(84) 12/05/05

ateatro la sa lunga, Perfida la sa più lunga, ma…
L'editoriale di ateatro 84
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and1
 
Perfida cerca di capire che succederà a Santarcangelo
Qualche dritta per il totodirettore
di Perfida de Perfidis

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and3
 
Un Pinocchio di strada
Operazione Pinocchio nero di AMREF-Baliani
Dalla scuola-casa teatro di Nairobi allo spettacolo e ai libri
di Andrea Balzola

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and4
 
Il mago della grafica teatrale in mostra a Milano
La personale di Paul Davis
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and6
 
Il nostro 25 aprile
Testi realizzati su richiesta di Radio Popolare in occasione del sessantennale della Resistenza
di Francesco Ghiaccio, Elena Cattaneo, Valeria Banchero, Giulia D’Amico, Marco Di Stefano, Giorgia Toso

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and10
 
L'urlo di Bobò contro la maschera del potere
Una intervista con Pippo Delbono
di Andrea Lanini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and28
 
I Giardini Pensili e Roberto Paci Dalò festeggiano vent'anni di attività (tecno)artistica
Un testo e un film a Rimini
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and33
 
Libri & altro: i segreti del bravo ufficio stampa, così efficace e così poco molesto
Roberto Canziani, Comunicare spettacolo, Franco Angeli
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and47
 
Anticipazioni: "Senza il pubblico non siamo niente". E con i media?
Comunicare spettacolo di Roberto Canziani, FrancoAngeli, Milano, 2005, pp. 9-11
di Roberto Canziani

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and48
 
Il nuovo cda dell’ETI
Ovvero Le bombe di ateatro
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and80
 
Inequilibrio Armunia Festival: avant-programme
Dal 6 al 31 luglio
di Ufficio Stampa Armunia

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and81
 
L'Odin Teatret invade Bergamo
Il festival Il Centro e la circonferenza dedicato a Renzo Vescovi
di Ufficio Stampa TTB

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and82
 
Rocco Buttiglione ministro dei Beni Culturali
Dopo essersi fatto bocciare a Bruxelles, si è fatto promuovere a Roma
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and84
 
VII edizione del Premio Hystrio alla Vocazione
concorso nazionale per giovani attori
di Hystrio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and85
 
La terza edizione di Città in condominio
Il programma
di Città in condominio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and86
 
Una personale: Claudio Meldolesi presenta Laminarie
A Bologna dal 2 al 6 giugno
di Ufficio Stampa Laminarie

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and87
 
Carlo Cecchi e Rodrigo Garcia alla nuova Ecole des Maîtres
Progetto Thierry Salmon: il bando dell'Edizione 2005
di Ufficio Stampa ETI

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and88
 
Jan Fabre a Udine: una personale dedicata all'artista belga
Spettacoli, incontri & altro dal 7 al 18 maggio
di Ufficio Stampa CSS Udine

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and91
 
Il programma di AstiTeatro 27
Attenzione alla nuova drammaturgia
di Ufficio Stampa Asti Teatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and92
 
Subway Letteratura 2005 a Milano, Roma e Napoli
Dall'11 maggio l'evento letterario per autori under 35
di Ufficio Stampa Subway

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and93
 
Artaud (& altro) a Macerata
I-Mode Visions 2005
di Ufficio Stampa Accademia Belle Arti

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and94
 
I vent'anni di Ondvideo
A Pisa dal 16 al 31 maggio
di Ondavideo

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and95
 

 

ateatro la sa lunga, Perfida la sa più lunga, ma…
L'editoriale di ateatro 84
di Redazione ateatro

 

…i lettori di ateatro la sanno ancora più lunga.
Per esempio nelle scorse settimane le news di ateatro hanno dato in anteprima il nuovo consiglio di amministrazione dell’ETI. Intanto la nostra perfida Perfida (e molto letta e commentata) ha raccontato qualche indiscreto retroscena della selezione per il nuovo direttore del festival di Santarcangelo
Ma nel frattempo i nostri visitors hanno riempito i forum di notizie ghiotte ghiotte: per esempio, scopriamo che la Commissione Cultura ha stoppato l’ex-ministro della Cultura Urbani, che voleva prorogare la presidenza dell’Eti a Mico Galdieri, e che laggiù nelle Marche i nostri amici Giampiero Solari e Velia Papa sono diventati assessori alla cultura. E dai forum scopriamo che alcune anime malvage hanno indotto la povera ri-fattina Maria Giovanna Elmi a rinunciare al vertice dello Stabile del Friuli-Venezia Giulia.
Insomma, questo è un invito a frequentare ateatro, le sue ghiotte news e i suoi frizzanti forum, sui quali potete – anzi dovete – dire la vostra e diffondere notizie e informazioni… Ci sembra inutile ripeterlo, ma siamo ostinati & noiosi: un sito internet è, prima di tutto, i suoi visitatori, che non devono essere solo utenti, lettori, consumatori di notizie e cultura, ma prima ancora interlocutori e collaboratori. ateatro non è solo e tanto quello che interessa ai suoi redattori, quello che ci interessa raccontare e valorizzare: è soprattutto la comunità che lo usa come strumento di informazione e di formazione. Il sito ha una serie di spazi aperti a interventi e contributi, a cominciare dai forum e dalla locandina.
A questo proposito invitiamo gli uffici stampa e gli aspiranti collaboratori di ateatro a utilizzare al meglio questi spazi. Per ovvi motivi (facciamo tutto gratis e nel tempo libero, a volte abbiamo altro per la testa, a volte Perfida ci travia in attività molto piacevoli ma improduttive) la redazione di ateatro non è in grado di valutare, redigere e pubblicare tutto quello che ci arriva (notizie e articoli), e non possiamo accogliere e seguire tutte le proposte di collaborazione.
Ma a questo punto vi chiederete: di che cosa parla questo benedetto ateatro 84? Nel nuovo numero della miglior webizne teatrale italiana (e non solo, secondo il nostro modesto parere) ci trovate molte cose. Accanto a una bella intervista a Pippo Delbono, regista e filmmaker, accanto al Pinocchio nero di Marco Baliani (ateatro aveva salutato, anni fa l’avvio del progetto), accanto ai festeggiamenti per i vent'anni di Giardini Pensili, c’è una bella sorpresa: una serie di microtesti giovani scritti per ricordare (e non celebrare) il sessantesimo anniversario del 25 aprile (many thanks to Renata Molinari). Poi gli strepitosi manifesti teatrali di Paul Davis (ci trovate – indimenticabili - i volti di Raul Julia, Irene Worth e Laurence Olivier…) e i segreti e tricchi dell’ufficio stampa secondo l’incontenibile Canziani.
E poi moltissime news sui festival e le rassegne dell’estate: e nell’apposita sezione di ateatro, ci sono i programmi, con la segnalazione di centinaua di spettacoli, incontri, seminari…

PS. A sproposito. Lo sapevate che il nostro amico Antonello Pischedda sta entrando nella Commissione Prosa (quella che distribuisce il FUS)? Non ci saranno molti altri cambiamenti nell’organico della Commissione, ma c’è da sperare che la competenza dell’impresario teatrale ligure (che a questo punto dovrà abbandonare i suoi incarichi, onde evitare conflitti d’interesse) riesca ad evitare scelte vergognose - come quello che l’anno scorso hanno portato a secretare le assegnazioni ministeriali.


 


 

Perfida cerca di capire che succederà a Santarcangelo
Qualche dritta per il totodirettore
di Perfida de Perfidis

 

Dopo una vigorosa notte di sesso, non c’è niente di meglio di una placida ripassata in Jacuzzi, in un hotel a 5 stelle immerso nel silenzio della campagna. Ieri sera a cena il mio piccolo aspirante Strehler del terzo millennio era eccitatissimo: il suo spettacolino aveva appena debuttato e s’era beccato una valanga di applausi – ma secondo me applaudivano soprattutto il culo che la sua prima attrice aveva dimenato generosamente per un’ora e mezza. L’adrenalina impazzava, lui non la smetteva più di parlare. E’ andato avanti per ore, tutto entusiasta.
Io gli ho dato corda, alla fine per farlo stare un po’ zitto ho provato a baciarlo e poi… Sapete com’è, me lo sono portato in albergo.
Finire nel suo scomodo giaciglio, in una pensioncina a due stelle o in una di quelle foresterie bulgare da terzo teatro, neanche a parlarne… Quand’ero più giovane senz’altro, anche se già allora preferivo amanti da cinque stelle. Ma adesso voglio tutte le mie piccole comodità. Jacuzzi compresa.
Insomma, ero lì tutta tranquilla a farmi massaggiare dalle mille bollicine. Pensavo che lui dormisse ancora, ieri sera ci ha dato dentro niente male - con mia grande soddisfazione, se la cosa vi può interessare.
Invece ha fatto irruzione nel bagno. Speravo fosse per un supplemento mattutino, poi ho visto le occhiaie, e qualcos’altro (o meglio, non lo si vedeva quasi). Insomma, non era ancora il momento di riprendere il nostro commercio ginnico-carnale.
Perché lui era tornato al suo chiodo fisso. Senza nemmeno un bacetto, mi subito ha chiesto, tutto agitato, ancora adrenalinico:
“Ma allora, se l’anno prossimo faccio una nuova produzione, dici che a Santarcangelo mi prendono? Perché sai, quest’anno ci avevo già provato, ma manco mi hanno risposto, gli stronzi!”
Quello di Santarcangelo, per qualche giovane senza senso della storia, è uno dei più gloriosi festival teatrali italiani. Ha sede in una graziosa cittadina a una decina di chilometri da Riccione, al centro di una regione teatralmente assai felice, poco distante da Motus e Masque, dalla Cesena di Raffaello Sanzio e Valdoca, dalla Ravenna di Albe e Fanny & Alexander, dalla Bologna iperlinkata. Ha una lunga tradizione, in passato l’hanno diretto Roberto Bacci (e ci passavano Grotowski e Barba, e mi commuovo solo al ricordo delle loro conferenze), Antonio Attisani e Leo De Berardinis. Insomma, il mio amichetto voleva entrare nell’eletta schiera.
“Beh,” gli ho detto, mentre lo sguardo risaliva verso l’incipiente pancetta della mia nuova conquista, un optional che ieri sera nel buio mi era sfuggito. “Bisogna vedere come evolverà la situazione. Di questi tempi tutto peggiora, mi hanno detto che perfino le tagliatelle di Zaghini non sono più quelle di una volta… E poi a me stava così simpatico quel poeta là, il Lello Baldini, che non c’è più…”
“Ma io al festival ci devo andare! Non possono non chiamarmi. Già quest’anno la mia esclusione è stata uno scandalo. Uno scandalo”, e quasi si mette a piangere.
“Beh, ma alla fine quel noiosone del Castiglioni l’hanno fatto fuori!”, cerco di consolarlo.
“Finalmente! Il 2005 è il suo ultimo anno. Anche se per me il programma di questa edizione l’hanno fatto i suoi due scagnozzi, quegli allegroni di Andrea Nanni e Silvia Bottiroli.”
“Ah, e quindi saranno loro i direttori di Santarcangelo 2006?”, e intanto quella pancetta mi metteva quasi tenerezza. Mi ricordava suo padre, una volta siamo stati anche amici. Tre stelle, non di più, all’epoca. Sia come alberghi sia come amante.
“No di certo. Quei due erano creaturine del Castiglioni, diciamo, e dunque …”
“Allora, se la sai così lunga dimmi anche il nome del prossimo direttore, così lo passo a qualche amico mio che inizia subito a farsi avanti…”
“Ma ci sono già io... E poi stanno facendo ’sto concorso …”
“Ah, sì, me ne hanno parlato. Un po’ come quello inventato per il Crt, l’ho raccontato qualche settimana fa su ateatro!” Non per vantarmi, ma qualcuno ci ha creduto, ed è andato a chiedere informazioni a destra e manca…
“Vorrei vedere i progetti che hanno presentato! Così aggiusto le note di regia del mio prossimo spettacolo e zac!, il gioco fatto!, ci sono anch’io.”
“Ma che adorabile ingenuità.. I programmi non hanno mai contato nulla. Quello che importa sono da sempre le relazioni, le alleanze, le sinergie… Soprattutto per un festivalino come questo, che ha un sacco di prestigio e un bilancio miserabile, con quei pitocchi degli enti locali che non possono ucciderlo, vorrebbero metterci su le mani ma poi non sanno che farsene, e allora lo strangolano piano piano.”
“Che c’entra? Santarcangelo è uno dei festival più importanti e prestigiosi d’Europa...”
“…e dei più poveri. Ha un budget ridicolo, vive sulla fama del passato, come una velina a cinquant’anni. Ma intanto dimmi chi ha vinto questo benedetto concorso.”
“Il consiglio di amministrazione del festival aveva invitato otto concorrenti, che dovevano presentare un progetto. E pare che la prima selezione l’abbiano passata in tre.”
“Meraviglioso, i tre re magi del nuovo teatro italiano!”
"Tra poco il cda ne dovrebbe scegliere uno…”
”Dimmi i nomi, che mi diverto”.
“Il primo si chiama Olivie…”
“Ah, ho capito, Oliviero Ponte di Pino, che è amico di Silvio!”
“No, non l’hanno nemmeno invitato a partecipare al concorso, quello. Per fortuna, dico io, anche se so che è tuo amico. Ma scusa! E’ un moralista vanitoso, e con il suo ateatro ha davvero rotto i coglioni a tutti! Ma tanto non vinceva mica, è troppo vecchio. Oltretutto è stato consulente di Castiglioni, l’ha scritto anche Manzella sul ‘manifesto’ …”
“Guarda che da Santarcangelo Ponte di Pino non ha mai preso una lira. Almeno così mi ha detto lui. Non gli hanno nemmeno rimborsato il biglietto del treno, da tanto era consulente... Mentre Manzella, a suo tempo, consulente del festival lo è stato per davvero, mi pare! Ma se non è quell’Oliviero lì…”
“E’ Olivier Buoin, l’attaché culturale dell’Ambasciata di Francia a Roma, l’unico superstite della pattuglia francese nei magnifici otto.”
“Beh, questo attaché è una buona idea. Copre e rilancia i rapporti tra Italia e Francia, che dopo il casino di Onda erano andati guastandosi.”
“Magari potranno fare delle belle joint venture con RomaEuropaFestival! Magari presento un progetto anche lì…
“Adesso la Francia è troppo chic! Anche alla Scala hanno preso quel francese, Lissner, dopo che hanno cacciato Fontana, Muti & Meli… Beh, non lo vedo mica male, il tuo Olivier! E’ che adesso è venuta la mania dei direttori stranieri… Hai visto a Prato, che dopo averci provato con il russo Fomenko hanno preso quel tal Sanchiz Sinisterra, drammaturgo ignoto ai più, e lo presentano come un nuovo Calderón de la Barca? E gli altri due candidati chi sono? Made in Italy”
“Il secondo è l’immancabile Calbi.”
“Ma Antonio l’hanno appena nominato direttore artistico dell’Eliseo! Superattivo e arrivista com’è, secondo te molla il più grande teatro privato italiano per andare a litigare con l’assessore di Longiano?”
“Ma mica deve mollare l’Eliseo per forza… E’ da anni che va in giro a dire a tutti di essere il più adatto a dirigere qualunque cosa: dalla Civica Scuola d’Arte Drammatica al Mittelfest, e adesso spiega a tutti che il suo destino è là, al festival, di avere le idee buone per il rilancio, che lui è nato professionalmente proprio lì…”
“Sì, all’ufficio stampa. Com’era gentile e carino, con quegli occhioni verdi…”
“Perfida, non ti immaginavo così romantica e nostalgica… E poi Calbi mica ha gli occhi verdi, mi pare.”
“Anche il terzo candidato è così carino? Sai, Calbi mi piace un sacco, così nervosetto, ma se il terzo fosse un bel fustacchione avrei un piccolo dilemma.”
“Guarda che nel frattempo Antonio è invecchiato anche lui, non è più il bel puttino che ricordi tu. In ogni caso il mio favorito è Andrea Porcheddu.”
“Ma sei geloso? Dai, entra nella vasca, che lì prendi freddo…”
“Non sono mai entrato in una Jacuzzi…”.
Ci sono tante cose che non hai mai fatto, caro. Fino a ieri sera.
“Davvero? Ma Calbi è più bellino di Porcheddu. Però di recente ho scoperto una cosa. Andrea è spiritosissimo: sai come ha intitolato il suo libro su teatro è scuola? Il compagno di Banquo!”
“Lo conosci?”
“Ma figurati se ho letto un libro del genere…”
“No, volevo sapere se conosci Porcheddu. Perché cosi mi puoi dare una mano.”
“Beh, dev’essere bravissimo, traffica da sempre con tutti i centri del potere teatrale, dall’ETI all’AGIS, attraverso “Il Giornale dello Spettacolo”. E’ davvero bravo, è riuscito a far fare bella figura persino a Nastasi, qualche settimana…”
”Perché secondo me il prossimo festival lo dirige lui!”
“Perché mai? Va bene quel curriculum da sempreverde, ma Calbi qualche festival importante l’ha già diretto, tipo Teatri 90. Porcheddu invece…”
“E’ una questione tutta politica, l’hai detto tu. E così ho capito tutto.”
“Dimmi, dimmi! La politica mi eccita, lo sai.”
“Per chi lavora adesso Andrea Porcheddu?”
“Sta curando la rivista dello Stabile di Torino, mi pare.”
“E chi dirige lo Stabile di Torino?”
“Beh, Walter Ego! Insomma, Le Moli, l’uomo dei DS nel teatro italiano, il capofila di quella che Capitta chiama la Parma Connection, che sopravvive e prospera sia che governi la destra sia che governi la sinistra... Capisco dove vuoi arrivare, ma secondo te…”
Sto incominciando a divertirmi, ma gli suona il cellulare. Grida: “Cazzo, è Francesca!” e si precipita grondante fuori dalla vasca.
“Ciao, amore. Come stai? … Io bene, ieri sera ero nervosissimo, ero troppo felice, sei stata bravissima, insuperabile. Però ho visto che eri stanca morta… Sì, sì, hai fatto bene a fermarti a dormire da Anna… Aspetta, non sento più niente… Ti richiamo più tardi…” Così mette giù il telefonino, mi sorride e rientra nella vasca. Quando è imbarazzato, mi sembra ancora più carino. Adoro pervertire gli innocenti… “Mi hanno detto che Porcheddu ha promesso a Santarcangelo coproduzioni & altro con Torino.”
“Bello mio, ma secondo te gli emiliani lasciano arrivare questa testa di ponte a casa loro?”
“Per cominciare, quelli sono romagnoli. E prova a metterti nei loro panni. Finora i rapporti tra il Festival e l’ERT sono stati, al più, di sospettosa collaborazione. Ti ricordi da chi sono arrivati i giudizi più feroci sulla gestione Castiglioni?”
“Abbiamo appena parlato degli attacchi di Gianni Manzella sul ‘manifesto’.”
“Appunto. Manzella ha collaborato per anni proprio con l’ERT, guarda caso.”
“Ma non ci credo a un killeraggio del genere! Anche perché mi sembra che, da quello che mi racconti, Valenti non abbia un suo candidato alla direzione del Santarcangelo.”
“Allora è inevitabile. Le Moli e Valenti si metteranno d’accordo, e su questa base può rinsaldarsi il fronte degli stabili di sinistra. Perché intanto le elezioni si avvicinano, e a sinistra stanno già prenotando le poltrone…”
“Le Moli e Valenti si detestano da sempre, per quanto ne so. Tra parmigiani e modenesi non è mai corso buon sangue, quasi come tra emiliani e romagnoli…”
Il telefonino squilla di nuovo. Lui guarda il display: “Sempre lei”, e mi fa segno di stare zitta. Ma io sono una donna di mondo, mica una sciacquetta isterica.
“Sì, te l’ho detto, te l’ho detto subito, sei stata bravissima… No, non sono arrabbiato con te. Ma sai, ero troppo nervoso, non riuscivo a dormire, ho camminato tutta notte.” Mi strizza l’occhio. “Sì, te l’ho detto subito, sei stata eccezionale, così sexy, così naturale… Amore, farò di te la nuova Cescon, la nuova Ranzi...”
Nel frattempo sott’acqua qualcosa sta iniziando a succedere. Non so se sia la visione della Michela o della Galatea, o magari l’idea di parlare con la sua ragazza mentre se ne sta nudo in una vasca con un’altra donna.... Più probabilmente è il mio massaggino thailandese… Non ce la fa più. Quasi farfuglia: ”Sì, benissimo, sono stravolto, non ho chiuso occhio, me ne vado un po’ a dormire, ci vediamo stasera alle sette in teatro…”, con l’altra mano mi sta accarezzando, ho finalmente ripreso a occupare i suoi pensieri.
Mette, giù, sorride e mi abbraccia, adesso ne ha davvero voglia, e anche io mi sto ingolosendo, al diavolo Santarcangelo e il suo nuovo direttore… Ma all’improvviso si ferma: “A proposito, Porcheddu ha curato un libretto su Ascanio Celestini, lo fa quella piccola casa editrice di Milano, il principe costante. A me il teatro di narrazione mi scassa, ma gli puoi far sapere che il suo libro mi è piaciuto un casino… Davvero… Se sa che lo apprezzo magari mi piglia, l’anno prossimo.”
Uffa, piantala di dire cretinate e datti da fare… Approfitta di me e della Jacuzzi, che altrimenti una buona parola di Perfida per Santarcangelo te la sogni, bello mio!

Post scriptum. Lei (Francesca la culona) pensava che lui (l’aspirante Strehler del terzo millennio) avesse passato una notte insonne, da autentico artista febbricitante di creatività. Lui (il mio giovane amante) pensava che lei (la giovane attrice innamorata del regista), sazia dei suoi primi trionfi di primadonna, fosse crollata di stanchezza. Normale.
Si sono visti nella hall del cinque stelle verso l’una. Lui era corso a comprarmi un mazzo di rose rosse (tenero, la diaria dell’ultima settimana) e lo stava lasciando al concierge. Lei usciva dall’ascensore al braccio di un famoso professore universitario, che ieri l’aveva applaudita in platea. Fragorosamente.
Al prossimo debutto li invito tutti e due nella mia Jacuzzi, lui e la sua Francesca culobello, così la mattina dopo si evitano l’imbarazzo. E nel frattempo imparano qual che trucchetto made in Perfida…


 


 

Un Pinocchio di strada
Operazione Pinocchio nero di AMREF-Baliani
Dalla scuola-casa teatro di Nairobi allo spettacolo e ai libri

di Andrea Balzola

 

Si è concluso al Gran Teatro di Roma, dopo Parma, Bologna, Milano e Firenze, con grande successo e migliaia di spettatori (tra cui bambini e ragazzi delle scuole, grazie anche all’appoggio dato all’iniziativa dalla giunta Veltroni), il “Paese dei Balocchi Tour 2005” che ha ripresentato in Italia lo spettacolo Pinocchio nero, interpretato da 20 ex ragazzi di strada di Nairobi, con la regia di Marco Baliani, insieme a due libri appena usciti: Pinocchio nero. Diario di un viaggio teatrale, Rizzoli, dello stesso Baliani, e The Black Pinocchio. Le avventure di un ragazzo di strada (con Dvd dello spettacolo), Giunti, di Giulio Cederna e John Muiruri.



E’ il punto d’arrivo di un progetto complesso e di lunga durata, che dimostra ancora una volta come il teatro e l’arte, con valide motivazioni e capacità, possano dare un contributo concreto e straordinariamente efficace nelle emergenze etiche e sociali della nostra epoca. Una risposta esemplare a coloro che pensano, e sono purtroppo ancora molti in Italia, tra i cittadini ma anche nelle istituzioni, nel governo e nei partiti, che “l’arte non serve” e quindi non vale la pena di investirvi denaro, attenzione e sostegno.
Su ateatro 42, in una lettera aperta agli “artisti e amici del teatro”, Marco Baliani aveva annunciato di aver dato inizio, nel 2002, “a un workshop teatrale con ragazzi di strada di età compresa tra i 10 e i 17 anni, che vivono nella discarica di uno degli slum (baraccopoli) di Nairobi”, nell’ambito del progetto ”Acting from the street” da lui proposto, in collaborazione con il Teatro delle Briciole di Parma, in forma di volontariato artistico all’associazione AMREF (African Medical And Research Foundation) che da anni si occupa, di promuovere iniziative laiche di sostegno allo sviluppo dei popoli africani. Una delle attività principali dell’AMREF, con il programma “Children in need” e sotto la guida ventennale dell’assistente sociale John Muiruri, è il recupero dei ragazzi di strada (circa 130.000 nella sola Nairobi), chiamati spregiativamente “chokora” (coloro che vivono di rifiuti), anche molto piccoli, orfani o abbandonati dalle famiglie, vittime di abusi di ogni tipo. Per loro il teatro è diventato casa e scuola, un’ospitalità concreta che ha garantito loro vitto, alloggio, assistenza sanitaria e sicurezza (oggi anche diritti civili e un passaporto che mostrano orgogliosamente alla fine dello spettacolo) e insieme una formazione multidisciplinare, artistica, culturale e corporea, dove il teatro è stato la chiave ludica e simbolica di interpretazione ed emancipazione del loro drammatico vissuto.



Il training condotto da Baliani e da altri professionisti da lui coinvolti, italiani (Letizia Quintavalla, Maria Maglietta, Elisa Cuppini, Morello Rinaldi, Riccardo Sivelli) e kenioti, ha insegnato a questi ragazzi, straordinari per la loro vivacità e prontezza, le tecniche della danza, del disegno, la realizzazione di scenografie, costumi e burattini, l’importanza e la possibilità del racconto come strumento di riflessione ed elaborazione dell’esperienza. Tutto questo percorso è stato coagulato da Baliani e dai suoi collaboratori intorno alla favola di Pinocchio, reinterpretata alla luce delle storie reali raccontate da questi ragazzi e raccolte nel libro di Cederna e Muiruri (in cui ha dato un contributo fondamentale proprio uno di questi ragazzi, Peter Ngigi, che oltre a raccontare se stesso ha intervistato i suoi compagni di sventura e trascritto le loro voci con un linguaggio limpido e poetico). L’universalità del racconto collodiano è stata messa con successo alla prova in quest’ennesimo adattamento, dove si scopre che come dice Baliani: “In fondo la storia di Pinocchio è anche quella di un ragazzo di strada che faticosamente, in mezzo a mille pericoli e tentazioni, la sfanga, riesce a salvare la scorza di legno, a farla diventare pelle nuova, con una testa piena di nuovi pensieri”. E il ritratto di Pinocchio nella riscrittura drammaturgica del testo è così diventato quello di un “chokora”: “Da lontano può sembrarci un pezzo di legno. Un manichino. Uno spaventapasseri. Porta un vestito lacero, due taglie più grandi. Non si lava da giorni. Ha il naso allungato da un barattolo di colla. Gli occhi vitrei, inespressivi, iniettati di sangue. I capelli incrostati, come segatura. In pochi istanti ci è addosso. Biascica parole roche in cerca di aiuto…” ma, se si è capaci di sfamarlo e di ascoltarlo, come scrive Cederna, poco alla volta si scopre che il Ragazzo di Strada è “una persona speciale, come non abbiamo mai avuto modo di incontrarne. Un piccolo principe in un mondo fatto di fango…”



Con questo programma di recupero e protezione combinato al processo simbolico d’identificazione nei personaggi e nelle situazioni del progetto teatrale, i 20 ragazzi coinvolti hanno dato presto dei risultati sorprendenti e ora formano una vera e affiatata compagnia di attori-danzatori (a loro volta impegnati a continuare ed estendere l’aiuto agli ex compagni di strada).
Lo spettacolo, che seleziona alcuni episodi principali della favola collodiana (tralasciandone altri come quello del gatto e la volpe) e li trasforma in eventi corali, raggiunge i suoi momenti poetici più alti proprio quando riesce a compenetrare il senso del racconto con la realtà specifica a cui s’ispira, come quando, all’inizio, tutti i ragazzi s’irrigidiscono come pezzi di legno, oscillano e cadono a terra, formando una “discarica” umana, da cui prende poi vita Geppetto e nasce la storia. Oppure quando, inseguendo Pinocchio nella sua prima fuga, gli inseguitori diventano tutti burattini come lui. O quando il Paese dei Balocchi diventa la proiezione dei desideri dei ragazzi di strada reali: vedere film a luci rosse, sniffare colla, bere birra, mangiare camion di polli e soprattutto giocare a pallone per tutto il tempo, il vero mito di emancipazione contemporanea dei ragazzini poveri africani. O quando il testo, ridotto a brevi frammenti, cerca sintesi emblematiche come nel monito di un Mangiafuoco stregone, sui trampoli: “Pinocchio non fidarti mai troppo di chi ti sembra buono e ricordati che c’è sempre qualcosa di buono in chi ti sembra cattivo!” (tratto dal Pinocchio di Comencini). La dimensione poetica diventa poi magia scenica quando il racconto trova la sua espressione nell’immaginario africano, come nella bellissima scena dell’uccisione di Pinocchio e della sua resurrezione ad opera di una Fata Turchina velata che indossa una maschera di grande intensità espressiva, circondata di altri spiriti mascherati. Il cortocircuito della finzione teatrale, ricorrente in tutta la storia, dal teatro dei burattini di Mangiafuoco al circo dove Pinocchio-asino è esposto, si compie poi pienamente nel finale, dopo il salvataggio di Geppetto, quando un popolo di burattini avanza portando ciascuno sulle spalle il proprio doppio umano, il “personaggio” porta sulle spalle o in braccio la “persona”, cioè la responsabilità e la possibilità di conquistare la dignità di uomo, condizione in cui Pinocchio può finalmente trasformarsi in un bambino, con pieno diritto di esserlo.
Il teatro diventa quindi casa di un progetto antropologico, l’attore attraverso il personaggio trasporta l’uomo verso la realizzazione di se stesso. Tutti ugualmente bravi e particolarmente espressivi i giovani e giovanissimi attori, tra cui vogliamo segnalare i due ragazzini che interpretano Pinocchio e il Grillo parlante, la cui intensità mimica e gestuale non sarà facile ritrovare sulle scene pinocchiesche del passato e future. Grande merito di Baliani, oltre che l’ideazione stessa e la conduzione felice di un progetto non certo facile, è di aver messo a punto in questi anni, sperimentandolo nei suoi laboratori (tra cui quello biennale dei giovani del Mediterraneo) e nei suoi spettacoli interetnici e interculturali, dove non a caso ritornano in nuove varianti motivi e soluzioni sceniche, un metodo di integrazione delle forme espressive teatrali e personali che nasce dalla capacità di ascoltare le singolarità umane e di far esprimere i diversi contesti socio-culturali, senza forzature ideologiche o precetti precostituiti. Partendo insomma dalla materia prima della persona e costruendo passo dopo passo una drammaturgia “povera” su archetipi e prototipi (per dirla con Kerenyi e Jung) universali o interculturali, che mettono in relazione creativa le alterità rimettendo in gioco, nella loro apparente semplicità, profonde risorse simboliche capaci di far attecchire e germinare il senso e i sensi del teatro.

Foto di scena di Carla Mori

Pinocchio nero (The Black Pinocchio) Creato con i ragazzi di strada del progetto “Children in need” di AMREF
Progetto e regia di Marco Baliani
Collaborazione drammaturgica di Maria Maglietta e Letizia Quintavalla
Coreografie di Elisa Cuppini
Scenografie di Morello Rinaldi e Riccardo Sivelli
Con Onesmus Kamau, Patrick Kamau, Samuel Gakuha, Wilson Franco, Wycliffe OnyWera, Alex Wagacha, Daniel Kamande Ng’an’a, Tennis Kiarie Mumbi, George Kamau Wangari, John Chege, George Ngugi Kimani, Joseph Muthoka, Kevin Chege, Michael Mwaura, Mohamed Kamau, Nahashon Mbugua, Ibrahim Karanja, James Ng’ang’a, John Muthama, Joseph Kamau


 


 

Il mago della grafica teatrale in mostra a Milano
La personale di Paul Davis
di Oliviero Ponte di Pino

 

Paul Davis è uno dei maghi della grafica contemporanea, e soprattutto il mago della grafica teatrale.
Nato nel 1938 a Centrahoma, in Oklahoma, dopo gli studi alla School of Visual Arts inizia a lavorare nel 1959 ai Joins Push Pin Studios. Nel 1967 crea uno dei suoi manifesti più celebri, The Spirit of Che Guevara. Alla metà degli anni Settanta, l’incontro determinante con Joseph Papp, anima del New York Shakespeare Festival, per il quale crea inventa l’immagine di Hamlet, Henry V; The Threepenny Opera. Dal 1984 al 1992 è art director del New York Shakespeare Festival. Parlando di teatro Davis afferma: “Il teatro è ciò che resta della vita reale dopo aver operato gli scarti necessari a dimostrare un concetto”. E l’arte del sottrarre è una strategia cruciale del lavoro di Davis, per cui eliminare i dettagli implica un incremento del potere emotivo dell’immagine.
Ha anche lavorato a lungo per riviste come “The New Yorker”, “GQ”, “Wired”, “Fast Company”, “Rolling Stone”, è stato art director di due riviste, “Normal” e “WigWag”, realizzato copertine per dischi e CD, manifesti per film, e ha continuato con particolare assiduità a lavorare per il teatro, in particolare con il Lincoln Center, la Mobil Schowcase e il Public Theater di New York. Come pittore, ama ritrarre gli attori perché, spiega, “hanno davvero tante caratteristiche che si spostano sui loro volti”.
In queste settimane l’opera di Paul Davis si può vedere a Milano. La mostra (già passata per Siena) si intitola On stage. Paul Davis People, l’hanno curata Cristina Taverna (che dirige quella che è probabilmente la migliore galleria di grafica italiana, Nuages) e Luigi Pedrazzi, si può vedere alla Galleria Arteutopia-Musei di Porta Romana, Viale Sabotino 22 – Milano, dal 29 aprile - 26 giugno 2005 (tutti i giorni 10.30-19.30 - chiuso il lunedì).
Ovviamente non c’è solo la grafica teatrale di Paul Davis, in questa mostra (ci sono i celebri ritratti del Che, dei Beatles, di Dylan, di Bush jr...). Noi ovviamente per questa anteprima abbiamo privilegiato una selezione dei suoi poster teatrali.

Dal catalogo della mostra, Show People, edito da Nuages, abbiamo un estratto brano dal testo di John Lahr Un Amleto maoista.

La prima volta che Davis ebbe a che fare con il Public Theatre, su suggerimento dei guru della sua agenzia pubblicitaria, fu grazie alle sue immagini politiche che riuscì a fare colpo su Papp, un vecchio esuberante di sinistra. Secondo Bernie Gersten, il produttore associato del teatro che si occupò dell’incontro dell’agenzia con Papp, i dirigenti del settore pubblicitario gli dissero: “Ciò che le serve è un’immagine visiva immediatamente identificabile, coerente, audace e intensa. Vogliamo che prenda un pittore che realizzi il manifesto della sua prossima opera teatrale. Costerà più di quanto abbia mai speso prima per un manifesto, e se abbiamo ragione, ne varrà la pena”. “Chi diavolo è Paul Davis?” chiese Papp. Tuttavia qualche giorno dopo lo prese per realizzare il manifesto di una produzione di Amleto che vedeva come protagonista Sam Waterston.
Davis portò una tempera 35x70 cm che ritraeva Waterson nei panni di Amleto. Waterson veniva rappresentato su un brillante sfondo arancione con indosso una camicia nera come quelle di Mao. Nella sua prefazione in Paul Davis Posters & Paintings, Bernie Gersten ricordava Papp che diceva “È un manifesto interessante per Amleto, Paul, ma è per l’Amleto che feci 10 anni fa con Martin Sheen. Non è adatto a questa produzione. Il commento che fa alla rappresentazione è superiore agli intenti di questa produzione. Il nostro Amleto è un raffinato principe rinascimentale, non un funzionario di partito che rimprovera aspramente le masse ad un comizio sulla Piazza Rossa”. Davis ritornò al suo tavolo da disegno. Quando tornò con una revisione, Waterson aveva la bocca chiusa e la casacca maoista era stata sostituita con un colletto di pizzo a balze. “Joe guardò il colletto di pizzo e disse ‘No, no, torna all’originale” ricordò Gersten. Davis rimase di stucco. “Non avevo mai sentito nessuno fare niente di simile” confessa Davis. “Non mi era mai capitato che qualcuno si rimangiasse tutto. L’ha fatto perché era un manifesto migliore”. E poi aggiunge “ci fu un subbuglio generale. Il manifesto venne esposto in tutte le stazioni da Washington a Boston. La gente ne parlò davvero tanto...”

 
Hamlet con Sam Waterson (1975), il primo manifesto creato per Joe Papp per il New York Shakespeare Festival.
Henry V con Paul Rudd (1976), per il New York Shakespeare Festival a Central Park.
Three Penny Opera con Raul Julia (1976), per il New York Shakespeare Festival.
Streamers di David Rabe (1976), per il New York Shakespeare Festival.
For Colored Girls... (1976), di e con Ntosake Shange.
Ashes (1977) per il New York Shakespeare Festival: la modella è Myrna, moglie di Paul Davis.
The Cherry Orchard con Irene Worth, regia di Andrei Serban (1977), per il New York Shakespeare Festival.
Gin Game di D.L. Coburn (1977), regia di Mike Nichols, con Jessica Tandy e Hume Crown.
King Lear con Laurence Olivier (1984), per la Mobil Showcase.
The Casebook of Sherlock Holmes (1985), per la Mobil Showcase.
Richard II (1987), per il New York Shakespeare Festival.
Macbeth con Raul Julia (1989), per il New York Shakespeare Festival.
The Mistery of Edwin Drood (1986), per il New York Shakespeare Festival.
Under the Blue Sky di David Eldridge (2002).
  Embedded, satira sulla guerra in Iraq di Tim Robbins (2003).
Carolyn, or Change di Tony Kushner (2004), con Tonya Pinkins.
Per Paul Davis il teatro sono soprattutto gli attori. Nei suoi manifesti, quello che campeggia in primo piano con straordinaria efficacia è spesso un volto, un ritratto.
Ma qui bisogna fare subito due precisazioni. E’ chiaro che quei dipinti ritraggono visi facilmente riconoscibili, volti di star, intensi e unici, ma non per questo ricadono nella categoria del realismo. Paul Davis non si sofferma sul dettaglio, e men che meno sull’introspezione psicologica. Le sue opere sono frutto di un’attenta osservazione, e soprattutto di una scelta: di quel volti Paul Davis sceglie alcune caratteristiche e ne cancella altre, poi riempie i volumi, stilizza. Paul Davis sa che i volti degli attori sono in qualche modo speciali: la loro professione, la loro vita li ha forgiati, molati, trasformati. Li ha segnati, e levigati. Dice Davis: “Il teatro non è come la vita reale. Il teatro è ciò che resta della vita reale dopo aver operato gli scarti necessari a dimostrare un concetto.” Si tratta di cogliere tutto questo lavorio dell’attore su se stesso, ma anche il lavoro del pubblico, e quello dei registi, su di lui; e naturalmente quello dei personaggi che ha incarnato. “E’ un lavoro relativo all’emozione umana elementare”, ha spiegato, “Se si dà una mano a raccontare la storia umana, si ottiene qualcosa anche come artisti.” A questo punto un ritratto diventa una sorta di icona, in grado di liberare l’energia che l’esperienza ha via via accumulato in quei tratti: come il Lear di Laurence Olivier. Quelle degli attori dipinti da Davis sono personalità che colpiscono la percezione e s’imprimono nella memoria, già proiettati verso lo spettatore.
Davis si è formato in un periodo in cui negli Stati Uniti dominava l’astrattismo, e l’ha subito rifiutato. Ma non si è rifugiato nel realismo: conosceva troppo bene la cultura e l’arte popolare, anche nella sua declinazione politica, con le loro forme semplificate, con la chiarezza del loro messaggio, con la loro comunicazione diretta. Tra i suoi primi exploit ci sono due memorabili ritratti del Che e di Angela Davis, che ricordano la grafica “rivoluzionaria” cubana dei primi anni del castrismo. Anche se poi, ovviamente, Davis conosce la storia dell’arte, e questa anima pop viene filtrata dalla cultura e dalla storia. E’ lo stesso artista a citare Masaccio per il suo Che, per esempio, o Michelangelo, ma si potrebbero fare molti altri esempi: le stampe giapponesi creano l’atmosfera giusta per Il giardino dei ciliegi, o van Gogh che ispira le pennellate e nei colori del manifesto per David Copperfield. E questi sono solo alcuni dei filtri ironici che il pittore mette tra sé, i suoi soggetti e le sue opere.
Ma l’attore non è solo la sua anima e il suo volto, insomma il suo passato. Per Davis l’attore è in primo luogo anche colui che agisce. Dunque in linea di principio la sua tempera coglie questi attori mentre stanno compiendo un’azione: basta guardare l’esemplare urlo del primo Amleto realizzato per Joseph Papp. La stessa impaginazione di molte immagini sembra sospingerle fuori dalla cornice del manifesto e della locandina: il bastone che impugna Mackie Messer-Raul Julia nell’Opera da tre soldi, oppure il paracadutista in vertiginosa caduta libera di Streamers - oltretutto sistemato a testa in giù, ad aumentare l’effetto spiazzante.
Un altro elemento sfruttato con notevole sapienza, accanto al taglio spesso inconsueto delle immgini, è il lettering: un carattere spesso disegnato a mano, quasi a umanizzarlo, e il ogni caso calibrato rispetto all’immagine e all’effetto complessivo del manifesto. Il titolo dell’Opera da tre soldi è tracciato con il sangue, che ancora cola sul muro. Ma va in ogni caso precisato che a prevalere è sempre l’immagine sul testo, ridotto al minimo indispensabile ma a questo punto ingigantito e trasformato di fatto anch’esso in immagine.
Ma più che le abilità del grafico, val forse la pena di sottolineare il tono emotivo della pittura di Davis: caratterizzata insieme da grazie e malinconia, da una sorta di straniamento che tradisce come un disagio di fronte alla realtà, o forse solo una sospensione che dà un tocco quasi fiabesco, appena surreale: una pausa di stupita fissità che permette al pittore di osservare il suo oggetto, e di rubargli la sua magia.


 


 

Il nostro 25 aprile
Testi realizzati su richiesta di Radio Popolare in occasione del sessantennale della Resistenza
di Francesco Ghiaccio, Elena Cattaneo, Valeria Banchero, Giulia D’Amico, Marco Di Stefano, Giorgia Toso

 

Questi testi sono stati scritti da un gruppo di allievi della Cicvica Scuola d’Arte Drammatica „Paolo Grassi“ di Milano su richiesta di Radio Popolare, che li trasmetterà il 25 aprile in occasione delle trasmissioni che ricordano il sessantennale della Resistenza.

Francesco Ghiaccio
Colline e no

Al termine della discesa la mia bicicletta raggiunge i 72 km/h. E’ una bicicletta da corsa del valore di 600milalire, una delle più scarse, il telaio è di qualche misura più grande di me, ma è una bicicletta da corsa e le mie gambe girano che non sembrano le mie. Ho 16 anni. Tengo un occhio sul contachilometri e uno sulla curva, forse tocco i 73, ho il mento sul manubrio come fanno Chiappucci e Pantani al Giro d’Italia, Pantani poi scivola indietro sino a toccare la sella con lo stomaco, ma quello è Pantani. Raggiungo la curva, tocco il freno, smetto di pedalare, nessuna macchina: mi è andata bene, ancora; i miei occhi lacrimano, apro la bocca e respiro a pieni polmoni, il contachilomentri segna 25, stradina di campagna, falsopiano, asfalto misto zolle lasciate da trattori di tutte le dimensioni, sto per raggiungere la statale, il mio corpo è zeppo di ossigeno, il sangue gira a mille, tutto intorno campi a perdita d’occhio, vigneti, grano, contadini confusi a quello che seminano, ogni tanto una lepre scappa al suono della mia bicicletta, mi sento enorme, invincibile, l’arco della mia schiena raggiunge il cielo, posso fare quello che voglio, impugno il manubrio, mi alzo sui pedali e scatto… “Francesco è al comando…” raggiungo la statale, ho 17 anni. Vedo tre croci in legno, altezza d’uomo, faccio per girare a destra, risalire verso il paese, rispetto lo stop, vedo un nome inciso su ogni croce. Risalgo verso il paese, invece di tornare a casa mi dirigo verso il paese vicino, altra salita, mi sento forte, pedalo e pedalo, arrivo in cima poi giù in picchiata per una strada secondaria. Mi ritrovo in statale. Rallento. Apro la bocca, sgrano gli occhi, come sorpreso, come quando in autostrada vedi macchine lontane e ferme con frecce di emergenza: laggiù, le tre croci. Mi sento osservato. Mi osservano dall’altra corsia, sempre più vicine, io mi spingo più che posso al lato della strada, le ruote toccano ripetutamente l’erba e la ghiaia del ciglio, rischio di cadere sino a che non sono lì davanti a loro e scatto, scatto ma non sento nessuna voce di nessun telecronista, non mi immagino sfidare nessun campione, sto scappando, scappo e basta.
Le mie colline sono le colline del Monferrato, ogni tanto Pavese le cita e io so di avere qualcosa in comune con Pavese, Vittorini e Calvino raccontano di partigiani e io vedo i partigiani correre tra i miei sentieri, il mio professore di ginnastica mi dice che ho molta resistenza e io sono contento.
Ho 18, 19, 20 anni, verso i 20 anni scopro il piacere di correre a piedi, mi fermo davanti le tre croci, i tre nomi sono così strani che mi fanno sorridere, mi sembrano inventati e di un altro tempo, ognuno di loro ha un fazzoletto tricolore legato con tanta cura che mi sembra sia lì a proteggere la gola e ai piedi un unico vaso di fiori che basta per tutti, il legno delle croci è pulito, qualcuno deve venire qui periodicamente. Sopra il mazzo di fiori una poesia in piemontese, parla di ragazzi e uomini sotto la neve, nel fango, al sole, parla di mamme e di nuove generazioni, è troppo lunga, non la leggo tutta, è pomeriggio e fa caldo, sento il sudore lungo tutto il corpo e i piedi mi scoppiano, butto lo sguardo per i campi e vedo i partigiani che corrono, sono centinaia, si divertono come pazzi e subito dopo muiono colpiti da qualcosa, qualcuno canta, qualcuno si veste, un altro si fa la barba, una bomba scoppia, uno si sposa, uno sta facendo il ragù alla bolognese, uno la pastiera, uno suona la chitarra e su tutti nevica e piove e tira vento, uno scrive a casa, la Magnani in mezzo al campo corre verso di me e grida “Francesco! Francesco!”, Gassman e Manfredi si abbracciano nella neve di “C’eravamo tanto amati”, passa una macchina, torno alla realtà, riprendo a correre. La sera, a casa, mi chiedo se quelle tre croci lì stanno riposando davvero; se si fanno coraggio l’uno con l’altro. Se il nodo al fazzoletto l’hanno fatto loro.
Ho 21 anni, guardo la mia ragazza vestirsi poi truccarsi, guardo quei vestiti che non metteresti mai di giorno, guardo il suo trucco, come si trucca, con che determinazione e mi viene da pensare alle armature, ai soldati, alle battaglie, a quale battaglia ci aspetta. La mia ragazza mi guarda e pensa che sono innamorato.
Ho 22 anni, lascio le mie colline e vado a studiare in città. In città ti ritrovi sempre davanti a una lapide, una casa in cui è successo qualcosa, mi chiedo come si possa fare la Resistenza in una casa sì e nell’altra no, un bar sì e uno no, una strada sì e una no; penso che in un solo palazzo ci stanno tante persone quante al mio paese, guardo i palazzi e penso che ognuno di quelli è una delle mie colline, guardo la gente che mi sta intorno, guardo dentro le finestre, dentro i bar, dentro le strade, guardo chi sì e chi no.
Ho 24 anni, mi sveglio tutte le mattine e aspetto che succeda qualcosa.


Elena Cattaneo
La donna delle stoffe

Una mattina mi son svegliata
e la donna delle stoffe mi ha raccontato la storia del suo teatro.
Questa necessità e questa ricerca mi piace pensare che siano un po’ anche mie.


Piove per molti giorni.
Il fiume Ceno minaccia una piena.
Poi, il quindici settembre millenovecentoquarantatre, torna il sole.
Mio fratello è morto fucilato vicino a Parma alla fine di agosto. Molti amici sono morti. Io sono poco più che una bambina.
I confini del paese sono le mura di una città sotto assedio.
Nei boschi stanno nascosti i soldati.
Nel paese non ci sono uomini seduti sulle sedie, fuori dalle case.
I cani dormono nelle cucine.
E le porte delle case sono chiuse.

Per tutto il periodo della pioggia, noi ragazzi ci troviamo in una stalla vuota.
Le porte delle case sono chiuse, le strade fiumi di fango.
C’è la necessità di un posto dove poterci incontrare.
Veniamo all’appuntamento con le spalle bagnate, scoperte e fredde. Spesso ce ne stiamo zitti per tutto il pomeriggio. Al contrario, certe volte cantiamo. Resistiamo alla pioggia.

Sul quel fieno, nascosti al limite del paese, un giorno decidiamo di organizzare uno spettacolo.

Ci sono le parole di Attilio, uno di noi.
Attilio scrive storie su chi è rimasto a casa, su chi c’era prima della guerra, scrive anche di gente che ha solo sentito nominare. Uomini e donne di molto prima della guerra.

Si può rompere il silenzio di un luogo con le porte chiuse e le strade di fango e i soldati nei boschi?

Quando il quindici settembre millenovecentoquarantatre torna il sole, noi usciamo per le strade. Andiamo a vedere un vecchio carro dietro la sacrestia. Il carro è coperto per metà di muschio e odora di muffa. E’ il nostro palcoscenico.
Abbiamo un posto dove riunire tutti quelli che stanno chiusi nelle case.
Abbiamo anche le parole, quelle di Attilio.
Ma manca qualcosa.
“I nostri vestiti non vanno bene”, dico. “Ci dobbiamo travestire, deve essere un giorno di festa. I nostri vestiti sono nostri, li conosciamo tutti. E non possiamo chiedere mica a qualcuno, se no addio sorpresa...”
Allora mi mandarono a cercare le stoffe.

Adele è una sarta di ottant’anni, che vive a due ore di cammino dalle nostre case.
Devo andare a cercare stoffe che siano più buone dei nostri vestiti.

Mi dicono “Vai tu a cercare le stoffe”
“Vado io”.

Ci sono i soldati nei boschi.
C’è una strada, nei boschi. La strada va dai Filippi, fino al Rio. Qualcuno ha costruito un ponte di sassi per passare dall’altra parte. C’è una collina, poi c’è la casa dei Barbetti. Poi Costa, dove si può trovare dell’acqua. La strada procede verso Pessola. Poi un’altra collina e oltre questa c’è la casa di Adele.
“Ci vado io”.
Un ponte di sassi e due colline.
“Vado io, ma le mie scarpe non vanno bene per fare tutta quella strada”. Allora Veronica mi presta le sue scarpe. Erano di sua cugina che è morta.
Le prendo e parto.
In tasca ho pane e uva. Le spalle asciutte. Ad ogni passo scrollo di dosso la paura.

Qualche ora e poi: la casa della vecchia sarta.
“Mi servono delle stoffe. Non ho niente da dare in cambio.”
Ha una casa abbandonata e umida. Lì trovo un baule intatto, pieno di vestiti, cappelli e persino di scarpe alte. Adele mi fa scegliere quello che voglio.

Mi mandarono cercare le stoffe con le scarpe buone di Veronica.
Due colline e un ponte di sassi per tornare.
La prima collina, Costa, i Barbetti, un’altra collina. Poi il Rio.

A un certo punto ne vedo uno; vedo un soldato, vicino all’argine del fiume, appoggiato a un albero. Fuma.
Corro!
I soldati uccidono.
Corro come posso.
I soldati fumano.
Corro più veloce che posso, facendo attenzione ai vestiti.
Non cadere! Non cadere nell’acqua.
Bisogna correre!

Un ponte di sassi e la strada di casa.
Un ponte, una strada, casa.

Pochi giorni dopo saliamo sul grande carro coperto di paglia messa ad asciugare.
Addosso abbiamo le stoffe di Adele.
Quelli che sono rimasti al paese si sono radunati; per un attimo hanno aperto le porte.
Le donne, uscite dalle case, si divertono.
I vecchi ridono e ridono i bambini con le scarpe troppo strette.
I bambini ci tirano i sassi e prendono schiaffi dalle madri non più così stanche.
I cani girano.
Si può rompere il silenzio.


Valeria Banchero
Progetto Resistenza

Non ho mai fatto domande perché c’era tempo, avevamo tutto il tempo: invece non si resiste all’infinito, e ora mi ritrovo tra le mani la foto di uno sconosciuto con i baffi e le orecchie a sventola di mio padre.
Le orecchie di mio nonno hanno fatto la Resistenza. 2005: Sestri Ponente è un paese piccolo in provincia di Genova, che il mare lo annusa soltanto; a Sestri Ponente in provincia di Genova ci sono le Poste, un vecchio edificio giallo rifinito di mattonelle rosse. Passa il 3, lì davanti, il 3 che mi riporta a casa: e nessuno alza mai la testa per guardare. Le Poste prima di essere le Poste erano una fabbrica di vetri e motori per aeroplani, la San Giorgio: sull'entrata principale c'era e c'è tutt'ora uno stemma con un cavaliere che uccìde un drago. Mio nonno era un disegnatore della San Giorgio.

Voce di donna anziana "Non lo smuovevi da quel tavolo quando doveva lavorare, uno di quei tavoli che stanno su, e la sigaretta sempre in bocca. E come era bravo, come...fai conto, no, che io mi sedevo lì e parlavo, e magari mi capitava di descrivergli il modello di un vestito che avrei voluto farmi confezionare dalla sarta e lui, che sembrava non darti retta ti guardava con gli occhi stretti e con due tratti di matita lo aveva già disegnato, quel vestito, proprio come lo avevo in mente io, non so... un bel risparmio di tempo!"

Non basta, avrei dovuto fare più domande. A Genova, nel 1944, si respirava poco e male.

Voce di donna anziana "Non si aveva la forza per urlare, tutti camminavano a testa bassa, e se entravi alla San Giorgio, lì come in tutte le altre fabbriche della città, potevi vederli lavorare, gli operai al piano terra, disegnatori e progettisti al primo piano, suddivisione rigorosa; ma sempre con un occhio alla finestra. O dietro le spalle."

Un giorno di quattro anni fa sono entrata alla San Giorgio perché dovevo scrivere una tesina per l’esame di archeologia industriale: loro spiegano, io non chiedo niente.
Deve esserci stato un gran silenzio allora, anche con il rumore delle macchine, ma si capiva lo stesso che c'era, perché il rumore della macchine è diverso da quello che fanno le parole. E' successo prima della fine della guerra, dopo la visita del Duce alla città di Genova, travestita di luci e invitante come una bagascia di Via Prè, è successo forse nel 43, magari nel 44, non ricordo esattamente quando perché avrei dovuto fare più domande. I tedeschi sanno che gli operai della San Giorgio non hanno smesso di parlare: è cambiato solo l'orario, adesso parlano di notte, dopo il lavoro:usano le parole chiusi lì dentro. Magari le fanno pure uscire, perché ricordano come si fa, e le parole, quelle resistono, una volta fuori.

Voce di donna anziana "Quando i tedeschi piombano nella fabbrica per portare via quei ragazzi, uno di loro si ferma come se aspettasse qualcosa, alza la testa e vede volare. Vede volare tavoli, sedie, scrivanie, libri, compassi, squadre, libri dei conti, righelli di legno, progetti di motori innovativi allo sviluppo deUa nostra Aviazione, pezzi dei motori stessi, uno dei quali colpì il soldato tedesco sulla fronte, ricoprendogli la faccia di sangue."

Erano usciti tutti dagli uffici del piano di sopra, per non farseli portare via, colpendo dove capitava, Vennero altri tedeschi, molti di più, e quando non ci fu niente da lanciare, li presero e li trascinarono via. C’era tento tempo per saperne di più.

Voce di donna anziana "A Mathausen, per un anno. Hanno visto subito che tuo nonno sapeva disegnare, e lo misero a lavorare per loro. Non ha mai voluto parlarne: ha lottato con il suo mestiere, con quello si è salvato, dico io. Dopo un anno era in stazione a Milano, e chi andò a riprenderselo continuava cercarlo tra la gente, non riusciva a riconoscerlo. A quel punto, cosa è successo? Le sue orecchie hanno fatto la Resistenza più di tutto, perché quelle non erano cambiate, quelle erano rimaste un po’ a sventola. Solo da quelle lo riconobbero, solo per quelle si convinsero che era lui e se lo portarono a casa.”

Ma io avrei dovuto fare più domande.


Giulia D’Amico
La Resistenza. Racconto per Radio Popolare

RAGAZZA In libreria, una di quelle molto affollate. Mi imbatto in un libro. Sono nello scaffale “Storia”. Non è molto grande lo scaffale e anche il negozio è piccolo, ma ad un primo sguardo ben fornito. Sono lì per un motivo: un libro, è chiaro, di cui ho sentito parlare. Sono certa di trovarlo. E infatti… dopo pochi minuti è fra le mie mani, in attesa alla cassa e poi ancora insieme nella confusione del Centro. Andiamo a casa, il mio piccolo appartamento da studente in viale Umbria. Mostro l’acquisto alla mia coinquilina. “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana” e legge il titolo con un tono che non saprei definire, di stupore, forse; ma lo sfoglia senza attenzione, né riguardo per la carta. Mi chiede se devo preparare un esame sulla Resistenza. No, nessun esame. Vedo una smorfia sul suo volto: storce sempre la bocca quando è perplessa e poi accende la televisione; appunto… Mi riprendo il libro come per proteggerlo da mani insensibili e mi chiudo in camera: finalmente sola! Sfoglio le sue pagine ruvide e sottili, osservo la copertina.

LIBRO “Il mio ultimo pensiero è per voi. W ITALIA”.

RAGAZZA la scritta in rosso m’aveva subito colpito anche al negozio. Provo timore di quella calligrafia, dei segni color sangue. E d’improvviso il libro diventa pesante, i gomiti sprofondano nel letto e ripenso alla mia coinquilina che non ha capito. Ogni libro è prezioso, ma questo....

LIBRO “Questo non è un libro, […] ma un’azione: l’ultima azione di 112 condannati a morte i quali conclusero la loro parte di lotta nei seicento giorni della Resistenza italiana comunicando ai familiari o ai compagni un’estrema notizia di sé, un addio, un mandato, un sigillo ideale.”

RAGAZZA prima di ogni lettera, poche righe riassumono la vita del condannato: dove e quando è stato catturato, lo svolgersi del processo, il luogo dell’esecuzione… Conosco alcuni di questi nomi, ma i più sono a me sconosciuti, forse a tutti. Chi era Roberto Giardino?

LIBRO “…di anni 22…”.

RAGAZZA uno della mia età.

LIBRO “…meccanico…”.

RAGAZZA che lavorava.

LIBRO “…nato a Milano il 22 febbraio 1922. Partigiano nella Squadra “Stella Rossa” della Brigata del Fronte della Gioventù, operante in Milano. Arrestato il 7 dicembre 1944 in viale Umbria a Milano da elementi della legione Autonoma…”

RAGAZZA Io abito in viale Umbria! Corro in cucina ed apro il balcone: un attimo e i rumori della città invadono il piccolo appartamento. Leggo le poche righe che Roberto Giardino ha indirizzato ai propri genitori. Parole, mi dico, che mai... Alle mie spalle una voce mi chiama: “ma cosa fai? Chiudi che non sento!” Già, la mia coinquilina sta guardando la televisione e col traffico... Accosto le porte in vetro e torno alle parole di Roberto Giardino. Parole, mi dico, che sono testimonianza. Guardo giù, affacciata alla ringhiera del mio balcone in viale Umbria. A quale angolo della strada è stato fermato? Macchine, semafori, la novanta come sempre affollatissima, guardo le persone che attraversano la strada e che non sanno, che non hanno memoria di quel giovane. Come me, del resto, le uniche cose che so di lui sono su questa pagina.

LIBRO “…processato il 12 gennaio 1945 per appartenenza a bande armate. Fucilato il 14 gennaio al campo sportivo Giurati di Milano…”.

RAGAZZA Non sono mai stata a questo campo sportivo, esiste ancora? E mi chiedo se lì c’è memoria della sua fucilazione, una targa col nome. Sfoglio il libro e leggo altri nomi, altri paesi e città d’Italia e parole...

LIBRO “…muoio cosciente di aver compiuto il mio dovere sino all’ultimo e senza alcun rimorso di coscienza circa il mio modo d’agire, tutto dedito ad un ideale: la Patria…”

RAGAZZA La Patria con la P maiuscola.

LIBRO “…se voi mi vedeste in questo momento sembra che io vada ad uno sposalizio, dunque su coraggio, combattete per una idea sola, Italia libera.”

RAGAZZA Sorrido e vorrei gridare: GRAZIE! Ma nella confusione del traffico di pomeriggio non un solo passante si volterebbe. Amareggiata chiudo la finestra e sfoglio ancora le pagine del libro. Leggo senza ordine, in terra, sul pavimento della cucina.

LIBRO “…dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli...”

RAGAZZA Ancora una volta sento lo sguardo attonito della mia coinquilina. Mi sento quasi costretta a giustificarmi: mi piace leggere in terra, è più fresco! Ma lei continua a scrutare il libro che tengo fra le mani; ingenuamente, mi chiede se è triste. No, le rispondo. Insieme guardiamo il telegiornale, mi offre dei pop-corn come merenda. Accetto. E mentre mangio ascolto l’ennesima notizia di un attentato: un ragazzo che una mattina si è svegliato e ha incontrato la morte per difendere la libertà del suo paese. Mi chiudo in camera, ancora una volta, con il libro sulla Resistenza italiana e ricomincio a leggere.


Marco Di Stefano
Di corsa

Mi sveglio. Come tutte le mattine apro gli occhi, mi gratto la faccia e scosto le coperte. Attraverso le tende passa una luce gentile. È una domenica di fine marzo, fresca, ma piena di sole. Una di quelle domeniche in cui si va a correre. Dal mio letto sento l’odore forte del caffè appena fatto. Dio benedica le mamme. Mi alzo e faccio colazione lentamente. Indosso la tuta d’ordinanza, prendo patente e chiavi della macchina. Ho voglia di correre sulla Martesana. Partenza da via Monfalcone, poi con calma per via Carnia, solito giro per vie a senso unico e parcheggio in via Prinetti. Lascio la patente in macchina e lego le chiavi all’elastico della tuta. Sono pronto. Taglio per il parco, passando a fianco dell’Anfiteatro. Vado verso viale Monza. Inizio a sudare mentre dispenso sorrisi a tutti i cani che incontro. Adoro la Martesana. L’aria è diversa dal resto di tutta Milano: i bambini giocano senza paura delle macchine, le coppiette si tengono per mano senza litigare mai e le biciclette ti regalano una porzione di vento ogni volta che ti passano vicino. Chi corre lo fa per scelta. Quando corri lungo il Naviglio ti dimentichi di tutto, anche dell’imbecille a cui avresti volentieri spaccato la testa la sera prima in birreria. Ti senti come un globulo rosso che viene trascinato lungo una vena. Ti lasci andare. Il Naviglio Martesana è la giugulare della zona nord-est di Milano e scorre dritto, senza interruzioni, da via Padova a via Melchiorre Gioia. Piazza dei Piccoli Martiri si apre come un’emorragia interna a metà strada. Ci sarò passato davanti centinaia di volte, ma stavolta sento il bisogno di fermarmi. Sto correndo da meno di cinque minuti, ma mi fermo lo stesso. Subito l’aria cambia. Mi rendo conto di essere l’unico ad essersi fermato. Tutti gli altri attraversano la piazza velocemente, come se fossero obbligati a passare da lì. Tutti vogliono dimenticare e per quei 40-50 metri di strada indossano una benda sugli occhi. Li capisco.
Piazza dei Piccoli Martiri deve il suo nome a uno degli atti più crudeli e insensati della seconda guerra mondiale: il bombardamento della scuola elementare di Gorla. Nell’ottobre del 1944 uno squadrone anglo-americano che doveva distruggere la Breda sbagliò la rotta di 22 gradi. Il comandante doveva decidere se effettuare un pericoloso rientro alla base con le bombe armate ancora a bordo o se dirottare gli aerei in aperta campagna, per scaricare gli ordigni. Fece di peggio: decise di sganciare le bombe pur essendo fuori bersaglio. Bombardarono i civili di Gorla. Gente che li chiamava “liberatori”. Morirono in centinaia, compresi circa 200 bambini tra i sei e gli undici anni. “Circa 200” perché nessuno sa dire con esattezza quanti fossero: qualcuno dice 174, altri dicono 232. 184. Poco più di 200. E’ il calcolo approssimativo della morte. Ci siamo abituati. Erano “circa 200” bambini che probabilmente disegnavano bandierine americane e inglesi sui loro quaderni. La loro scuola elementare fu centrata in pieno dai “Liberatori”.
Sono in piedi davanti al monumento che testimonia la strage. Una figura incappucciata tiene in braccio un fanciullo morto. “Ecco la guerra”, recita una scritta. Mi ricorda una donna afgana che piange il proprio figlio. “Ecco la guerra”. Sì, perché la guerra è uguale dappertutto: a Milano, a Kabul, a Baghdad. Il fuoco amico uccide, proprio come quello nemico. Mentre i grandi si sparano, i bambini vanno a scuola. I bambini resistono. Mentre i loro genitori imbracciano un fucile, i bambini continuano a giocare, a farsi i dispetti, a piangere per una pallonata. Non lo sanno, ma anche loro sono partigiani.
Davanti al monumento, seduta sul marciapiede, c’è una ragazza sui vent’anni. Ha i capelli scuri e porta gli occhiali. Indossa dei jeans e una maglietta a righe orizzontali bianche e blu. Sta leggendo un libro e un gatto randagio si strofina contro le sue gambe. La guardo e sorrido. Dopo un attimo anche lei mi guarda e risponde al sorriso. È bellissima. Abbasso lo sguardo per un secondo e quando lo rialzo lei non c’è più. È la prima volta che vedo un angelo. Il gatto viene verso di me e si mette a fare le fusa. Lo accarezzo fino a quando non decide di corteggiare la gattina di turno. Saluto i Piccoli Partigiani di Gorla e ricomincio a correre.


Giorgia Toso
Passi (marzo 2005)


Io non c’ero durante la resistenza, non ero ancora nata e quindi non c’ero. Io non c’ero, ma ci sono oggi. Io non c’ero, ma ci sono nei racconti di allora che ascolto oggi, quindi è come se ci sono allora e ci fossi oggi; come quando passeggio per il mio paese, imbocco una via e so che sto camminando in via Renato Colli e che lui, Renato Colli è stato prima di tutto azzatese come me, e poi partigiano, c’è scritto sul cartello: via Renato Colli (e un po’ più in basso, sopra una strisciolina blu) partigiano. Chi sa se anche lui avrà percorso questa strada? Via Renato Colli, sarà mai stata percorsa da Renato Colli? Si tratta di una strada piuttosto importante: unisce la Provinciale al cuore del paese. Io non c’ero, come posso sapere se lui abbia mai percorso questa strada? Non sono una testimone del suo passaggio. Non sono una portatrice di testimonianze di chi è stato testimone. I miei percorsi di testimonianza attraversano vie, piazze, racconti, lezioni, libri come La ragazza di Bube o Il sentiero dei nidi di ragno. Sì, quest’ultimo mi è piaciuto in modo particolare e dopo averlo letto mi sono chiesta: ma poi, quanta gente avrà camminato su quel sentiero? E in che modo? Come io cammino per le vie del mio paese o come? Penso che i passi si differenzino dai tragitti e dalle intenzioni nel percorrerli. Immagino quel sentiero di resistenza percorso con straziante quotidianità da passi che hanno sfidano la neve, il fango, il vento, la pioggia, piove. Passi in stivali, passi in sandali, passi scalzi, passi in zoccoli, zoccoli. Passi veloci, passi corridori, passi furtivi, passi vigili, passi nascosti, passi bui, buio. Passi affaticati, passi assonnati, passi stanchi, passi per resistere. Passi per resistere alla quotidianità che aspetta l’azione, la vera azione, quella che tutti ricordano, quella che i più si aspettano, quella grazie alla quale chiamano una via col tuo nome: morire, ecco l’azione più evidente: morire o almeno scomparire sulle montagne, dietro una collina. Andarsene facendo passi di resistenza, resistenza alla fame, al freddo, alla malattia, alla lontananza, alla paura. Passi che hanno resistito all’assenza dell’amico, della famiglia, dell’affetto, del sorriso. Passi che anche alla presenza del nemico hanno continuato su quel sentiero fangoso. Passi in punta di piedi, passi sui talloni, passi di traverso. Passi guidati da bussole, passi guidati da bossoli. Passi sudati, passi feriti, passi insanguinati, sangue. Passi decisi, determinati, sicuri, convinti. Passi che si incontrano, che s’interrogano, che si trovano, che si riflettono, che s’innamorano, anche. Passi indecisi, dubbiosi, titubanti, traditori, a volte. Passi che odorano di polvere da sparo, di polenta, di polline.
Passi di tutti quelli che con quotidiana fatica hanno percorso quel sentiero, il sentiero della resistenza. E di questi sentieri ne sono stati tracciati un po’ dovunque,
non solo dalle grandi città alle montagne, ma anche, dalla campagna alle montagne. Così è successo nel mio silenzioso paese da dove, raccontano, un giorno un giovane uomo, un gran camminatore, decise di dare una direzione molto precisa ai suoi passi. Iniziò ad appoggiare un piede dopo l’altro puntando sempre verso le montagne. I suoi passi prima insicuri e guardinghi divennero in poco tempo determinati, costanti e pronti all’azione. Un piede davanti all’altro, un piede dopo l’altro, un piede e l’altro, un due, un due e i suoi passi si trasformarono presto in corsa, e correva tracciando nuovi sentieri, percorrendo i vecchi, che lo portavano sempre in quella direzione. E la sua corsa sembra non sia mai finita.
Una via del mio paese, oggi, porta il suo nome: via Renato Colli, si tratta di una via secondaria, ma importante; conduce dalla Provinciale nel centro del paese, inizia con una breve discesa, poi si trasforma in pianura, quindi si stringe e lentamente sale, sale e diventa ripidissima, ma lì, ormai sei già nel cuore del paese. Una strada secondaria via Renato Colli, una strada che unisce la Grande Storia al cuore di un paese.

Lungo questa via oggi camminano centinaia di passi, passi giovani, anziani, passi indifferenti, frettolosi, stanchi, allegri, passi. Passi di oggi che percorrono i sentieri di ieri e passi di ieri che tracciano le vie di oggi.


 


 

L'urlo di Bobò contro la maschera del potere
Una intervista con Pippo Delbono
di Andrea Lanini

 
Urlo come espressione di dolore e di sconfitta, ma anche segnale di un desiderio inconscio di spiritualità che è parte della natura umana. Urlo come straziante lacerazione provocata dalle sopraffazioni del potere e dalle sue applicazioni distorte, e allo stesso tempo paradigma di una sublimazione necessaria, di un vitale percorso di scoperta. L’ultimo spettacolo di Pippo Delbono racchiude tutte queste componenti, e le rende visibili al pubblico attraverso una contaminazione di generi e culture che tende a recuperare e concretizzare il senso sfuggente dei lati più misteriosi della vita. La gestualità che vive della multiforme espressività della danza, una scenografia che recupera i codici stilistici della scultura e della pittura – chiari i riferimenti all’espressionismo lancinante di Bacon, alle visioni apocalittiche delle avanguardie – , una straordinaria compagnia composta da interpreti dalla storia diversissima (sullo stesso palco convivono la classe di un grande della nostra tradizione teatrale come Umberto Orsini e l’arte di Bobò, attore microcefalo che in scena abbandona le ferite della vita per diventare un magistrale interprete e il simbolo stesso del lavoro di Delbono), le parole di Oscar Wilde e Allen Ginsberg che collaborano con la musica (da quella graffiante e struggente di Giovanna Marini a quella della Banda del Testaccio, dal contrappunto della grande polifonia del repertorio sacro ai refrain dei successi che si trovavano nei jukebox degli anni Sessanta) per raggiungere una pienezza di significato che non si può pretendere di capire fino in fondo: tutti questi elementi si incontrano in un’opera che diviene rito, azione fatta di non-parole e non-significati, un percorso emozionale che lo spettatore deve vivere come un processo cognitivo che ha per oggetto l’uomo. Abbiamo chiesto all’attore-autore-regista di raccontarci ciò che sta dietro a un lavoro la cui fortuna è iniziata col trionfo all’ultimo Festival di Avignone e che sta continuando per tutta Europa.

Urlo lancia un segnale che si scaglia contro certi poteri, ma il suo senso profondo non si esaurisce nella protesta…

Sicuramente no; lo spettacolo parla dell’essere umano nella sua complessità: ci sono anche dei contenuti politici, accuse a certi processi che finiscono per negare la dignità e il buon senso, ma non solo. Credo sia riduttivo limitarsi a denigrare e criticare l’esterno quando tu stesso sei partecipe di un meccanismo di malattia che ti coinvolge e del quale magari sei anche responsabile. Urlo va alla ricerca di un non-vissuto, di un sentimento profondo dell’esistenza, ma senza pretendere di aver capito chi sono i buoni e chi i cattivi, di mostrare la presunzione di saper distinguere in maniera definitiva il bene dal male. Il teatro è sempre uno specchio in cui si riflette anche lo stato d’animo dello spettatore, e la reazione del pubblico a Urlo è sempre molto forte.

Quali sono le declinazioni del potere che ti spaventano di più?

Quelle che vanno a intaccare delle zone che appartengono ad una spiritualità che dovrebbe essere la zona più pura e libera dell’essere umano. A volte il potere snatura la spiritualità facendola diventare conservatorismo, morale, paura di conoscere se stessi fino in fondo. A ciò esiste una possibilità e un desiderio di riscatto che sono una parte importante dello spettacolo: il grido che emerge è anche un grido di spiritualità. Talvolta si è detto – ingenuamente, per la verità – che questo spettacolo è contro la chiesa. Non è vero. Questo però non esclude che su certi temi sarebbe necessario fare un po’ di autocritica. Ci sono stati dei momenti in cui si è preferito “fare finta di… ”: abbiamo preferito fare finta che nulla accadesse, nonostante nel mondo ci fossero (e ci siano tuttora) milioni di persone che muoiono di aids perché le multinazionali che producono le medicine che funzionano non le lasciano fabbricare. Avremmo dovuto scendere nelle piazze e urlare che si lasciava morire l’Africa. Nonostante esista questo orribile contagio, c’è una religione che dice “Non usate il preservativo”… questo non è religione, è fanatismo. Bisognerebbe urlare contro queste cose, ed avere la saggezza di riconoscere che, in certi campi, abbiamo aperto anche delle ferite. Avere la forza di fare questo vuol dire trovare vera spiritualità: lo spettacolo va ad aprire anche queste zone.

Il tuo lavoro nasce sempre dall’incontro di ambiti diversi che sul palco trovano un loro equilibrio: in Urlo c’è la visionarietà dell’espressionismo che incontra la poesia dei personaggi felliniani, la classe attoriale di Umberto Orsini che affianca la straordinaria ed enigmatica espressività di Bobò, i suoni indistinguibili di lamenti di dolore e gridi di rabbia che si fondono con la voce di Giovanna Marini e con la polifonia vocale del Cinquecento. La ricerca dei significati pare non poter emerge che dalla contaminazione…

I miei spettacoli avvicinano diverse componenti che arrivano da territori spesso lontani tra loro: l’obiettivo è quello di oggettivare delle cose che sono incomprensibili e che non sono esprimibili attraverso la parola. Ecco che allora arrivano la musica, la danza, la pittura: il loro incontro genera esplosioni che servono a portarti in altre zone. Tutto questo permette di creare un viaggio che è essenzialmente emotivo, e che non si può pretendere di comprendere del tutto. Credo che una persona non debba pensare di andare a vedere uno spettacolo con l’intenzione di volerlo capire fino in fondo. Il comandamento che spinge alla comprensione a tutti i costi preclude delle possibilità di scoprire cose nuove. Urlo richiede questo tipo di attenzione: di farsi catturare da qualcosa che magari diventa più grande di te: di sicuro è diventato più grande di me che l’ho fatto; da attore, recitandolo, mi accorgo con piacere che io stesso non lo capisco più del tutto. Da un certo punto in poi mi viene da chiedermi chi abbia fatto quella roba che mi trovo davanti. Questo mi porta a concentrarmi sullo stare lì, sul palco: cerco di ritrovare quell’incoscienza che un personaggio straordinario come Bobò riesce ad esprimere in modo naturale e sublime. Bobò è il simbolo di quest’opera.

Che tipo di meccanismi deve imparare a gestire un artista che diventa interprete della sua stessa creazione? Con quali sensazioni viene a contatto?

Essere dentro un’opera come attore ti permette di capire cose che non potresti comprendere limitandoti ad essere autore. Credo che far incontrare questi due percorsi – per certi versi assolutamente distanti – sia fondamentale. Nel momento in cui entro in scena capisco, intuisco - con lo stomaco, con i livelli più profondi, col movimento – cose e sfumature che non avrei potuto mai afferrare se fossi rimasto seduto in poltrona. Nel mio lavoro c’è una fase assolutamente importante: quando lo spettacolo si avvia ad essere pronto – anche se niente è mai pronto del tutto, niente è mai finito – io cerco di dimenticarlo e di recuperarlo da una nuova dimensione, quella di interprete. Imparo a viverlo dalla scena, abbandonandomi ad una condizione particolare, fatta di attenzione totale e libertà mentale allo stesso tempo. Se continui ad essere sempre un po’ regista mentre reciti, senti che qualcosa non funziona. Ma solo dopo del tempo riesco a recuperare di sentirmi lì come gli altri parte di un unico meccanismo: quando questo accade lo spettacolo non è più tuo, ma del pubblico. Quando sei attore devi dimenticare il processo creativo che sta dietro all’opera: partecipi a un rito, e lo fai con la fragilità e l’incoscienza che ti accomuna a tutti gli altri.

I tuoi spettacoli girano costantemente per l’Europa e non solo, e ogni tipo di pubblico è una storia a sé: che differenze di reazioni hai incontrato, da un Paese all’altro, nei confronti del tuo lavoro?

L’Italia è l’unico Paese dove ogni tanto, quando in Urlo arriva sul palco la figura papale seguita dalle suore, qualcuno si alza e se ne va. In Germania o in Francia non è mai successo. Direi che il fenomeno dello scandalizzarsi è più italiano. Credo che noi siamo imbevuti di una paura di dirsi la verità, di vederla in faccia. I miei spettacoli hanno avuto delle rappresentazioni bellissime a Berlino: la reazione del pubblico berlinese è stata molto forte; ho sentito chiaramente una profondità rispetto alla spiritualità, al bisogno di interrogarsi sulla vita, sulla morte, sul senso dell’esistere. In Germania tutto questo si è avvertito in modo particolarmente forte: credo che ciò sia dovuto a un percorso filosofico, nato dalla necessità di rimettersi in discussione, che questo popolo ha intrapreso dopo gli orrori della guerra.

Da anni lavori con la stessa compagnia: al suo interno cresci i tuoi spettacoli, e la porti in giro per il modo per rappresentarli. In anni come questi la tua scelta appare sempre più un atto di coraggio, oltre che di passione: quali sono le difficoltà che la gestione di un gruppo così numeroso comporta?

Il percorso legato a questo gruppo non può che nascere dalla voglia di mettersi costantemente in gioco. Non è facile far vivere una compagnia: spesso è una lotta. Hai una parte di te che sarebbe tentata di seguire strade più facili, come per esempio fare i provini per gli spettacoli (come la maggior parte dei registi fa abitualmente). Molti mi dicono che la compagnia incarna un concetto un po’ perduto: ma noi abbiamo scelto di fare questo, perché anche in ciò esiste una rivoluzione. La compagnia vive sulla lotta per crescere insieme, una lotta difficile: ma è un campo d’azione importante, perché quell’umanità che cerchi di trasmettere al pubblico – non voglio dire che arrivi a raggiungerla, non si raggiunge mai niente –, all’interno di un gruppo che condivide molti aspetti della vita, diventa più vicina.

Il tuo gruppo racchiude e armonizza tante diversità e tante lontananze, così come il tuo lavoro: le persone che sono con te hanno storie di vita diversissime, i loro stessi corpi lasciano subito intuire un’urgenza di cercare punti di contatto tra territori antitetici. Come ha influito questa particolare condizione sul vostro teatro?

Ci ha aiutato molto. Quando parti con persone che hanno grandissime differenze per condizione sociale, fisica, economica, ti rendi conto che devi scendere a patti con l’idea di differenza, che devi fare i conti con lei. Ma poi cominci a lavorare, a spostarti per il mondo, e piano piano ti accorgi che le differenze non rimangono sempre tali: progressivamente mutano, fino al punto che finisci per riconoscerle come punti di unione. La lontananza e la differenza si trasformano in qualcosa che accomuna e unisce, e questo è incredibile. A volte, invece, ti può capitare di iniziare un lavoro con persone che sembrano avere le stesse caratteristiche, le stesse carte in regola, e accorgerti col tempo che ciò che emerge dal rapporto con loro è fatto soprattutto di differenze. Questo nel mondo del teatro succede spesso.

Nel ’97, l’anno di Barboni, la compagnia ha aperto le porte a persone incontrate per strada, o durante laboratori tenuti in strutture psichiatriche e riabilitative: alcune di loro, come Nelson e Bobò, sono diventate il simbolo del vostro percorso…

Sono stati incontri straordinari. Ogni incontro è bello. L’incontro con Bobò è stata una rivelazione: per me lui rappresenta il grande mistero. E’una persona che nella vita ha tantissimi problemi, che va aiutata, coccolata, ma che sul palco riesce a circondarsi di un’aura enorme. Anche Umberto Orsini dice sempre che Bobò ha lo stesso carisma che hanno avuto i grandi interpreti della tradizione, come Eduardo. Lui è in grado di far restare in silenzio assoluto una platea di 1000 persone senza fare nulla. Io faccio ancora fatica a spiegare che cosa ha di particolare questo artista. Il fatto è che è difficile parlarne: Bobò ha con sé dei grandi segreti dello stare sulla scena; quando è sul palco ha in mano quella possibilità di trovare il piccolo segno, il piccolo gesto, il movimento impercettibile, e il pubblico lo percepisce subito. Quando lo vidi, 8 anni fa, capii che aveva qualcosa di straordinario come attore: prima o poi scriverò un libro su di lui, anche se nessun trattato riuscirà mai a spiegare il mistero che lo circonda.

Il tuo prossimo lavoro sarà un film. Che possibilità offre il nostro paese a pellicole - come Guerra, il tuo primo film – che si pongono fuori dagli schemi del mercato, che propongono un tipo di narrazione e di codici che si ama definire “sperimentali”?

Un film come Guerra, che pure ha vinto molti premi, in Francia ha girato molto, mentre in Italia ha sofferto un po’ di più: diciamo che non è mai entrato in un vero circuito. Guarda, per farti capire come vedo il cinema in Italia, torno a parlare per un attimo di teatro. Nel nostro Paese ho lottato tanti anni contro il tentativo di includere e catalogare il mio lavoro nel teatro di ricerca, contro l’etichetta di “teatro di ricerca”: queste sono categorie culturali che lascio volentieri ai direttori. Ma dove è andata a finire la povera ricerca italiana? Non esiste più, ormai ci siamo totalmente impoveriti, e la situazione è piuttosto drammatica. E credo che sia fin troppo facile attribuire la colpa a questo o a quel governo: c’è una responsabilità collettiva molto grossa. Molti anni fa sono state create delle categorie e delle lobby pericolosissime, il teatro stesso ha contribuito a fondarle: lo ha fatto il teatro di marchetta, lo ha fatto il teatro chic – intellettuale - di ricerca. Tutti noi siamo responsabili di questo processo che ci ha portato a diventare degli automi fuori della vita. E inoltre ci siamo trovati in un’Italia che è diventata quella che è diventata. Nel cinema la situazione è probabilmente ancora più difficile: credo che ancora per molti anni apparterrò alla categoria del cinema “sperimentale”. Il fatto è che il cinema muove meccanismi di molti soldi: io, solo perché ho scelto di fare un film senza la sceneggiatura da presentare a un produttore che doveva dire “Sì, va bene, taglia qui, taglia là” ho dovuto fare un film con un budget ridottissimo. Se scegli un percorso non convenzionale il film devi farlo con un ventesimo di budget: sempre se ti va bene, ovviamente, perché altrimenti non lo fai neppure. Io sono un testone, e sono riuscito a fare il mio nuovo film grazie ad amici che hanno sostenuto questo progetto. Direi che in Italia, in generale, si preferisce la mediocrità: la parola “sperimentale” fa comodo, ma in realtà tutto dovrebbe essere sperimentale. L’arte “è” sperimentale, lo è per definizione: Dante Alighieri, i grandi artisti di ogni tempo, i grandi maestri, sono stati sperimentatori. Oggi quando sento la parola “sperimentale” mi viene la pelle d’oca, perché non capisco che significa: non capisco come non si decida a cambiare mestiere chi è stanco di sperimentare. Per fortuna, almeno nel teatro, non si dice più “Faccio cose sperimentali”. L’unica distinzione possibile, secondo me, è tra cose morte e cose che vogliono cercare di essere vive: tutto lì! Bisognerebbe sempre cercare di non far niente di morto, di non tentare nuove vie andando a riesumare cadaveri. Perché ciò che conta è la necessità per cui fai delle cose, non l’opportunità: se hai una necessità sei per forza sperimentale. La necessità è un grido che va verso il futuro.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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I Giardini Pensili e Roberto Paci Dalò festeggiano vent'anni di attività (tecno)artistica
Un testo e un film a Rimini
di Anna Maria Monteverdi

 


 
Roberto Paci Dalò-Giardini Pensili festeggiano quest'anno vent'anni di attività tra Bologna (Dams), Rimini (Teatro degli Atti) e Roma (Teatro Vascello), con una lunga serie di incontri, retrospettive, spettacoli e laboratori; a Rimini il 7 maggio verrà proiettato il nuovo film (Elegia italiana) e presentato il volume dedicato alla compagnia, Pneuma, con il contributo critico di Savina Fosca Fragliasso.
La galassia artistica di Giardini Pensili-Roberto Paci Dalò è estremamente varia: polifonica e proteiforme, abbraccia varie scritture, vari linguaggi, si incarna in vari format artistici ma parte fondamentalmente dalla musica per approdare al territorio dell’immagine e del suono nel suo senso più ampio, di spazio sonoro. Immagine e suono intimamente collegati tra loro e indagati nella loro morfogenesi esplorando il territorio del digitale (ma non in senso esclusivo) che li accomuna sia come processo di creazione che di trasformazione, sia come canale di diffusione on line. Le sue sono installazioni suono-video interattive, film, opere radiofoniche e spettacoli anche in diretta web, spazializzazioni sonore, concerti scenici o spettacoli con uso di disegni, materiale video o filmico trattato e mixato digitalmente in tempo reale.
Oltre alle importantissime collaborazioni con Isabella Bordoni, Sandro Lombardi, Luca Ruzza, Anna Bonaiuto, Marcello Sambati, Gabriele Frasca, Tullio Brunone, Toccafondi, i riferimenti diretti e indiretti che è possibile cogliere dalle sue opere - tra antenati, capiscuola e compagni di strada- sono molteplici, da Ryoij Ikeda per il suono sintetico a Laurie Anderson, straordinaria interprete dell’arte multimediale con Home of the Brave a John Cage conosciuto da Paci Dalò in occasione di uno dei suoi soggiorni statunitensi. Per l’uso delle immagini di repertorio in Italia anno zero (2004) recente concerto scenico sul Fascismo italiano che indaga nella trama profonda di immagini d'archivio del Ventennio per svelare la retorica del regime -tecnica che Paci Dalò estende anche al suono con la sintesi granulare- il riferimento è a Gianikian e Ricci Lucchi e al loro lavoro di ricerca di filmati dispersi (found footage) e alla loro idea di “ri-fotografare la storia”, isolando particolari di un fotogramma come al microscopio.

COMPOSIZIONE
Il Teatro di Giardini Pensili è, come ricordava Filiberto Menna, un esempio di nuova Opera d’Arte Totale, ovvero un Teatro dell’ascolto, Teatro dei sensi, un teatro musicale; queste sottolineature di un teatro come impegno per l’occhio e l’orecchio sembrano riferimenti precisi ad alcune affermazioni di Cage; “un concerto è un’attività teatrale” o a Kandinsky che parlava della necessità a teatro di una composizione scenica che potesse mettere in luce le famose “corrispondenze”: “sentire i colori e vedere la musica”. Paci Dalò ama definire le sue opere composizioni anche e soprattutto in riferimento al teatro. Arte visiva e teatro costruiti come alchimie compositive di materie diverse disponibili alla trasformazione magari con minima variazione; teatro come un campo di forze che tende a una forma ritmica complessiva: visiva, sonora e performativa. In Animalie la parola del filosofo Agamben campionata, accostata ai rumori di animali, i disegni di Oreste Zevola che sembrano incisioni, si uniscono ai gesti minimali della performer ripetuti e poi moltiplicati grazie alla loro cattura via webcam e al suo corpo restituito frammentato dallo specchio generando geometrie di colore e una vera composizione astratta contenente un armonico movimento interno: un ritmo di nero e rosso.

IMMERSIONE
Immersione partecipativa, questo uno degli obiettivi dei lavori di Paci Dalò, ed è legato in qualche modo alla teoria del paesaggio sonoro di Murray Schafer e alla strategia della territorializzazione: la sua opera non è contenuta nello spazio ma è lo spazio, così come lo spettatore partecipa all’interno dell’opera-ambiente. E’ ricercata l’attenzione dello spettatore sollecitata attraverso la sua inclusione dentro l’azione, nell’evento spettacolare inteso come spazio dinamico, perché le immagini e i suoni lo inseguono, fluttuando, ruotando con una moltiplicazione anche di forme visive catturate in diretta: Metrodora, Mishmal Hashmal hanno dettagli di volti, un gioco di sovrapposizioni costanti come un sogno o un ricordo a occhi aperti; un continuo gioco di incrostazioni, un affresco dove le immagini non sono che sinopie, strati di immagini che affiorano a tratti. In Stelle della sera c’è una costante ricerca del coinvolgimento fisico percettivo: Paci Dalò parla in questo caso della ricerca di “iperstimolazioni sensoriali” non solo attraverso il video ma anche attraverso luci e suoni. Suoni costruiti con frequenze anomale estremamente gravi e sovracute e distribuite intorno al pubblico, avvolgendolo attraverso sistemi di spazializzazione multicanali, come nel caso di Metamorfosi con Anna Bonaiuto. Anche in Italia anno zero Paci Dalò ha lavorato sulla psicoacustica, sulla percezione, sulle frequenze subliminali, sugli ultrasuoni.

ESTETICA DEL PROCESSO
Paci Dalò crea processi aperti e interminabili che non si fissano cioè in una forma definitiva: spettacoli che diventano video, film, opere radiofoniche, cd musicali, libri, dvd, sito web. L'artista parla di una trasmigrazione di materiali da un territorio all’altro. Una metamorfosi continua o una continua reinvenzione del segno artistico che è uno sperimentare le infinite possibilità del digitale. Paci Dalò prevede molto spesso un prolungamento in web del teatro attraverso la connessione on line per sperimentare diversi luoghi o diversi non-luoghi di partecipazione inseguendo l’utopia di un terreno di gioco-di azione interattivo aperto a una dimensione senza frontiere (radio e video on web), un altrove solcato dalla dismisura delle reti e soprattutto sperimentando creativamente la modalità multimodale ricevente-emittente dell’utente web. Il primo esperimento in questa direzione era il concerto in simultanea interattiva del 1993 LA LUNGA NOTTE con vari ponti radio. Modalità che ha il suo precedente solo in Telenoia di Roy Ascott del 1992, performance mondiale durata 24 ore che connetteva attraverso tutte le forme dell’epoca bbs fax, videofono teletext artisti che si scambiavano musica poesia immagini.

ARCHITETTURE
Il suo teatro è un paesaggio, ma un paesaggio minimale -anche quando tenta di conquistare la dimensione smisurata, fuori scala della rete, quando fa mappature o campionature sonore di città come Berlino, Venezia, Linz, Roma e Napoli-. Un paesaggio di una metropoli piccola in cui è possibile cogliere quel particolare tipo di distanza che è la prossimità. C'è nel lavoro di Giardini Pensili una congerie di paesaggi sonori (soundscapes), di studi di città e di relativi rilevamenti di ambienti acustici, di geografie visibili e invisibili, architetture urbane immaginarie o reali (le architetture dell'Eur, il Colosseo quadrato in Metamorfosi), architetture sonore, architetture connettive, così come sono presenti topografie e cartografie (in Il Cartografo). Blue stories è definito dall'autore live cinema: Live cinema sta per simultaneità di suoni e immagini in tempo reale. I parametri tradizionali di cinema narrativo sono espansi a un concetto più ampio di “spazio cinematografico” il cui focus non è più la costruzione fotografica della realtà vista dall’occhio della telecamera né la costruzione di forme lineari di narrazione visiva. Blue stories è una vera opera in movimento dove gli eventi vengono registrati in un on the road vissuto come una ininterrotta deriva psicogeografica (non a caso in questo progetto è vicino al gruppo Stalker); oggetti o squarci di città colti nel loro accadere. Immagini che testimoniano unicamente un esserci o un esserci stato e una non strutturazione definita, una sorta di interpretazione video dell’indeterminatezza cagiana. Blue Story è un istant city in cui il farsi dell’opera coincide con l’opera stessa, ed essa avviene durante il viaggio per il raggiungimento del luogo o durante la permanenza nel luogo stesso. Le architetture urbane visitate non sono contenitori transitori e neutri, inerti, ma sono sede stessa del lavoro e del suo senso. La rappresentazione non è solo la messa in mostra di ciò che l'artista ha visto-vissuto nella città, ma quelle immagini vengono rianimate e riattivate in scena attraverso il principio del tempo reale, in un live sonoro e visivo in cui esterno e interno si relazionano e comunicano in modi originali.



Metamorfosi.

www.giardini.sm

RIMINI, TEATRO DEGLI ATTI
VENERDI' 6 MAGGIO E SABATO 7 MAGGIO ORE 21
ROBERTO PACI DALO' E GABRIELE FRASCA: "STELLE DELLA SERA"

SABATO 7 MAGGIO ORE 15
LANGUAGE IS A VIRUS. INCONTRO CON ROBERTO PACI DALO'
Intervengono: Savina Fosca Fragliasso, Gabriele Frasca, Roberto Paci Dalò, Sandro Pascucci, Andrea Porcheddu
A seguire proiezione del film Elegia italiana (RPD-Giardini Pensili)


 


 

Libri & altro: i segreti del bravo ufficio stampa, così efficace e così poco molesto
Roberto Canziani, Comunicare spettacolo, Franco Angeli
di Oliviero Ponte di Pino

 



Roberto Canziani è critico teatrale (al "Piccolo" di Trieste) e saggista, collaboratore di numerosi festival e istituzioni, oltre che docente al Dams di Udine. Dunque nel suo curriculum non c’è una esperienza specifica in qualità di ufficio stampa: piuttosto una lunga carriera come vittima delle attenzioni di membri più o meno qualificati della categoria: in quanto giornalista e recensore, prima di tutto, ma spesso anche come collaboratore, incaricato di fornire indicazioni per incrementare la notiziabilità di un evento e materiali informativi che la potessero supportare.
Nel corso di una esperienza ormai quasi trentennale, ha insomma accumulato un notevole patrimonio di informazioni e di esperienze, accompagnato da una riflessione teorico-pedagogica sul problema della comunicazione, che l’ha portato a organizzare e realizzare un volume dedicato a Comunicare spettacolo. Teatro, musica, danza e cinema. Tecniche e strategie per l’ufficio stampa (Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 214, euro 19, 50). E come in molti ambiti analoghi, la sua è in qualche modo una esperienza pionieristica: in questi decenni, da mestiere che si imparava sul campo, pragmaticamente, anche quella della comunicazione d’impresa (e persino in un settore particolarissimo e marginale come lo spettacolo) è diventata una professione e una disciplina.
Progettare un libro di questo genere – e per di più allargato a diverse forme estetiche – implica dunque un notevole sforzo: per raccogliere dati e informazioni, ma anche per organizzarle e dar loro forma. Fondamentale è l’approccio multidisciplinare, con una decina di specialisti (o meglio, di operatori nei diversi ambiti) a mettere a fuoco le diverse peculiarità ed esigenze (Anna Bandettini, Silvia Bergero, Gianfranco Capitta, Simona Carlucci, Antonella Chini, Lia de’ Stefani, Fabrizia Maggi, Francesca Pedroni, Barbara Regondi e Flavia Schiavi). Un altro fattore che aumenta le difficoltà dell’impresa è il rapido mutare dello scenario dei media da un lato (basti pensare all’avvento di internet e delle e-mail) e delle arti dello spettacolo dal vivo dall’altro: diventano dunque impossibile fornire scenari i medio e lungo periodo e ricette sempre valide (al di là di una serie di precetti inevitabilmente assai vaghi, e tuttavia utili soprattutto per i più giovani, che faticano a orientarsi in uno scenario sempre più frastagliato). Ancora, emerge l’esigenza di una etica professionale che – in tempi di conflitti d’interesse – appare sempre più difficile da definire, sia per i giornalisti sia per i professionisti della comunicazione (e della pubblicità).
Aldisotto dell’analisi della situazione attuale sui vari versanti (media, arti, tecniche di comunicazione) e della individuazione di tecniche che possano ottimizzare l’efficacia della comunicazione, oltre le indicazioni pratiche che solo una lunga esperienza professionale può aver distillato, emerge in più di un passo (e soprattutto, ovviamente, nei capitoli iniziali e finali, completati da due interviste a Ugo Volli e Roberto Campagnano) uno nodo altamente problematico: gli effetti della modernizzazione della comunicazione su arti che hanno – come il teatro e la danza – una storia millenaria. Senza però dimenticare il potere del paradosso. Non a caso una delle case histories - anzi, proprio la prima – ricorda che l’invenzione dell’ufficio stampa modernamente inteso riguarda la prima tournée americana dei Ballets Russes di Diaghilev: un successo strepitoso, che portò il suo artefice, Edward Bernays, ebreo viennese appena trapiantato a New York, a diventare il mago della comunicazione di grandi multinazionali e di presidenti degli Stati Uniti e a inventare la moderna comunicazione d’impresa.

Roberto Canziani, Comunicare spettacolo. Teatro, musica, danza e cinema. Tecniche e strategie per l’ufficio stampa , con interventi di Anna Bandettini, Silvia Bergero, Gianfranco Capitta, Simona Carlucci, Antonella Chini, Lia de’ Stefani, Fabrizia Maggi, Francesca Pedroni, Barbara Regondi e Flavia Schiavi e interviste a Ugo Volli e Roberto Campagnano, Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 214, euro 19, 50.


 


 

Anticipazioni: "Senza il pubblico non siamo niente". E con i media?
Comunicare spettacolo di Roberto Canziani, FrancoAngeli, Milano, 2005, pp. 9-11
di Roberto Canziani

 

"Senza il pubblico, noi non siamo niente", spiegava ai partecipanti di un convegno Maddy Morton, consulente di marketing dell'Arts Council britannico. Parlava a nome di chi lavora nelle arti, in particolare le arti dal vivo, le performing arts, che per sopravvivere ed essere fiorenti hanno bisogno del pubblico, di un pubblico in salute.
Il pubblico non si crea col passaparola individuale, e nemmeno affiggendo manifesti per strada. Pubblico non sono soltanto i cento, mille o diecimila spettatori che si trovano riuniti davanti a un palcoscenico. È pubblico di teatro, di musica, di danza, anche chi osserva il lavoro della scena attraverso l'informazione dei giornali, i servizi radiotelevisivi, gli stream informativi di Internet. Accanto a chi vi partecipa direttamente, ogni spettacolo totalizza centinaia di migliaia, a volte milioni di spettatori che lo percepiscono attraverso il sistema dei mezzi informativi: il grande pubblico della ricaduta mediatica. "Senza questo pubblico, noi non siamo niente".

"Lo spettacolo dal vivo si trova oggi in uno stato di accentuata dipendenza dai mezzi di informazione", spiega Ugo Volli tra qualche pagina. Il libro che avete incominciato a leggere è frutto di questa situazione. Quando lo finirete la situazione sarà rimasta la stessa, ma avrete certamente capito che la pervasività dei media può essere trasformata in un vantaggio.
Questo manuale permette di acquisire le tecniche necessarie per comunicare e promuovere spettacoli attraverso stampa, radio, televisioni, rete Internet, e per organizzare strategicamente un ufficio stampa.
Lo spettacolo dal vivo si colloca all'intersezione di pratiche e valori diversi tra loro. E' una pratica comunicativa e una forma d'intrattenimento. E' un manufatto d'arte e un oggetto di mercato. Fa appello a valori storici e culturali largamente condivisi, però è anche un prodotto da vendere. Si appoggia sul talento e sull'originalità degli artisti, ma in molti casi non riesce a prescindere da una struttura aziendale che ne assicuri l'esistenza e il profitto. Non è facile comunicare l'evento-spettacolo, senza rinunciare a qualcuna di queste anime.
Questo manuale si rivolge a coloro che si accingono ad operare, o già operano, nelle professioni dello spettacolo, non tanto sul versante artistico, quanto negli aspetti di organizzazione e comunicazione. Sono profili professionali sempre più richiesti dallo sviluppo dell'infotainment, caratteristica della società occidentale contemporanea che sviluppa l'entertainment, lo spettacolo con l'informazione, e viceversa.
Destinatari principali di Comunicare spettacolo sono i giovani che intendono lavorare nei campi del teatro, della musica dal vivo, della danza, ma anche del cinema, vista la contiguità che esiste tra questi linguaggi, dove l'intuito artistico ha bisogno di coniugarsi a un'intelligenza manageriale.
Questo manuale nasce dal lavoro di addetti stampa e giornalisti che si occupano di spettacolo e che hanno tratto dalla propria pratica, dall'esperienza quotidiana e dal reciproco confronto il sapere che in queste pagine viene trasmesso.
È in corso una importante azione di riconoscimento professionale, che tende a fare dell'addetto stampa un ruolo giornalistico. E' giusto che sia così. Dall'ambito delle pubbliche amministrazioni, dove è già riconosciuta, la qualificazione giornalistica dell'ufficio stampa sta estendendosi, pur tra mille resistenze, anche al settore privato. Ciò non toglie che i ruoli di giornalista e addetto stampa siano, più che omologhi, complementari. Dalla dinamica reciproca, dal diverso modo di trasferire e trattare l'informazione, nascono le tecniche e le indicazioni di pratica professionale illustrate in queste pagine, a cominciare dagli aspetti più basilari e pratici. Che cosa si fa in un ufficio stampa? Come si comunica con e attraverso i media?
L'orizzonte considerato è comunque quello dello spettacolo. Gli spettacoli, soprattutto quelli dal vivo, non hanno confidenza con i grandi numeri. La distanza viva e reale tra un attore, un concertista, un danzatore e il proprio pubblico ammette una quantità tutto sommato ristretta di spettatori. Non le vaste platee televisive, né l'esuberanza numerica dei concerti negli stadi. Anche le ricadute mediatiche sono più limitate. Su un milione di lettori di un quotidiano, quanti si soffermano con attenzione alla sezione degli spettacoli?
La conseguenza, ben riconoscibile nelle prossime pagine, è un punto di vista più preciso, qualitativo, rivolto anche agli aspetti individuali della comunicazione con i media e per i media. Una sorta di artigianato della comunicazione, un lavoro in piccola scala, un gesto di cura per i particolari.


 


 

Il nuovo cda dell’ETI
Ovvero Le bombe di ateatro
di Redazione ateatro

 

Il consiglio d’amministrazione dell’ETI è in scadenza. Il ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani con la caduta del governo rischia il posto, a favore – dicono – di Franco Zeffirelli o di Ferdinando Adornato, promosso dalla commissione cultura della Camera, o ancora il figlio d'arte Giorgio La Malfa (aspettiamo il vostro parere...).
Che fa in questi casi un ministro che, come lo yogurt, sta per scadere? Dovrebbe dire: “Beh, quel che dovevo fare l’ho fatto (o almeno ci ho provato!). Adesso lascio campo libero al mio successore perché possa costruire qualcosa”.
Manco per niente. Il professionista della politica usa subito tutte le fettine del potere che ancora controlla per condizionare il proprio successore.
Che cosa avreste fatto voi, nei panni del ministro, a proposito dell’ETI? In primo luogo, avreste nominato un nuovo consiglio d’amministrazione, quasi uguale al vecchio, ma con qualche ritocco. Al posto di Luca Doninelli, Emanuele Banterle, stessa area politica ma più pragmatismo e meno slanci utopici e grilli per la testa. Però uno scrittore, un vero intellettuale di prestigio, in un consiglio d’amministrazione ci fa sempre la sua bella figura… Ma tra gli scrittori disposti ad arruolarsi nel centrodestra, con il vento che tira, chi ci troviamo oggi? Alain Elkann va senz’altro benissimo, elegante, mondano, brillante, cosmopolita… (insomma, uno dei pochi presentabili).
Accanto a queste new entries, dovrebbero essere confermati i veterani Maria Bolasco De Luca e Massimo Pedroni. La ciliegina sulla torta? Anche se non era in scadenza immediata, a scanso di equivoci meglio proprogare (con decreto ministeriale apposito) il mandato del presidente-zio Domenico Galdieri…
Così si dice stia andando all’ETI. Ma la nuova commissione prosa, quella che decide il FUS? Beh, se ci aiutate a completare il quadro, nella prossima puntata vi daremo qualche anteprima (perché qualcosa già sappiamo...).
Anche se oggi ci sembra di esere un po’ come Aldo Biscardi, il re del teatrino del calcio italiano, quando annunciava “Le bombe di Mosca!”


 


 

Inequilibrio Armunia Festival: avant-programme
Dal 6 al 31 luglio
di Ufficio Stampa Armunia

 

6–17 luglio Castello Pasquini Castiglioncello (LI) e a Castagneto Carducci e Rosignano
22-24 luglio e 29-31 luglio a Bibbona, Casale Marittimo, Castellina Marittima, Guardistallo, Montescudaio, SantaLuce, Riparbella.


Armunia - La citta del Teatro
Barber’s shop
di Alberto Severi
regia di Alessio Pizzech
con Valentina Banci, Alessia Innocenti, Letizia Pardi.
Prima Nazionale
Barber’s Shop, moltiplica per tre un motivo già presente in un altro testo di Alberto Severi (giornalista e drammaturgo) quello della donna che taglia i capelli all’uomo, con tutte le suggestioni del caso, letterarie, iconografiche, mitiche, psicanalitiche, da Sansone e Dalila a Giuditta e Oloferne. I personaggi maschili, i “clienti” sono essi stessi fantasmi che non si vedono, nelle poltrone del “barber’s shop”, trono e patibolo. E Fantasma per eccellenza è il Padre, il fondatore del Negozio e della Famiglia, il genitore delle tre sorelle Cascio, al quale ciascuna figlia si rapporta con una diversa forma di “fedeltà” esistenziale: Silvia riproducendo uno schema familista tradizionale, Alessandra affermando l’esclusività dell’amore paterno nel rifiuto, omosessuale, di qualsiasi altro maschio, Valeria, al contrario, ricreando quell’amore in una serie infinita di amori, di congiungimenti carnali, e di simboliche castrazioni.Tre sorelle, ma Cechov c’entra poco o nulla, nonostante il riecheggiare, magari ironico o parodistico, di qualche battuta della grande commedia: forse, in comune, c’è quel sentirsi sulla soglia di una “bella e violenta bufera”. Che qui è Tangentopoli, colta al suo apice, alla vigilia del suo affossamento nella stagione delle bombe, e nell’avvento di una nuova stagione di restaurazione politica. Siamo a Firenze, nei primi anni ’90. La storia incombe sulle tre sorelle alla vigilia della strage dei Georgofili. Barber’s Shop è, anche, in parte, il dramma finora non scritto di quella stagione, rivisitata senza retorica, e una buona dose di grottesco.

“Appunti attorno a Cesare”
dei I Sacchi di Sabbia.
Studio
La Satira politica e la sua imbecillità, lo spettacolo di regime e le sue inevitabili conseguenze sulla Vita.
In più c’è la Storia: siamo a Pisa alla fine degli Anni Trenta, anni in cui Gioacchino Forzano – proprietario degli stabilimenti cinematografici di Tirrenia, nonché autore drammatico, librettista d’opera e regista – scrisse un Cesare, in collaborazione nientemeno che con Benito Mussolini.
Un magniloquente contributo al consolidamento della mitologia di Regime.Si parte da qui.


Masque Teatro
Il ragazzo Criminale
di Lorenzo Bazzocchi
Ideazione e regia di Lorenzo Bazzocchi
liberamente tratto da Il ragazzo criminale di Jean Genet
e Pre-paradise sorry now di Rainer Fassbinder
Con Federica Cangini, Mario Cossu, Eva Geatti, Eleonora Sedioli, Lorenzo Bazzocchi, Catia Gatelli.
Prima nazionale

Tutto ciò che è ragionevole non mi interessa
Ian Brady risponderà così a Myra Hinley, prima di caricare in auto il ragazzino che aspettava a fianco del cassone dei rifiuti.
Il lavoro attraversa la denuncia aperta e a volte incalzante, che Fassbinder opera in Pre-paradise sorry now, di un mondo devastato da una violenza ottusa, da una brutalità dilagante, per approdare sulle spiagge di un lirismo, quello de Il ragazzo criminale di Genet, nelle cui trame pulsa una sete di eroismo dalla quale il giovane delinquente non sembra mai capace di sottrarsi.
“La Radio francese mi aveva proposto una trasmissione della serie «Carte blanche». Accolsi l'invito per poter parlare dei ragazzi criminali. Il mio testo, inizialmente accettato da Férnand Pouey, viene ora respinto. Invece di esserne fiero, provo un senso di vergogna. Avrei voluto far sentire la voce del criminale. Non il suo lamento, ma il suo canto di gloria.”


TEATRINO GIULLARE
Finale di partita
Di Samuel Becket
Allestimento da scacchiera per figure e due giocatori
Diretto e interpretato dal TEATRINO GIULLARE
traduzione Carlo Fruttero
scenografia e figure CIKUSKA
Maschere Fratelli De Marchi
Una partita a scacchi tra attori-giocatori che muovono le pedine e pedine personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento. La rappresentazione è una sinfonia di mosse e contromosse, botte e risposte, pause, riflessioni, sospiri, rinunce. L'opera d'arte viene interpretata attraverso le limitazioni e le potenzialità delle figure (le marionette). Il capolavoro di Beckett è visto attraverso le possibilità di movimento di due pedine da scacchi e la tensione e la partecipazione dei due giocatori. Hamm pedina ferma e cieca, Clov pedina che si affanna per la scacchiera senza potersi mai sedere, anche lui sulla strada della cecità e dell'immobilità e nel tentativo di prendere la strada verso l'uscita. Nagg e Nell pedine fuori gioco, pedine a metà rinchiuse in bidoni. L'affinità tra il contenuto del testo e il gioco degli scacchi è stata manifestata dallo stesso Beckett e il finale di partita è la terza e ultima parte dell'incontro nel gioco degli scacchi. Una fase distinta dal ridotto numero di pezzi superstiti sulla scacchiera e dal fatto che il re non è più soltanto un pezzo da difendere ma diventa anche una figura di attacco.




Benvenuti s.r.l. - Armunia Festival degli Etruschi
I Costruttori di Imperi di Boris Vian
traduzione di Massimo Castri
adattamento e regia Davide Iodice
con Alessandro Benvenuti Francesca Mazza Valentina Capone Enzo Pezzella
Alfonso Postiglione Gianni Pellegrino
scene Tiziano Fario disegno luci Maurizio Viani
musiche originali Cristiano Gullotta
Prima nazionale

Il desiderio di mettere in contatto diverse realtà della scena contemporanea è stato da sempre motore del mio lavoro di direttore artistico regista e autore. Porre in comunicazione e scambio il teatro tradizionale, a cui normalmente i miei spettacoli approdano, e il teatro di innovazione, a cui alcuni miei progetti di fatto sono rivolti, non è privo di ostacoli di varia natura. Tra tutti, l’ostacolo economico è il più penalizzante ed evidente. Nella storia della Benvenuti srl ho, sin dai primi anni cercato di formare nuclei artistici continuativi, che sposassero il mestiere dell’attore alla passione per la nuova drammaturgia e l’evoluzione della scena in ambito contemporaneo, sempre con l’attenzione verso il pubblico, che non mi piace dividere in “grande” o “intellettuale” o “giovane”. Questo percorso della produzione che dirigo e della mia figura di artista individuale approda oggi ad un nuovo progetto che mi vede coinvolto come attore, sotto la direzione del regista Davide Iodice, nell’allestimento Costruttori di Imperi di Boris Vian.Non c’è casualità nella scelta del testo , le tematiche trattate sono infatti di grande attualità, e il pathos drammatico della paura dell’uomo di fronte alla sofferenza che la vita inevitabilmente riserva, ben si fondono con l’ironia di stampo surreale caratteristica di un autore come Vian. Affiancherò in questa avventura altri artisti provenienti dalla scena innovativa, Francesca Mazza, Valentina Capone ed Enzo Pezzella, diretti più volte da Leo De Berardinis, artista al quale mi sento legato da sempre; Alfonso Postiglione fondatore e interprete della compagnia Rosso Tiziano e Gianni Pellegrino, già mio partner in altre produzioni della Benvenuti srl (TTTT Beckettio e Come due gocce d’acqua) Del regista, Davide Iodice, ho potuto apprezzare l’evoluzione del lavoro nel corso di varie edizioni di Volterrateatro, in cui entrambi abbiamo partecipato individualmente. E’ per me importante e stimolante affidarmi alla sua direzione e al tempo stesso acquisire nuove metodologie molto diverse da quelle che fino a questo momento ho utilizzato.
All’allestimento di Costruttori di Imperi collaborano inoltre Tiziano Fario, scenografo di grande esperienza, curatore delle scene di Carmelo Bene; e Maurizio Viani, amico personale e regista del disegno luci dei miei spettacoli più significativi, ma anche storico collaboratore di Leo De Berardinis e, negli ultimi anni, legato artisticamente anche a Davide Iodice.
Alessandro Benvenuti
Cada die teatro
Misteri Gaudiosi
di Giancarlo Biffi, Giancarlo Demontis, Mauro Mou e Silvestro Ziccardi
con Giancarlo Biffi (Francesco Ginepro) e Giancarlo Demontis (Leo)
disegno luci Gianni Schirru
architettura sonora Giampietro Guttuso
regia Mauro Mou e Silvestro Ziccardi
Prima Nazionale

Sciogliere i Misteri nella quotidianità. Attraversare l’esistenza con passo leggero.
Franco e Leo sono due pellegrini, girano da anni l’Italia con un simulacro della Madonna sulle spalle… per Francesco è l’esecuzione di un disegno di espiazione. Lui è convinto di aver sparato alla Madonna, uccidendola…
Durante una missione in Libano, il giovane soldato Francesco ha ucciso una ragazza e da quel giorno, non è più stato quello di prima. La vita il più delle volte si attorciglia, non è lineare e tranquilla, ma piena di curve… s’innalza e s’inabissa velocemente, molto più in fretta della nostra stessa comprensione degli avvenimenti. Errori se ne commettono tanti, più o meno gravi, ma di questi spesso non si sa a chi chiedere perdono… allora ecco che molti scoprono che c’è Lui.
Nella ricerca di perdono Francesco Ginepro incrocia sulla sua strada, non proprio Lui… ma Lei: Maria. A dire il vero si tratta di una statuetta di gesso che Leo si porta a presso nel suo quotidiano elemosinare. Francesco, vedendoli, ha una folgorazione. In loro vede Maria e Giuseppe alla ricerca del figlio. Ma Leo non è per niente Giuseppe, ancor meno un benefattore… e non di certo sta cercando Gesù Cristo. Più semplicemente da qualche tempo sta perseguendo un obiettivo preciso: racimolare più denaro possibile per poi partire alla volta di Panama. Intuisce che con Francesco Ginepro questo sarebbe ancora più facile. Così i due insieme iniziano a fare spettacoli nelle piazze di paesi e città: i guadagni aumentano e la data di partenza per Panama si fa sempre più vicina. Noi li cogliamo proprio nel giorno, in cui per Leo è giunto il momento tanto atteso… mollare Francesco Ginepro e partire per la tanto agognata destinazione. Giancarlo Biffi


Le notti bianche
Di Fedor Dostoevskij
Regia di Daniele Griggio
Con Daniele Griggio e Ilaria Di Luca
Prima Nazionale

Protagonista il "sogno" e la sua eterna lotta contro la "realtà". Una panchina, un sognatore e una donna. L'incontro di due anime inquiete che trovano conforto l'uno nell'altra fino a che la realtà o forse l'eccesso di sogno non indicherà loro la strada da seguire.La cosciente ingenuità di un uomo, un sognatore, un cuore giovane in un corpo adulto che sceglie di essere ingenuo. Che sceglie l'ingenuità come arma contro il cinismo e la volgarità di una realtà che non gli piace, che rifiuta. Incontra una ragazza-donna o donna-ragazza. Una storia d'amore e di amicizia di forte intensità che Dostoevskij ambienta a Pietroburgo durante il magico periodo delle "Notti bianche". Un omaggio al Palcoscenico e al Cinema come “luoghi del sogno”. La musica dello spettacolo richiamerà alla nostra memoria momenti indimenticabili della storia del Cinema.Lo spettacolo si svolge tutto attorno ad una panchina e può essere rappresentato in qualunque luogo: strade, piazze, parchi, palcoscenici, chiese, musei: dovunque sia possibile sistemare una panchina.

Benvenuti srl-Armunia
Pasticceri
Io e mio fratello Roberto
di e con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano
tecnica Corrado Mura e Alessandro Calabrese
Prima Nazionale

Due fratelli gemelli.Uno ha i baffi l’altro no, uno balbetta l’altro no, parla bello sciolto.
Uno crede che la crema pasticcera sia delicata, meravigliosa e bionda come una donna, l’altro conosce la poesia, i poeti, i loro versi e li dice come chi non ha altro modo per parlare.
Uno è convinto che le bignoline siano esseri viventi fragili e indifesi, l’altro crede che le bignoline vadano vendute, sennò non si può tirare avanti.
Il laboratorio di pasticceria è la loro casa. Un mondo che si è fermato alle quattro di mattina, il loro mondo: cioccolata fusa, pasta sfoglia leggera come piuma, pan di Spagna, meringhe come neve, frittura araba, torta russa, biscotto alle mandorle e bavarese: tutto si muove, vola, danza e la notte si infila dappertutto.
Due fratelli gemelli che, come Cyrano e Cristiano, aspettano la loro Rossana, e dove la vuoi aspettare se non in pasticceria?
Due fratelli pasticceri, se li vedi abbracciati, sembrano un albicocca.
Profumano di dolci e ascoltano la radio: musica, molta musica.



“Vi e Ve” Partita a carte nel regno delle ombre
di Marco Martinelli
regia di Michele Bandini ed Emiliano Pergolari
con Michele Bandini (Vittorini) ed Emiliano Pergolari (Il Veronese)
Una lampadina e due folignati

Non ho mai avuto testi nel cassetto. Nel senso che tutti quelli che ho messo in scena, con le Albe, sono stati scritti in scena, elaborati trasformati macinati in palcoscenico, nel corso delle prove, per faticosa lenta, talora sorprendente, alchimia di linguaggi, di scambi tra attori e drammaturgo. Però quando l’autunno scorso mi son trovato a dirigere la Scuola dell’ERT, a lavorare, tra gli altri, con Emiliano e Michele, mi è venuto in mente che sì, un dialoghetto, un metalogo (alla Bateson) nel cassetto anch’ io ce l’avevo, e che forse quel dialoghetto poteva servire da esercizio ai due “gemelli folignati” (li chiamo così da quando li conosco). Quattro pagine di epilettica conversazione nel regno delle ombre tra lo scrittore Vittorini e il pittore Veronese: giocano a briscola, bevono, e ricordano (ognuno a modo suo, sono maschere agli antipodi) i guai avuti in vita con la censura, Togliatti e il Sant’Uffizio. Sono morti ben vivi, e forse più interessanti di tanti che ci passano accanto. Beh, ho consegnato il metalogo, scritto in lingua italiana, ai due “gemelli” e ho suggerito loro: facciamolo in folignate. Divoratelo e risputatelo nel vostro dialetto. Lo scrittore era siciliano, il pittore veneto, voi siete di Foligno: viva l’Italia! E poi quel vostro folignate ha risonanze cupe, medievali, ben si presta al “de contemptu mundi” di Vittorini, ma anche per contrasto al finale sospeso, in luce, quasi francescano, di Veronese. Proviamoci! Ci hanno provato, alla fine ne è venuto fuori un “corto” teatrale che si è meritato la convocazione a Santarcangelo. L’allestimento, mi sembra, vibra in una dignitosa, orgogliosa povertà di mezzi, la povertà essenziale, regale, priva di fronzoli, che regna tra i morti, la povertà di un esercizio fatto con zero lire in orario di scuola, una lampadina e poco altro, la povertà di chi costruisce sul lusso e lo spreco di ore e ore di lavoro d’attore: “il teatro del futuro sarà un teatro povero”, spiegava Mejerchol’d nel 1919 in un laboratorio indirizzato a contadini e operai, digiuni e nello stesso tempo affamati di sapienza scenica, sottolineando che tale “povertà” è stata il contrassegno dell’essenza teatrale nelle epoche d’oro, Shakespeare in testa. Marco Martinelli
Vi e Ve, ovvero Elio Vittorini e Paolo Caliari detto il Veronese;
due ombre sovversive che alla luce fioca di una lampadina si sfidano ogni giorno a briscola nel regno degli inferi....un rito quotidiano che finisce per tramutarsi ogni volta in uno sbotto tormentato e allucinato contro tutti i santi uffizi che affliggono la libertà dell'arte...parole alla deriva con una leggera inflessione umbra .....
Michele Bandini, Emiliano Pergolari

Armunia CSS Udine
EDEYEN
Di Letizia Russo
Regia Fausto Russo Alesi
con Pia Lanciotti-Eva, Maria Pilar Perez Aspa-Petra, Sergio Leone-Uno,
Debora Zuin-Andreia,Vanessa Compagnucci-Sara, Cristophe Sermet-Trino,Fausto Russo Alesi-Rubens
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Scene e Luci Nicolas Bovey
Assistente alla regia – Eleonora Moro
Prima Nazionale

Come un’antica leggenda, come una favola, come un sogno, come una vecchia foto ingiallita, in un tempo qualsiasi, un popolo qualsiasi decide di mettersi in viaggio in cerca del suo destino, di una terra migliore dove vivere.
Durante il viaggio il popolo viene devastato da un terribile terremoto che spacca la terra portandosi via tutti i bambini e tutti i vecchi, la memoria e il futuro del popolo. Simbolicamente togliere passato e futuro a un popolo come succede ai sopravvissuti della nostra storia significa svelare e confrontarsi con l’essenza delle cose, con ciò che è, col presente. Sei sono i personaggi sopravvissuti, tre coppie:Uno ed Eva marito e moglie, simboli della vita quotidiana; Andreia, un ermafrodito e sua sorella Petra, simboli della diversità nella vita quotidiana;Trino, un prete di una religione qualsiasi e Sara una profetessa capace di predire il futuro, simboli dello spirito, della fede e del sentimento religioso reale o indotto nella natura umana.
In questo spazio tragico, nudo, arcaico, si incontrano e si scontrano questi personaggi contenitori di importanti tematiche.
Non si muovono più, sono come obbligati a restare sul luogo dove è avvenuta la tragedia, con i loro dolori, i loro ricordi, i loro sensi di colpa: la catastrofe che li ha investiti, gli ha tolto la forza di muoversi, la motivazione per cercare la strada che porta verso il “bel paese” tanto desiderato un tempo. Non desiderano più e il non desiderare è la peggiore tortura quotidiana è il vivere per inerzia… respirano, aspettano, sopravvivono. Unico interesse lo squillo di un tragicomico telefono, forse costruito rudimentalmente da loro, da Sara per mettersi in contatto col suo Dio, o forse misteriosamente trovato sotto la sabbia, simbolo del bisogno di un contatto con ciò che non conosciamo, un cordone ombelicale con l’amore eterno di cui abbiamo assoluto bisogno, col mistero della vita e della morte. Tutti i defunti sono rimasti in un luogo di mezzo tra l’aldiquà e l’aldilà, ed ogni tanto chiamano per rinfacciare ai sopravvissuti vecchie colpe del passato. Continueranno a restare in questa terra di mezzo finchè tutti i personaggi non avranno preso consapevolezza delle loro azioni, della loro natura, finchè non avranno superato il dolore trovando la forza per ricominciare a “vivere”.Per ora, hanno provato a darsi un freddo ordine interno, corredato di tutti i suoi piccoli perbenismi, le sue piccole ipocrisie, le sue dinamiche di potere, le sue ingiustizie. Purtroppo anche nei momenti più drammatici e catastrofici l’uomo trova la forza per non essere solidale ed è per questo che in questo deserto arriva la natura , sotto forma di una misteriosa divinità pronta a interrompere gli oltraggi subiti, a riattivare il motore di desiderio che la natura stessa aveva disattivato per riaggiustarne il calibro, a far da ponte tra la vita e la morte, a far da specchio nei talenti e nelle debolezze di questi personaggi. Rubens: la divinità naturale sotto le vesti di un mercante, zingaro errante un po’ cialtrone, pronto a vendere i desideri più intimi ad ognuno di loro, a sciogliere il ghiaccio che ha gelato le loro menti, pronto a mostrare ciò che normalmente è celato, pronto a far perdere tutto per rivalutare le cose più importanti: il desiderio di pace, semplicità, amore, la strada verso il “bel paese”. Per interagire con i sopravvissuti sceglie di fare il percorso più umano ,il cammino verso la morte e percorrendo questa strada così umana, abbracciando il cuore di ciascun personaggio, danzandoci sopra come un pazzo ballerino, ne rimane coinvolto, si coinvolge di sentimenti , guardando le cose da qui , dal disarmante punto di vista mortale. Tutti saranno vittime e carnefici, capaci di essere amabili e disprezzabili vivranno questa dolorosa tragedia della perdita e come in ogni comunità che si rispetti ci sarà bisogno di un capro per uscire dal caos, qualcuno che possa soccombere perché qualcun altro possa stare meglio. Sarà il loro mondo interiore, la loro inconsapevolezza, la loro umanità, la loro dolcezza , la loro violenza, le loro vite sospese smarrite a raccontarci ”l’anima e i suoi movimenti”, lo spaesamento e la difficoltà nel trovare una strada certa, non spaccata ma solida davanti a loro.Questo spettacolo, questo testo, questa storia è per me il tentativo di scattare una fotografia all’eterno terremoto in cui viviamo, alla disarmante ineluttabilità della natura… è il tentativo di trovare una conciliazione profonda con la natura che è in tutte le cose, di trovare delle risposte alle favole che spesso ci raccontiamo. E’ la speranza di trovare sempre la forza di ricominciare a vivere, anche quando le dolorose circostanze ci lasciano solo sopravvivere.fausto Russo Alesi

Compagnia Massimiliano Civica
La Parigina di H.Beque
regia di Massimiliano Civica
Prima Nazionale

Henry Becque in una poesia confessa che il suo dramma nasce da uno spunto autobiografico, e di aver fatto una volta nella vita la parte dell’amante: «La freddezza ci tiene avvinti, il tradimento ci fa incollerire; io ho conosciuto questo supplizio, e l’ho sopportato, per una parigina dal sorriso sfrontato, che mi crocifiggeva senza scrupolo né vergogna. Ma di che ti lamenti? Pensa, pensa al marito, stoico o mansueto, che porta in giro ovunque questa donna pubblica, e rientra ogni sera disonorato a casa sua» La Parigina è un dialogo a due a distanza, in cui Becque inonda la sua amata di accuse e recriminazioni, senza darle diritto di replica. Per aver potere sulla sua parigina, per sbatterle in faccia il suo disprezzo, per insegnarle quanto è brutta e ignobile, egli scrive La Parigina. Rispondere ad un accesso di collera con la lentezza e l’articolazione della scrittura. Mantenere acceso con cura il proprio rancore e insieme distillarlo in frasi precise che disegnino con chiarezza la mostruosità del comportamento della sua donna. C’è qualcosa di enorme in questo atteggiamento di Becque. Sola una persona fondamentale merita tutto questo odio.
Becque probabilmente non accettava che bello e brutto potessero congiungersi, che una stessa persona potesse essere in momenti diversi ammirevole e spregevole, splendida e squallida, saggia e sciocca. Becque probabilmente soffriva nel non poter serrare la sua parigina in una definizione, nel non poterla possedere come un’unità conoscibile. Becque non perdonava al suo amore di essere quello che era, di non pareggiare la donna dei suoi bisogni. In fondo le rimproverava di… Il giudizio alla fine non viene espresso, c’è un’eccedenza, una “dismisuranza” dell’umano che sospendono ogni condanna. Becque malgrado il proprio dolore (e forse le proprie stesse intenzioni), fa della sua parigina un eroina, sia pure dalla tragicità dimessa, la sola concessa a noi contemporanei. Becque concede alla sua donna la dignità della sofferenza, il diritto al dolore: il suo desiderio d’amore, al di là delle convenzioni del classico triangolo moglie-marito-amante, ha qualcosa di titanico e struggente; e la sonnacchiosa sconfitta a cui è destinato non lo rende meno doloroso. In fondo non abbiamo neanche la consolazione di un destino tragico. Essere stupidi e furbi insieme, volere delle cose e non riuscire ad ottenerle, non sapere neanche di star male. Comportarsi bene o male malgrado noi stessi, essere ingiusti comportandoci correttamente e sbagliare come dei santi. Sono affascinato da questo malgrado noi stessi, malgrado tutto… Mi sembra che ci sia una possibilità di comprensione e compassione dell’altro solo con la capacità di riconoscere e di saper vedere questa eccedenza, di accucciarsi e rifugiarsi in un «non giudicare e non sarai giudicato».Mi piace finire con un verso di Alda Merini:La santità è di tutti, come di tutti è l’amore. Massimiliano Civica


Armunia Benvenuti s.r.l.
Me Medesimo
di Alessandro Benvenuti
con Andrea Cambi
regia di Giovanni Clemente
Anteprima
" Me Medesimo " e' l'ultimo lavoro di Alessandro Benvenuti, un monologo che sembra cucito addosso alla straordinaria maschera tragicomica di Andrea Cambi. Sul palco spoglio, una scatola nera, un uomo con una chitarra a tracolla. E’ Cencio, il protagonista che pensa ad alta voce, ricorda, racconta, rivolgendosi cordialmente al pubblico, fa sorridere, ridere, emoziona. E’un uomo in crisi, forse artistica, forse lavorativa, forse familiare; forse e' tutta la sua vita ad essere messa in discussione, forse questo è solo un modo per sopportare l’evidente fallimento. Nella sua mente confusa si accavallano i film della sua vita e delle misere vite di altri cenci, come fossero pellicole dirette da grandi registi del cinema americano. E pensare che lui non ama il cinema. Cencio non si affeziona piu' a nulla, neanche all'alcool, suo vecchio compagno di viaggio che gli ha devastato il corpo e forse anche un po' la mente. E' rimasto forse solo, non si sa dove, a rimuginare e a raccontare la sua storia confondendola con altre storie. Unica consolazione un'amicizia femminile, forse vera, forse inventata, la Betty.
Andrea Cambi
Il tortuoso percorso artistico di Andrea Cambi dura da vent’anni , tra gruppi di cabaret, improvvisazioni teatrali, programmi televisivi e cinema. Andrea Cambi è attore e comico difficile da definire perché i suoi registri rimandano più al lavoro sulla maschera, teatrale o cinematografica, che alla battuta da cabaret. In particolare negli ultimi anni Andrea Cambi ha lavorato soprattutto per il cinema, lo ricordiamo per esempio nel film corale “La cena” di Ettore Scola.

Armunia Benvenuti s.r.l.
Angelica
Di e con Andrea Cosentino
Prima Nazionale

Fattore K (ex Compagnia Giorgio Barberio Corsetti)
Cesso dentro
di Renato Gabrielli
regia di Sabrina Sinatti
con Massimiliano Speziani e Leszek Chmielewski
Prima Nazionale

Il progetto nasce dalla vicinanza di idee diun drammaturgo, una regista e un attore, con la collaborazione di un danzatore clown, nel dediderio di concretizzare in uno spettacolo un punto di vista feroce e tagliente sulla contemporaneità.
Innanzitutto l’invenzione di un personaggio. Diciamo poi che il nostro personaggio è chiuso dentro un bagno,uno di quei tanti bagni dove chiunque tutte le matt
Ine si specchia, si lava la faccia, ragiona con se stesso, si prepara ad uscire.Ma il nostro personaggio non si prepara ad uscire, anzi non vuole proprio uscire. E a guardare bene da dove dovrebbe uscire? Nel bagno infatti non ci sono porte,né finestre , non c’è neanche un lavandino, ma tutto è esageratamente pulito. UNC(l’uomo nel cesso) si è volontariamente chiuso nel bagno,sviluppando la fantasia di essere spiato da una telecamera nascosta, ritenendo di essere l’unico protagonista di un reality show scatologico e paranoico: posta in palio un milione di euro, se riuscirà a resistere chiuso nella latrina per trenta giorni…


Armunia Edgarluve Casa del Teatro
Titolo da definire
liberamente ispirato a “La metamorfosi” di F. Kafka
ideazione e regia edgarluve
drammaturgia Alessio Traversi
con Valerio Michelucci
Studio

Titolo da definire è la prima tappa della trilogia del tU, una trilogia sulla scoperta e sulla perdita dell’altro, elaborata a partire dalle opere di Kafka. Questa trilogia segue la trilogia dell’iO, realizzata da edgarluve negli anni compresi tra il 2001 e il 2004 a partire dalle opere di A. Camus, ed è la seconda parte di un progetto di produzione pluriennale denominato Pronomi personali. Il cardine principale sul quale poggia la rielaborazione drammaturgica de “La metamorfosi” di Kafka consiste in un rovesciamento del punto di vista del racconto originario: il centro dell’azione non si trova più nella camera in cui vive recluso Gregor Samsa trasformato in scarafaggio, ma in un luogo posto all’esterno della stanza; un luogo che rappresenta il “fuori” dal quale percepire, senza potervi entrare compiutamente in relazione, l’avvenimento meraviglioso e spaventevole della trasformazione che accade “dentro”. Lo spazio nascosto è lo spazio del “tu”, e anche la sua immagine elementare: una mancanza che evoca ciò che riconosciamo esistere, sia fuori che dentro la nostra persona, come altro da noi. L’occhio che guarda non è qui quello di Gregor, che è presente solo come assenza dietro una parete posta sul proscenio e munita di un angusto passaggio che ricorda quello di una tana; è l’occhio della sorella Grete, posto a fare da intermediario tra lo spettatore e quella porta chiusa. La sorella è dunque il punto di snodo attraverso cui lo spettatore incontra il Tu nascosto, rinchiuso, segregato, perduto; è per questo essa stessa limite, soglia da oltrepassare per entrare sulla scena, o più propriamente sulla scena del delitto; non è più un personaggio che assiste al succedersi degli eventi incapace di interventi risolutori, come nella trama kafkiana: qui essa diventa a suo modo artefice della metamorfosi, e nello stesso tempo della sua rimozione. Non è la metamorfosi ad essere messa in scena, ma la generale sensazione di malessere che ci colpisce in quanto microscopici e superflui ingranaggi di un meccanismo complessivo che spesso ci appare privo di senso; non il deperimento di un singolo individuo ma quel complessivo “sfacelo del mondo dell’uomo” che sempre si trova al centro delle allegorie kafkiane. E’ la messa in scena di ciò che viene percepito come scarto della realtà e della società, e che pertanto, tra degradazioni ironiche e improbabili recuperi di umanità, non può avere altro punto di arrivo che una discarica.

Armunia Teatro Agricolo
Lupi
narratori Alice Giulia Di Tullio, Giovanni Balzaretti
arpa celtica Andreina Sirena

Fedro, Esopo, Andersen, Perrault, Rodari, Hesse, Calvino, Grimm, Tolkien, Rowling, Prokovief, Allen, Pennac, S. Francesco, Tolstoy, Pirandello, Kipling, London...
tradizioni popolari, tradizioni religiose, leggende...
Due contastorie stanno costruendo un repertorio. Sui Lupi.
Lo spettacolo si adatterà al luogo in cui saranno ed all'auditorio che avranno di fronte.
La proposta è adatta quindi ai bambini da 0 a 99 anni, rappresentabile in asili, aule, teatri, biblioteche, cortili, feste...
Alcune storie fanno ridere… altre fanno paura...
“Del mondo contadino, che mantiene la memoria del tempo, dove i lupi giganteggiavano e si misuravano con l’umanità, il teatroagricolo si dichiara erede; e mette al centro delle sue storie proprio i lupi: ambigui, commoventi, eroici, ridicoli e nobili. Arcaiche figure di una civiltà che scompare ma alla quale, controcorrente, questi affabulatori, Giovanni Balzaretti e Alice Giulia Di Tullio, si ostinano con coraggio a ridare voce. La cultura emarginata non è quella peggiore, quella da costringere a una silenziosa sconfitta” Concetta D’Angeli

Armunia
Hic sunt leones
Di e con Oscar de Summa
Studio

Gogmagog
Inaus

Scritto da Tommaso Taddei e diretto dal regista di cortometraggi Graziano Staino, lo spettacolo Inaus ha come protagonisti due loschi personaggi: il nano e Vincenzo, interpretati da Tommaso Taddei e Carlo Salvador della compagnia GOGMAGOG, I due sono costretti a stare insieme per rispettare "l'incarico" preso vivendo in uno spazio senza tempo dove regnano i ricordi e le paure. Si tratta di paure che prendono forma e diventano voci.... voci sussurate potenti come boati. Le musiche originali dello spettacolo sono state realizzate appositamente dai Lumiere Electrique, cioè da Alessandro Paderno e Alessandro Stefana (chitarrista di Marco Parente e Vinicio Capossela). Con questa intensa colonna sonora INAUS coinvolge lo spettatore e lo trasporta, anche dal punto di vista sonoro, in una magica e tetra atmosfera di luci ed ombre create da Marco Falai. Da sottolineare l'intervento nello spettacolo dello scrittore Emidio Clementi (la notte del Pratello, L'ultimo Dio) e della sua tagliente voce ( Maasimo Volume, El Muneria ).

Vincenzo Pirrotta
Titolo da definire

LA DANZA:

Collection particulière
Ideazione, coreografia e interpretazione di Maria Donata D’Urso
Concept lumière: Yves Godin
Création sonore: Vincent Epplay
Réalisation décor: Jérôme Dupraz
Prima nazionale

Production Bomba Suicida Executive Production Portogallo
Haikus
Di Sónia Baptista
Regia e Interpretatione Sónia Baptista
Video
Rui Ribeiro Light Design Pedro Machado
Stalker Co-Production
Danças na Cidade
Prima Nazionale

ClimaxProject. Epigenesi.
Di Alessandro Carboni e Danilo Casti
Danza e coreografia: Alessandro Carboni
Suoni e musiche: Danilo Casti
Luci: Pavla Beranova
Prima Nazionale

Di stanze
Progetto e realizzazione di Luisa Cortesi
scenografie di Massimo Barzagli
Rappresentazione in bilico tra danza, pittura, fotografia e video.
Prima Nazionale

Giovanna Velardi
Corto circuito #1
Coreografia Giovanna Velardi
Composizione musicale Philippe Deschepper
Interpreti Giovanna Velardi, Massimiliano Geraci, Philippe Deschepper
Prima Nazionale

Il Teatro racconta la guerra
Rassegna nelle piazze dei paesi collinari dal 22 al 24 luglio e dal 29 al 31 luglio

DEDALOFURiOSO e PATRICIAZANCO
Non ricominciamo la guerra di Troia (S. Weil)
Primo studio per voce e percussioni
Drammaturgia Patricia Zanco e Daniela Mattiuzzi
Regia Zanco-Mattiuzzi
Con Patricia Zanco, Roberto Dani & Liberation Drums Orchestra, e la partecipazione del piccolo coro Ludus Musica di Elena Fattambrini e Giorgio Gobbo (piccola bottega Baltazar)

Smascherare l’inutilità della guerra e le parole che le accompagnano. La guerra non ha mai avuto e non avrà mai senso. Che bisogno c’è di combattere? Dal combattimento traete esaltazione, la soddisfazione di un bisogno? La vita ci trova estranee/i a tutto questo! Cosa fare? Un’azione artistica e vitale, intrecciando la voce, il suono, la musica – per svelare la miseria segreta della guerra.“E come nell’Iliade si paragonano i guerrieri all’incendio, all’inondazione, al vento, alle bestie feroci, a qualsiasi causa cieca di disastro, oppure agli animali paurosi, agli alberi, all’acqua, alla sabbia, a tutto ciò che è mosso dalla violenza delle forze esterne”. (S. Weil)Gli stereotipi ripetitivi della Storia, e aggiungerei della politica, sono sempre molto prevedibili. Uomini che, in nome di sacrosanti valori quali la vita e la libertà, mettono in moto la macchina da guerra. Si è ripetuto e si ripete infinite volte nella Storia, senza che nessuno interrompa questa maledetta violenza con la forza di un agire senza trovare quelle parole nuove e quelle azioni che possono nascere invece da un autentico coinvolgimento con la storia e con la vita. Quelli che vogliono la guerra sono uomini che non sanno giocarsi sul terreno della novità e cercano soccorso in tutto ciò che è già stato collaudato. Un I° Studio che mette in gioco il mio percorso artistico con la regista Daniela Mattiuzzi e l’incontro con un orchestra di percussioni la LDO guidata da Roberto Dani, e la costante ricerca di esplorare testi di donne del passato che continuano a parlarci oggi come: Simone Weil, Virginia Woolf, Maria Zambrano e Wislawa Szymborska.
(Patricia Zanco)

NARRAMONDO teatro SABRA E CHATILA da "Quattro ore a Chatila" di Jean Genet nella traduzione di Paolo Brogi (Frigidaire) e da"Sabra e Chatila, inchiesta su un massacro" di Amnon Kapeliouk
regia di Nicola Pannelli collaborazione alla regia di Filippo Dini
con Nicola Pannelli e Carlo Orlando collaborazione tecnica di Laura Benzi

Due personaggi beckettiani, un uomo su sedia a rotelle e un ragazzo a torso nudo, accompagnano lo spettatore nell'inferno di Sabra e Chatila. Angeli o demoni? Non si sa, ma conoscono i fatti, perché li hanno visti e non hanno mai smesso di pensarci. Da un testo di Jean Genet la toccante interpretazione di una tragedia contemporanea

La Corte Ospitale
Il bambino del 7 luglio
Reggio Emilia 1960
di Franco Brambilla e Giovanna Guaitoli
ideazione e regia Franco Brambilla
con Ruggero Cara

Se occhi guardano, le cose diventano vere. Mutano, si trasformano, quando la tragedia vi scoppia improvvisa.
C’è un bambino che si aggira per le strade e le piazze di Reggio Emilia nella mattinata e nel pomeriggio del 7 luglio 1960, gioca, ascolta, vede. Un intellettuale, Carlo Levi, scriverà pagine struggenti, descrivendo il suo incontro con quel singolare bambino. Ora, non più bambino, Paolo, smarrita la spontaneità, l’immediatezza e le certezze, si riappropria di quei fatti, li scioglie dalla ricomposizione celebrativa in cui gli anni li hanno confinati e li ripensa in un flusso di coscienza tra ricordi, nostalgia, rabbia, domande che non hanno ancora trovato risposte, nonostante un processo che ha risposto, ma ha liquidato una tragedia con un tutti a casa. Lo spettacolo, attraverso la storia di quel bambino ora adulto, ripercorre un’epoca, la fine degli anni ’50, con le contraddizioni tra città e campagna, boom economico e necessità di emigrare, voglia di ballare e durezze quotidiane, giovani che vogliono emanciparsi dalla storia dei padri e una realtà politica che non li lascia sognare, ma li costringe a misurarsi con forze dell’ordine che rispondono agli ordini di un governo che pensa di poter liquidare le istanze democratiche, forze dell’ordine, dunque, vissute tragicamente come arma di offesa contro operai e cittadini inermi. Immagini, musiche, registrazioni sonore, materiali d’epoca sono l’ambiente scenico nel quale si declina la storia di Paolo che, casualmente, si è intrecciata con la Storia dei cinque assassinati a Reggio Emilia, e gli ha lasciato dentro un dolore che non può trovare tregua: perché hanno dato l’ordine di sparare? I suoi amici grandi, adulti, a terra, senza vita. non trovò una risposta allora, è in grado di trovarla adesso? La resa scenica, attraverso la vita di Paolo, pone domande, cerca risposte che vengono rappresentate anche attraverso la ricostruzione di una cultura di massa che comincia ad affacciarsi, con l’idea di beni di consumo dai quali non si può prescindere, la televisione, la vespa, la moto, la macchina… sullo sfondo le irritanti riflessioni di Pasolini che denuncia, profeta inascoltato, la perdita di una originalità contadina e proletaria che sta prendendo le distanze da se stessa in nome di una uniformità e di un benessere che appiattiscono.Paolo si muove tra la storia della sua infanzia e la sua attuale storia, in un percorso che va e viene tra l’allora e l’ora e nel quale non riesce, non può e non vuole prescindere da una sparatoria di tale intensità di fuoco che stordisce ancora. Lo spettacolo si avvale di una ricerca sul clima politico, culturale di quegli anni, di una riflessione sulla volontà politica attuale di ripensare quei fatti, di rileggere gli atti della sentenza della 2° Corte di Assise di Milano, di testimonianze raccolte nella immediatezza dei fatti, della volontà costantemente e caparbiamente dimostrata dai parenti delle vittime, dai compagni e dai cittadini che non hanno voluto e non vogliono chiudere quella ferita.


Fiorenzuola teatro e Babele
Resistenti
Leva militare-926
Di Roberta Biagiarelli e Francesco Niccolini
Con Roberta Biagiarelli

Per esplorare la Resistenza nel Piacentino ci siamo affidati ai partigiani e alle staffette superstiti, intervistandoli e abbiamo attraversato fisicamente alcuni di quei luoghi. Franco Sprega, un uomo con la grande passione per la Storia ed esperto di storia della Resistenza, ci ha fatto da guida. Per presentare il lavoro di indagine e ricerca a cui siamo giunti finora,prendiamo a prestito le parole che ci ha scritto un nostro caro amico,Fabio Masi, dopo aver letto una prima stesura del testo a cui siamo pervenuti: “Cara Roberta, caro Francesco,Credo sia un bene che non abbiate letto tanti saggi sulla Resistenza do altri libri di memorie, perché il vostro è un racconto non influenzato da niente, ma è solo la storia pulita, limpida, senza scorie, di persone allora giovanissime che si sono trovate a vivere in quella stagione. Non c’è la politica militante, certo sullo sfondo ci sono le figure dei Molinari , che hanno fatto da traino e lo hanno fatto senza volerlo essere, dal racconto emerge la casualità con cui tanti si sono trovati a fare qualcosa che mai avrebbero pensato di fare. La grande lezione di moralità che la Resistenza possa aver insegnato è quella di rimanere persone con la propria umanità, solidarietà e senso civico.Non c’è ne fu molta di moralità, e anzi le tragedie disumane non mancarono tra i Resistenti e la figura tragica di Giovanni Molinari, scampato ai fascisti e ucciso da altri partigiani è esemplare di vicende innumerevoli che hanno attraversato la lunga , ininterrotta guerra iniziata nel ’15 e non terminata nel ’45.Il testo non nasconde nulla , parla di persone, del caso, delle scelte,di tragedie e di divertimento.L’intreccio di quelle vicende con la storia recente d’Italia e con l’oggi è ancora forte, ma ho l’impressione che solo ora possiamo comprendere qualcosa, a orami quasi venti anni dalla caduta del comunismo,con il pericolo che tutto sia cancellato, che tutto divenga uguale. Raccontare di queste umane vicende, credo sia l’onore più grande che si possa rendere a chi, comunque, stava dalla parte giusta.Roberta Biagiarelli Francesco Niccolini


Cantieri teatrali Koreja Via Ideazione e progetto di: Fabrizio Saccomanno e Stefano De Santis
Drammaturgia e regia: Fabrizio Saccomanno
Consulenza artistica: Salvatore Tramacere
con: Fabrizio Saccomanno e Cristina Mileti

Koreja punta il goniometro della parola…per tessere, in una commistione di italiano e dialetto, un racconto di 70 minuti, a portare a galla la tragedia che scosse l’Italia del dopoguerra. Palco nudo – solo due sedie per due attori, fondale e quinte semplicemente nere – e una coppia ossimorica, a unire il talentino al Belgio. La moglie (Cristina Mileti), uscita da una pantomima di Jaques Tati, osserva l’immobile amarcord vivace del marito (Fabrizio Saccomanno). “Miei cari, ricordi veri!” annuncia l’uomo. L’Italia che non vuole dormire, l’Italia che si ammala di silicosi, l’Italia che la sera va nelle balere. Il popolo italiano che non conosce l’accordo tra l’Italia e il Belgio. Poi i treni, Salerno, Milano, Chiasso, la gente che vorrebbe rifugiarsi in Svizzera ma i vagoni sono sigillati. L’Italia che s’inventa un gioco – boccette, tressette o una conquista – e che si apre a ventaglio per poi essere risucchiata in un imbuto. E lì in fondo una “Via”. Via Milano. Oggi via martiri di Marcinelle.


Armunia
Ostaggi di pace
Di e con Akram Telawe,
con Giuliana Mettini (voce), Stefano Cocco Cantini (sax), Mauro Grossi (pianoforte), Alessandra Carlesi e due percussionisti Prima Nazionale


Teatri della Resistenza
Turni di Guardia
L’eccidio-Ode ai minatori
Di Dario Focardi
Regia Teatri della resistenza
Con Simone Faucci, Dario Focardi, Eleonora Gravagnola e Tebana Masoni

Il 13 e 14 giugno 1944 nello spicchio di terra che separa la provincia di Pisa da quella di Grosseto, viene compiuto uno dei più tremendi eccidi contro civili della seconda guerra mondiale in territorio italiano. 83 minatori della miniera di Niccioleta, un piccolo villaggio minerario nel comune di massa Marittima, colpevoli di amare il proprio lavoro e la propria miniera, vemgono assassinati dal 3 battaglione di Polizia delle SS composto per lo più da militi italiani. Il 13 giugno vemgono fucilati nella stessa Niccioleta 6 minatori, il giorno dopo il 14 giugno vengono fucilati i restanti77 minatori a castelnuovo Val di cecina.
Turni di guardia L’eccidio è un ode per 4 attori che cerca di costruire un momento di reale e viva riscittura epicocollettiva di questa tragedia dimenticata.Un ringrziamento particolare va all’aiuto insostituibile che ci hanno fornito i familiari che con la loro passione e pazienza ci hanno accompagnato in questo viaggio nella memoria


 


 

L'Odin Teatret invade Bergamo
Il festival Il Centro e la circonferenza dedicato a Renzo Vescovi
di Ufficio Stampa TTB

 
Dopo aver diretto ed organizzato 16 edizioni (l’ultima nel dicembre 2000) di Sonavan... le vie dintorno, il Teatro tascabile di Bergamo si ripresenta alla città con il festival internazionale di teatro, musica e danza Il Centro e la circonferenza, dal 1 al 14 maggio 2005.
Il festival è realizzato con il contributo del Comune di Bergamo e inserito nel progetto Cultura 2000 dell’Unione Europea, di cui il TTB è uno dei 5 coordinatori responsabili, insieme a Odin Teatret (Holstebro), leader del progetto, a Théâtre du Soleil (Parigi), Atalaya/TNT (Siviglia) e The Centre for the Study of Jerzy Grotowski’s Work (Wroclaw). L’intero progetto prevede oltre 300 spettacoli, 8 convegni e seminari, 200 artisti professionisti, 50 studiosi e un migliaio di partecipanti alle attività formative.
Il Centro e la circonferenza, un modulo antropologico dalle molteplici valenze simboliche, propone, 17 spettacoli, 3 seminari e un Simposio con artisti, maestri e studiosi di fama internazionale, riprendendo la dialettica fra tradizione e innovazione, colto e popolare, pubblico motivato e “analfabeti” del teatro, fra centro e periferia della città che ha sempre caratterizzato il lavoro del Teatro tascabile di Bergamo. Il festival tiene fede al nucleo del progetto europeo che origina dall’esperienza storica dei Teatri Laboratorio, fondati da Stanislavskij e Mejerchòl’d. I Teatri Laboratorio definiscono il teatro nel senso più vasto attingendo alla propria tradizione europea e a quella di altri continenti ed intendono la performance teatrale non soltanto in termini artistici, ma come elemento catalizzatore all’interno del contesto di vita, capaci cioè di produrre un coinvolgimento politico, estetico e didattico della comunità.
Nel programma di quest’anno torna l’Odin Teatret alimentando una volta di più il sodalizio con la città e con il Teatro tascabile di Bergamo. La presenza costante dell’Odin ha portato in Italia a una delle più ricche fioriture di Gruppi di teatro di ricerca.
Nel cuore della città storica il Gruppo danese presenterà il suo nuovo spettacolo Il sogno di Andersen, nella suggestiva cornice del Palazzo della Ragione. La corposa presenza dell’Odin Teatret prevede inoltre Ode al progresso in Piazza Vecchia, Lo scheletro della balena nella sede del Teatro tascabile, per finire con Le grandi città sotto la luna all’Auditorium di Piazza della Libertà.
Ritorna il teatro in spazi aperti con il Teatro Due Mondi (Oriente, via Corridoni 26) e Bilicoteatro (Longart, Piazza San Paolo), la tradizione orientale con la maestra Usha Raghavan e il suo Ensemble (Canti d’amore, Teatro Donizetti) e poi ancora l’argentino Teatro Alpargata (Juancito y Maria, Parco Turani e Parco Rosselli; Tras carton, sede del Teatro tascabile) e la Compagnia Brincadera (Gang Aft Agley, cascina La Gargana di via Rovelli).
Completano il programma spettacoli del TTB (Valse, Piazza Matteotti; E d’ammuri t’arricuordi, sede del Teatro tascabile; Albatri, Piazza Vecchia) e azioni teatrali realizzate insieme ai gruppi ospiti.
Come tradizione, il festival sposa il prestigio degli spettacoli ospitati con amplissime interazioni di carattere pedagogico e culturale.
La sezione de Le Quiete stanze indaga il lavoro dell’attore attraverso seminari tenuti da alcuni autorevoli rappresentanti del teatro mondiale. Si va dalla tradizione teatrale del circo russo (Professione segreta…clown, di Anatoli Lokachtchouk) all’eredità del teatro-danza classico indiano stile Bharata Natyam (L’attore che danza, a cura di Usha Raghavan) fino alle tradizioni contemporanee del teatro di gruppo con il seminario sulla regia tenuto da Eugenio Barba (Il regista drammaturgo).
L’indagine continua con la sezione teorica de La Cultura del teatro che ospita il Simposio La trasmissione del sapere teatrale - Pratiche, libri, leggende e tecnologie, con la partecipazione di artisti e studiosi italiani e stranieri di diverse Università (Odin Teatret, Peter Hulton, Franco Quadri, Nicola Savarese, Mirella Schino, Chiara Zamboni, Franco Ruffini, Nando Taviani, Carlo Ginzburg, Oliviero Ponte di Pino, Usha Raghavan e TTB) e lo spettacolo-dimostrazione dell’Odin Teatret, I venti che sussurrano.
Il Centro e la circonferenza è dedicato a Renzo Vescovi, fondatore e direttore per oltre trent’anni del Teatro tascabile, scomparso improvvisamente all’inizio di aprile. Il 6 maggio il TTB lo ricorda con l’incontro Al tuo perpetuo canto.

Per prenotazioni e informazioni telefonare al Teatro tascabile di Bergamo, ai numeri 035 242095 o 320 5577069 o scrivere a: info@teatrotascabile.org.

http://www.teatrotascabile.org/centro_circonferenza/centro_circonferenza.htm

 


 

Rocco Buttiglione ministro dei Beni Culturali
Dopo essersi fatto bocciare a Bruxelles, si è fatto promuovere a Roma
di Redazione ateatro

 

Il nuovo ministro per i Beni Culturali nel nuovo governo Berlusconi è il filosofo cattolico Rocco Buttiglione, che nell’ottobre scorso era il candidato italiano alla Commissione Europea e come ricorderete era stato immediatamente stoppato per le sue dichiarazioni sull’omosessualità, da lui definita “un peccato”. Ecco come ha ricostruito la vicenda Barbara Spinelli sulla “Stampa” del 24 ottobre 2004:

Il presidente della Commissione parlamentare che ha censurato Buttiglione, il giscardiano Jean-Louis Bourlanges, è stato chiaro dopo la bocciatura del 6 ottobre. Ha detto che «in causa non era la fede personale di Buttiglione» (fede a suo parere più che legittima), ma quel che Buttiglione aveva già fatto in Europa: «Non è la sua dichiarazione sull'omosessualità (da Buttiglione definita "un peccato" di fronte ai parlamentari europei) ad aver creato i veri problemi - questo ha detto Bourlanges in un'intervista - ma il fatto che quando rappresentava il governo italiano nella convenzione incaricata del progetto di costituzione europea, Buttiglione propose un emendamento inteso a eliminare l'orientamento sessuale dalla lista delle discriminazioni proibite nello spazio dell'Unione». Emendamento che fu rifiutato, tanto che ora - nell'articolo 21,1 della Carta europea dei diritti (e la Carta è giuridicamente vincolante, nella costituzione che i governi approveranno il 29 ottobre a Roma), è scritto: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali».
Non è vero dunque, secondo Bourlanges, che i deputati europei non son capaci di distinguere tra libertà di convinzione e diritto, tra credenza personale e operato politico. Ma «avendo riversato le sue convinzioni sull'omosessualità - di per sé onorevoli, secondo Bourlanges - in una pratica politica», Buttiglione è stato valutato in chiave politica.


Dunque, visto il precedente, non è improbabile che il neo-ministro riversi in atti politici le sue personali convinzioni. Che so, in ambito teatrale, ridurre le sovvenzioni FUS alle compagnie che nelle ultime stagioni hanno messo in scena testi di Pasolini, Fassbinder o Koltès, oppure l’Edoardo II di Marlowe…
(naturalmente stiamo scherzando...)
Completano il dicastero il viceministro Antonio Martusciello e i due sottosegretari Nicola Bono e Mario Pescante.


 


 

VII edizione del Premio Hystrio alla Vocazione
concorso nazionale per giovani attori
di Hystrio

 

Il Premio alla Vocazione per giovani attori organizzato dalla rivista di cultura teatrale e spettacolo Hystrio, giunto quest’anno alla settima edizione, è considerato il più importante premio dedicato ai nuovi talenti che calcheranno i palcoscenici italiani nel prossimo futuro. Un incentivo a continuare il processo di formazione dato dalle borse di studio offerte, ma anche una straordinaria occasione di visibilità offerta ai giovani che intendono affrontare con passione vera il lavoro d’attore; questa in sintesi l’ambizione sempre più concreta del Premio Hystrio e dei suoi organizzatori.

La settima edizione del Premio Hystrio alla Vocazione per giovani attori, si svolgerà a Milano dal 16 al 18 giugno 2005 ospite del Teatro Litta. Il Premio consiste in tre borse di studio da euro 1.550 ciascuna (una per la sezione maschile e una per quella femminile più una borsa di studio di perfezionamento intitolata a Gianni Agus) ed è destinato a giovani attori entro i 30 anni (l’ultimo anno di nascita valido per le iscrizioni è il 1975), che affronteranno un'audizione di fronte a una giuria altamente qualificata di addetti ai lavori composta da direttori di Stabili, pubblici e privati, registi e critici teatrali.

Anche quest'anno il concorso nazionale avverrà in due fasi: una pre-selezione riservata a giovani aspiranti attori autodidatti o comunque sprovvisti di diploma di una scuola istituzionale di recitazione; e una selezione finale per chi frequenta o si è diplomato in accademie o scuole istituzionali cui si aggiungeranno i prescelti della pre-selezione.

Per iscriversi (entro il 15 maggio per la pre-selezione; entro il 6 giugno per la selezione finale) è necessario inviare alla direzione di Hystrio (via Olona 17, 20123 Milano, tel. 02.400.73.256, fax 02.
45.40.94.83, hystrio@fastwebnet.it : curriculum, una foto, la fotocopia di un documento d'identità, titolo e autore dei due brani e di una poesia o canzone scelti per l'audizione. La quota d'iscrizione è di euro 15 per spese di segreteria (da versarsi il giorno dell'audizione).

Sul sito www.hystrio.it si trovano tutte le informazioni necessarie ai candidati: i nomi delle scuole di teatro che permettono, se frequentate, di accedere direttamente alle selezioni finali; i testi per la scelta dei brani da preparare per le audizioni; l’aggiornamento in tempo reale dei selezionati provenienti dalla pre-selezione; nomi e curricula dei vincitori delle passate edizioni.


Per informazioni al pubblico:
Hystrio
, trimestrale di teatro e spettacolo, via Olona, 17 - 20123 Milano
tel. 02.400.73.256, fax 02.45.40.94.83
hystrio@fastwebnet.it, www.hystrio.it


TESTI SCELTI DALLA GIURIA

RUOLI FEMMINILI
* monologo di Medea sulla condizione delle donne, 1° episodio, da Medea di Euripide
* un monologo qualsiasi dei testi di Aristofane e di Plauto
* monologo di Lady Macbeth da Macbeth di Shakespeare
* monologhi di Giulietta "La maschera della notte mi nasconde il viso..." o "Correte veloci, cavalli..." da Romeo e Giulietta di Shakespeare
* primo monologo della balia da Romeo e Giulietta di Shakespeare
* un monologo da uno qualsiasi dei testi di Molière
* monologo di Mirandolina, atto I, scena 9, da La locandiera di Carlo Goldoni
* da Pentesilea di Heinrich von Kleist (monologo a scelta)
* da Medea di Corrado Alvaro (monologo a scelta)
* da Erodiade di Testori (monologo a scelta)
* da Giorni Felici di Samuel Beckett (monologo a scelta)
* da La morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt (monologo a scelta)
* ultimo monologo di Rosaura da Calderon di Pier Paolo Pasolini
* monologo iniziale della Marchesa in Quartett di Heiner Müller
* da Mi riunisco in assemblea e Arriva la rivoluzione e non ho niente da mettermi di Umberto Simonetta (un monologo a scelta)
* da Decadenze di Steven Berkoff (monologo a scelta)
* monologo di Léo dalla scena VI di Lotta di negro contro cani di Bernard-Marie Koltès
* da Le cognate di Michel Tremblay (monologo a scelta)
* da Le Confessioni (Hystrio n. 3/1993): La pescivendola di Roberto Cavosi

RUOLI MASCHILI
* monologo del secondo Messaggero o primo monologo di Penteo nelle Baccanti di Euripide
* un monologo a scelta dai testi di Aristofane e di Plauto
* monologo di Amleto "Se questa troppo troppo solida carne", atto I, scena II, da Amleto di Shakespeare
* monologo di Edmund "Natura, tu sei la mia Dea" da Re Lear di Shakespeare
* monologo finale di Romeo prima di avvelenarsi da Romeo e Giulietta di Shakespeare
* monologo di Mercuzio "La regina Mab" da Romeo e Giulietta di Shakespeare
* monologo a scelta dalle commedie brillanti di Shakespeare (Molto rumore per nulla, La dodicesima notte, Sogno di una notte di mezza estate)
* monologo di Trofimov nel Giardino dei ciliegi di Anton Cechov, finale secondo atto (con Anja) o sottofinale secondo atto (con Gaiev, Lopachin, Liuba, etc.)
* Il tabacco fa male di Anton Checov
* da Cyrano di Edmond Rostand (monologo a scelta)
* da L'uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello (monologo a scelta)
* monologo di Moritz in Risveglio di primavera di Franz Wedekind
* da Filottete di Heiner Müller (monologo a scelta)
* monologo "L'Uomo nell'ascensore" da La missione di Heiner Müller
* un monologo a scelta di Salieri dall'Amadeus di Peter Shaffer
* da In Exitu di Giovanni Testori (monologo a scelta)
* da Top Dogs di Urs Widmer (monologo a scelta)
* da Le Confessioni (Hystrio n. 3/1993): Una svista di Aldo Nicolaj, La Porcilaia di Ugo Chiti; L'imperfezionista di Manlio Santanelli (un monologo a scelta)


SCUOLE DI TEATRO CHE PERMETTONO L’ACCESSO DIRETTO ALLE SELEZIONI FINALI:

• Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini di Napoli
• Accademia d’Arte Drammatica della Calabria
• Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, Roma
• Accademia d’Arte Drammatica “Umberto Spadaio”–Teatro Stabile di Catania
• Accademia dei Filodrammatici, Milano
• Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe”, Udine
• Civica Scuola d’Arte Drammatica di Cagliari
• La Contrada - Teatro Stabile di Trieste
• Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”, Milano
• Scuola del Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, Venezia
• Scuola del Teatro Stabile di Palermo
• Scuola di avviamento al Teatro del Teatro Stabile delle Marche
• Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova
• Scuola di Teatro del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
• Scuola di Teatro del Teatro Stabile di Torino
• Scuola di Teatro di Bologna “Galante Garrone”
• Scuola Nazionale di Cinema, Roma
 


 

La terza edizione di Città in condominio
Il programma
di Città in condominio

 

CITTA’ IN CONDOMINIO 3a edizione
Scritture al presente

a cura di Mauro Carli, Renata Ciaravino, Carlo G. Gabardini, Renato Gabrielli, Renata Molinari, Giampaolo Spinato, Roberto Traverso, Tommaso Urselli

Lunedì 2 maggio presso la scuola d’arte Drammatica Paolo Grassi, in via Salasco, 4 ore 19.00 si svolgerà il secondo appuntamento di “città in condominio” un vero e proprio “work in progress” sulla drammaturgia realizzato quest’anno in collaborazione con il collettivo Dionisi e con il contributo dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Il progetto si pone da qualche anno l’obiettivo di sperimentare le diverse scritture per raccontare la città stimolando un rapporto tra gli autori e tra gli autori e gli attori invitandoli a scrivere “al presente” storie, ambienti, situazioni della vita cittadina. Al secondo appuntamento del 2 maggio verranno presentati alcuni dei testi che sono stati elaborati in queste settimane. Durante la serata si presenteranno i risultati del lavoro con la lettura dei testi, la partecipazione degli autori e degli attori in una “prova aperta” al pubblico.


Il programma della serata

Menzogna Curricolare, di Carlo Gabardini, una voce e una vita di fronte alle
domande del curriculum e alla domanda di verità.

In giro di Renato Gabrielli. due si rincorrono, o si seminano, si
smarriscono, seguendo i loro sms.

La maga Olga di Magdalena Barile, le bugie di una maga, le bugie di una
donna, bugie per amore, forse, solo per amore?

Dire fare baciare immagine e sentimento. Un racconto-reportage di Renata
Molinari. su esercizi metropolitani di relazione. Incursioni di Giorgio Monte, Gianluca De Col, Tommaso Urselli. Decalogo dell'uomo perfetto di Gianluca De Col.

Car pool blues di Tommaso Urselli, due compaesani grazie al car pool s’incontrano sull’auto di uno dei due in una delle solite emergenze traffico milanesi.

Alta fedeltà di Giorgio Terruzzi, un medico, la responsabilità della vita e della morte, l’emergenza continua che nasconde e a volte impedisce di riconoscere la propria emergenza che magari è semplicemente un bisogno d’amore.
.
Leggono Massimiliano Speziani, Marta Comerio, Tommaso Banfi, Stefania
Casiraghi, Claudio Raimondo, Milena Costanzo, Claudia Mangano, Renato
Gabrielli, Giorgio Terrazzi
.

Il prossimo appuntamento sarà il 16 maggio con la prima delle tre serate previste all’auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare. Nel corso della diretta radiofonica verranno proposti alcuni dei testi presentati il due maggio. Gli altri appuntamenti radiofonici saranno il 23 e il 30 maggio.

La storia di “Città in condominio”
Da tre anni lavoriamo a un progetto che si propone di raccogliere e stimolare nuove scritture per raccontare la contemporaneità. Il primo appuntamento da noi organizzato è stato al Teatro di porta Romana nella primavera 2002. Quella serata era nata sull'onda di un'emergenza : la guerra in Afghanistan. In quell’occasione, in collegamento con un gruppo di scrittori romani, ci chiamavamo “scrittori per la pace” e l’happening al Porta Romana ci ha fatto capire che esisteva un bisogno di comunicazione e che la scrittura, intesa in tutti i suoi risvolti, dovesse rispondere a questo bisogno. Da quell’esperienza è nato il progetto “città in condominio” che abbiamo proposto e organizzato al Teatro Out Off nella primavera del 2003. L’emergenza sulla guerra si è qui trasformata e allargata al tema più vasto della città e delle diverse scritture per raccontarla. Nell’arco di tre mesi abbiamo raccolto testi di diciotto scrittori, alcuni esordienti, altri che già lavorano e si sono affermati nel mondo del teatro, del cinema, della letteratura, coinvolgendo più di trenta attori. Il risultato di questo lavoro si è concretizzato in marzo in tre appuntamenti di “reading aperti” cioè presentazione dei testi in forma di lettura come primo stadio di verifica del testo con il pubblico e con gli attori. In seguito abbiamo rilanciato la proposta con un “presidio” di dieci appuntamenti, sempre al Teatro Out Off, che hanno coinvolto fino a primavera 2004 alcune decine di autori. Se all'inizio è stata la guerra il tema portante, questa volta sono stati i limiti: la città al limite e i limiti della città. La forma di queste serate è sempre stata molto agile, senza regia, senza scenografia, senza musica: soltanto la cura dell'autore e la supervisione della nostra "redazione" affinché il testo arrivasse con la sola forza della parola. A giugno “Città in condominio” è stata ospite nel tendone di “Esterni” in piazza Freud con una serata a tema (andata e ritorno – da e verso la città) e lo scorso settembre siamo stati invitati dall’associazione Arboreto di Mondaino (Rimini) un luogo bellissimo che si occupa di natura, ricerca e cultura teatrale per approfondire teoricamente e restituire ad altri l’esperienza milanese di “Città in condominio”. Le riflessioni a Mondaino ci hanno fatto considerare la necessità di aprire una nuova fase di “Città in condominio” capitalizzare i contatti, le relazioni, il lavoro fin qui svolto e allo stesso tempo aprirci maggiormente alla città, non diventare “routine”, non accontentarci di uno spazio conquistato in un teatro, ma andare avanti, rilanciare. E’ nata così l’idea del progetto di quest’anno: “Città in condominio” alla radio, sempre dal vivo, perché questa è la sua esigenza, sempre con il pubblico, perché il teatro ne ha un bisogno strutturale, ma con un’amplificazione assume forse un significato “civile” più forte.

Per “città in condominio”
Informazioni per il pubblico Compagnia Dionisi tel. 023083003


 


 

Una personale: Claudio Meldolesi presenta Laminarie
A Bologna dal 2 al 6 giugno
di Ufficio Stampa Laminarie

 

ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
DIPARTIMENTO DI MUSICA E SPETTACOLO

LA SOFFITTA
Centro di promozione teatrale


presenta, nell’ambito delle attività LA SOFFITTA 2005

VITA E FIABA: PERCORSI DI LAMINARIE
due spettacoli, un incontro, proiezioni video e laboratorio
progetto a cura di Claudio Meldolesi

dal 2 al 6 MAGGIO 2005

JACK E IL FAGIOLO MAGICO
regia, scene, luci e costumi di Bruna Gambarelli e Febo Del Zozzo
opere pittoriche di Giuliano Guatta
ricerca video di Lino Greco e Bruna Gambarelli
con Patrizia Comitardi, Livia Gionfrida, Maurizio Mantani,
Alice Padovani, Fabiana Giordano, Federica Rocchi, Guglielmo Papa, Maia Pedullà
in collaborazione con Il Cassero, gay lesbian center
Il Cassero, 2 maggio, ore 21 e 22.30 / posti limitati
Ingresso spettacolo: angolo tra via Azzo Gardino e via del Macello

LA COERENZA SORPRENDENTE DI LAMINARIE
incontro con Bruna Gambarelli e Febo Del Zozzo
coordina Claudio Meldolesi
intervengono Giuseppe Dell’Agata (docente dell’Università di Pisa),
Daniele Del Pozzo (Responsabile Attività Culturali del Il Cassero),
Giancarlo Gaeta (docente dell’Università di Firenze),
Marino Pedroni (Resp.le attività didattiche del Teatro Comunale di Ferrrara),
Andrea Porcheddu (critico e studioso di Teatro).
Laboratori DMS, via Azzo Gardino 65 –Auditorium, 3 maggio, ore 15

L’ATTENZIONE E L’ATTESA
laboratorio condotto da Bruna Gambarelli e Febo Del Zozzo
a numero chiuso, riservato a studenti DAMS; iscrizioni dal 14 marzo al 15 aprile, ore 10-13
Laboratori DMS, via Azzo Gardino 65 –Teatro, 3 – 5 maggio

VISIONI DAL TEATRO DI LAMINARIE
Proiezioni video:
- L -
- Jack e il fagiolo magico -
- STRATAGEMMA N. 2. Appunti su uno spettacolo -
- Ne tako nego ovako (Bosnia 1996) -
Laboratori DMS, via Azzo Gardino 65 –Teatro, 3 – 5 maggio, ore 14-15

ELEMENTI DA UN’AUTOBIOGRAFIA
dalle opere di Elias Canetti e Edmondo Peluso
regia, scene, luci e costumi di Febo Del Zozzo
selezione dei testi Bruna Gambarelli
con Febo Del Zozzo, Ennio Ruffolo, Angelo di Bello, Davide Lora, Matteo Ripari, Alice Padovani, Federica Rocchi
con la partecipazione di Irene Franchini dell’Associazione Arcieri Bismantova
Laboratori DMS, via Azzo Gardino 65 –Teatro, 6 maggio, ore 21


INFORMAZIONI
> centro LA SOFFITTA - Dipartimento di Musica e Spettacolo - via Azzo Gardino 65/a - tel.051 2092413 – www.muspe.unibo.it/soffitta
Biglietti per gli spettacoli: biglietteria ai Laboratori DMS - intero Euro 9; ridotto Euro 5; da un’ora prima dell’inizio, le sere di spettacolo. Incontro e rassegna video sono ad ingresso libero.

> LAMINARIE tel. 051.6242160 - cell. 333.6505303 - www.laminarie.it - press@laminarie.it


 


 

Carlo Cecchi e Rodrigo Garcia alla nuova Ecole des Maîtres
Progetto Thierry Salmon: il bando dell'Edizione 2005
di Ufficio Stampa ETI

 

corso internazionale itinerante di perfezionamento teatrale

direzione artistica: Franco Quadri
II edizione: 26 luglio - 16 settembre 2005
scadenza del bando di partecipazione: 28 maggio 2005
partner di progetto
CSS - Teatro stabile di innovazione del FVG (Italia), Centre de Recherche et d’Expérimentation en Pédagogie Artistique - CREPA (CFWB/Belgique), Académie Théâtrale de l'Union (France), Ministério da Cultura - Instituto das Artes (Portugal), Centro Dramático de Aragón - Departamento de Educatión, Cultura y Deporte del Gobierno de Aragón (España)
con la partecipazione di ETI - Ente Teatrale Italiano (Italia), Ministère de la Culture et de la Communication (France), Ministère de la Communauté française – Service général des Arts de la scène (CFWB/Belgique), Commissariat général aux Relations internationales (CFWB/Belgique), Fonds d’Assurance Formation des Activités du Spectacle (France), Conseil régional du Limousin (France), Culturporto / Rivoli Teatro Municipal (Portugal), Ministério da Cultura - Centro Cultural de Belém (Portugal), Regione Friuli Venezia Giulia (Italia), Comune di Fagagna (Italia)
con il sostegno di Programma Cultura 2000 dell’Unione Europea

Da una parte il più intellettuale dei teatranti italiani, maestro spirituale di generazioni d’artisti, dall’altra la fisicità iconoclasta di uno dei più interessanti registi internazionali: saranno CARLO CECCHI e RODRIGO GARCIA i maestri della seconda edizione del Progetto Thierry Salmon, il corso di perfezionamento teatrale - dedicato alla memoria del regista belga scomparso nel ’98 -, che rinnova e potenzia l’esperienza pedagogica e artistica delle dodici edizioni dell’Ecole des Maîtres.

Se nella passata edizione Denis Marleau e Jan Fabre avevano lavorato in contemporanea, seguendo il primo il minimalismo del linguaggio di Maeterlinck, ed il secondo concentrandosi sul corpo a partire dalle figure archetipiche del Santo e del Filosofo, quest’anno Cecchi affronterà il Don Giovanni, muovendosi dall’insoddisfazione per la messinscena che aveva realizzato nel 1978 dell’opera di Molière, mentre Garcia prenderà a immagine di riferimento per il laboratorio “la goffaggine degli uomini e la loro inclinazione a complicarsi la vita”, intitolando significativamente il suo stage Alzate la testa da terra, coglioni!.
I due atelier si svilupperanno parallelamente, ma indipendenti nello stesso periodo, dal 26 luglio al 7 settembre 2005, coinvolgendo ciascuno 15 stagisti rappresentanti di tutti i cinque Paesi del progetto. Dal 9 al 16 settembre 2005 gli stage confluiranno in una fase intensiva di confronto e di dimostrazioni pubbliche.
L’atelier di Carlo Cecchi avrà come sedi di lavoro, nella prima sessione, l’Italia (Fagagna, 26 luglio – 15 agosto 2005) e proseguirà poi in Francia (Limoges, 17 agosto – 7 settembre 2005), mentre Rodrigo Garcia condurrà il suo corso in Spagna (Saragozza, 26 luglio – 15 agosto 2005) e in Belgio (Liegi, 17 agosto – 7 settembre 2005). I due maestri si riuniranno assieme a tutti e 30 stagisti nella sede portoghese di Porto (9 – 12 settembre 2005), mentre Roma ospiterà per due giorni in Italia (15-16 settembre 2005) le dimostrazioni finali aperte al pubblico.

La scadenza del bando di ammissione alle selezioni per la seconda edizione del Progetto Thierry Salmon è fissata per il 28 maggio 2005. Il bando, con le norme generali di partecipazione, possono essere scaricati dal sito www.project-thierry-salmon.org. Saranno selezionati e ammessi ai due atelier, come partecipanti alla seconda edizione, in tutto trenta stagisti, sei per ogni Paese aderente al Progetto Thierry Salmon. All’Italia quindi saranno riservati posti per sei stagisti. La distribuzione degli allievi fra i due corsi sarà ad assoluta discrezione della direzione artistica e dei coordinatori del Progetto.


 


 

Jan Fabre a Udine: una personale dedicata all'artista belga
Spettacoli, incontri & altro dal 7 al 18 maggio
di Ufficio Stampa CSS Udine

 

PROGETTO JAN FABRE
omaggio a un artista totale
Udine 7 – 18 maggio 2005


un progetto
CSS Teatro stabile di innovazione del FVG/Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine
in collaborazione con Fondazione CRUP e illycaffé

Stagione Teatro Contatto 04-05
- XXIII edizione

Incontro ravvicinato con un artista totale: con tre spettacoli della sua più recente produzione e una conversazione aperta al pubblico, il CSS di Udine con la collaborazione del Teatro Nuovo Giovanni da Udine dedica a Jan Fabre una sezione speciale della Stagione Teatro Contatto.

Per esplorare le forme e i linguaggi in cui si declina l’eclettismo e la tensione creativa dell’artista fiammingo, ospiteremo a Udine Quando luomo principale è una donna, assolo di danza di Lisbeth Gruwez, splendida danzatrice dal fascino androgino, il capolavoro corale Je suis sang, un affresco vivente ispirato alla tradizione figurativa del suo paese e attraversato da forti pulsioni contemporanee, e la performance Angel of Death, manifesto multimediale sul concetto di artista come “guerriero della bellezza”. Ospite a Udine assieme alla sua compagnia Troubleyn di Anversa, Jan Fabre sarà protagonista di una conversazione con il pubblico su arti visive e arti sceniche.

7,8 maggio 2005 ore 21
Udine, Teatro Palamostre
QUANDO L'UOMO PRINCIPALE È UNA DONNA
regia e scenografia Jan Fabre
coreografia Jan Fabre, Lisbeth Gruwez
danzatrice Lisbeth Gruwez
musica Maarten Van Cauwenberghe
disegno luci Jan Fabre, Pieter Troch
costumi Daphne Kitschen
una produzione Troubleyn/ Jan Fabre (Antwerp - Belgium)
in co-produzione con Théâtre de la Ville, deSingel

13,14 maggio 2005 ore 21
Udine, Teatro Nuovo Giovanni da Udine
JE SUIS SANG - prima nazionale
testo, regia, scenografia, coreografia Jan Fabre
assistente alla regia e drammaturgia Miet Martens
assistente alla regia e alla coreografia Renée Copraij
attori, danzatori, musicisti Linda Adami, Tawny Andersen, Vincente Arlandis, Dimitri Brusselmans, Katrien Bruyneel, Annabelle Chambon, Cédric Charron, Sebastien Cneude, Anny Czupper, Stijn Dickel, Barbara De Coninck, Olivier Dubois, Els Deceukelier, Ivana Jozic, Marina Kaptijn, Guillaume Marie, Dirk Roofthooft, Maria Stamenkovic-Herranz, Geert Vaes, Helmut Van den Meersschaut
disegno luci Jan Dekeyser, Jan Fabre
costumi Daphne Kitschen, Jan Fabre
produzione Troubleyn / Jan Fabre (Antwerp / Belgium)

14 maggio 2005 ore 12
Udine, Teatro Nuovo Giovanni da Udine
CONVERSAZIONE CON JAN FABRE

16, 17 maggio 2005 ore 21
18 maggio 2005 ore 19 e 22
Udine, Teatro Palamostre
ANGEL OF DEATH
concetto, regia e testi Jan Fabre
performer del film William Forsythe/ performer dal vivo Ivana Jozic
una produzione Troubleyn/ Jan Fabre (Antwerp / Belgium)
in co-produzione con deSingel

GLI SPETTACOLI

7,8 maggio 2005 ore 21
Udine, Teatro Palamostre
QUANDO L'UOMO PRINCIPALE È UNA DONNA
regia e scenografia Jan Fabre
coreografia Jan Fabre, Lisbeth Gruwez
danzatrice Lisbeth Gruwez
musica Maarten Van Cauwenberghe
disegno luci Jan Fabre, Pieter Troch
costumi Daphne Kitschen
una produzione Troubleyn/ Jan Fabre (Antwerp - Belgium)
in co-produzione con Théâtre de la Ville, deSingel



Cantando i primi versi di “Volare”, Lisbeth Gruwez, danzatrice androgina, prepara il suo corpo a spiccare il volo, cospargendosi di olio d’oliva. Stretta in un completo giacca e pantaloni (da cui si libera presto), la danzatrice disgrega con grazia tutti i confini (formali e intellettuali) fra l’uomo e la donna. Nella visione di Jan Fabre infatti la mascolinità è inscindibile dalla sua componente femminile, se non altro perché durante la sua esistenza pre-natale, “ogni uomo è necessariamente parte di una donna”.
Sotto un cielo pieno di bottiglie dalle quali goccia incessantemente dell’olio d’oliva che trasformerà il palcoscenico in una vasca lucida e riflettente, Lisbeth Gruwez mette in gioco il suo corpo androgino e vibrante di energia pura, riempiendo lo spazio scenico con una voracità animale.
Jan Fabre attribuisce all’olio diverse connotazioni, mediche, cosmetiche, cristiane. L’ulivo come la Madre terra, come vecchio albero indistruttibile, un balsamo per il mondo, ma anche, per contrasto, ricordando come i suoi frutti fossero usati un tempo come contraccettivo. Quando l’uomo principale è una donna è un’ode alla forza e alla potenza delle donne, un assolo imbevuto di una straordinaria leggerezza.


13,14 maggio 2005 ore 21
Udine, Teatro Nuovo Giovanni da Udine
JE SUIS SANG - prima nazionale
testo, regia, scenografia, coreografia Jan Fabre
assistente alla regia e drammaturgia Miet Martens
assistente alla regia e alla coreografia Renée Copraij
attori, danzatori, musicisti Linda Adami, Tawny Andersen, Vincente Arlandis, Dimitri Brusselmans, Katrien Bruyneel, Annabelle Chambon, Cédric Charron, Sebastien Cneude, Anny Czupper, Stijn Dickel, Barbara De Coninck, Olivier Dubois, Els Deceukelier, Ivana Jozic, Marina Kaptijn, Guillaume Marie, Dirk Roofthooft, Maria Stamenkovic-Herranz, Geert Vaes, Helmut Van den Meersschaut
disegno luci Jan Dekeyser, Jan Fabre
costumi Daphne Kitschen, Jan Fabre
produzione Troubleyn / Jan Fabre (Antwerp / Belgium)



A discapito dello sviluppo della coscienza, dell’evoluzione razionale e scientifica, della stessa globalizzazione, sembra che molto poco sia cambiato, per gli esseri umani, dai “tempi bui” del Medioevo. Ecco perché c’è ancora una volta il corpo, con le sue pulsioni, fissazioni, gioie e sofferenze, al centro di uno spettacolo di Jan Fabre. Assieme, come in un mantra misterioso, i protagonisti di Je suis sang fanno risuonare la bruciante voce del corpo come fonte di stimoli e di tabù sociali, naturalmente legati al sangue: ferite, mestruazioni, stigmate. Perché l’uomo è votato alla religione del proprio sangue, l’unico fluido capace di purificarsi da solo e, privo finalmente del peso della carne e delle ossa, aspirare a diventare l’essere del futuro: un corpo fatto soltanto di sangue. Diciannove attori, danzatori e musicisti mettono così in scena una grandiosa storia umana raccontata in una sequenza di tableaux viventi, ora estatici ora lirici ora estremi, attraverso passato, presente e futuro. Un’impostazione visiva - dai costumi agli oggetti utilizzati, alle stesse azioni sceniche – che sembra fortemente influenzata da reminiscenze dell’immaginazione bucolica tardo medioevale di Hieronymus Bosch.


14 maggio 2005 ore 12
Udine, Teatro Nuovo Giovanni da Udine
CONVERSAZIONE CON JAN FABRE


16,17 maggio 2005 ore 21
18 maggio 2005 ore 19 e 22
Udine, Teatro Palamostre
ANGEL OF DEATH
concetto, regia e testi Jan Fabre
performer del film William Forsythe/ performer dal vivo Ivana Jozic
una produzione Troubleyn/ Jan Fabre (Antwerp / Belgium)
in co-produzione con deSingel



Un “guerriero della bellezza”, per Jan Fabre, è chi possiede un’aura, un marchio di immortalità capace di trasformarlo in un’icona nell’immaginario collettivo. Angel of Death è un crocevia fra tre diverse figure d’artista - Andy Warhol, William Forsythe e lo stesso Fabre – che si ritrovano immerse in una “installazione totale” che è incessante dialogo fra le arti: musica, performance dal vivo, immagini, video scioccanti, danza e recitazione. Sotto la guida di una strana e meravigliosa creatura, l’angelo fanciulla del titolo...
Quattro video pareti circoscrivono uno spazio all’interno del quale la danzatrice croata Ivana Jozic entra in una relazione di dialogo provocante con quanto appare sugli schermi. Da quattro diversi punti di vista e da molteplici angolazioni di ripresa che si intersecano e si dissolvono gli uni negli altri, le immagini riprendono il coreografo William Forsythe mentre danza e recita L’Angelo della morte all’interno del museo anatomico di Montpellier. All’interazione fra le immagini si sovrappongono le sequenze di gesti e parole messe in gioco dal vivo dalla performer e gli interventi sonori e musicali composti dal sassofonista Eric Sleichim.

Archivio: Jan Fabre su ateatro

75.30 Apre con Jan Fabre la nuove sede dell'Out Off a Milano
The Crying Body dal 2 al 6 novembre
di Redazione ateatro


70.73 Le recensioni di "ateatro": Quando l’uomo principale è una donna
di Jan Fabre con Lisbeth Gruwez
di Pietro Gaglianò


51.13 Gaude Succurrere Vitae
Jan Fabre in mostra a Bergamo
di GAMeC Bergamo (Comunicato stampa)


51.12 Jan Fabre in mostra a Bergamo
Un portfolio di immagini
di Redazione ateatro


 


 

Il programma di AstiTeatro 27
Attenzione alla nuova drammaturgia
di Ufficio Stampa Asti Teatro

 

ASTITEATRO 27

LA FESTA DEL TEATRO

19/06/2005
Da Piazza San Secondo a Piazza Medici h 21.30

SULLE TRACCE DI UTOPIA
Un progetto dell’Associazione Oraeventi con la partecipazione del gruppo francese di danza aerea Motus Modules
Regia di Marco Boarino e Fabrizio Nocera
Prod. Oraeventi – Asti Teatro 27
Prima Nazionale

ASTI PALCOSCENICO

20/06/2005
Teatro Alfieri h 21.30
ROMANA
Con Tosca
testi di Roberto Agostini
regia di Massimo Venturiello
Prod. Ambra Jovinelli – Asti Teatro 27
Prima Nazionale


01/07/2005
Teatro Alfieri h. 21.30
FOTOGRAMMA
Musiche di Nicola Piovani testi di Vincenzo Cerami
con Norma Martelli e Pino Ingrosso, Raffaella Siniscalchi, Lisa Angelillo
e I Solisti dell’Orchestra Aracoeli
Prod. Ambra Jovinelli


02/07/2005
Centro Giraudi h 21.30
“CRY BABY” - L’ULTIMA NOTTE DI JANIS JOPLIN
di Massimo Cotto
con Chiara Buratti e Luca Nesti
regia di Antonio Tallura
Prod. Asti Musica-Asti Teatro 27
Prima Nazionale

ASTI SCRITTURE



23-24/06/2005
Centro Giraudi h 21.30
BALLATA DEL CARCERE DI READING
di Oscar Wilde
con Umberto Orsini e Giovanna Marini
regia di Elio De Capitani
Prod. ERT – Emilia Romagna Teatro – Asti Teatro 27
Prima Nazionale


24-25/06/2005
Sala ex Annunziata h 21.30
LA FORMA DELLE COSE
di Neil Labute
con Lorenzo Lavia, Camilla Filippi, Fulvio Pepe, Ilaria Falini
regia di Marcello Cotugno
prod. Compagnia Lavia – Teatro Eliseo – Asti Teatro 27
Prima Nazionale


25/06/2005
Teatro Alfieri h 21.30
UNA VOLTA IN EUROPA
di John Berger
con Licia Maglietta
Prod. Associazione Cadmo- Asti Teatro 27
Prima Nazionale


28-29/06/2005
Centro Giraudi h 21.30

B.
di Giampaolo Spinato
con Silvia Guidi, Fulvio Cauteruccio e Daniele Bartolini
regia di Fulvio Cauteruccio
musiche di Marco Puccini
Prod. Compagnia Teatrale Krypton – Asti Teatro 27


29-30/06/2005
Sala ex Annunziata h. 21.30
BARTOLOMEO VANZETTI
di Luciano Nattino
con Massimo Barbero, Patrizia Camatel, Matteo Campagnoli, Stefano Orlando
regia di Luciano Nattino
Prod. Casa degli Alfieri – Teatro degli Acerbi – Asti Teatro 27
Prima Nazionale


30/06/2005
Teatro Alfieri h 21.30
IL FUNAMBOLO E LA LUNA
di Ghiannis Ritzos
con Elisabetta Pozzi
e Alessio Romano, Elisa Galvagno, Noemi Condorelli, Leonardo Adorni, Iacopo Maria Bianchini, Alessandro Mori
musiche originali dal vivo Daniele D’Angelo
progetto di Elisabetta Pozzi e Daniele D’Angelo
collaborazione artistica Ezio Savino
Mistras Produzioni – Asti Teatro 27
in collaborazione con il Comune di Noceto e il Circolo Culturale Gli Imperfetti
Prima Nazionale


01/07/2005
Sala Pastrone h. 18.00
LETTERE AL METRONOMO
di e con Vincenzo Cerami
e Aisha Cerami, Aidan Zammit
Prod. Ambra Jovinelli

EVENTI
20/06/2005
Palazzo Alfieri h 21.00

Apertura della Fondazione Eugenio Guglielminetti.

Inaugurazione delle mostre:
Il Pantheon di Nadar – immagini fotografiche delle maggiori personalità del suo tempo.
Scenografi francesi di fine ottocento.

A seguire:
Charles Baudelaire e Warner Bentivegna raccontano Lo spleen di Parigi
Drammaturgia di Warner Bentivegna
Impianto scenico di Eugenio Guglielminetti


 


 

Subway Letteratura 2005 a Milano, Roma e Napoli
Dall'11 maggio l'evento letterario per autori under 35
di Ufficio Stampa Subway

 

1.250 lavori pervenuti da tutta Italia: 11 racconti e 7 poesie selezionati per un totale di 13 libretti stampati in 3.000.000 di copie su carta riciclata al 100%

A partire dal 12 maggio 2005 la tiratura record dei libriccini sarà distribuita tramite i “ juke-box letterari” nelle principali stazioni delle metropolitane di Milano, Napoli e Roma


Milano, 11 maggio 2005
Inizia con numeri da record la quarta edizione di Subway Letteratura, l’evento letterario, curato da Davide Franzini e Oliviero Ponte di Pino, che offre l’opportunità a scrittori e poeti di vedere pubblicate e distribuite gratuitamente le proprie opere nelle metropolitane di Milano, Roma e Napoli.

1250 giovani autori, 648 scrittori e 601 scrittrici sono alcuni dei numeri di Subway-letteratura 2005 registrati in soli due mesi di bando. Da Bolzano a Trapani adolescenti ( il più giovane ha 12 anni), ragazzi e adulti hanno inviato poesie e racconti appartenenti ai più diversi generi letterari.
L’analisi dei testi, effettuata dalla giuria composta da: Massimo Cacciapuoti, Alessandra Casella, Pepa Cerutti, Arnaldo Colasanti, Milo De Angelis, Davide Franzini, Chiara Gamberane, Francesco Lucioli, Raul Montanari, Andrea G. Pinketts, Daniele Piccini, Oliviero Ponte di Pino, Davide Rondoni, Eugenio Stanziale, Pietro Treccagnoli, Sandro Veronesi e Alessandro Zaccuri ha messo in luce alcuni aspetti dominanti tra cui la paura dell’abbandono e la critica della precarietà e di ciò che comporta un mondo che evolve senza meta.

La nuova generazione di scrittori presentati da Subway è costituita da osservatori attenti ai singoli aspetti della vita, acuti nel coglierne i risvolti e immediati nell’esprimere i sentimenti espressi mediante l’utilizzo di un codice che deriva dalla contaminazione dei nuovi linguaggi e dalla rilettura dei classici.

Nato da un’idea di Associazione Laboratorio E20 in collaborazione con il Comune di Milano - Assessorato Sport e Giovani– Subway presenta per l’edizione 2005 due importanti novità:

• l’introduzione, grazie alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM, della sezione Premio Università IULM dedicata a scrittori under 19 - 10 lavori selezionati da una giuria coordinata da Paolo Giovanetti -.
un esclusivo workshop di scrittura creativa come premio per i vincitori, organizzato e offerto da TRATTO Pen, nel corso del quale autori affermati, editor e giornalisti guideranno i giovani vincitori, attraverso lezioni e conferenze, alla scoperta del mondo della scrittura e dell’editoria. •

L’edizione 2005 di Subway è la prima edizione veramente nazionale dell’evento letterario - che mira a favorire la produzione e il consumo di testi letterari di qualità, promuovendo nuovi autori, nuove modalità di incontro con i lettori e sperimentando l'impiego di nuove tecnologie e di innovative modalità di promozione e comunicazione - grazie all’ormai consolidato contributo e patrocinio del Comune di Milano, al contributo di Met.Ro Roma Spa, di Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica), al patrocinio del Comune di Roma e Napoli e al supporto tecnico di ATM, Metronapoli e UPM che fornisce la carta riciclata per la stampa di 3.000.000 di libretti.


Ufficio stampa Subway Letteratura:
Cantiere di Comunicazione
Tel 02/87383180
cantiere@cantieredicomunicazione.com






La distribuzione di racconti e poesie stampate su carta riciclata al 100% in circa 1.000.000 di copie per città, partirà da Milano il 12 maggio e a seguire verrà avviata a Napoli e Roma. Nelle principali stazioni metropolitane saranno presenti juke boxe letterari che verranno riforniti due volte al giorno.

Date e stazioni metropolitane in dettaglio:

MILANO – dal 12 maggio al 2 giugno: sette fermate per un totale di 20 display e 78.000 copie distribuite ogni giorno.

Duomo
Lanza
Cadorna
Centrale
P.ta Venezia
Loreto
Amendola

NAPOLI - dal 24 maggio al 14 giugno 2005: sei fermate per un totale di 15 display e 39.000 copie distribuite ogni giorno

Garibaldi
Cavour
Vanvitelli
C.Flegrei
Fun. Centrale
Fun. Chiaia

ROMA – dal 15 giugno al 6 luglio 2005: 15 fermate per un totale di 25 display e 97.500 copie distribuite ogni giorno

Anagnina
Cinecittà
San Giovanni
V.Emanuele
Termini
Spagna
Cipro
Battistini
Laurentina
Garbatella
Piramide
Colosseo
Tiburtina
Flaminio

I racconti e le poesie distribuiti nelle tre grandi città italiane saranno consultabili e scaricabili anche sul sito internet di Subway-letteratura: www.subway-letteratura.org .


 


 

Artaud (& altro) a Macerata
I-Mode Visions 2005
di Ufficio Stampa Accademia Belle Arti

 

Macerata I-Mode Visions 2005

Prigionieri forzati della sensibilità (o della televisione?)




Dal 18 al 20 maggio p.v. si terrà al teatro-auditorium “Josef Svoboda”, l’esposizione annuale del Corso di Comunicazione Visiva Multimediale Macerata: Macerata I-Mode Visions.

Il festival, giunto alla II edizione, propone il concorso “I modi della visione”, aperto ad una selezione di 13 film-makers dell’Accademia, performances multimediali, retrospettive video e filmiche, due tavole rotonde con la partecipazione di docenti, semiologi e critici televisivi.

Dopo aver indagato e rigenerato la poetica pasoliniana, Macerata I-Mode Visions è dedicata quest’anno ad Antonin Artaud (1896 – 1944): un omaggio al pensiero e all’opera del geniale assertore della “filosofia della crudeltà”; uno dei pionieri della multimedialità espressiva delle arti. Una riflessione su quanto di artaudiano, “capace di svegliarci: nervi e cuore”, sia sopravvissuto nei linguaggi e le forme degli attuali media; con particolare attenzione alla televisione.

In programma convegni e performances multimediali, retrospettive video e filmiche, convegni e tavole rotonde con la partecipazione di semiologi e critici

Il calendario prevede: Mercoledì 18 Maggio alle ore 9,oo e ore 15.30, convegno “Prigionieri forzati della sensibilità” (o della televisione?) con intervento prolusivo di Massimo Puliani (coordinatore del corso), Alessandro Forlani, Carlo Infante, Piepaolo Loffreda, Anna Maria Monteverdi e Silvana Vassallo.

Giovedì 19 Maggio ore 9,00 proiezioni di opere storiche di Carmelo Bene, Peter Brook, Living Theatre, Magazzini Criminali e Raffaello Sanzio; e visione di opere di video-artisti provenienti dall’Acacdemia (Mirco Alessandrini e il duo Nardi/Scopetta). Nel pomeriggio retrospettiva filmica “Artaud: l’attore appestato” a cura di Pierpaolo Loffreda e Maurizio Failla. In programma La passione di Giovanna d’Arco di F. Dreyer; Napoleon di A. Glance; La Coquille et le Clergyman.

L’esposizione si concluderà la mattina di Venerdì 20 Maggio con la premiazione, da parte del Direttore Anna Verducci e del Presidente dell’Accademia, Massimiliano Fraticelli del concorso “I modi della visione”, e con la videoperformance di Fabrizio Bartolucci, sul testo di Pour en finir avec le Jugement de Dieu.

Per l’occasione sarà attivato un sito: http://www.accademiabellearti.com/imodevisions.htm
 


 

I vent'anni di Ondvideo
A Pisa dal 16 al 31 maggio
di Ondavideo

 

Ondavideo è nata a Pisa nel 1985: nel 2005 compie quindi vent'anni. E' una delle prime, pionieristiche manifestazioni nate negli Ottanta intorno alle nuove tecnologie e al loro uso artistico ed è l'unica ad essere oggi ancora attiva. Ondavideo non è stata e non è solo una mostra di videoarte, di "non fiction": è stata ed è anche un polo di ricerca, con il legame stretto con l'Università e con varie istituzioni, dalla RAI a centri internazionali. Ha organizzato rassegne, incontri, seminari, convegni, eventi multimediali, concerti, installazioni, prodotto pubblicazioni e opere video che hanno riscosso riconoscimenti nazionali e internazionali; ha formato un pubblico attento e sensibile alle innovazioni di linguaggio e si è di fatto inserita nella tradizione audiovisiva del territorio, favorendo a sua volta la nascita di tante iniziative nel settore promosse da giovani e da associazioni culturali; ha raccolto decine di lavori in un archivio raro e prezioso per la storia della videoarte, del documentario e del video indipendente.

In occasione del ventennale Ondavideo ha previsto una serie di iniziative, che vanno sotto il nome di Alchimedia, rassegna nata nel 2003, che vede nel 2005 il suo momento più importante e conclusivo. Le iniziative, inaugurate nel mese di marzo - con gli incontri con la videoartista Marina Grzinic, videoartista e teorica di Lubiana, e la presentazione del libro Le arti multimediali digitali. Storie, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio, a cura di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi - coinvolgono vari luoghi cittadini, offrono al pubblico l'occasione di ripercorrere la storia della manifestazione e propongono eventi, incontri e produzioni nuove.

Ricco il programma del mese di maggio.

Nella serata inaugurale, lunedì 16, Sandra Lischi, Presidente di Ondavideo, presenta, presso la sede Soci Coop (Cisanello), Rileggere Pisa: video-ritratti non convenzionali dello spazio urbano pisano, prodotti da Ondavideo e firmati da autori italiani e stranieri, tra tradizione, aspetti sociali, storia passata e presente. Tra questi Amber City, con il quale il newyorkese, Jem Cohen ha vinto il primo premio al festival Internazionale del Film di Locarno (1999).

Tra gli appuntamenti: la prima assoluta di Plus loin que la nuit del videoartista di fama internazionale Robert Cahen (26 maggio, Cineclub Arsenale), e sempre di Robert Cahen l’installazione video-teatral-musicale-letteraria Bloomsday 100, ispirata all'Ulisse di Joyce, nata dalla collaborazione con la drammaturga e regista, Barbara Idda, e realizzata da Robert Cahen con un gruppo di ragazzi nel giugno 2004 a Livorno (dal 19 al 21 maggio, Stazione Leopolda); la rassegna video Schermi fluidi: animazione, computer graphics, videodanza e videoteatro, documentari di creazione dalla mostra Invideo di Milano, edizione 2004 (26 maggio, Cineclub Arsenale).

Inoltre: presso le apposite postazioni video del punto vendita Coop (Cisanello), si segnala dal 16 al 21 maggio, in orario di apertura, l’appuntamento con il Ricettario elettronico: viaggio interculturale fra sapori e colori del Mediterraneo, proposta di opere video, ironiche, divertenti e poetiche, sul cibo nei suoi vari aspetti; dal 16 al 26 maggio, nella sede pisana della Mediateca Regionale, la consultazione delle produzioni di Ondavideo Videoritratti di città, incentrate su Pisa a partire dal 1989.

Infine, dal 24 al 31 maggio, nel Foyer del Teatro Verdi sarà visitalbile la Mostra sui vent'anni di Ondavideo
ONDAVIDEO VENT’ANNI-ALCHIMEDIA è sostenuta da: Comune di Pisa, Provincia di Pisa, Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, Unicoop Firenze (Ufficio Pisa), Associazione Casa della Città Leopolda, Mediateca Toscana (sede di Pisa), Dipartimento Storia delle Arti (Università di Pisa). In collaborazione con: Associazione Fuoricentro (Livorno), Casa della Donna, Pisa, Centro della Donna-Nuovo Teatro delle Commedie (Livorno), Corso di laurea in Cinema, Musica, Teatro (Facoltà di Lettere, Università di Pisa), Invideo Milano, Fondazione Teatro di Pisa, TRA ART-rete per l’arte contemporanea


 



Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
copyright Oliviero Ponte di Pino 2001, 2002