che il Teatro Metastasio mostra nei confronti delle aspettative e dei bisogni di una società complessa, destinando le proprie energie alla formazione e allo scambio con singoli appassionati e compagnie semiprofessionali che operano sul proprio territorio, accrescendone il grado di consapevolezza e il livello qualitativo attraverso iniziative formative specifiche o contatti e scambi regolari; fanno parte di questo filone di attività il Festival di Montalcino e la realizzazione di un Campus per giovani attori, registi e scrittori; la realizzazione di Contemporanea Festival; la collaborazione con Volterra Teatro e tutta una serie di iniziative rivolte al teatro giovane in Toscana.


c) Societas Raffaello Sanzio, la moltiplicazione della specie (teatrale)

Realizzazione di un progetto complesso di creazione e distribuzione di uno spettacolo “autogenetantesi”, in una sorta di evoluzione parallela del linguaggio teatrale da una parte, e dei meccanismi creativi, organizzativi, produttivi e distributivi dall’altra. Apertura di mercati ulteriori con materiali “derivati”

La storia della Societas Raffaello Sanzio la pone in antitesi con i modelli teatrali dominanti in Italia; mentre nel teatro canonico (e amato dalle istituzioni) tutto si realizza intorno a una sede stabile che diventa il centro di irradiamento di attività regolari dalle dimensioni prescritte per regolamento, o nella dimensione itinerante della compagnia di giro storica (a sua volta cratterizzata da modi di produzione, limiti e dimensioni di attività cristallizzati da tradizone e regolamenti), questa compagnia fa della mobilità e della leggerezza e dell’invenzione di proprie modalità produttive il proprio tratto distintivo.
Ovviamente, non si vuole intendere che questo modello sia preferibile, o sostituibile agli altri. In un contesto teatrale articolato, sono necessarie modalità operative diverse e complementari. La lezione che deriva dall’acutezza progettuale della Societas Raffaello Sanzio risiede nello sforzo di interpretare sé stessi come operatori culturali in una società multidimensionale, traendo indirizzi e obiettivi dalle proprie caratteristiche peculiari.

La Tragedia Endogonidia, sistema drammatico in evoluzione, scherza maieuticamente sulla contrapposizione tra i termini, l’uno pilastro del teatro di tutti i tempi che mette a fuoco le molteplici circostanze che conducono alla fine dell’eroe; l’altro biologicamente elementare, a indicare la possibilità di un perpetuo rinnovarsi della specie attraverso una fertilizzazione interna (si tratta di esseri viventi che possiedono, primitivamente, le gonadi sia maschili che femminili). Si parte dal teatro di sempre per arrivare a toccare i numerosi nervi scoperti di una società contemporanea che naviga a vista rischiando la deriva. In questo senso le modalità produttive della Tragedia Endogonidia appaiono una sorta di metafora economica dei suoi contenuti poetici e teatrali. Spostandosi di città in città in tutto il continente europeo per riprodursi in modo pertinente rispetto al contesto in cui viene, di volta in volta, realizzata, la Tragedia Endogonidia è uno spettacolo che rinasce sempre diverso da sé stesso, espandendosi attraverso una varietà di mercati (si pensi alle riproduzioni, ai documenti, alla rielaborazione tematica, etc.) nella misura in cui il territorio se ne renda permeabile.

Il progetto non nasce dal nulla. La Societas Raffaello Sanzio ha tradizionalmente esplorato opportunità produttive che nel contesto istituzionale italiano appaiono minoritarie se non avventurose. La sua attività ha prodotto il paradosso di una compagnia molto più conosciuta all’estero che non in Italia. Ciò non deve far ritenere che sotto il profilo economico-finnaziario la compagnia agisca irresponsabilmente. Al contrario, la scelta di perseguire una strategia idiosincratica si appoggia sul meccanismo del finanziamento per progetti (che potrebbe diventare quanto meno un parziale indirizzo a rinnovamento delle obsolete politiche pubbliche di sostegno del teatro in Italia), utilizzando pienamente opportunità derivanti dai programmi dell’Unione Europea, e negoziando modalità di sostegno ad hoc con gli enti territoriali. Questa scelta ha prodotto anche effetti indesiderati, se si riflette sul taglio dei fondi ministeriali giustificato, acrobaticamente, con la presunta prevalenza degli aspetti ideologici su quelli teatrali secondo gli esperti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

A smentita dell’opinione degli esperti ministeriali, che rivela comunque una certa paura nei confronti di forme non canoniche di produzione teatrale, si deve sottolineare che la Tragedia Endogonidia rifiuta di perseguire il modello del lavoro teatrale compiuto (e quindi capace di inviare allo spettatore “messaggi” precisi e previsti); al contrario, il lavoro si fonda proprio sulla propria capacità laboratoriale di evolvere in corso d’opera, spingendosi su terreni inediti e soprattutto imprevedibili anche sotto il profilo linguistico e culturale. Anziché offrire un prodotto, la compagnia mostra senza reticenze un percorso (ancora il modello della bottega “aperta” che risponde alle mummificazioni istituzionali) di tentativi creativi.

Un problema cruciale, nell’analisi di questa esperienza, è comprendere e valutare in quale misura un modello produttivo siffatto possa rappresentare un punto di riferimento e magari un esempio da imitare, nella prospettiva delle altre istituzioni teatrali italiane. Certo il modello della Societas Raffaello Sanzio può risultare utile per indicare uno tra i possibili percorsi che associano innovazione e responsabilità, discostandosi quanto meno parzialmente dal binario segnato con la definizione dei meccanismi del finanziamento statale (che vengono per lo più imitati pedissequamente a livello regionale e locale) ed elaborando forme di produzione in senso lato che tentino un approccio più incisivo con una società complessa e poco incline alle celebrazioni rituali proprie del meccanismo teatrale tradizionale. Più che imitare il modello, dunque, ciò che appare importante – e che può diventare in qualche misura paradigmatico in un settore teatrale in fase di cambiamento – è avviare un processo di analisi del grado di contatto (e quindi della effettiva capacità dialogica) con la società espresso da parte del teatro contemporaneo.

Va osservato, in conclusione, che l’esperienza della Societas Raffaello Sanzio appare del tutto in linea con le tendenze più interessanti che si manifestano in un altro complesso mercato culturale, quello dell’arte visiva contemporanea che viene racchiusa nell’etichetta ecumenica di “arte pubblica”, in cui non soltanto la pregnanza concettuale e linguistica, ma allo stesso modo le modalità di realizzazione e di inserimento nel contesto territoriale e sociale fanno parte con pari diritto di cittadinanza del “discorso” artistico e culturale. La separazione tra artista e produttore, tra aspetti creativi e scelte organizzative, va sfumando progressivamente, tornando anche per questa via a un paradigma che si libera dai propri vincoli tradizionali per esaltare le proprie caratteristiche artigianali, la propria flessibilità innovativa, la propria necessità di sfruttare la capacità relazionale del prodotto culturale.


4. Buone pratiche per una nuova capacità economica

Altre pratiche suggeriscono ulteriori indirizzi per un’effettiva uscita del sistema teatrale – o quanto meno dei suoi rappresentanti più avanzati – dalle attuali gabbie dell’istituzionalizzazione: staticità e ripetitività nell’offerta, scarsa responsabilità nelle strategie finanziarie, bassi incentivi all’innovazione, insufficiente cultura della cooperazione progettuale. I profili finanziari non sono elementi costitutivi dell’offerta culturale in quanto tale, tuttavia ne costituiscono il necessario sfondo, disegnando con precisione la mappa delle opportunità e dei vincoli che, in qualche misura, ciascuna istituzione teatrale sceglie attraverso l’accettazione totale o parziale del sistema stesso.

Ciò che sembra importante è la necessità di ridefinire i confini e le possibili reciproche interazioni tra le diverse fonti di finanziamento del teatro, tentando di esperire attivamente la disponibilità di nuovi soggetti, primo tra tutti la comunità territoriale, nei confronti di un intervento a sostegno del teatro. Si consideri che anche in questo senso la lettura attuale, fondata sulla bipartizione tra finanziamenti pubblici da una parte e sponsorizzazioni dall’altra, si mostra piuttosto semplicistica, dal momento che i teatri possono elicitare una serie di forme di sostegno e intervento (tra cui ad esempio la fornitura di servizi a elevata tecnologia, lo scambio di servizi specialistici con la concessione del diritto di esclusiva, l’accesso a mercati contigui, etc.) che possono permettere notevoli risparmi di risorse materiali e finanziarie, riducendo il fabbisogno di contributi monetari. In questi casi, anziché aspettare il ridisegno delle forme di intervento pubblico, o l’affermazione della sensibilità individuale di singoli manager aziendali, è il teatro stesso - destinatario del sostegno – a elaborare e realizzare forme di scambio che contribuiscano a ridurre sensibilmente i costi di produzione.


a) Arboreto di Mondaino, la residenza creativa

Realizzazione di un parco teatrale, luogo di residenza per artisti creativi e di formazione teatrale

L’Arboreto è un grande parco che si estende a Mondaino, in Romagna, al confine con le Marche; esso nasce come spazio dedicato agli artisti, all’interno del quale essi possono non solo effettuare le prove dei propri spettacoli ma anche soggiornare. Questo perché, come si legge sul sito web (www.arboreto.org), “coloro che vi soggiornano sono viaggiatori disposti alla sosta che si adagiano sul privilegio della sospensione considerandola ancor più importante della meta”. All’interno di questo enorme spazio verde, che è anche Centro di Educazione Ambientale, gli artisti trovano la pace e la tranquillità necessarie per lavorare e creare. Esso è inoltre sede di numerosi corsi e laboratori, che spaziano in tutti i campi dell’arte.

L’Arboreto nasce nel 1998, con un parco di nove ettari con circa seimila piante, due edifici adibiti a foresteria che possono ospitare 22 persone, la Sala del Durantino per laboratori, prove, dimostrazioni. Nel 2004 all’interno del parco viene inaugurato un nuovo teatro. Nel futuro, l’Arboreto progetta di spostare il peso principale della propria attività sulle residenze creative, riducendo la proporzione dei laboratori. Questo spazio non costituisce per gli operatori teatrali soltanto un’opportunità di formazione, ma anche una possibilità di sosta per fermarsi a riflettere sul proprio lavoro.

L’esperienza dell’Arboreto di Mondaino appare paradigmatica perché affronta uno dei problemi cruciali nella vita evolutiva del teatro come attività culturale creativa, quello delle residenze che in Italia sono prive di una disciplina organica, e in qualche misura ignorate dagli stessi operatori teatrali. L’Arboreto si propone infatti come esempio di residenza “leggera”, e costituisce un’efficace formula di supporto infrastrutturale per artisti teatrali creativi.

Inoltre l’Arboreto organizza una serie di corsi a pagamento (con soggiorno nella residenza gratuito) relativi non solo al teatro, ma ai temi più svariati (ad esempio, un corso tenuto dal cantante di una band giovanile sulla composizione di testi di canzoni); laboratori di teatro, danza, musica, cinema, scrittura e comunicazione; corsi di formazione per professionisti di integrazione posturale; spettacoli per bambini; corsi di educazione ambientale rivolti ai bambini di scuole elementari e medie; cicli di incontri nelle domeniche autunnali sulla salute (“Un thé col dottore”); pubblicazioni (libri e cdrom).

L’Arboreto è sostenuto da Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, cna Rimini, hera Rimini. Le istituzioni pubbliche che incidono sul territorio di riferimento dell’Arboreto (il Comune di Mondaino, il Comune di Riccione, la provincia di Rimini e la Regione Emilia-Romagna) partecipano direttamente all’associazione culturale, fondendo insieme finalità pubbliche e capacità progettuali, e al tempo stesso garantendo una crescita delle attività teatrali e della riserva ambientale in cui queste vengono realizzate che risulti compatibile con gli obiettivi della comunità territoriale e con i principi generali relativi alla valorizzazione della cultura e alla tutela dell’ambiente. L’Arboreto è patrocinato dall’università di Urbino.


b) Teatro Miela, la partecipazione civica

Realizzazione di un sistema di sostegno finanziario diffuso e di gestione dal basso della progettazione teatrale

Il Teatro Miela nasce in seno al progetto Bonawentura che si propose, nel 1990, di trovare alcuni cittadini disposti a versare, in contanti, a rate, o in qualsiasi altro modo, un milione di lire a testa in modo tale da poter adattare con la somma raccolta uno spazio teatrale che ospitasse culture e forme artistiche della contemporaneità. In poco tempo, intorno ai venti organizzatori iniziali si raccolsero più di 300 soci. Il teatro si pone ora come punto d’approdo nel quale possono riverberare esperienze diverse, ai margini dei grandi circuiti.

Il progetto Bonawentura era stato elaborato e intrapreso nel 1988 da un gruppo di operatori culturali e di appassionati, che aveva deciso di dar vita a un centro che fosse il punto di riferimento per una serie di esperienze frutto di relazioni artistiche, professionalità, talenti esistenti ma che non trovavano a Trieste uno spazio adeguato. Nasce allora l’idea di una cooperativa di soci che si autotassino. Individuato lo spazio, e grazie a un finanziamento ad hoc del Ministero dello Spettacolo, nel 1990 viene inaugurato il Teatro Miela. Purtroppo, alla scadenza del comodato, la compagnia proprietaria dell’edificio dove si trova il Teatro Miela decide di vendere lo stabile alla Provincia di Trieste. Dal 2001 ad oggi la sorte del Teatro non è ancora chiara.

Si tratta di un’iniziativa estremamente interessante, ma fragile, a causa della propria posizione deliberatamente marginale all’interno del panorama produttivo teatrale. La ricerca, che il Teatro Miela persegue sistematicamente, di un modello che privilegia le sperimentazioni e le innovazioni senza preoccuparsi dell’eccentricità di molte delle proprie manifestazioni, ha spinto il paradigma organizzativo del Teatro verso un modello caratterizzato da una sorta di dinamica snellezza, che passa attraverso il rifiuto del comodo pilastro degli abbonamenti, che nella percezione del Teatro Miela comportano più costi che vantaggi, anche in considerazione del proprio pubblico prevalente, poco interessato ad autovincolarsi indipendentemente dall’apprezzamento specifico per il progetto teatrale che viene realizzato di volta in volta.

La cooperativa Bonawentura adotta uno schema che le ha permesso, in ogni caso, di mantenersi viva e attiva fino ad ora: essa produce una certa quantità di serate annuali; altre vengono garantite da affitti (spettacoli, convegni, festival, riunioni aziendali). E infine ci sono delle attività considerate interessanti, o particolarmente affini, o artisticamente valide, il cui meccanismo è quello della coproduzione. Tutto ciò ha permesso al teatro di essere particolarmente indipendente. Mai, neppure nei momenti più critici, il Miela ha rinunciato a produrre eventi, creare invenzioni eccentriche, intuendo in anticipo quali spettacoli avrebbero sfondato. Il teatro si sostenta finanziariamente grazie a una gamma estremamente variegata di attività quali, oltre naturalmente agli spettacoli teatrali, letture di poesie, cabaret, mostre, proiezioni cinematografiche.

Se un paradigma produttivo del genere appare probabilmente poco allettante per eventuali finanziatori privati, e se – d’altro canto – un’apertura al mercato potrebbe implicare l’estensione delle attività realizzate a servizi eterogenei (dalla realizzazione di festival all’organizzazione di mostre e altre iniziative relative a settori contigui), si deve osservare che questo tipo di esperienza pone a gran voce l’esigenza che almeno una parte dei finanziamenti pubblici sia svincolata dall’attuale lista di requisiti formali, e consenta invece un sufficiente grado di negozialità tra ente pubblico e destinatario del sostegno, in modo da garantire pari opportunità di accesso ai fondi pubblici a quelle istituzioni culturali che vedrebbero snaturata la propria attività e le proprie strategie di fondo aderendo alle griglie del “teatro di stato”. Si può ritenere che l’ente territoriale maggiormente efficace in questo compito di flessibile determinazione del sostegno al teatro potrebbe essere la Regione.

Paradossalmente, il teatro nasce per dare spazio alle realtà emergenti e innovative, soprattutto quelle triestine. Nonostante questo, e a fronte di un positivo rapporto con la Regione, attualmente le relazioni con gli enti locali sono conflittuali, anche per via dell’ancora irrisolta situazione relativa allo stabile.


c) “La Nave Fantasma”, dalla realtà al palcoscenico

Sottoscrizione popolare per realizzare uno spettacolo che narrasse un fatto realmente accaduto

Lo spettacolo “La nave fantasma”, ispirato a una vicenda realmente accaduta il 25 dicembre 1996 a largo di Portopalo, in Sicilia 2, era un progetto che il Teatro della Cooperativa da tempo desiderava realizzare, sviluppando un tema legato alla sensibilità sociale. Sembrava però molto difficile da portare in scena, per la carenza delle risorse economiche necessarie a finanziarlo. Ma proprio la mancanza di risorse economiche e l’improrogabilità di questa vicenda, il suo carattere umano, sociale e politico, hanno fatto avvertire agli organizzatori la crescente urgenza di dire e di fare qualcosa, non solo per il teatro. E’ stata quindi lanciata una campagna di sottoscrizione popolare per raccogliere i fondi necessari alla produzione. La cifra raccolta sarebbe stata destinata – nell’intenzione dei produttori – non solo alle spese di produzione e promozione dello spettacolo, ma anche alla realizzazione di materiale video, cartaceo e digitale di approfondimento da distribuire in modo capillare e gratuito ai parenti delle vittime, a istituti scolastici, associazioni, circoli e realtà che si occupano di immigrazione.

La notte del 25 dicembre 2003 è stata lanciata una campagna di sottoscrizione popolare per raccogliere i fondi necessari alla produzione. La Nave Fantasma è stata messa in scena l’anno successivo, replicata a lungo a Milano nel teatro gestito dagli stessi produttori, e inserita nei calendari di diversi teatri di tutta la penisola. Il risultato economico tuttavia, è stato irrisorio: 6.000 euro raccolti. Nonostante la scarsa performance economica registrata dalla formula inedita della “sottoscrizione popolare”, lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito a Milano (e sta ottenendo risultati analoghi negli altri teatri d’Italia) Rappresenta quindi un caso di pratica teatrale che trova una grande adesione di pubblico ma non adeguate fonti di finanziamento. La questione appare cruciale: fino a che punto si può attribuire un ruolo di supplenza alla comunità locale, se le istituzioni appaiono sorde al fabbisogno finanziario di un’impresa culturale?

Tuttavia, comunque si scelga di rispondere al dilemma, l’esperienza di questo lavoro teatrale mostra un dato fondamentale, se si vuole avviare una seria e completa riflessione sull’atteggiamento del consumatore culturale al di là degli stereotipi che anche gli economisti hanno cotribuito a creare ed a consolidare. Il dato consiste nella forte ed estesa disponibilità degli individui e dei gruppi sociali di partecipare finanziariamente alle sorti del teatro, e sposta l’accento rilevante, della questione dal cruciale punto relativo all’esistenza di un consenso attivo nei confronti del teatro, in direzione della necessaria definizione dei meccanismi più efficaci e pertinenti per mettere in collegamento le risorse della comunità e le attività teatrali (imposte centrali vs. imposte locali, donazioni dirette vs. co-progettazione, incentivi fiscali vs. benefici privati, etc.).

Al contrario, un impatto molto forte delle scelte strategiche adottate in occasione della produzione della Nave Fantasma si è registrato sul piano pubblicitario, con un ritorno d’informazione sulla stampa e presso il pubblico nel suo complesso altrimenti conseguibile soltanto attraverso notevoli investimenti finanziari.


d) Servizi comuni, le economie di scala

Realizzazione di centri per la produzione e la fornitura di servizi a una pluralità di teatri.

Nonostante l’elevato grado di competizione che i teatri mostrano reciprocamente (competizione di solito finalizzata al finanziamento pubblico e non a massimizzare gli spettatori) si deve ritenere che la struttura del sistema teatrale e le singole organizzazioni in esso operanti potrebbero trarre notevole vantaggio sul piano tanto gestionale quanto finanziario dalla messa in comune di un certo numero di servizi. Recentemente sono sorte alcune aggregazioni anche informali, associazioni, cooperative, che si propongono di rappresentare più enti teatrali o che offrono i propri servizi alle compagnie del settore. Non si tratta di un fenomeno nuovo, ma che sta vivendo una ripresa e caratterizzandosi per forme abbastanza originali rispetto al passato.

FaQ, ad esempio è l’organismo che riunisce il teatro giovane milanese (limitatamente alle attività di produzione): un tavolo di confronto che mancava a queste realtà, che sta portando ad elaborazioni critico-organizzative interessanti, e come primo risultato concreto si è qualificato come forma di rappresentanza indipendente nei confronti della Regione Lombardia (un precedente non irrilevante: si tratta infatti di gruppi non aderenti al’AGIS, che è per tradizione l’unico organismo sindacale riconosciuto).

Develop.net consiste nella creazione di un coordinamento tra le strutture teatrali aderenti: l’obiettivo è di creare, dopo un anno di collaborazione estesa, un grande centro di ricerca teatrale indipendente, autogestito e diffuso, con spazi dislocati in tutta Italia. E’ il prototipo di un circuito produttivo e organizzativo alternativo e complementare a quello istituzionale (anche, ma non solo, legato ai centri sociali).

Anche Danny Rose, la cooperativa che ha curato l’organizzazione della conferenza sulle buone pratiche e che è costituita esclusivamente da giovani professionisti provenienti dalla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”, costituisce un importante collegamento tra formazione e professione, ancora alla ricerca dei modi e degli ambiti più corretti su cui operare nel campo dei servizi alle compagnie, della gestione di progetti e anche nella qualità di braccio organizzativo esecutivo della Scuola.

369gradi di Roma, invece, si popone come realtà più matura nel settore, anche perchè coloro che ne fanno parte vantano una maggiore esperienza tecnica, e hanno deciso di mettere le proprie competenze al servizio delle compagnie teatrali, focalizzando la propria attività nell’area dei “servizi” alle compagnie: quei lavori “piccoli e scomodi”, ma particolarmente e assolutamente necessari, come l’ufficio stampa o il recupero crediti.

NOTE

1 Karl Polanyi, The Great Transformation, New York, Rinehart & Co., Inc., 1944.
2 Lo spettacolo è la trasposizione teatrale di una vicenda di cronaca che per troppo tempo è passata inosservata: il 25 dicembre 1996 a largo di Portopalo in Sicilia affondò un battello carico di migranti provenienti da India, Pakistan e Sri Lanka. Le vittime furono 283. Ma i mass media, eccetto rare eccezioni, non se ne occuparono e le autorità si mostrarono molto scettiche. Nulla è ancora stato fatto per recuperare il relitto e i corpi delle vittime. Il Teatro della Cooperativa ha realizzato pertanto il progetto di mettere in scena tale dramma. Questo perché il naufragio fantasma rappresenta una sintesi drammatica della vasta problematica connessa al tema dell’immigrazione: la disperazione dei migranti, il silenzio di autorità e media, la ferocia dei trafficanti di esseri umani, la terribile indifferenza e paura della nostra società.


 


 

Il sostegno alle attività teatrali milanesi attraverso convenzioni
Una Buona Pratica nella gestione del denaro pubblico
di Lory Dall’Ombra (Responsabile Servizio Spettacolo Comune di Milano)

 

Quella che si vuole portare all’attenzione come buona pratica è un percorso che l’Amministrazione Comunale di Milano ha iniziato circa 15 anni fa con alcuni teatri milanesi e che, nel tempo, si è sempre maggiormente definito fino a creare un vero e proprio Sistema dei teatri Milanesi, che non ci risulta abbia analogie in altre città.
Il Sistema dei Teatri Milanesi è costituito – non formalmente ovviamente - dall’insieme degli organismi teatrali che operano a Milano ciascuno con ruolo e riconoscimento diverso.
Oltre al Piccolo Teatro, il teatro stabile pubblico sostenuto principalmente dal Comune di Milano sulla base della legislazione vigente, il Comune di Milano ha stabilito di convenzionarsi con 13 organismi (9 teatri di produzione e 4 compagnie).
L’origine delle convenzioni teatrali a Milano è lontana, nel corso degli anni è stata sempre frutto di confronto e dibattito fra l’Amministrazione e gli operatori. Le convenzioni oltre ad essere un riconoscimento stabile dell’attività di alcune realtà cittadine, che sono aumentate dalle 6 iniziali alle attuali 13, richiedono anche ai teatri lo svolgimento di un ruolo sociale e culturale per la città attraverso diverse formule quali le riduzioni sui prezzi dei biglietti per particolari fasce di cittadini o altre attività declinate nelle diverse convenzioni.
Nel 2000 c’è stata un’ evoluzione della formula delle convenzioni che ha preparato il terreno a quella, ancora più approfondita, attualmente in corso. Infatti nel 2000 si sono divise le convenzioni per durata: triennale per gli organismi che avessero alcuni requisiti di particolare storicità e solidità economico-amministrativa e annuale per gli altri, dei 12 organismi convenzionati allora 4 ebbero convenzioni triennali e 8 annuali; e perla prima volta sono stati introdotti alcuni parametri di valutazione economico-gestionale dell’attività degli organismi teatrali che dava diritto – in rapporto ai risultati conseguiti – ad un premio dal 5% al 15% oltre alla cifra di contributo stabilita dalla convenzione.
Arriviamo ora alle attuali convenzioni in vigore nel triennio 2002-2005, che sono il risultato di una ulteriore evoluzione delle convenzioni precedenti:

- l’Amministrazione Comunale intende sostenere e definire maggiormente il “sistema teatrale milanese” che è visto come modello anche da altre città. Il rinnovo delle convenzioni teatrali persegue una linea politica che privilegia l’indirizzo delle risorse a sostegno del consolidamento del rapporto pubblico-privato con le realtà che operano sul territorio, rispetto alla promozione diretta di iniziative culturali.
- Il “sistema teatrale milanese” prevede - a fianco ed oltre al Piccolo Teatro – una rete di 13 teatri convenzionati (1 in più rispetto al precedente triennio). All’interno di questa rete i teatri convenzionati triennalmente passano dai 4 precedenti a 9. Questo a maggior garanzia della solidità dell’intero sistema.
- Il nuovo sistema convenzionale tende a definire con maggior trasparenza le motivazioni attraverso le quali l’Amministrazione concede i contributi agli organismi teatrali. In particolare le linee guida sono state sia di riconoscere la storicità del ruolo e della rilevanza dei teatri milanesi, sia di riconoscere e valorizzare quelle imprese che stanno crescendo rispetto al passato.
- Un punto di forza è stata la scelta dell’Amministrazione di concertare e condividere l’intero percorso, che ha portato alle presenti convenzioni, con i teatri stessi rappresentati dall’Agis Lombarda.
- L’intervento del Comune è teso a garantire la prosecuzione del servizio culturale e sociale che i teatri cittadini svolgono e a promuovere tutte le innovazioni ed i miglioramenti gestionali e artistici che vanno a vantaggio della cittadinanza
- I teatri si impegnano: a dare due spettacoli gratuiti ciascuno che l’Amministrazione offre a quella parte di cittadinanza più disagiata, reperita attraverso i centri gestiti dai servizi sociali; a riconoscere particolari riduzioni sui biglietti ai cittadini giovani e anziani; a collaborare ai programmi di informazione e promozione turistica messi in atto dall’Amministrazione.
- Da un’analisi recentemente condotta fra le principali città italiane, risulta che il Comune di Milano è in controtendenza rispetto alle altre città, nella scelta di non ridurre i fondi destinati alle attività culturali stabili. Va inoltre dato atto che altre città stanno guardando, con interesse, il sistema teatrale milanese.

OSSERVAZIONI E NOVITA’ DELLE CONVENZIONI

Requisiti
- Per la prima volta sono stati individuati requisiti minimi d’accesso alle convenzioni, i requisiti sono stati definiti sulla base da quanto richiesto dal Ministero dei Beni e Attività Culturali per accedere ai contributi statali.
- I requisiti sono stati differenziati fra organismi teatrali con sede e compagnie teatrali (organismi di produzione senza sede teatrale)
- Sono variati e precisati, rispetto alle precedenti convenzioni, i requisiti di accesso alla triennalità. I requisiti sono stati stabiliti affinché i teatri convenzionati dimostrino una solidità economica e gestionale tale da dare garanzie di continuità e buona gestione artistica ed economica.

Obblighi degli organismi convenzionati
- Apporre il logo Comune di Milano – Teatro Convenzionato su tutto il materiale promozionale
- Dare due spettacoli gratuiti ciascuno che consentono all’Amministrazione di programmare una rassegna MilanoAteatro che quest’anno prevedrà 28 spettacoli (26 dai teatri convenzionati + 2 del Piccolo Teatro) gratuiti da offrire alla cittadinanza
- Applicare riduzioni particolari ai giovani ed agli anziani

Composizione del contributo
Il nuovo riparto dei finanziamenti del sistema teatrale milanese è stato pensato prevedendo che il budget complessivo venga suddiviso in due tranche: la prima costituita da una percentuale del contributo medio ricevuto nell’ultimo triennio, al fine di riconoscere il valore della storicità dell’attività artistica e culturale dei vari organismi; la seconda tranche, invece, vuole prendere atto del profilo attuale di ogni singolo teatro, vuole misurare la sua qualità artistico-gestionale di oggi, contestualmente alla misurazione degli altri organismi teatrali del sistema
. Questa, a nostro parere, è la vera novità di questo sistema convenzionale che ha richiesto agli organismi teatrali di essere valutati sulla base di risultati oggettivi ma variabili, avendo la consapevolezza della possibilità di vedere eventualmente ridotto il proprio contributo finale , qualora non fossero raggiunti certi risultati, o di vedere aumentato il proprio contributo, in particolare per coloro che, per minor storicità di convenzione , godevano di contributi inferiori alla loro reale attività.
Il diverso approccio comporta quindi che lo stanziamento venga finalizzato per una parte del contributo in una quota fissa ed una parte del contributo in una quota variabile legata alla valutazione di un’apposita commissione, sulla base di una griglia costituita da fattori ed indicatori che misurano i risultati delle performance attuali dei teatri.
La griglia è stata elaborata in base ad una collaborazione con l’Università degli Studi Bocconi che ha definito i fattori ed i rispettivi “pesi”.

Griglie per la valutazione
La griglia è composta da 4 Fattori che hanno pesi diversi:

- Qualità artistica (valore 20/100),
- Qualità percepita dai cittadini/fruitori (valore 20/100),
- Qualità degli impatti e indotti sul territorio (valore 10/100)
- Qualità gestionale (valore 50/100).

Ogni fattore ha degli indicatori di riferimento e degli standard ad uso della Commissione che valuterà i dati forniti dai teatri convenzionati. Sulla base di questa valutazione verrà dato un punteggio finale che consentirà di stabilire l’entità della seconda tranche del contributo.
La griglia è uno strumento di chiarezza e trasparenza nella valutazione dell’entità del contributo, ma è anche - e soprattutto - uno strumento che consente la valutazione dell’attività presente dei teatri riconoscendo a ciascuno quanto effettivamente ha realizzato nel corso dell’anno.
Infine le risorse, per il triennio 2003-2005 il Comune di Milano ha stanziato euro 1.299.000 all’anno da distribuire, così come indicato precedentemente, fra i 13 organismi teatrali convenzionati.

Gennaio 2005


 


 

Fuori i mercanti dal tempio
La pubblicità all'interno dello spettacolo di Fortebraccio Teatro per compensare il taglio del FUS
di Roberto Latini (Fortebraccio Teatro)

 

La sera del 18 gennaio abbiamo presentato lo spettacolo PER ECUBA _ Amleto, neutro plurale con un’interruzione pubblicitaria.
Lo abbiamo fatto per tutta la settimana di repliche a Roma, (e lo faremo, se possibile, per tutte le repliche previste per questo spettacolo) sperando che questa possa essere una buona occasione per non essere comunque in scena dopo la decisione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha ridotto il nostro contributo per il 2004 di circa il 40%.



Nessun problema è un problema fino a che non lo diventa.
Scrivo in corsivo il cuore del problema dal mio punto di vista.
Non è possibile continuare a cavarsela.
Siamo troppo oltre. Neanche il buonsenso.
Rispetto a chi non lo è, essere finanziati è sicuramente un privilegio. Ma essere “tagliati” a fine anno e senza chiarezza di motivazioni, ancora oggi aspettiamo comunicazione ufficiale, diventa insostenibilmente punitivo. Se il teatro è lo specchio di una società, se ne è la misura, se ne è il prodotto, allora vorrei dire che la crisi è oltre. E oltre la soluzione. Altrove. C’è bisogno d’altro. Di fare altro. Cominciando da qualche parte. Forse dal teatro proprio. Magari dalla verità. Dal fare il teatro pensando di fare la verità! Non dirla, farla!
Cercare di non mentire, cominciando col non mentirsi.
Forse potrebbe essere il primo passo per provare a cambiare alcune cose che a loro volta, forse forse, potrebbero cambiarne altre. Mi si perdoni la retorica e l’illusione che mi tiene in piedi. E le speranze che mi accompagnano su un palco.



Abbiamo pensato a quale potesse essere una cosa da fare. Ma quale, visto che quello che facciamo sono degli spettacoli che speriamo servano a qualcosa, che speriamo sempre possano essere almeno una proposta?
Abbiamo deciso di provare a mantenere viva la questione “finanziamenti” andando ad affrontare il paradosso principale della faccenda: servono i soldi per andare a lavorare.
Servono soldi per continuare a lavorare. E servono idee. E coscienza nelle idee.
Il teatro succede insieme al pubblico. E allora bisogna portare il teatro all’attenzione del pubblico. Qualcosa di più. Di diverso. Anche provocatorio, se necessario. Che aiuti a spiegare e che aiuti a capire.



Ho contattato personalmente alcune strutture, ditte o persone, già incontrate nel nostro percorso e che già sapessero di noi.
Ho chiesto loro di sostenere la causa “fortebraccio teatro”, ma anche la causa “sistema teatrale italiano” che volenti o nolenti, cari tutti, riguarda proprio tutti.
Ho proposto uno spazio pubblicitario all’interno della nostra ultima produzione, simbolicamente quella prodotta nel 2004 e proprio quella che è una riscrittura dell’Amleto. Per Ecuba, per Fortebraccio Teatro, per il teatro, ho fatto proposte e ricevuto risposte. Con il massimo rispetto per chi ha detto “no”, per tutti i rispettabilissimi motivi che capisco e condivido, ma anche con la speranza che quei “no” si traducano in proposte altre. In altre ancora. Da sostenere. O a cui partecipare. C’è bisogno di tutti.
Ho raccolto l’adesione di dieci sostenitori che, visti tutti insieme, sembrano perfettamente rappresentativi di una piccola comunità: il Teatro Argot di Roma che ha pubblicizzato il suo ventennale; il Teatro Tangram di Torino, che è un teatro con una programmazione, ma anche una scuola; il Florian Proposta, Teatro Stabile d’Innovazione di Pescara; il Centro R.A.T. di Cosenza, Teatro Stabile d’Innovazione della Calabria che ha pubblicizzato un suo spettacolo; gli attori Alessandro Riceci, Chiara Tomarelli e Filippo Timi, che apparivano con foto e numero di telefono; la ditta romana Andrea D’Amico, servizi per lo spettacolo; una piattaforma per e-learning, cioè una ditta produttrice di un software per scuole on line chiamata Gradus; e infine uno studio di commercialisti ai quali chiedevo fattibilità sull’emissione delle fatture per la pubblicità e che, dopo la spiegazione, hanno voluto partecipare.
Perché la pubblicità c’è stata ed è vera. Nel senso che queste strutture, ditte e persone, hanno pagato e pagano dei soldi per apparire all’interno del nostro spettacolo.
50 euro a replica, calcolando per arrotondamento la paga di un attore al minimo sindacale.
Ma con la possibilità di comprare anche solo una serata o due o il fine settimana, o tutte le repliche con sconti “prendi sei e paghi cinque”.
Apparire quando e come: non prima, né dopo lo spettacolo, non fuori da esso, ma al suo interno. Durante. Ci hanno fornito tutti un’immagine, una foto che potesse essere rappresentativa di loro stessi o del messaggio da veicolare. Abbiamo realizzato un video con immagini montate in sequenza. Uno spot solo, una sola interruzione. Alcuni minuti di sospensione in un punto dello spettacolo corrispondente circa al 60% della durata dello spettacolo stesso, spiegando che il rimanente 40% sarebbe stato possibile solo grazie al gentile sostegno dei nostri sponsor.
Ma l’ironia non è dire che grazie alla pubblicità abbiamo potuto finire lo spettacolo, ma pensare che grazie alla pubblicità abbiamo potuto farlo.
Perché se per far vedere il nostro spettacolo siamo costretti a metterci la pubblicità, siamo pronti a interrompere sempre. E di più. Più volte. Anche fino a portare in scena solo pubblicità da interrompere con il nostro spettacolo. E questa è da considerarsi una notizia in anteprima.



A Roma, abbiamo deciso di non avvisare il pubblico.
Non distribuire niente, né attaccare fuori gli articoli di giornale usciti a proposito, ma di comunicare l’interruzione, al pubblico presente, solo al momento dell’interruzione. Perché è una cosa che riguarda l’andare in scena, lo stare sul palco, non il chiacchierare fuori.
Non so dire se ci sono state persone venute per vedere più la pubblicità o lo spettacolo. So che, in entrambi i casi, sono venute. E per alcuni se la ragione principale è stata la pubblicità, di certo, si sono dovute vedere pure lo spettacolo. Di questi tempi, scusate.
Riporto a mo’ di cronaca che le reazioni dei presenti, da quanto percepito, sono state assolutamente favorevoli. Forse perché è passato chiaramente il messaggio. Mi piace pensare questo.
Allora ringrazio tutti, tutto il pubblico, e le persone con le quali lavoro che, per prime, hanno accettato un’interferenza tale all’interno della propria artisticità.
E chi ha voluto sostenerci. Ma anche chi non ha voluto. Chi ha approvato e chi no, perché discutere almeno smuove dall’immobilismo.
Capire è quasi sempre una scelta.


 


 

Dalla Russia (danzando) con amore
La danza al Russkij Festival di Roma
di Mara Serina

 

Un mondo inquieto e sognatore quello della danza e del teatro danza dell’ex Unione Sovietica, un mondo affascinante ma spesso poco noto. Storia e geografia hanno fatto di tutto affinchè questi attori e coreografi rimanessero a lungo isolati, ricevendo solo un’eco lontana di quel che accadeva a Ovest, ma ciò ha consentito loro di mantenere spesso intatta un’urgenza e una necessità dell’andare in scena che oggi a Ovest è sempre più difficile incontrare. Professionisti rigorosi, umili e schivi, lettori appassionati, conoscitori d’arte e osservatori sensibili, gli artisti russi che abbiamo incontrato in questi anni sperimentano con coraggio e onestà, senza alcuna concessione al pubblico, abituati all’immediatezza di rapporto con i propri spettatori che applaudono solamente se lo spettacolo è piaciuto davvero.
Un’occasione preziosa per osservare da vicino una parte di quel che si muove nel profondo Est Europa è stato il Russkij Festival, il Festival Russo che dal 3 al 31 dicembre ha trovato casa negli spazi avveniristici dell’Auditorium del Parco della Musica di Roma. Teatro, danza, cinema, musica, letteratura, cucina, gioco, arte e circo hanno contribuito a dare uno sguardo intrigante alla cultura russa attraverso l’incontro con "mostri sacri" come Lev Dodin e Pëtr Fomenko ma anche con la nuova scena, come nel caso della danza di Olga Pona (Teatro di Danza Contemporanea di Celjabinsk) e di Tatjana Baganova (Compagnia di Danza della Provincia di Ekaterinburg) e del teatro visionario di Akhe Group.
Come ci spiega Olga Pona poco prima dello spettacolo:

"Oggi si cammina su di un filo. tutto quello che è targato Occidente viene considerato da mitizzare e le nostre tradizioni e radici spesso assumono la forma di un pesante fardello di cui ci si può anche sbarazzare. La contaminazione è inevitabile ma il rischio è proprio quello che non avvenga affatto e che i giovani si lascino completamente abbagliare da un sistema di vita e di cultura molto differente dal loro, sostituendolo acriticamente al proprio. Attualmente quel che accade di più interessante nel panorama della danza non è a Mosca ma nella zona degli Urali, povera, isolata ma fertile per la ricerca artistica. In Siberia c’è un profondo interesse per la danza anche se il supporto pubblico e privato è pressoché assente e i giovani devono fare più lavori per permettersi di danzare, ma questo li rende più determinati, creativi e coraggiosi".

Questa è un po’ anche la storia di Olga Pona, nata nel 1959 a Novorossisk, un villaggio nel governatorato di Orenburg, e avvicinatasi alla danza piuttosto tardi, dopo gli studi tecnici con specializzazione nella costruzione di macchine e trattori. Non ha studiato all’estero e il suo primo incontro con la danza, racconta, sono stati gli spettacoli di danze folcloristiche e tradizionali, nessun grande maestro, nessun esempio folgorante cui ispirarsi e da seguire. La molla profonda è una irresistibile necessità di andare in scena per raccontare la Russia e la sua gente. Infatti di ciò parlano i quattro spettacoli presentati in prima nazionale a Roma: L’attesa, www.volti.ru, Cinemania (ovvero c’è vita su Marte? e Fissando l’infinito , spettacoli accomunati, ci dice Olga Pona,

"da un forte senso della memoria che mi viene dalla mia famiglia e da mia madre. In Russia è molto forte il senso della comunità, non c’è come in Occidente il singolo, il suo emergere su tutti gli altri, la sua realizzazione individuale che è indipendente da tutto il resto. In Russia c’è la collettività, con un destino comune e una profonda condivisione del dolore e delle sofferenze, dei ritmi della vita, delle tradizioni e della nostalgia.

Ad esempio in Fissando l’infinito sono in scena solo uomini, alcuni cantano dal vivo canzoni popolari, altri danzano in un’atmosfera maschile, potente e fragile insieme perché c’è una sorprendente solidarietà ma anche il coraggio di mostrare disagio e sofferenza.



Fissando l'infinito.

In Cinemania sono invece protagoniste delle donne che devono arrangiarsi a vivere senza i propri mariti e trovano una grande solidarietà nella ricerca di una vita privata non disgiunta dalla speranza collettiva per un futuro migliore, in cui poter avere successo nel lavoro.



Cinemania.


www.volti.ru racconta invece la vita di un villaggio russo nel corso del tempo, facendone come uno specchio della realtà di oggi



L'attesa.

L’attesa fotografa uno dei temi centrali della vita russa, la pazienza espressa nell’aspettare, l’attesa di un cambiamento, l’attesa di una vita migliore, ma anche le piccole attese quotidiane, le code per il cibo, i mezzi pubblici…".
Semplice e pulita, la coreografia di Olga Pona non cerca effetti speciali ma crea tensioni ed emozioni solo con i corpi e la musica, riuscendo ad esprimere le domande esistenziali di ciascuno di noi con totale naturalezza, affidandosi alla precisione e all’entusiamo di danzatori giovanissimi. Un tocco più classico, nella danza e nelle scenografie arriva dai Compagnia di Danza della Provincia di Ekaterineburg di Tatjana Baganova, anche lei nata a ridosso degli Urali, nella regione di Tumen nel 1968, e fondatrice della compagnia che ha sede per l’appunto a Ekaterinburg, quarta tra le più grandi città della Russia. Formatasi in coreografia presso l’Università di Mosca, Baganova ha poi studiato all’estero e oggi è una delle figure più interessanti della nuova coreografia russa, tanto da vincere per le produzioni del 2000 e del 2001 il prestigioso riconoscimento "La Maschera d’Oro".
C’è una forte teatralità nello stile della compagnia, un riferimento alla pittura, alla mitologia e alle tradizioni popolari, al patrimonio delle narrazioni che creano un’atmosfera surreale e fiabesca, piena di splendore e di malinconia.



Le nozze.

Storie d’amore come in Il Giardino degli aceri, che ricorda alcuni dipinti di Breughel e le streghe di Shakespeare, antichi rituali come in Le nozze, ispirato all’opera omonima di Stravinskij con una ritualità addirittura dal sapore orientale, e poi Voli davanti a una tazza di tè, elegante e corale, di impatto e preciso come una musica eseguita all’unisono.



Voli davanti a una tazza di tè.

Un autentico "mondo a parte" sono gli Akhe Group, che a Roma hanno presentato un loro cavallo di battaglia, La cabina bianca, con cui si sono fatti conoscere nei festival più prestigiosi di tutta Europa, tra cui il Fringe di Edimburgo nel 2002.



La cabina bianca.

Si considerano un collettivo teatrale, la critica parla «teatro ottico» o «teatro tecnico russo» perché uniscono performance, cinema e arti visive, con uno stile unico che rievoca le invenzioni più curiose nel campo delle immagini in movimento, il mimo e il gusto per l’esperimento scientifico applicato alla scena. Indipendente, fondato nel 1989, il gruppo è passato da tre a sette componenti che collaborano anche con altre realtà, russe e straniere. La cabina bianca è una sequenza di immagini con personaggi che non si preoccupano troppo di doverci raccontare una storia, eppure lo fanno, a modo loro. Ci sono un ubriaco, una fanciulla, un pazzo, ciascuno perso nella propria solitudine, goffi, malinconici, tenaci, trafitti dal dolore di una perdita eppure capaci di grande comicità. Lo spettacolo è una fantasmagoria, tutto giocato su piccoli e grandi effetti speciali che si susseguono per accumulo, con evidente attenzione al valore simbolico di oggetti e azioni che non sempre però lo spettatore riesce a decifrare.
Il Russkij Festival ha dunque contribuito con intelligenza a far luce su un panorama meno noto della scena russa e ci auguriamo che non si tratti di un semplice episodio isolato, nato nell’ambito delle manifestazioni Italia-Russia promosse dal Ministero degli Affari Esteri e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ma che abbia la possibilità di diventare un appuntamento fisso e una effettiva occasione di dialogo.
Il terreno da esplorare è infatti ampio, come ha dimostrato anche il Festival Internazionale di Teatro e Danza Apritiscena che si tiene da 6 anni a Crema nel mese di settembre. Da questa piccola ma curiosa e tenace vetrina sono passati con delle prime nazionali alcuni gruppi interessanti della scena dell’Est Europa e in particolare tre gruppi russi di forte impatto: blackSKYwhite, Teatr Novogo Fronta e DoTheatre .
Dimitry Ariupin e Marcella Soltan sono il cuore della compagnia moscovita nata nel 1988 che in Italia ha presentato Bertrand’s Toys, lo spettacolo-manifesto creato nel 1995. Mimo, teatro, danza, installazioni, musiche techno e da cabaret, sonorità etniche e luci raffinatissime, surreali, sono gli ingredienti di uno stile unico che colpisce per la carica emozionale e la tecnica ineccepibile di corpi in continua metamorfosi in cui tutto ciò che è inanimato prende improvvisamente vita. Ispirato al teatro della crudeltà di Antonin Artaud, quello di Blackskywhite è un teatro danza che non lascia scampo allo spettatore e lo immerge in una dimensione irreale e mozzafiato fra incubi, clown, creature meccaniche, uomini marionetta, mostri e demoni che ricordano l’espressionismo e creano uno spettacolo inquietante. Entrare in un sogno e non sapere se tutto quel che accade sia finzione o realtà, camminare sul filo dell’inconscio e sperimentare la paura di un incubo in cui ogni certezza scompare e tutto può capovolgersi nel suo esatto opposto da un istante all’altro. "Ogni cosa non è quel che sembra" paiono dire i danzatori che creano uno spettacolo assolutamente non narrativo ma fatto di immagini giustapposte quasi fossero il materializzarsi dei sogni in cui i rapporti tra le cose hanno radici profonde e inspiegabili, fatte di sensazioni più che di pensieri.
Non c’è una storia da cercare dunque ma è lo spettatore a creare personalissime connessioni tra quel che vede sulla base delle sue esperienze personali. Lo spettacolo è uno specchio in cui guardare e guardarsi, è spietato poiché mostra la vita com’è.
"Coinvolgente, terrificante, esilarante, lascia il pubblico senza parole e inchiodato alla poltrona", ha scritto di Bertrand’s Toysil britannico «The Guardian», cui ha fatto eco la giuria di Mimos 2001: "L’abilità di Blackskywhite è nella capacità di condensare nel proprio lavoro l’intera storia del mimo, da Debureau fino alle forme più contemporanee".
Alcuni gruppi russi, dopo aver lavorato a Mosca e San Pietroburgo si sono poi trasferiti all’estero, continuando tuttavia un cammino originale e intenso anche se disponibile a contaminazioni e dialogo. E’ questo il caso di Teatr Novogo Fronta che dal 1994 si è trasferito a Praga e di Do Theatre che dal 1990 lavora stabilmente a Potsdam, la vivacissima cittadina alle porte di Berlino.
Arte del circo, clownerie, danza moderna, butoh giapponese, misticismo e astrazione con suggestioni dark e video apocalittici sono gli ingredienti dei lavori di Teatr Novogo Fronta, gruppo dalla fisicità esplosiva, a volte grezzo o ingenuo ma vero e onesto. La compagnia russa dipinge a tinte forti momenti inquietanti di vita contemporanea, addolcendoli con lo sguardo ingenuo di clown surreali. Nel loro repertorio ci sono sia spettacoli di strada o realizzati appositamente per spazi aperti come Fabrika Liudi (1996), una sorta di esplorazione nel mondo degli emarginati in cui non è difficile scorgere anche una figura che può suggerire il Cristo, e spettacoli per spazi più convenzionali come lo splendido The Primary Symptom of Name Loss, Petrouchka e Who is looking here. Uno sguardo poetico e infantile incontra la realtà, dura, violenta e spietata e la racconta senza mediazioni, chiamando il dolore per nome.



The Primary Symptom of Name Loss.

Così fa la piccola barbona di The Primary Symptom of Name Loss, che guarda video di distruzione alternati alle immagini di Mickey Mouse e poi diventa lei stessa il fortunato topo disneyano; così fa il poeta che ripercorre la sua esistenza e condivide i sogni irrealizzati con il pupazzo di un tempo, Petrouchka, così fa la casalinga di Who is looking here che soffre per la povertà e l’abbandono ma poi si libra radiosa in cima all’armadio.
Nato nel 1987 a San Pietroburgo, pioniere di un teatro fisico estremo, DoTheatre ha elaborato già dal 1990 un linguaggio di grande forza, costruendo una forma di "teatro danza" che in Russia è stata definito Modernismo Russo, brutale, inquietante, denso di humor, spietato e ironico ma tecnicamente ineccepibile. Attualmente la compagnia ha sede a Potsdam dove collabora con diverse realtà internazionali, tra cui il centro Fabrik. Grazie alla sua unicità la compagnia si è conquistata una posizione di prestigio intrattenendo numerose collaborazioni internazionali con tournèe nei maggiori teatri e festival del mondo, dall’Australia a New York, dal Giappone all’Europa.



Upside Down.

Vincitrice del Fringe Festival di Edimburgo con Hopeless games nel 1999 e Upside Down nel 2001 DoTheatre è una delle realtà più originali dell’underground post sovietico. Dark, espressionista e pulp è il mondo alla rovescia disegnato in uno degli spettacoli più belli, Upside Down, che ispirandosi al cinema delle origini, al dipinto di Rembrant "L'anatomia del dottor Tulip" e al Frankestein di Mary Shelley racconta in maniera ironica e paradossale le avventure di un’infermiera, un medico e un paziente.



Bird's eYe View.

Atmosfere più raffinate e rarefatte si respirano in Bird's eYe View, uno spettacolo prodotto dal Baltic Theatre Festival di San Pietroburgo e dal Comitato per la Cultura della Città di S. Pietroburgo, riflessione poetica sul tema del "volo", da Icaro ai kamikaze giapponesi.
Come uomini-uccello, i danzatori si muovono in uno spazio invaso da piume, creando scene di forte impatto, pronte a dissolversi con la delicatezza dei sogni, in una continua sfida fra cielo e terra. In un turbine di ossessioni legate all'innato desiderio dell'uomo di "spiccare il volo", si succedono echi d'infanzia, momenti sfrenati di gioco, piloti, cosmonauti, colombe, mongolfiere, angeli, sogni e incubi. Ci si trova così a sperimentare nuove dimensioni di spazio e di tempo, quando tutto è eternamente sospeso, quando la gravità si dissolve, quando non c'è differenza tra pensare/immaginare ed essere concretamente in un sogno.


 


 

Libri & altro: la prima monografia italiana su Robert Lepage
Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, pref. di O. Ponte di Pino, Pisa, BFS, 2004, pp. 159, €15.00
di Fernando Mastropasqua

 



Esce in Italia la prima monografia su Robert Lepage, uno dei maestri della regia contemporanea. Canadese (Québec City, 1957), formatosi alla scuola di Lecoq, si è fatto conoscere in Europa con spettacoli di alto rigore stilistico e di innovativa ricerca tecnologica, come La trilogie des dragons, Polygraphe, Les aiguilles et l’opium, La face cachée de la Lune. Anna Maria Monteverdi, che ha potuto accedere ai materiali d’archivio conservati a Québec nella sede di “Ex Machina” e seguire la produzione di spettacoli a Montréal, gli dedica questo volume che ne tratteggia la complessa personalità e ricostruisce il multiforme itinerario della sua ricerca visiva, mettendone in rilievo sensi ed esiti. In tale ritratto puntuale della sua attività, nel quale l’autrice non trascura il milieu del teatro contemporaneo del Quebec né l’ispirazione sostenuta dalla conoscenza delle tradizioni sceniche europee (mimica, scenotecnica, improvvisazione, ecc.), emerge il ruolo fondamentale che Lepage riveste nella ricerca teatrale dopo la seconda avanguardia novecentesca, che ha avuto per protagonisti il Living, Grotowski, Brook, Wilson.
Il teatro di Lepage viene così a diritto inserito nella feconda dialettica del nuovo teatro, per le soluzioni originali e ancor più le prospettive che inaugura riguardo i molteplici piani della invenzione, dalla scrittura scenica alla recitazione, dalla illuminotecnica alla tecnologia di scena. Particolare attenzione dedica lo studio alla macchina scenica per La face cachée de la Lune e alle metamorfosi della scena per Elseneur. Ne risulta indubbiamente un saggio storico sul nostro più recente teatro ma anche una discussione critica riguardo i più incalzanti problemi tecnico-formali della nuova scena.
A ragione rileva Oliviero Ponte di Pino nella Prefazione che “l’argomentazione di Anna Maria Monteverdi fa piazza pulita di alcuni fuorvianti luoghi comuni, riconducendo l’uso della tecnologia alle origini del teatro, alla maschera, e dunque all’essenza profonda del fatto teatrale, alla sua dimensione rituale.” Si leggano i capitoli dedicati all’attore-specchio-macchina, all’arte veicolo, al teatro-immagine, ai legami con il cinema, alla creazione infinita: “La realizzazione - nota l’autrice - è dunque sempre provvisoria per definizione. L’opera è sempre un non finito, lo spettacolo è sempre una questione di spazio e di tempo: quando è stata fatta e dove è stata fatta. Questo significa che anche dopo la prima presentazione pubblica la forma dello spettacolo continua a modificarsi, si evolve con le nuove idee, con motivi e con tematiche con cui l’autore viene in contatto. La forma, come affermava Carlo Ludovico Ragghianti in riferimento a ogni manifestazione del linguaggio visivo, si identifica col suo processo costruttivo”.
Riguardo l’acceso dibattito intorno alla tecnologia a teatro, di particolare interesse il capitolo: “La tecnologia è la reinvenzione del fuoco”, nel quale, facendo propria una immagine dello stesso Lepage, l’autrice affronta il problema dell’uso delle macchine a teatro secondo una originale prospettiva che ampia l’orizzonte della discussione, il più delle volte confinato nella esaltazione o denigrazione delle attuali sperimentazioni. Lo sguardo si rivolge indietro alle origini del teatro e invita a riflettere sulle ‘contaminazioni’ che la ‘poetica’ della macchina scenica produsse nel Nocevento. E, ricordando in particolare E. G. Craig, richiama la funzione che la luce da sempre ha avuto nella storia del teatro, dalla pietra ad arte levigata che proiettava ombre narranti se sapientemente illuminata dal fuoco agli accecanti bagliori dei moderni generatori. Lepage pone la tecnologia in stretta relazione con una comunità di uomini che si ritrova a teatro: “All’inizio del teatro – egli dice – molti secoli fa, l’attore parlava, davanti a lui c’era il fuoco e dietro l’ombra… Il fuoco è stato rimpiazzato dalla tecnologia, ma la gente viene ancora a teatro a sedersi intorno al fuoco… Io devo reinventare l’utilizzo del fuoco ogni volta”. La macchina, a teatro, invece di togliere umanità all’uomo è ciò che gli permette di riconquistare la dimensione perduta nell’uso inconsulto e maniacale delle macchine del vivere quotidiano, che isolano ma non radunano, che distruggono memoria e narcotizzano. Di nuovo, come per Artaud, per Beck, per Craig, il teatro, anche per mezzo della sua tecnologia, si pone come ‘la casa dell’uomo’ dalla quale è stato allontanato e alla quale inevitabilmente sente di dover tornare.
Il libro, oltre a essere corredato di aggiornate biblio-teatrografie, per la prima volta approntate per Robert Lepage, riporta in appendice l’illuminante intervista fatta dall’autrice allo scenografo, Carl Fillon, che illustra il metodo di lavoro del regista e della sua équipe, dalla idea alla realizzazione e, infine, alla produzione dello spettacolo. Dunque il volume è anche uno strumento utile per quanti, docenti e studenti, ma anche teatranti, vogliano accostarsi a un teatro “in cui la terribile e incomprensibile realtà del nostro tempo sia inseparabilmente unita ai dettagli insignificanti delle nostre vite quotidiane”, come ha detto del teatro di Lepage Peter Brook, occhieggiante dalla quarta di copertina.

Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, pref. di O. Ponte di Pino, Pisa, BFS, 2004, pp. 159, €15.00.


 


 

Marco Paolini: una scheda
da "Hystrio" 1.2005 Dossier "Teatro di narrazione"
di Oliviero Ponte di Pino

 

A segnare la svolta determinante nella carriera di Marco Paolini, nato nel 1956 a Belluno e cresciuto a Treviso, è stato Il racconto del Vajont (1994), spettacolo-manifesto di un «teatro civile» di fortissimo impatto spettacolare, politico e mediatico, con impressionanti dati di audience in occasione della diretta su Raidue il 9 ottobre 1997: oltre tre milioni e mezzo di spettatori. A quel successo Marco Paolini, interprete fino ad allora di lavori da poche decine di spettatori a replica, non ci è arrivato certo per caso, anche se la sua carriera – come quella di molti altri straordinari autori-attori della sua generazione, da Toni Servillo a Sandro Lombardi, da Marco Baliani a Paolo Rossi – aveva fino a quel momento seguito vie in qualche modo oblique, imprevedibili, al di fuori di ogni curriculum programmabile e tuttavia lungo un percorso in qualche modo necessario e logico – almeno con il senno di poi.
Per cominciare, c’è una formazione che passa anche per la commedia dell’arte rivisitata dal Tag Teatro: perché Marco, come un altro veneziano di pianura, Silvio Castiglioni, è uno straordinario «Arlecchino naturale», che ha i geni terragni e contadini, potenzialmente eversivi, di un Ruzante. Questa auto-formazione passa poi per un gruppo del nuovo teatro, seppure per certi aspetti eccentrico, come il Teatro Settimo di Gabriele Vacis, che non a caso sarà suo complice come autore e regista proprio del Vajont. Nei lavori di Settimo in quegli anni Ottanta è centrale il tema del progetto, intimamente affine a quello della narrazione, con il tentativo di portare in scena materiali non teatrali, dalla tavola degli elementi chimici (Esercizi sulla tavola di Mendeleev, 1984) a un romanzo come Le affinità elettive (Elementi di struttura del sentimento, 1985) e a un film come Riso amaro (1987), per poi approdare a un bizzarro Romeo e Giulietta (1991), dove la vicenda veniva narrata dai superstiti dopo la morte dei due amanti – con Paolini a fare il sopravvissuto Frate Lorenzo e insieme, in un flashback, il giovane Romeo – e alla Trilogia della villeggiatura goldoniana (1993) condensata da Vacis in un’unica serata.
Nella preistoria del Vajont – uno spettacolo nato fuori dai teatri, in prove aperte e repliche nei centri sociali, negli ospedali, in circoli culturali e politici, nelle scuole, nelle parrocchie – c’è anche l’incontro con un altro veneto dell’entroterra, Luigi Meneghello, e con il suo Libera nos a Malo, che non a caso diventa uno spettacolo-laboratorio, Libera nos (1989). Meneghello significa la riscoperta delle radici, di una lingua inscritta nella realtà, nella memoria e nella carne, e del suo rapporto con l’italiano e con la modernità. Il suo libro, a metà tra la linguistica e la storia, tra l’autobiografia e l’antropologia, con il suo potente impatto poetico, dà all’autore-attore Paolini una nuova consapevolezza esistenziale, la possibilità di scavare nel profondo della propria identità e della parola.
Ancora, prima del Vajont c’è soprattutto la straordinaria esperienza degli Album, l’autobiografia di un alter ego immaginario – il piccolo Nicola, ispirato al «Petit Nicholas» di Goscinny – condotta attraverso quattro trascinanti monologhi messi a punto nell’arco di (quasi) un decennio, seguendo le vicende del protagonista-narratore dai primi anni Sessanta al fatidico 1977. Anche qui, però, il percorso è obliquo: perché la prima tappa di questa tetralogia, Adriatico (1987), nasce come spettacolo per ragazzi. Solo in seguito, nel corso degli anni e con l’accumularsi degli spettacoli, gli Album assumeranno il tono e il valore di una autobiografia generazionale, un romanzo di formazione dal respiro a tratti epico.
E’ nel complesso lavoro sull’autobiografia individuale e sulla memoria collettiva, sull’identità e sul racconto, sulla recente storia d’Italia e sul suo rapporto con il presente, che si affinano gli strumenti che permetteranno a Paolini di misurarsi – più di trent’anni dopo il disastro – con una delle maggiori tragedie collettive della storia italiana: una catastrofe dimenticata, o meglio rimossa, con processi trascinati per anni nei tribunali di tutta Italia.
L’imprevedibile successo del Racconto del Vajont non era affatto scontato, anzi. Quella sera – per uno strano caso del destino, proprio quel giorno Dario Fo vince a sorpresa il Premio Nobel – nessun giornale ha osato annunciare che ci sarà uno spettacolo teatrale in diretta: qualcuno ha scritto «documentario», qualcun altro «sceneggiato», qualcuno preferisce glissare sul genere. Ma quell’attore sospeso su una diga tra i monti, con l’aiuto solo di un tavolino e di una lavagna (con l’inserimento di qualche filmato di repertorio), che parla per tre ore di litri e metri cubi, di ingegneria civile e di migliaia di morti in pochi terribili minuti, conquista milioni di spettatori, che a loro volta diventeranno spesso dei propagandisti del Vajont, quando racconteranno la loro esperienza ad amici e colleghi, nei giorni seguenti.
Con quello spettacolo si afferma una nuova figura. Non è solo un attore, perché Paolini è anche autore dei suoi testi (oltre che inventore del proprio personaggio scenico e pubblico). Non è solo un autore e un attore, perché si fa anche portavoce di una memoria collettiva, che i mass media hanno occultato o trascurato. La sua non è solo memoria, o meglio non certo è la memoria pacificatrice e consolatoria del revival: la sua è anche una coscienza civile, il suo spettacolo assume un immediato significato politico, evoca una diversa consapevolezza del nostro passato prossimo e chiama all’azione. E’ lo stesso Paolini a sottolineare questo aspetto, quando replica per anni il suo Vajont il 12 dicembre, e per un anno il 12 di ogni mese, come memoriale della strage di piazza Fontana.
Da allora – ed è passato più di un decennio dalle prime prove aperte del Vajont – Paolini ha seguito varie direzioni di ricerca. Da un lato ha approfondito la riflessione, anche attraverso il serrato confronto con la poesia (trascinanti, memorabili le sue interpretazioni di Calzavara e Zanzotto), sulla lingua e sul suo rapporto con la musica (pare ineludibile la necessità dei moderni attori solisti, a un certo punto della loro carriera, di appoggiarsi alla musica) e insieme con la propria terra, quel Nord-Est in prodigiosa modernizzazione ma anche strappato alla propria identità. In questo ambito, oltre ai vari Bestiari, il lavoro più compiuto è Il Milione (1997), dove la riflessione sul suo rapporto di veneto dell’entroterra con la metropoli lagunare (e con il suo mito) diventa l’occasione per una riflessione sugli intrecci tra storia e geografia, tra Europa e Oriente, con una vena di malinconica ironia.
Sull’altro versante prosegue la rivisitazione «civile» di alcune pagine drammatiche della recente storia italiana, ma avvertendo sempre il rischio di trasformarsi in un «poeta delle catastrofi» e dunque centellinando questi spettacoli-denuncia. Ecco allora i grandi monologhi su Ustica (I-TIGI canto per Ustica, 2001, scritto con Daniele Del Giudice e portato in scena con le musiche di Giovanna Marini e presentato in occasione dell’anniversario della strage della stazione di Bologna) e sul petrolchimico di Marghera (Parlamento chimico, 2002), oltre al ritorno in televisione con i cinque monologhi realizzati nel 2003 per la trasmissione Report. Anche in questo caso è significativo il metodo di lavoro: perché i monologhi, che devono introdurre le inchieste curate dall’équipe di Milena Gabanelli ma senza mai illustrale pedissequamente, vengono per prima cosa scritti con Francesco Niccolini e Andrea Purgatori, che s’incaricano del lavoro di ricerca e documentazione, riprendendo gli obiettivi e i metodi del teatro-documento; i testi vengono poi «rodati» in alcune anteprime «live», di fronte a un pubblico teatrale, quasi a cucirseli addosso, prima di essere «narrati» e registrati nel Teatro di Schio, questa volta senza spettatori. E’ la ricerca di un difficile compromesso tra l’aspetto teatrale e quello cinematografico-televisivo del lavoro, tra le esigenze artistiche che prevedono la collaborazione del pubblico nella messa a punto di tempi e ritmi e le necessità di una produzione tv.
Dopo oltre vent’anni di carriera, quello di Marco Paolini è e resta soprattutto un work in progress, che sfugge formule e ruoli di comodo, refrattario alla facile gestione del successo televisivo. Lo stesso genere del «teatro di narrazione», di cui è stato tra i creatori e maggiori esponenti, lo ha declinato ed esplorato ogni volta in forme e toni assai diversi, fino al recente Il sergente, adattamento dell’autobiografico Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, nell’inverno 2004. Questa costante ricerca ha trovato riflessi anche nella sua attività in televisione e con il video: non solo nella messa a punto di nuovi moduli formali ma anche nell’incontro con lo spettatore, che può essere agganciato con modalità diverse, dall’esibizione teatrale dal vivo alla trasmissione nella tv generalista alla cassetta video o al dvd. Anche in questo sta l’affascinante paradosso di Paolini e dei suoi racconti: nella sua capacità di reinventare una forma di comunicazione antichissima, che tuttavia si trova a suo agio con le moderne tecnologie e modalità di comunicazione, scoprendo una efficacia e un’immediatezza che altre forme di comunicazione teatrale, in apparenza più moderne, non riescono ancora a trovare.


 


 

Dal "Decalogo del buon narratore"
da "Hystrio" 1.2005 Dossier "Teatro di narrazione"
di Oliviero Ponte di Pino

 

In principio era Carmelo Bene, o forse Mistero buffo di Dario Fo. E poi magari «il Lenny Bruce dei Navigli» Paolo Rossi e il Cioni Mario di Roberto Benigni. Insomma, una visione dell’attore molto lontana da quella di semplice esecutore di un progetto altrui. Quella del narratore è un’idea di teatro che si oppone alla Supermarionetta tecnicamente perfetta ma svuotata di soggettività e preferisce lo «sporco» dell’improvvisazione, l’incontro scontro con lo spettatore e quello che ha di più volatile, la sua attenzione.




Marco Paolini e la sua lavagna, protagonisti del Racconto del Vajont, scritto con Gabriele Vacis.

Per certi aspetti il narratore guarda alla tradizione del grande attore all’italiana, com’era prima della rivoluzione della regia e dell’apparente controrivoluzione destrutturante delle avanguardie. Anche se la ritrovata consapevolezza della centralità del ruolo dell’attore in scena rifiuta fin dall’inizio di utilizzare come proprio strumento il personaggio (e dunque la psicologia, i tormenti dell’anima e lo sfogo lirico), per muoversi alla ricerca di un contatto diretto con il pubblico e – attraverso di esso – della propria identità di autore e attore.
Ma naturalmente per fare un buono spettacolo di narrazione il pedigree storico del narratore, le note di Walter Benjamin su Leskov e le riflessioni di Ong non bastano, ci vogliono altri ingredienti. Tanto per cominciare, naturalmente, ci vuole una storia interessante, importante e appassionante per chi la narra e per chi la ascolta – e in questo non siamo distanti dal recupero della narratività in letteratura. Poi, naturalmente, serve la tecnica: chi abbia visto un paio di spettacoli dei narratori che vanno per la maggiore impara in fretta alcuni dei loro segreti: i trucchi che permettono di agganciare e riattivare l’attenzione dello spettatore, i punti d’appoggio e i trampolini offerti dall’oralità, quella musicalità costruita per ripetizioni e riprese di temi e moduli narrativi. Del resto in una decina d’anni la cassetta degli attrezzi si è molto arricchita, anche se gli strumenti di base li aveva già distillati Marco Baliani con il suo esemplare Kohlhaas, vero e proprio manifesto del genere.



Una sedia, una lampadina, una pedana, un attore: Marco Baliani racconta Kohlhaas.

Ma tutto questo – la bella storia, la maestria tecnica, il rifiuto del personaggio – non basta ancora. Perché il narratore deve soprattutto avere il diritto – il coraggio – di raccontarci quella storia. Deve conquistare la propria legittimità, sia all’interno del singolo spettacolo sia nell’arco di una carriera che gli conferisce credibilità e autorevolezza, spettacolo dopo spettacolo. Insomma, non basta che il racconto sia «giusto»: bisogna che lo diventi perché ce lo sta trasmettendo proprio quella persona. E devono essere chiari – percepibili, anche se non necessariamente espliciti – i motivi per cui è necessario, in questo momento, per lui, raccontarci questa vicenda.



La copertina del Quaderno del Vajont di Marco Paolini e Oliviero Ponte di Pino.

Chi narra dunque non può dunque essere uno strumento neutro, per quanto virtuoso, storicamente o giornalisticamente agguerrito e documentato. Perché non contano solo i fatti, per quanto significativi, ma anche il motivo per cui sono fondamentali, per il narratore e per noi.



Laura Curino e Lucilla Giagnoni protagoniste di Olivetti.

Al tempo stesso però ci deve essere una distanza, uno scarto critico, perché il narratore non può essere un propagandista, il cantore di un qualche eden o idillio o trionfo.



Marco Paolini racconta Ustica in I-tigi.

In un modo o nell’altro il narratore dice «io», perché si mette in gioco in prima persona, non indossa la maschera. Ma al tempo stesso quello che racconta non è autobiografia, o meglio non deve e non può mai essere solo autobiografia. E’ solo in questo scarto tra l’io che narra e il suo racconto che possono prendere forza le prospettive epiche e mitopoietiche della narrazione.



Laura Curino nell'autobiografico (un po' troppo autobiografico...) L'età dell'oro.

Il narratore deve dunque avere una identità e un punto di vista. Per questo sono spesso così importanti le origini geografiche e ancora di più le radici linguistiche, dal veneto Paolini al romano Celestini al siculo Enia, che danno un triplice sostegno, identitario, linguistico e sociale.



La gestualità del narratore: Ascanio Celestini.

Perché quello dei narratori è spesso uno sguardo che arriva da un passato forse mitico, fiabesco, e anche dal basso, dai margini della società, dagli strati più poveri e indifesi. Questi spettacoli hanno quasi inevitabilmente risvolti politici, o se si preferisce «civili».
Per tutto questo diffido di molti spettacoli cosiddetti di narrazione. Per esempio, diffido di quelli che raccontano una storia interessante, magari interessantissima, ma che potrebbe raccontarmi chiunque altro – qualunque altro attore. Diffido di quelli dove il narratore si identifica totalmente con l’oggetto della narrazione. Di quelli che si identificano troppo con il luogo o con la situazione in cui trovano le radici, a volte in un soprassalto localista o ideologico. Diffido di quelli dove il narratore è troppo personaggio, dunque troppo attore, e preferisce mettersi una maschera che mettersi in gioco. Di quelli in cui ci sono troppe macchiette, anche se sono così spassose.




Enzo Bearzot e Paolo Rossi nella locandina di Italia Brasile 3 a 2.

Invece continuano a incuriosirmi quelli in cui l’attore-autore cerca e inventa un nuovo equilibrio tra queste diverse tensioni. Perché solo così è possibile trovare e magari inventare nuove sfumature dell’io e del noi.


 


 

Una poltrona pirandelliana
Una conversazione con Cacà Carvalho
di Andrea Lanini

 

Poco più di un anno fa, in occasione della rappresentazione de La poltrona scura tra le mura dello Studio romano di Pirandello di via Bosio, il 6 febbraio 2004, Sandro D’Amico (direttore dell’Istituto di Studi Pirandelliani) disse che “finalmente era avvenuto l’incontro tra la narrativa del grande autore siciliano e il nuovo modo di fare teatro nato dall’avanguardia in poi”. Questo incontro, infatti, non c’era mai stato: a differenza delle maschere nude del teatro pirandelliano, mai i personaggi delle novelle erano stati fatti vivere da attori che sapessero conferire loro una seconda esistenza al di fuori della pagina scritta, della dimensione letteraria creata dal loro autore: fino alla Poltrona scura, l’unico approccio attoriale alle novelle di Luigi Pirandello era stato praticamente quello di una lettura drammatizzata. A dare voce e fisicità alla straordinaria ricchezza umana che anima i personaggi delle tre novelle pirandelliane – un universo in cui elemento comico ed elemento tragico si intrecciano costantemente, fino a diventare l’uno l’essenza più vera dell’altro, come in un gioco di specchi capace di trasformare un opposto in un inquietante “doppio” – è Carlos Augusto Carvalho, attore brasiliano che per il terzo anno consecutivo porta in scena I piedi sull’erba, La carriola e Il soffio, i testi delle tre novelle che Roberto Bacci e Stefano Geraci (rispettivamente regista e consulente drammaturgico) hanno riunito nello spettacolo. Le maschere pirandelliane protagoniste di questi tre racconti “noir” hanno trovato in Cacà (con questo affettuoso diminutivo i brasiliani - ma anche i colleghi della Fondazione Pontedera Teatro - chiamano Carlos Augusto) una veste nuova, un’inedita possibilità espressiva capace di conferire loro sensazioni ed emozioni finalmente percepibili a livello fisico, un corpo di attore sul quale dipingere gli stati d’animo che l’acuto sguardo pirandelliano seppe loro attribuire con la parola scritta. Le tre novelle, attraverso le sfumature della voce di Cacà e grazie alla sua capacità di far comparire davanti agli occhi dello spettatore le presenze fantastiche e impalpabili che si muovono tra le righe del testo, diventano il nucleo di una messa in scena capace di coinvolgere il pubblico in un intimo, privatissimo rito: ad ogni rappresentazione Carvalho evoca i fantasmi delle pagine di Pirandello per poi esorcizzarli alla fine, dando vita ad una funzione purificatoria capace di conferire alla sua performance una valenza artaudiana. Quello di Cacà è un dialogo privato con lo spettatore, una narrazione la cui potenza espressiva partecipa della straordinaria ricchezza che Pirandello seppe regalare ai suoi personaggi e alle loro maschere: spesso inquietanti e contraddittorie, sempre testimoni di una parabola esistenziale in cui vive qualcosa di eterno e universale. A questa ricchezza il pubblico è costretto a partecipare: lo spettatore non può che diventare complice dell’attore, accostando le proprie percezioni a quelle che Carvalho attribuisce ai suoi personaggi. Abbiamo incontrato Cacà per farci raccontare qualcosa di più di uno spettacolo che a lui ha portato tanta fortuna. La poltrona scura ha infatti vinto il premio APCA della critica paulista come migliore spettacolo del 2003, e Carvalho, nello stesso anno, ha vinto il premio Shell come migliore attore: in Brasile lo spettacolo è stato replicato 132 volte ed ha avuto in totale 15.215 spettatori; in Italia, nel 2004, ha avuto 33 repliche, mentre per il 2005 ne sono previste 28), e che rappresenta una tappa importante della sua carriera di attore. L’occasione era quella giusta per conoscere meglio la storia di un artista che nel suo Paese è famoso come una star del cinema, e che l’Italia sta imparando a conoscere grazie ad un nuovo modo di recitare Pirandello.

Torniamo al febbraio del 2004, alla messa in scena della Poltrona scura nella Casa-Museo di via Bosio: era la prima volta che un attore faceva vivere i personaggi delle novelle di Pirandello nel luogo dove egli li ha creati. Che cosa ha significato per te quell’esperienza, e quali sono le tracce che ha lasciato nel tuo lavoro?

Ha lasciato in me un’impronta profonda, che non accenna a scomparire… per fortuna! Quell’esperienza continua ad avere un’influenza diretta, perché lì più che in qualsiasi altro luogo ho trovato una cosa che amo, all’interno di uno spettacolo: la qualità dell’intimità che si crea col pubblico. Dopo quell’esperienza romana sono tornato in Brasile: nel mio paese lo spettacolo ha un sapore molto diverso rispetto a quello che ha in Italia. Ho l’impressione che per gli italiani questo Pirandello sia come il rivedere qualcuno di conosciuto: è come se riconoscessero una persona cara che però, questa volta, si presenta loro indossando un costume diverso. E loro sembrano dire: “Ma guarda come sta bene anche così!”. In Brasile Pirandello è conosciuto, certo, ma ovviamente non come da voi: non fa parte degli autori che i ragazzi studiano a scuola, ad esempio. Allora, in Brasile, il pubblico vive la sensazione di conoscere una persona mai vista prima, quando vede il mio spettacolo; una volta davanti a questo sconosciuto, sembrano dire: “Ma guarda come si veste bene, come parla bene…”. E non puoi che incantarti di fronte alla loro reazione. Sì, sono sicuramente due cose molto diverse…

In che modo questo cambiamento di prospettiva influisce sul tuo modo di rendere i personaggi che interpreti? Anche in Brasile riesci a mantenere quella dimensione di intimità di cui parlavi prima?

In Brasile, per il fatto che sono una persona molto conosciuta e che La poltrona scura ha vinto dei premi importanti, dobbiamo fare spettacoli in luoghi adatti ad accogliere molto pubblico: in Italia il numero di spettatori è molto inferiore (dai 70 ai 100 posti, in genere). In Brasile ho fatto spettacoli anche per 500 persone. Questa differenza di pubblico richiede di fare un’operazione molto delicata: mantenere anche nel mio paese le caratteristiche che in Italia i miei personaggi riescono a trovare, i colori particolari che arrivano loro dal fatto di trovarsi a recitare quasi “in punta di piedi” per un pubblico ristretto, un pubblico che ti consente di appoggiarti su equilibri delicatissimi; ma al contempo “ingrandire” queste caratteristiche, per adattarle ad un tipo di platea diversa, che ha aspettative diverse. E’come dover “aprire” lo spettacolo ad un tipo di esigenza nuova, sapendo però di non dover aprirlo troppo per non perdere la sua vera natura… allora tutti gli equilibri cambiano: e questa è una gestione che mi obbliga ad un tipo di attenzione molto interessante per un attore. Ieri (il 20 gennaio, la prima data a Pontedera del 2005 Ndr) ho fatto lo spettacolo per 30 persone, e per me la cosa ha avuto un effetto altamente positivo: all’improvviso ho potuto ritrovare quell’atmosfera sottile, intima, che non sentivo da tempo. La cosa veramente fondamentale, per me, in qualsiasi posto mi trovi, è mettere in scena cose vive: quando faccio parlare quei personaggi non sto facendo teatro…quella è vita, vita vera. Se non sentissi vive le cose che racconto a chi mi ascolta, non potrei mai fare uno stesso spettacolo così tante volte.

Parlaci del rapporto che ti lega a Luigi Pirandello…

Un attore ha bisogno sempre di un maestro: lo può trovare in tante situazioni diverse, non deve essere per forza un maestro di teatro. Può essere suo padre, o il suo regista, o l’autore dei testi su cui lavora. Il maestro ideale è colui che sa indicarti vie per cercare la tua crescita. Io, finora, ho avuto la fortuna di lavorare con testi di autori che per me sono stati fondamentali. Da quando, assieme a Roberto Bacci, ho messo in scena L’uomo dal fiore in bocca (nel 1994, ndr), ho scoperto veramente Pirandello: scoperto nel senso che mi sono messo come “pelle” il suo sguardo sul mondo. E’ uno sguardo che sa farti riflettere e crescere come persona. Rappresentare questo autore significa per me esprimere frammenti di vita, di intensità: a ogni secondo di spettacolo nasce e muore qualcosa di me. Lui per me è un maestro per che mi aiuta a capire la vita: sono sicuro che quello che ha scritto è frutto non solo di una riflessione profonda sull’essere umano, ma anche di un’esperienza esistenziale che ha le sue radici in una profonda e intima sofferenza. Non si tratta solo di pagine ben scritte e di costruzioni drammaturgiche perfette: questo faceva parte del mestiere, e lui, naturalmente, lo aveva. C’è molto di più: la materia che lui plasma è così piena di riso e lacrime perché è vera: è comica e tragica, tragicamente comica e comicamente tragica, sempre. La sua scrittura è una cortina che quando viene aperta ti fa pensare: “Guarda che cosa è l’uomo, guarda come siamo… come sono”. Le sue parole sono come una fotografia nella quale ognuno può riconoscere se stesso.

Vorrei che tu ricostruissi per noi la tua vicenda artistica, per far conoscere meglio al pubblico italiano come nasce e come si snoda il tuo percorso di attore…

Sono nato in Brasile, a Belém, in Amazônia, 51 anni fa. Ho scoperto la passione per il teatro a 16 anni: a quell’età ho capito che il teatro sarebbe stata la mia strada. Ci si può facilmente immaginare cosa potesse significare fare teatro in Amazônia 35 anni fa. La città di Belém è diventata piccola molto presto. A 19 anni sono partito da lì e dopo 3 giorni di pullman sono arrivato a São Paulo. Ho fatto l’esame per essere ammesso alla scuola di recitazione di São Paulo ma non sono stato preso. C’era anche una scuola a pagamento, e ho deciso di rivolgermi a quella: per pagare la retta e le spese di affitto cucinavo hamburger per un locale. Quella scuola è stato il mio vero inizio. Il primo momento di svolta, per me, è arrivato con uno spettacolo che ha cambiato il corso del teatro brasiliano: Macunaima, l’adattamento teatrale di un classico della letteratura brasiliana, un romanzo di Mário de Andrade. Lo spettacolo fece il giro di tutto il mondo (Cacà era il protagonista di Macunaima, 1978 Ndr): 400 repliche e 4 ore sul palcoscenico. Quel periodo, per il Brasile, è stato molto importante: ci fu l’apertura del paese verso l’esterno, la fine della dittatura. Lasciai lo spettacolo dopo 4 anni. Un altro momento importante per la mia carriera è stato segnato da un altro grande autore brasiliano, João Guimarães Rosa: misi in scena un suo racconto, Meu tio o iavarete. Celina Sodré, che aveva già lavorato a Pontedera con Roberto Bacci, vide lo spettacolo a Rio de Janeiro: è stata lei a far incontrare Roberto e me. Nel 1988 sono arrivato a Pontedera: l’incontro con il Centro per la Ricerca Teatrale di questa città ha segnato il mio passaggio a una logica di lavoro teatrale completamente nuova per me; questa volta non mi trovavo più all’interno di un gruppo che si riuniva per realizzare una cosa, ero parte di una realtà fatta di compagni di percorso. Ora sono passati già 16 anni, e il legame che mi unisce alla Fondazione Pontedera Teatro e alla città che la ospita è molto profondo, e per me vitale. Dall’anno scorso, oltre a lavorare per gli spettacoli che la Fondazione ha prodotto per me, seguo anche i corsi di formazione di Pontedera (nel 2004, grazie agli sforzi congiunti di enti pubblici e privati di Pontedera e São Paulo, la Fondazione Pontedera Teatro ha potuto attivare la “Casa Laboratorio per le Arti del Teatro”, progetto mirato alla creazione di un gruppo stabile di lavoro di professionisti che possa in futuro diventare il protagonista delle produzioni del laboratorio. Roberto Bacci e Cacà Carvalho sono i responsabili artistici del progetto Ndr): è questa la tappa più recente del mio percorso.


La poltrona scura sarà al Teatro Rossini di Gioia del Colle (Ba) il 10 e l’11 febbraio, al CRT di Milano dal 15 al 20 febbraio, al Teatro di Via Manzoni di Pontedera (Pi) dal 22 al 24 febbraio, il 26 febbraio a Dozza (Bo).


 


 

Riflessioni 2005
In occasione della nona edizione di "A teatro nelle case"
di Stefano Pasquini

 

Il 4 marzo 2005 parte la nona edizione di A TEATRO NELLE CASE Rassegna di primavera. Una edizione che abbiamo interamente dedicata al Teatro delle Ariette, a noi stessi. Si chiuderà l’11 giugno e si svolgerà interamente alle Ariette, a casa nostra, il cuore di questo progetto di TEATRO NELLE CASE che in nove anni, oltre ai nostri spettacoli (ne abbiamo prodotti 12 per 150 repliche in sede), ha portato ben 80 spettacoli di altri artisti e compagnie per 130 repliche toccando 50 luoghi non teatrali diversi in un territorio, quello della Valle del Samoggia, sulle prime colline a cavallo tra le province di Modena e di Bologna nei comuni di Bazzano, Castello di Serravalle e Monteveglio che assieme si avvicinano ai 15000 abitanti.
Dietro a questo progetto e a tutto questo lavoro sta, oltre alla normale e sempre benvenuta componente di casualità, un pensiero sulla pratica e la necessità del teatro che si manifesta sia nei modi organizzativi che produttivi e creativi della nostra compagnia.
Scelte di carattere estetico, riflessioni sul ruolo dello spettatore (che in diversi casi abbiamo fatto diventare coorganizzatore), relazioni tra produzione teatrale, culturale e territorio, rapporto tra città e provincia, ricerca di un teatro vivente, sono il pane quotidiano della nostra attività.
Il tentativo di sottrarre dal teatro il “teatrale” con i suoi paludamenti, le sue consuetudini, i suoi conformismi accademici per portare il teatro incontro agli uomini, ai cittadini, restituito in tutta la sua umana necessità è sempre stato il centro del nostro lavoro.
Rendere il teatro invisibile per restituirgli finalmente tutto il suo splendore.
Perché chiunque possa riconoscerlo come cervello e cuore di una comunità.
Così anche il nostro teatro ha cercato di rendersi invisibile per parlare a noi uomini soltanto di quello che siamo, o potremmo, o vorremmo essere.
Ma se un teatro è invisibile non significa che non sia teatro e forse ora, dopo nove anni, è giunto il momento di dire qualcosa, qualche piccola cosa.
Non l’abbiamo mai fatto, non è nella nostra abitudine e facendolo avremmo rischiato di perdere l’invisibilità. Questo rischio ce lo prendiamo ora che il frutto è maturo e, se nessuno lo mangia perché non lo vede, potrebbe marcire.
Al di là della materia che caratterizza il nostro teatro, degli elementi bassi, le verdure, le tagliatelle, del malinteso autobiografismo, della terra che coltiviamo, la nostra azione parla al teatro, si interroga sulla contemporaneità dell’evento teatrale fuori dai cliché delle tendenze.
Il cibo per esempio, nel nostro teatro, è qualcosa che obbliga le azioni e le rende sacre perché involontarie, così come obbliga la drammaturgia. Il sacro è l’involontario, l’involontario è l’essenza dell’umano.
Liberare le azioni da qualsiasi scelta estetica, restituirle al territorio della necessità, essere messaggeri, camerieri, servitori e cuochi, questo cerchiamo di fare. La drammaturgia vegetale è la drammaturgia della linfa che scorre dentro, che attraversa.
C’è una dimensione della nostra ricerca che ora, con TUTTI A CASA? si pone nella sua semplice evidenza.
Tutti i nostri lavori, dal 2000, proposti a casa nostra, la nostra sede, al Deposito Attrezzi, il teatro che ci siamo costruiti, nel luogo dove questi lavori sono stati concepiti e generati mostrano i fili che legano i gesti conseguenti di un pensiero sulla vita e sul teatro articolato nelle modalità produttive materiali ed economiche, nella autonomia della autogestione e nel nocciolo della sua forma estetica-etica.
C’è la consapevolezza del rifiuto degli “elementi teatrali”, c’è una discesa nell’umano piuttosto che nel tecnologico, c’è l’insofferenza per la “forma spettacolo” e c’è pure la scelta di non scrivere note di regia o programmi di sala come manualetti di istruzioni per spettatori affrettati.
Siamo convinti che l’unica verità dell’evento teatrale sta nel suo farsi presente e solo nel suo farsi presente stanno i fili che lo lanciano fuori, lo legano al mondo, rimandano ad altre opere, altre arti, altri teatri, altre vite.
Sarebbe un po’ troppo semplice accondiscendere alla tentazione diffusa di liquidare come “esotico”, “originale” o “curioso” tutto quello che non rientra negli schemi consolidati della consuetudine teatrale.
La ricerca di “originarietà” va ben oltre questi problemi.
L’unica verità dell’evento teatrale è il suo farsi. Tutte le indicazioni e le istruzioni per l’uso esterne al farsi dell’evento teatrale io non le prendo in considerazione, sono solo un gioco a nascondino inutile e dannoso.
Se ho dei chiarimenti da fare, delle cose da dire, delle domande da condividere li metto nell’opera.
Credo nell’evidenza del mistero o, se si preferisce, nel mistero dell’evidenza.
Ma l’esercizio forsennato della funzione critica del consumatore ci ha resi ciechi e sordi di fronte a questo mistero.
La vita non è un giochino con cui trastullarsi in cerca di soluzioni e spiegazioni.
La vita non è un campionario di etichette da appiccicare.
Con questo non voglio, e so che non posso, sottrarmi al ruolo che il mondo decide di vedermi giocare.
Credo che ci sia una certa pigrizia e un certo conformismo nelle posizioni accademiche che guardano il mondo da solide basi. Il mare bisogna guardarlo mentre si naviga, senza punti fissi, senza certezze e troppo spesso quando osserviamo una cosa sappiamo ancor prima di vederla cosa ci aspettiamo da lei.
Il teatro è necessario se vive nel cuore degli uomini.
Il teatro è teatro quando è invisibile, quando non ci sono numeri per giudicare, quando non ci sono generi per catalogare, quando non ci sono parole per spiegare.

Le Ariette 1 febbraio 2005


 


 

Febbraio 2005: l'Odin Teatret per Torino
Le date della tournée
di Odin Teatret

 

Mer 2.2 11.30 Conferenza stampa con Eugenio Barba (DAMS: Auditorium del Laboratorio Multimediale “G. Quazza”)
Gio 3.2 20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Anteprima per inviti
(Limone Fonderie Teatrali, Via Pastrengo 88 – Moncalieri)
Ven 4.2 20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Sab 5.2 10.00 Orme sulla neve (Espace
    12.45 L'eco del silenzio (Espace
    20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Dom 6.2 15.30 IL SOGNO DI ANDERSEN
Lun 7.2 10.00 I sentieri del pensiero
    20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Mar 8.2 15.30 Incontro pubblico con Eugenio Barba a cura di Ruggero Bianchi e Franco Perrelli (Aula Magna del Rettorato, Via Po 17)
Mer 9.2 21.00 Il fratello morto ( Teatrino Civico di Chivasso (Ass. Il Contatto e Faber Teatro, con il patrocinio dell’Ass. alla Cultura del Comune di Chivasso)
Gio 10.2 9.30-12.30

PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE - Attività con anziani nei quartieri, case di vecchi e centri sociali, diretto da Kai Bredholt
(Presso Casa di Riposo “Villa le primule”, via delle Primule 7, Torino)

    9.30-12.30 LO SPLENDORE DELLE ETÀ - Seminario per anziani, studenti, poeti e musicisti diretto da Frans Winther
( Presso Casa di Riposo “Cima Rosa”, via Ghedini, Torino (in collaborazione con la VI Circoscrizione))
    9.30-12.30 LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, studenti, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú
(Casa di Riposo “Le Torri”, Alessandria 12, Settimo Torinese)
    9.30-13.30 Seminari pratici per studenti e attori dei gruppi teatrali torinesi conTage Larsen e Julia Varley (Espace)
    20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Ven 11.2 9.30-12.30 PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE - Attività con anziani nei quartieri, case di vecchi e centri sociali, diretto da Kai Bredholt
(Presso Casa di Riposo “Villa le primule”, via delle Primule 7, Torino)
    9.30-12.30 LO SPLENDORE DELLE ETÀ - Seminario per anziani, studenti, poeti e musicisti diretto da Frans Winther
(Presso Casa di Riposo “Cima Rosa”, via Ghedini, Torino)
    9.30-12.30

LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, studenti, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú
(Casa di Riposo “Le Torri”, Alessandria 12, Settimo Torinese)

    9.30-13.30 Seminari pratici per studenti e attori dei gruppi teatrali torinesi
con Tage Larsen e Julia Varley
    20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Sab 12.2 9.30-12.30

PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE - Attività con anziani nei quartieri, case di vecchi e centri sociali, diretto da Kai Bredholt
(Presso Casa di Riposo “Villa le primule”, via delle Primule 7, Torino)

    9.30-12.30

LO SPLENDORE DELLE ETÀ - Seminario per anziani, studenti, poeti e musicisti diretto da Frans Winther
(Presso Casa di Riposo “Cima Rosa”, via Ghedini, Torino)

    9.30-12.30

LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, studenti, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú
(Casa di Riposo “Le Torri”, via Alessandria 12, Settimo Torinese)

    9.30-13.30 Seminari pratici per studenti e attori dei gruppi teatrali torinesi conTage Larsen e Julia Varley
    20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Dom 13.2 15.30 IL SOGNO DI ANDERSEN
Lun 14.2 9.30-12.30

PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE - attività con anziani di quartiere diretti da Kai Bredholt
(Presso Casa di Riposo “Villa le primule”, via delle Primule 7, Torino)

    9.30-12.30

LO SPLENDORE DELLE ETÀ - Seminario per anziani, poeti e musicisti diretto da Frans Winther
(Presso Casa di Riposo “Cima Rosa”, via Ghedini, Torino)

    9.30-12.30 LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú
(Casa di Riposo “Le Torri”, via Alessandria 12, Settimo Torinese)
    9.30-13.30

Seminari pratici per studenti e attori dei gruppi teatrali torinesi con Roberta Carreri, Jan Ferslev, Tage Larsen e Torgeir Wethal
(Seminari praticI sul lavoro fisico e vocale: Il risveglio della presenza)

    20.45 IL SOGNO DI ANDERSEN
Mar 15.2 9.30-12.30

PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE - attività con anziani di quartiere diretti da Kai Bredholt
(Presso Casa di Riposo “Villa le primule”, via delle Primule 7, Torino)

    9.30-12.30 LO SPLENDORE DELLE ETÀ - Seminario per anziani, poeti e musicisti diretto da Frans Winther
(Presso Casa di Riposo “Cima Rosa”, via Ghedini, Torino)
    9.30-12.00

LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú
(Casa di Riposo “Le Torri”, via Alessandria 12, Settimo Torinese)

    9.30-13.30

Seminari pratici per studenti e attori dei gruppi teatrali torinesi con Roberta Carreri, Jan Ferslev, Tage Larsen e Torgeir Wethal
(Seminari pratici sul lavoro fisico e vocale: Il risveglio della presenza)

    12.00

Presentazione al territorio di LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú, in una casa di riposo
(Casa di Riposo “Le Torri”, via Alessandria 12, Settimo Torinese)

    15.30 Presentazione pubblica di LO SPLENDORE DELLE ETÀ - Seminario per anziani, poeti e musicisti diretto da Frans Winther (Espace)
Mer 16.2 12.00 Presentazione pubblica di PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE parata di ringraziamento presso il Municipio di Torino
    15.30 Presentazione pubblica di LA DANZA DEL TEMPO - Seminario di danza per anziani, attori e danzatori diretto da Augusto Omolú.
Gio 17.2 15.30 Presentazione pubblica di PUPAZZO DI PAGLIA E MINESTRONE - attività con anziani diretti da Kai Bredholt.
    21.00 Il fratello morto all’Espace
Ven 18.2 21.00 ODE AL PROGRESSO
Sab 19.2 21.00 LE GRANDI CITTÀ SOTTO LA LUNA
Dom 20.2 10.30 Dialogo tra due attori (su Casa di bambola) all’Espace
    12.30 Azione testo relazioni (su Otello) all’Espace
    21.00 LE GRANDI CITTÀ SOTTO LA LUNA      
Lun 21.2 10.30 Espace : Riunione di sintesi sui seminari      
    21.00 LE GRANDI CITTÀ SOTTO LA LUNA      
     
 


 


 

Sul nuovo "Hystrio" un dossier sul teatro di narrazione
Nelle migliori librerie dalla fine di gennaio
di Redazione ateatro

 

E’ in uscita il nuovo "Hystrio": il pezzo forte del numero sarà un dossier sul "Teatro di narrazione". Introdotto da un ampio articolo di contestualizzazione storica del fenomeno a firma di Gerardo Guccini, il dossier è composto da una "mappa geografica" sui narratori noti e meno noti in Italia (di Pier Giorgio Nosari, Dimitri Papanikas, Nicola Viesti), da un Decalogo del buon narratore di Oliviero Ponte di Pino e da approfondimenti sugli artisti più significativi a partire dal "nonno nobile" del genere Dario Fo (di Simone Soriani) fino al recupero del "cunto" siciliano di Mimmo Cuticchio e Davide Enia (di Massimo Marino), passando per Marco Paolini (di Oliviero Ponte di Pino), Marco Baliani (di Fabrizio Fiaschini), Laura Curino (di Michela Marelli) e Ascanio Celestini (di Emanuela Garampelli), di cui sono pubblicate anche le cinque Lettere presenti nel volume "Fabbrica" (Donzelli Editore).
In questo numero, inoltre, proseguono l’inchiesta sulle Scuole di teatro, questa volta dedicata alle scuole di musical (di Rita Charbonnier), i ritratti di drammaturghi italiani contemporanei (Annibale Ruccello, di Stefania Maraucci) e di giovani gruppi emergenti (I Sacchi di Sabbia, di Concetta D’Angeli).
Dall’estero: novità sulla scena parigina (di Carlotta Clerici) e, dalla Slovacchia, il Festival di Nitra (di Massimo Marino).
E inoltre: una lunga intervista a Luca De Fusco, presidente dell’Antad (di Massimo Marino); Carlson-Hoghe-Vandekeybus-Waltz: i big del teatrodanza internazionale al Teatro Comunale di Ferrara (di Andrea Nanni); 30 pagine di recensioni, segnalazioni di libri e un ricco notiziario sull’attualità teatrale.

Hystrio è in vendita nelle librerie specializzate, universitarie e Feltrinelli al costo di euro 8.
Abbonamento: euro 26 annuali da versare sul c.c.p. n. 40692204 intestato a Hystrio – Associazione per la diffusione della cultura teatrale, via Volturno 44, 20124 Milano.
Per informazioni tel. 02.40073256, fax 02.45409483, e-mail hystrio@fastwebnet.it, www.hystrio.it
 


 

Scomparso Rino Sudano
Era nato a Catania nel 1940
di Redazione ateatro

 

E' scomparso a Quartu Sant'Elena (Cagliari) Rino Sudano, attore, regista e autore, protagonista della prima stagione dell'avanguardia italiana.
Ha contributo negli anni `60 a rinnovare la scena italiana, lavorando insieme a Carlo Quartucci e Leo De Berardinis. Raffinato interprete dell'opera di Beckett, ha più volte affrontato Finale di partita. Per la tv, è stato tra gli interpreti del Moby Dick con la regia di Quartucci (1972). Ha poi lavorato con diversi stabili, soprattutto quelli di Genova e Torino. Con il suo gruppo Quattro Cantoni ha portato in scena Sette contro Tebe, Il capitale di Carlo Marx e Turandot di Gozzi. Negli ultimi anni ha firmato i suoi lavori con la compagnia cagliaritana Riverrun.


 


 

La conferenza dell’Institutet för Scenkonst a Torino
Giovedì 27 Gennaio 2005 ore 15, via Botero 15
di C.R.U.T. Centro Regionale Universitario per il Teatro

 

C.R.U.T. Centro Regionale Universitario per il Teatro
in collaborazione con O.R.S.A.

presenta

La Logica della Passione
Conferenza dell’Institutet för Scenkonst

Giovedì 27 Gennaio 2005 ore 15
ORSA
- Organizzazione per la Ricerca in Scienze e Arti
Via Botero 15, Palazzo San Martino della Motta
Torino

“La creazione è l’espressione suprema dell’essere umano. La ricerca sull’arte dell’attore, cioè nel campo dell’espressione artistica dove l’artista e la sua opera sono inseparabili, va oltre lo studio dei segreti del mestiere. Essa abbraccia la problematica della condizione umana, la conoscenza e la meditazione dell’essere uomo. Una ricerca di una possibile comunità al di là delle frontiere della propria ignoranza e della propria mediocrità. Una ricerca che segue una sola logica: la Logica della Passione”

Quando nel 1991 Magdalena Pietruska scriveva queste parole, l’Institutet för Scenkonst si era da poco trasferito in Italia presso il Teatro della Rosa di Pontremoli, dopo un periodo nomade che lo aveva portato a lavorare in tutta Europa. Nato in Svezia nel 1971 ad opera del direttore artistico Ingemar Lindh, l’Institutet för Scenkonst appartiene al panorama del teatro di ricerca che a partire dagli anni sessanta ebbe il merito di rinnovare un teatro ormai sclerotizzato nella forme della tradizione. Di questa ricerca e sperimentazione verso nuovi moduli linguistici e pedagogici, l’Institutet för Scenkonst rappresenta una delle vette più alte, sicuramente quella che meno di altre si è prestata a strumentalizzazioni o a facili operazioni commerciali.
Dopo la giovanile formazione presso L’Ecole de Mime di Etienne Decroux, le collaborazioni con il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski a Wroclaw e con l’Odin Teatret a Holstebro, le ricerche di Lindh si concentrarono sui principi dell’improvvisazione collettiva e sullo spettacolo inteso come processo in cui l’attore autonomo, disinteressato, in grado di autogestirsi, è il maggiore responsabile dell’avvenimento teatrale. Per allenare il suo strumento, ovvero il corpo e la voce, l’attore dell’Institutet för Scenkonst si sottopone a un duro allenamento quotidiano basato su tecniche codificate quali mimo, Kung-Fu, Tai-Chi, calligrafia, esercizi di educazione musicale, ma anche su esercizi fisici, acrobatici, plastici, biomeccanici. Ciò gli permette di concentrasi sulla precisione dell’atto mentale che accompagna l’azione fisica, applicando i principi dell’isometria, dell’alternanza, dell’intenzione individuati nel corso della ricerca. Grazie a questa perfezione tecnica l’attore riesce raggiungere una presenza fisica vibrante che fa dello spettacolo un atto vitale, un momento d’incontro autentico con lo spettatore.
Nella conferenza che avrà luogo presso la sede dell’ORSA, Magdalena Pietruska e Roger Rolin, gli attuali direttori dell’Institutet för Scenkonst, ci daranno, oltre ad un resoconto del proprio metodo e del proprio percorso, una dimostrazione pratica di questi principi, rendendoci partecipi di quella “Logica della Passione” che da sempre anima l’attività di un gruppo considerato un punto di riferimento fondamentale per il teatro contemporaneo e per la pedagogia teatrale.




ESSERE DEL FARE
stage teatrale tenuto da Magdalena Pietruska e Roger Rolin
dell’Institutet för Scenkonst

L’Institutet för Scenkonst, la prima esperienza di Teatro Laboratorio in Svezia, è stato
fondato nel 1971 da Ingemar Lindh (1945 –1997).
Nel 1984 la compagnia dell’Institutet för Scenkonst si stabilisce in Italia presso il Teatro
della Rosa, a Pontremoli, che rimane la sua sede fino al 1997 e dove crea il Centro
Internazionale per l’Autopedagogia e la Ricerca Teatrale
La direzione principale del lavoro dell’ Institutet för Scenkonst consiste nella ricerca
sull’arte dell’attore, il lavoro pedagogico e la produzione di spettacoli. Il lavoro teatrale
ruota attorno a tre punti chiave che sono: l’improvvisazione collettiva, l’arte dell’attore e la
scelta artistica di una forma di teatro che impone ed esige un processo continuo in cui lo
spettacolo non è soltanto il punto di arrivo, ma è esso stesso a generare e stimolare la
continuazione del processo creativo.
Lo scopo centrale dell’insegnamento riguarda la trasmissione dei principi che guidano
l’attore verso una maggiore autonomia. Il lavoro pedagogico è considerato un elemento
vitale: il veicolo tramite il quale mettere a fuoco la differenza fra il cercare artistico e la
ricerca, e tra l’atto creativo e la sua espressione artistica.
Il laboratorio tratterà l’aspetto fisico e mentale del training per l’attore:
_ allenamento fisico e vocale elaborato dall’Institutet för Scenkonst
_ tecnica del mimo corporeo secondo Etienne Decroux e l’uso di essa nel lavoro
dell’attore secondo l’Institutet för Scenkonst
_ introduzione al lavoro personale dell’attore
_ introduzione al lavoro d’improvvisazione

CALENDARIO DEL LABORATORIO
Lunedì 24 gennaio 2005 ore 11.00-13.00 / 14.00-18.00
Martedì 25 gennaio 2005 ore 11.00-13.00 / 14.00-18.00
Mercoledì 26 gennaio 2005 ore 11.00-13.00 / 14.00-18.00

Il laboratorio è gratuito e aperto a quindici studenti

L’iscrizione, obbligatoria, potrà essere effettuata a partire dal 14 gennaio presso il
CRUT (II° piano – Palazzo Nuovo) dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle 12.30: tel.
011.8173421 – annacanzo@libero.it


ORSA - Organizzazione per la Ricerca in Scienze e Arti
Sede: Via Botero 15, Palazzo San Martino della Motta
10122 Torino Italia
Tel. +39 011.5174409


 


 

dramma.it: le novità di febbraio
La drammaturgia contemporanea online
di www.dramma.it

 

Ecco le novità di febbraio su dramma.it.

Una nuova iniziativa formativa di dramma.it: Il laboratorio per attori su drammaturgie contemporanee. La prima edizione, condotta da Fortunato Cerlino, è dedicata a "Terramadre" il testo di Marcello Isidori pubblicato in volume da Editoria&Spettacolo che ha vinto il secondo premio Fondi La Pastora 2002 ed è stato prodotto dal Teatro stabile della Calabria e dal Comune di Reggio Calabria per la Compagnia dei giovani del Teatro stabile con la regia di Francesco Marino.
Il dramma del mese è "L'attesa" di Pietro Dattola, premio Oddone Cappellino 2004.
Il libro del mese è: "Wordstar(s)" di Vitaliano Trevisan.
La nostra inchiesta sulla Drammaturgia contemporanea in Europa approda in Scozia, grazie all'articolo di Renato Gabrielli.
Pubblicato il nuovo saggio di Tiziano Fratus "Voci e variazioni nella drammaturgia di Jon Fosse".
Debutta la prima "Agendina" su dramma.it. Si tratta dello spazio dedicato alla Compagnia "La casa dei racconti". E non poteva esserci momento migliore per questa nuova agenda. E' di questo mese infatti il debutto del nuovo spettacolo "Scoppio di amore e guerra" scritto e diretto da Duccio Camerini ed è imminente l'uscita del libro "Memorie immaginarie" da Editoria&Spettacolo che raccoglie i due ultimi testi del drammaturgo romano. Sull'agendina tutte le date della tournee e le informazioni sul libro.
Nell'agenda del Teatro delle Moline/TNE le date dei prossimi spettacoli. Il debutto di "Windy racconta" e la ripresa de "L'attentato" già dramma del mese lo scorso anno sul nostro sito.
Nell'agenda di Macrò Maudit le prossime date della produzione Mobbing!. A Genova il 28 e 29 gennaio e il 31 gennaio 2005 alla Camera del Lavoro di Milano. Un riconoscimento per questo spettacolo, proposto gratuitamente agli uffici e alla città.
Nella sezione "Finestre" l'ultimo numero delle newsletter di Ateatro e la newsletter di gennaio del Teatro di nessuno.
Tra gli ultimi arrivi della libreria virtuale, nuovi interessanti testi.
Scaricabili i bandi dei premi drammaturgici di prossima scadenza.
Visita l'archivio completo degli articoli e recensioni pubblicati (oltre 280). Grazie ad un motore di ricerca potrai trovare facilmente ciò che ti interessa.
Gli articoli: "Colloquio con Alfredo Balducci" di John More, "Per non dimenticare Claudio" un sincero tributo a Claudio Tomati, scomparso prematuramente il dicembre scorso, da Sonia Antinori, "Il mito e la donna" con tre nuove parti di Daniela Pandolfi.
Le recensioni (a cura di Maria Dolores Pesce, Daniela Pandolfi, Tiziano Fratus, Vincenzo Morvillo, Maurizio Giordano, Silvia Moretti) tra cui vi segnaliamo: "Marat-Sade" di Peter Weiss, "Reduci" di Marco Giorcelli e Aldo Ottobrino, "Shakespea re di Napoli" di Ruggero Cappuccio, "L'istruttoria" di Claudio Fava e Ninni Bruschetta, "La Ballata per San Berillo" di Salvatore Zinna, "Gioco da ragazzi" di Steve Cable.
E poi non dimenticare i comunicati stampa, l'archivio dei siti teatrali, quello dei traduttori teatrali, scrivi una scena del copione interattivo, le scuole di scrittura teatrale, la Bacheca spettacoli, i cartelloni teatrali.


 


 

Le arti multimediali digitali all'Accademia di Brera


 

La presentazione del libro di Balzola-Monteverdi a Milano il 3 febbraio (e a Carrara il 1° febbraio)
di Redazione ateatro

 

Il volume di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi Le arti multimediali digitali, pubblicato da Garzanti verrà presentato martedì 1° febbraio 2005, alle ore 11.30, all’Accademia di Belle Arti di Carrara, Aula Magna.
Intervengono Tommaso Tozzi, Gilberto Pellizzola, Mauro Lupone. Saranno presenti gli autori.

Il volume verrà presentato anche giovedì 3 febbraio 2005, ore 17.30 all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, alla Sala Teatro di via Brera 28.
Intervengono Antonio Caronia, Fernando De Filippi, Maria Grazia Mattei, Emanuele Quinz, conduce Oliviero Ponte di Pino. Saranno presenti gli autori.

Leggi la recensione di Erica Magris a Le arti multimediali digitali e il sommario del libro.


 


 

Selezione di un progetto di spettacolo per il Festival di Castel dei Mondi
Il bando sul tema "Città ideale, città globale"
di Festival Internazionale Castel dei Mondi

 

FESTIVAL INTERNAZIONALE CASTEL DEI MONDI
Andria-Castel del Monte 10-17 luglio 2005

AVVISO PER LA SELEZIONE DI UN PROGETTO ORIGINALE DI SPETTACOLO

La direzione artistica di Castel dei Mondi intende sostenere la produzione di
UNO SPETTACOLO TEATRALE, DI DANZA O MULTIDISCIPLINARE
realizzata da una giovane compagnia meridionale
DEDICATO AL TEMA “CITTA IDEALE, CITTA GLOBALE”



L’edizione 2005 del Festival Internazionale Castel dei Mondi, della durata di otto giorni, si svolgerà fra Andria e Castel del Monte tra il 10 e il 17 luglio e porterà a compimento il progetto triennale Geografie Immaginarie, che nelle due passate edizioni ha caratterizzato la manifestazione in direzione internazionale e multidisciplinare e con significativi momenti produttivi.
Il Festival, ha come direttori artistici Mimma Gallina e Pamela Villoresi, è promosso dal Comune di Andria e si svolge fra Castel del Monte (anche in collabrazione con la sovrintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Puglia) e il centro sotrico di Andria.

I percorsi tracciati all’interno di Geografie Immaginarie hanno finora attraversato tutti i continenti, portando ad Andria le sonorità, le danze e le storie d’Europa e d’Africa (Europa e Vecchi Mondi: nel 2003), passando per l’Oceania e l’Asia, fino alle Americhe (Vie di fuga e mondi nuovi: 2004). L’edizione 2005, chiude il percorso che si intendeva tracciare proponendo un tema ancora più attuale e impegnativo: città ideale, città globale, è dedicata quindi alla dimensione globale che caratterizza la società contemporanea, al presente e al futuro del mondo, come è, e come vorremmo che fosse. Lo stesso Castel del Monte, con la ricerca della perfezione e l’aspirazione all’utopia che rappresenta, sollecita una riflessione sulle responsabilità dell’arte nel tempo presente (collettive e individuali).

Le problematiche della globalizzazione (economiche, sociali, ambientali), le speranze e le contraddizioni dell’utopia, il mito visionario di origine rinascimentale e la ricerca attuale della città ideale, caratterizzeranno il progetto artistico, che includerà originali momenti produttivi, significative occasioni di riflessione, ospitalità internazionali e nazionali nel campo teatrale, musicale, della danza e del video.

Coerentemente con l’attenzione che il Comune di Andria intende dedicare alla produzione artistica giovane meridionale, la direzione artistica intende selezionare un progetto di spettacolo originale e inedito legato al tema e sostenerne la produzione nell’ambito del festival, con l’assegnazione di un contributo a parziale copertura dei costi ed eventuali altre forme di sostegno. Le modalità per la presentazione dei progetti e i criteri di selezione sono contenuti nel regolamento allegato.


REGOLAMENTO
PER LA SELEZIONE DI UN PROGETTO DI SPETTACOLO


Destintari

L’avviso si rivolge
ad artisti (anche riuniti per l’occasione*) e a formazioni artistiche professionali •
• con sede in Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia, •
• con un età media dei componenti non superiore ai 35 anni, ** •
• a formazioni con sede diversa ma i cui componenti, impegnati nel progetto, siano in maggioranza provenienti da queste regioni. •

I progetti potranno anche essere presentati da più formazioni artistiche associate (coproduzioni).
Sono ammesse anche forme di colllaborazione alla produzione con altri enti o festival, purchè la prima assoluta, nel caso il progetto venga selzionato, sia effettuata nell’ambito del festval Castel dei Mondi.

*) purchè in grado di individuare una forma di rappresenza giuridicamente valida in caso di selezione

**) l’eventuale partecipazione di elementi anziani, non componenti abituali della compagnia, e legata a esigenze artistiche fortemente motivate, non comporta l’esclusione dalla selezione



Il carattere professionale
dei gruppi o dei singoli artisti dovrà risultare da curriculum.
Si considerano sufficienti e necessari per certificare la professionalità
• In caso di singoli artisti: •
la partecipazione non occasionale a precedenti spettacoli di compagnie professionali e/o la frequentazione di scuole teatrali o di danza qualificate
• in caso di gruppi: •
attività precedente qualificata e documentata di carattere professionale
• in caso di opera prima o di recente costituizone del gruppo: •
un CV dei singoli componenti che ne certifiche la professionalità (c.s.)

Presentazione dei progetti

Tema
I progetti dovranno riguardare opere, originali e inedite (mai rappresentate altrove, se non eventualmente in forma parziale e dichiaratamente di studio), e collegarsi al titolo del festival:
“citta ideale, città globale” (nel quadro del progetto triennale “Geografie Immaginarie”).
Tale titolo, che è paticolarmente ampio e si collega in termini generali a problematiche quali la la globalizzazione, l’utopia, il mito della città ideale, può essere affrontato secondo angolature e con approcci molto diversi, che potranno essere presi in considerazione senza alcuna limitazione purchè risulti evidente il collegamento.
Si considerano inediti anche testi teatrali gà rappresentati, purchè proposti in una nuova edizione (compagnia, regia, interpreti).

“Generi”
Alla selezione saranno ammesse opere di prosa, danza, teatro con musica, di carattere multidisciplinare (che combinino cioè quste o altre discipline), senza escludere l’integrazione e l’uso creativo di nuove tecnologie.
Non verranno presi in considerazione progetti esclusivamente musicali o forme di spettacolo riprodotto che non implichino la presenza di interpreti da vivo (ad es. video, instalazioni etc.).

Per partecipare al Concorso sono necessari:

a) la scheda d'iscrizione compilata in ogni sua parte

b) una breve biografia essenziale degli artisti di riferimento (autore, regista, coreografo etc.) e del gruppo, e/o dei singoli componenti eventualmente corredata da materiali di documentazione, anche in video, degli spettacli già realizzati

c) materiale illustrativo del progetto comprensivo di:
• una cartella riassuntiva del progetto •
• in caso di opera basata su testo teatrale inedito: il testo completo, o una scaletta e una breve scena dello stesso •
• in caso di opera di danza, o particolarmete caratterizzata da elementi visivi, materiali che illustrino le caratteristiche visive del progetto •
• nel caso il progetto abbia già visto una fase di studio: documentazione la più ampia possibile del lavoro svolto •


L'invio dei materiali di cui sopra, a carico e a cura dei partecipanti, dovrà avvenire entro il 4 marzo 2005. Per le opere che perverranno oltre tale data, farà fede il timbro postale
L’ammissione alla selezione sarà decisa a insindacabile giudizio degli organizzatori.

I progetti inviati non verranno restituiti perché andranno a far parte dell’Archivio del Festival.

I materiali richiesti dovranno essere inviati al seguente indirizzo postale:

Festival Internazionale Castel Dei Mondi
Segreteria della Direzione Artistica –
c/o Ex-Voto, Viale Brianza 30 –20127 Milano

E limitatamente alla scheda di iscrizione e alla cartella riassuntiva del progetto anche al seguente indirizzo e-mail:

bandocasteldeimondi@ex-voto.org










Istruttoria

La direzione artistica del festival, composta da Mimma Gallina e Pamela Villoresi, con la segreteria di Govanna Crisafulli, selezionerà in via preliminare i progetti pervenuti.

Entro il 15 marzo 2005 i produttori delle opere selezionate verranno contattati e potrà essere loro richiesta la predisposizione di ulteriore materiale informativo e fissato un colloquio di approfondimento.
La selezione di un unico spettacolo sarà operata dalla Direzione Artistica che si riserva di avvalersi di un gruppo consultivo. Tale scelta verrà effettuata entro il 15 aprile 2005.


Altri progetti di particolare interesse potrannno essere segnalati e promossi con modalità da definrie.

Lo spettacolo dovrà debuttare durante l’edizione 2005 del Festival Internazionale Castel dei Mondi in prima assoluta e effettuare due rappresentazioni nello spazio concordato.

Il festival Castel dei Mondi si riserva di indicare entro il 15 marzo 2005 l’entità del contributo e le eventuali altre forme di sostegno destinate alla realizzazione dello spettacolo dal festival stesso e da altri eventuali organizzazioni o enti.

Tale contributo sarà da intendersi comprensivo di qualunque ulteriore costo artistico, tecnico e di ospitalità, fatta eccezione per l’approntamento del luogo di spettacolo.

Tutti i costi sostenuti per la partecipazione al concorso sono a carico dei partecipanti.


VIncoli

Il progetto premiato dovrà riportare in ogni materiale di presentazione la dicitura:
In coproduzione con Festival Castel Dei Mondi 2005.

Non è preclusa la partecipazione di altri coproduttori indicati dalla compagnia.


La partecipazione al concorso implica l’accettazione del Regolamento.














SCHEDA DI PARTECIPAZIONE
(da compilare in tutte le sue parti )

Compagnia:
Indirizzo:
anno di costituzione
presidente/ legale rappresentante
direttore artistico
direttore organizzativo
Tel:___________________________ Fax:______________________
Sito Internet:______________________________________________
e.mail:___________________________________________________

nel caso la compagnia non abbia sede nelle regioni previste, elenco con città di nascita dei partecipanti:

si dichiara che l’età media dei componenti della compagnia partecipanti al progetto è di......... anni

Si prevedono altre forme di coproduzione o collaborazioni alla prpduzione:

Se il progetto è già stato realizzato o si intende realizzarlo in forma di studio, indicare data, sede, modalità etc.

Titolo del progetto:

Sintesi del progetto in 3 righe

Presumibule durata dello spettacolo (minima/massima)

Inidacazioni di massima del tipo di spazio scenco necessario

Autore:

Regia:

Alri collaboraori:

Genere (in caso di opere multidisciplinare è possibile contrassegnare più sezioni)

o Teatro

o Danza

o Musica

o Video

Il sottoscritto dichiara di aver preso visione del regolamento del festival e di
accettarlo integralmente.

Firma del legale rappresentante____________________________________

data ________________________________

I dati personali verranno trattati secondo quanto previsto dalla legge 31/12/1996 n°675 e successive modificazioni ed integrazioni


 


 

Danio Manfredini a Parma
Venerdì 4 e sabato 5 febbraio
di Il principe costante Edizioni

 

Doppio appuntamento con Danio Manfredini al Teatro Europa di Parma. Il 4 febbraio, alle ore 21, l’artista parteciperà alla presentazione del libro Piuma di piombo. Il teatro di Danio Manfredini (Il principe costante Edizioni) insieme a Lucia Manghi, autrice del volume e sua collaboratrice, e a Oliviero Ponte di Pino, critico teatrale.
Il 5 febbraio alle 21.15 andrà invece in scena Frammenti, spettacolo in cui Manfredini – fresco vincitore del premio Ubu per la miglior regia – rivisita alcuni pezzi del proprio repertorio tratti da Tre studi per una crocifissione e Al presente. Per informazioni, Europa Teatri, tel. 0521-2433778.


Danio Manfredini in questo sito

59.70 Il monaco guerriero del teatro italiano
Sul teatro di Danio Manfredini
di Oliviero Ponte di Pino

55.51 Le recensioni di "ateatro": Cinema Cielo
Ideazione e regia di Danio Manfredini
di Oliviero Ponte di Pino

54.36 Danio Manfredini
Una scheda
di Oliviero Ponte di Pino

54.35 L’arte dura e delicata dell’attore
Cinema Cielo di Danio Manfredini
di Oliviero Ponte di Pino

Una conversazione con Danio Manfredini (1995)
a cura di Oliviero Ponte di Pino


 


 

Il bando del Premio Riccione per il Teatro 2005
Il regolamento della 48a edizione
di Redazione ateatro

 

Trovate qui sotto il bando della 48a edizione del PREMIO RICCIONE PER IL TEATRO, concorso riservato alla nuova drammaturgia italiana contemporanea. Il Premio viene attribuito ogni due anni a un’opera originale in lingua italiana di autore vivente, mai rappresentata come spettacolo in luogo pubblico; è aperto a tutte le forme di drammaturgia teatrale e non esclusivamente al teatro di parola.
La Giuria, presieduta da Franco Quadri sarà composta da: Roberto Andò, Sergio Colomba, Luca Doninelli, Edoardo Erba, Mario Fortunato, Maria Grazia Gregori, Renata Molinari, Ottavia Piccolo, Giorgio Pressburger, Ludovica Ripa di Meana, Luca Ronconi, Renzo Tian.
Il Concorso è aperto per l'edizione 2005 ai testi spediti (o consegnati direttamente) entro il 30 Aprile 2005. Fa fede il timbro postale.
La partecipazione al concorso prevede una quota di iscrizione per spese di segreteria pari a € 25,00 da versare sul c/c postale n°60670460 intestato a Associazione Riccione Teatro, indicando nella causale il titolo dell'opera.
All'autore del testo vincitore del Premio Riccione per il Teatro sarà assegnato un premio indivisibile di 7.500 euro.
Verranno assegnati inoltre: Il Premio Pier Vittorio Tondelli di 2.500 euro, al testo di un giovane autore nato dopo il 31 dicembre 1974; il Premio Speciale della Giuria intitolato a Paolo Bignami e a Gianni Quondamatteo; il Premio Marisa Fabbri, istituito per ricordare una grande attrice e un'amica, destinato a indicare un'opera particolarmente impegnata nella ricerca di un linguaggio aperto e poetico; il Premio CGIL di 4000 euro all'autore del testo teatrale che si segnali nel trattare argomenti di carattere civile, sociale o di tematiche inerenti il mondo del lavoro e le lotte sindacali.
Il Premio di produzione di 30.000 euro per concorso alle spese di allestimento sarà assegnato al progetto indicato dall'autore del testo vincitore della 48a edizione. Si realizza in tal modo il passaggio dalla pagina alla scena cruciale per la promozione effettiva dei nuovi autori teatrali.
La cerimonia di premiazione avrà luogo a Riccione sabato 24 settembre 2005 alle ore 21.00 presso il Teatro del Mare.

PREMIO RICCIONE PER IL TEATRO
48° edizione anno 2005

Regolamento

art.1) Il Premio Riccione per il Teatro viene attribuito ogni due anni a un’opera originale in lingua italiana di autore vivente, mai rappresentata come spettacolo in luogo pubblico, come contributo allo sviluppo della drammaturgia contemporanea.

art.2) Il Premio è aperto a tutte le forme di drammaturgia teatrale e non esclusivamente al teatro di parola. Sono liberi il numero dei personaggi e le durate dei testi. Non sono ammesse opere tradotte da altre lingue, né adattamenti e trasposizioni da testi narrativi o drammaturgici, salvo il caso che la Giuria ne riconosca l’assoluta autonomia creativa.

art.3) La partecipazione al concorso prevede una quota di iscrizione per spese di segreteria pari a € 25,00 da versare sul c/c postale n° 60670460 intestato a Associazione Riccione Teatro, indicando nella causale il titolo dell’opera.

art.4) Il concorso è aperto per l’edizione 2005 ai testi spediti (o consegnati direttamente) alla segreteria entro il 30 aprile 2005. Fa fede il timbro postale.

art.5) La Giuria per il 2005 è così composta: Franco Quadri (presidente), Roberto Andò, Sergio Colomba, Luca Doninelli, Edoardo Erba, Mario Fortunato, Maria Grazia Gregori, Renata Molinari, Ottavia Piccolo, Giorgio Pressburger, Ludovica Ripa di Meana, Luca Ronconi, Renzo Tian; Segretaria Francesca Airaudo. La Giuria si avvarrà della collaborazione di una Commissione di selezione preliminare - proposta, coordinata e presieduta dal Presidente della stessa Giuria.

art.6) Al testo prescelto dalla Giuria sarà assegnato un premio indivisibile di 7.500 euro; sono dunque esclusi gli ex-aequo.

art.7) La Giuria inoltre attribuirà :
il Premio Pier Vittorio Tondelli, di 2.500 euro, al testo di un giovane autore nato dopo il 31 dicembre 1974;
il Premio speciale della Giuria intitolato a Paolo Bignami e a Gianni Quondamatteo;
il Premio Marisa Fabbri, istituito per ricordare una grande attrice e un’amica, destinato a indicare un’opera particolarmente impegnata nella ricerca di un linguaggio aperto e poetico.

art.8) Per celebrare i cent’anni dalla nascita della C.G.I.L.- Confederazione Generale Italiana del Lavoro - la Giuria attribuirà un premio di 4.000 euro, messi a disposizione dalla C.G.I.L., all’autore del testo teatrale che si segnali nel trattare argomenti di carattere civile, sociale o di tematiche inerenti il mondo del lavoro e le lotte sindacali.

art.9) Eventuali segnalazioni possono venire conferite ad altri lavori presentati, con apposite motivazioni.

art.10) Non verrà accettato più di un testo da parte di ciascun concorrente.

art.11) Non possono partecipare al concorso autori che abbiano già conseguito il primo premio in precedenti edizioni. Sono inoltre escluse dalla selezione le opere già inviate a precedenti edizioni del Premio o che abbiano conseguito il primo premio in altri concorsi.
Non sono ammessi testi anonimi ovvero sotto pseudonimo.
Gli autori dovranno dichiarare che il testo non sia stato inviato a precedenti edizioni del premio e che non abbia conseguito premi in altri concorsi.

art.12) Il premio di produzione di 30.000 euro per concorso alle spese di allestimento sarà assegnato al progetto indicato dall’autore vincitore. Il progetto di messinscena dovrà ottenere l’approvazione di una Commissione formata dal Presidente di Riccione Teatro, il Direttore di Riccione Teatro, il Presidente della Giuria e un altro giurato indicato dal Presidente della Giuria (in caso di parità prevale il voto del Presidente di Riccione Teatro), tenendo conto dei requisiti artistici della proposta, della sua realizzabilità, delle possibilità di diffusione, al fine di ottenere la più efficace promozione della nuova drammaturgia.
Il progetto di produzione dovrà essere presentato a Riccione Teatro improrogabilmente entro il 30 marzo 2006, pena la decadenza del premio di produzione.
Il premio di produzione di 30.000 euro verrà conferito all’atto della prima rappresentazione pubblica. Il produttore del testo premiato si impegna a citare il Premio Riccione per il Teatro nei comunicati e in tutto il materiale di pubblicità e informazione sia a stampa che su altri media, nulla escluso. Si impegna inoltre a comunicare prima del debutto ogni eventuale e successiva modifica del progetto inviando tempestivamente e comunque prima del debutto a Riccione Teatro copia di tutto il materiale a stampa e su altri supporti o formati (siti web ecc.) recante la menzione ‘testo vincitore della 48^ edizione del Premio Riccione per il Teatro’ oltre al logo di Riccione Teatro.
In accordo con gli autori premiati e segnalati e nel rispetto della legislazione vigente sul diritto d’autore, Riccione Teatro provvederà alla massima diffusione dei testi vincitori o segnalati.

art.13) I copioni (in dieci esemplari dattiloscritti, numerati nelle pagine), la scheda di partecipazione, compilata in maniera leggibile in ogni sua parte in carattere stampatello maiuscolo e la prova dell’avvenuto versamento della quota di partecipazione, dovranno essere indirizzati alla segreteria del Premio Riccione per il Teatro, presso il Municipio di Riccione, V.le Vittorio Emanuele II, 2 - 47838 Riccione RN, tel. 0541 694425. I copioni inviati non verranno restituiti. La segreteria declina ogni responsabilità per disguidi o smarrimenti.
Gli autori autorizzano Riccione Teatro a conservare presso i propri archivi copia del testo inviato, per finalità di consultazione, per motivi di studio senza scopo di lucro.

art.14)
La Giuria attribuirà inoltre - fuori concorso - il “Premio Speciale Aldo Trionfo” a quei teatranti - artisti della scena o della pagina, singoli o gruppi, studiosi o tecnici - che si siano distinti nel conciliare gli opposti, coniugando la tradizione con la ricerca. La scelta sarà fatta dalla Giuria, integrata per l’occasione da Fabio Bruschi, Direttore di Riccione Teatro, da Giorgio Panni, Tonino Conte e Emanuele Luzzati per il Teatro della Tosse di Genova.

art.15) La cerimonia di premiazione avrà luogo a Riccione sabato 24 settembre 2005, alle ore 21,00 presso il Teatro del Mare.
I partecipanti con la sottoscrizione della scheda di partecipazione* debitamente compilata e firmata, dichiarano di accettare integralmente le sopradescritte condizioni del bando e autorizzano l’utilizzo dei dati personali ai sensi del Codice della Privacy (D. LGS. N. 196/2003).
In aggiunta ai dieci copioni si invitano i concorrenti ad inviare il testo in CD ROM formato rtf.

* la scheda di partecipazione è allegata al bando. Potrà inoltre essere scaricata dal sito www.riccioneteatro.it oppure richiesta alla segreteria del premio.


Premio Riccione 48^ edizione

scheda di partecipazione

nome___________________________________________________________

cognome________________________________________________________

luogo e data di nascita_____________________________________________

indirizzo_________________________________________________________

città _______________________________ cap. ___________ prov. ____

recapiti telefonici _________________________________________________

e-mail______________________________________________________

titolo del testo____________________________________________________

numero pagine _______

· allego ricevuta di versamento postale ·

· allego CD ROM con testo formato rtf SI  NO  ·

Esclusivamente per fini di catalogazione dei testi richiediamo una brevissima sinossi di massimo dieci righe.

Io sottoscritto dichiaro di accettare il regolamento del bando di concorso e autorizzo l’utilizzo dei miei dati personali ai sensi del Codice della Privacy (D.LGS N. 196/2003).

data _____________ firma _________________________


 



Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
copyright Oliviero Ponte di Pino 2001, 2002