(85) 10/06/05

ateatro è un sito prelibato, così autorevole e così premiato
L'editoriale di ateatro 85
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and1
 
Che cosa succede a Santarcangelo?
Con qualche considerazione a margine
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and5
 
Ancora su Santarcangelo
La critica, la politica, il sistema teatrale
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and6
 
Che succede a Venezia?
Dal volume Il teatro possibile di Mimma Gallina, Franco Angeli, in libreria a settembre
di Mimma Gallina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and7
 
Che succede nel teatro italiano?
Una riflessione sui dati della stagione 2004-2005
di Franco D’Ippolito

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and9
 
Una lettera su Stabat Mater
A Oliviero Ponte di Pino
di Gerardo Guccini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and10
 
Una mail (ancora...) su Stabat Mater
A Oliviero Ponte di Pino
di Laura Curino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and11
 
Il Fatzer Fragment di Bertolt Brecht
Appunti per una interpretazione
di Nevio Gàmbula

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and15
 
Salmagundi delle Albe - un’avventura tra Livorno e Ravenna
Una buona pratica, due città, sei foto
di Concetta D'Angeli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and20
 
Artaud, Van Gogh e le immagini divoranti
Da "Macerata I-Mode Visions 2005" dedicata ad Antonin Artaud
di Valentino Bellucci

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and25
 
L'esoterismo della crudeltà
Da "Macerata I-Mode Visions 2005" dedicata ad Antonin Artaud
di Alessandro Forlani

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and26
 
Relazione sul laboratorio di webcam-teatro (Roma, 30 maggio-6 giugno 2005)
Dal sito http://www.webcamtheatre.org
di Giacomo Verde

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and50
 
La bellezza necessaria: un incontro sulle scritture per il teatro
All'Arboreto di Mondaino il 21 e 22 maggio
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and80
 
La Toscana teatrale si mette in mostra
A Pisa dal 18 al 21 maggio
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and81
 
Le nostre Buone Pratiche e quelle degli altri (diffidate dalle imitazioni)
Una telefonata con Oliviero Ponte di Pino
di Perfida De Perfidis

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and82
 
Torino Contemporanea: il bando dell'edizione 2005
Scadenza 3 giugno 2005
di Torino Contemporanea

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and84
 
Super Ronconi olimpico a Torino
Il progetto Domani: cinque spettacoli dal 2 febbraio all'11 marzo
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and85
 
ateatro è tra i siti italiani più autorevoli e credibili
Non lo diciamo noi ma la ricerca di web credibility di Spazio RP
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and86
 
Multimedia video streaming in festival
Le iscrizioni si chiuderanno il 9 luglio 2005
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and88
 
La scomparsa di Barbara Nativi
Attrice, regista, traduttrice, organizzatrice
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and89
 
I corti teatrali in concorso
Il bando
di Associazione culturale Anticaja e Petrella

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and90
 
Le novità di giugno su www.dramma.it
Il nuovo testo di Daniele Timpano & molto altro
di www.dramma.it

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and91
 
WOW!!! ateatro vince il Premio Hystrio-Altre Muse
Tutti i ricnoscimenti e la finale del Premio alla Vocazione per giovani attori
di Redazione Hystrio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and92
 
Maurizio Scaparro direttore della Biennale Teatro 2006
Torna venticinque anni dopo l'invenzione del carvevale post-modern
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and93
 
La questione della primavera
La mobiltazione del 4 luglio a Santarcangelo
di Santarcangelo dei Teatri

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and95
 
Premio Hystrio: le motivazioni e il programma della manifestazione
anche quelle per ateatro...
di Redazione Hystrio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro85.htm#85and97
 

 

ateatro è un sito prelibato, così autorevole e così premiato
L'editoriale di ateatro 85
di Redazione ateatro

 

Siamo molto contenti e orgogliosi di noi: ateatro ha vinto il Premio Hystrio 2005 (“Ah, come siamo bravi!”, ce lo danno sabato 18 giugno a Milano, se ne parla anche nelle news dove c’è la nostra brava motivazione) ed è stato inserito da una indagine indipendente tra i siti italiani più autorevoli (“Ah! che soddisfazione!”). Sappiamo che qualcuno sta morendo d’invidia...
Ma voi che ne dite? Ci stiamo meritando questi riconoscimenti? O siamo troppo rompiscatole e sguaiati, come spettegolano alcuni eroi senza macchia del nostro teatro? Ci farebbe piacere sapere che cosa ne pensate, se davvero dobbiamo essere meno Perfidi, oppure se volete passare qualche soffiata alla nostra disinibita informatrice... (a proposito, secondo Perfida il posto di Nico Galdieri come presidente dell’ETI lo prende l’ex revisore dei conti dell’Ente, Ferrazza).
Nel frattempo, con Franco D’Ippolito e Mimma Gallina, stiamo pensando alla prossima puntata delle Buone Pratiche. Anzi, pensiamo – se ne avremo le forze – di raddoppiare: un incontro al nord, probabilmente in Veneto, nella prima metà di novembre: l’incontro avrà finalità e struttura molto diversi da quello (seppur trionfale) di Milano, contiamo di pubblicare il documento preparatorio in uno dei prossimi numeri; ma stiamo progettando anche un’incursione a Sud, per discutere della “questione meridionale”.
Intanto ateatro continua, numero dopo numero, a raccontare quello che succede nei teatri e dietro le quinte. E discute, discute, discute...
Su ateatro 85, per esempio, si discute moltissimo di Santarcangelo dei Teatri: l’edizione 2005 è alle porte, il festival ha lanciato per il 4 luglio (Indipendence Day) una mobilitazione nazionale (se non l’avete letto, il proclama è nelle news...), e soprattutto si attende la nomina del nuovo direttore si stiracchia da settimane, con un dibattito vivacissimo nel forum di ateatro “Fare un teatro di guerra? Nuovo teatro vecchie istituzioni” e un assordante silenzio nel mondo reale. La contesa investe il rapporto tra scena e politica, il ruolo della critica, la crisi del nostro sistema teatrale, ormai tutto festival e niente tournée: per i primi andate a curiosare nell’apposita sezione del sito, .per le seconde leggetevi il corsivo di Franco D’Ippolito.
Si comincia anche a discutere della Biennale di Venezia: perché in attesa della misteriosa, provocatorio, spontaneista, militante edizione curata da Romeo Castellucci, per il 2006 è già annunciato un ritorno all’ordine, con Maurizio Scaparro che prevede carnevali e celebrazioni di Gozzi e Goldoni.
Si posso avere opinioni diverse anche sulla storiografia del recente teatro. Gerardo Guccini e Laura Curino rispondono alla recensione di Oliviero Ponte di Pino al libro Stabat Mater (su ateatro 84). Ma stiamo solo cercando di capire che cosa è stato (e che cosa è) il teatro di narrazione, mentre arrivano in libreria i racconti di Ascanio Celestini (Storie di uno scemo di guerra da Einaudi), Davide Enia (Italia Brasile 3 a 2 e Maggio ’43 da Ubulibri) e gli Album di Marco Paolini (libro più DVD da Einaudi), che insieme al Kohlhaas di Marco Baliani (che era già diventato un libro qualche tempo fa) hanno inventato un genere.
Però si parla anche d’altro, in ateatro 85. Nevio Gambula è andato a curiosare nel magmatico Fatzer di Brecht – che ossessionava anche Heiner Müller, Concetta D’Angeli spiega che è una buona pratica unire il Tirreno all’Adriatico, Livorno e Ravenna, l’Università alle Albe. E si racconta di Artaud (dal convegno di Macerata in occasione di "Macerata I-Mode Visions 2005") e del laboratorio di webcamtheatre tenuto da Giacomo Verde a Roma. E ancora mille notizie e pettegolezzi. Cliccate e vi sarà dato.


 


 

Che cosa succede a Santarcangelo?
Con qualche considerazione a margine
di Oliviero Ponte di Pino

 

La situazione a Santarcangelo si complica. Giovedì scorso il cda aveva deciso (pare...) il nome del successore di Silvio Castiglioni – dopo aver sentito i tre candidati “superstiti” Bouin, Calbi e Porcheddu (anche se gli altri cinque aspiranti direttori ancora non hanno ricevuto comunciazione ufficiale della loro esclusione). Oggi, lunedì 23 maggio, il consiglio d’amministrazione del festival avrebbe dovuto diffondere un comunicato con il nome del nuovo direttore (o almeno dare qualche ragguaglio sullo stato delle cose). Così almeno ci avevano detto da Santarcangelo venerdì scorso, di fronte alle prime indiscrezioni sul nome del prescelto.
Ci sarà invece da pazientare ancora qualche giorno, e probabilmente ne vedremo delle belle (pare che da ieri siano in corso frenetiche consultazioni). Sappiamo anche che diversi candidati “trombati” hanno inviato al cda lettere in cui chiedono una maggiore trasparenza e informazione sullo svolgimento di questo curioso concorso.

Insomma, la nostra Perfida per una volta non aveva annusato solo ormoni al testosterone: aveva sentito puzza di bruciato ed era venuta a raccontarcelo (anche se non ci ha ancora confidato proprio tutto…). Noi di ateatro, forse annebbiati dal suo fascino bisex, abbiamo subito diffuso il pettegolezzo. Nella speranza che una provocazione forse un po’ troppo violenta avrebbe suscitato qualche reazione.

Tutti, pare, ma proprio tutti, hanno letto il pezzullo della nostra Perfida.
Molti si sono divertiti, qualcun altro pensa invece che abbiamo esagerato, che in questa occasione ateatro sia stato volgare ed eccessivo. Evidentemente c’è chi non sopporta la Perfida capacità di intrecciare il principio di realtà con il principio del piacere.
Qualcuno ha tratto da questa confessione post-coitum informazioni utili per capire quel che sta succedendo (compresi i retroscena politici). Molti – soprattutto gli interessati – si sono arrabbiati per qualche altarino, vero o presunto, spiattellato senza vergogna. I più curiosi ci hanno chiesto, con molta insistenza, chi mai siano il giovane regista e la sua ben tornita primattrice. I filologi – come potete leggere nei forum – provano ad attribuire l’autorialità della rubrica a questo o quel collaboratore di ateatro.
Il problema è che la rubrica di Perfida – un piccolo pezzo di teatro, un mini-atto unico con protagonisti immaginari – in realtà non la scrive nessuno, o meglio la scriviamo tutti. La nostra golosa collaboratrice si limita a raccogliere e rilanciare alcuni dei pettegolezzi che circolano nell’ambiente, quelli che tutti noi teatranti & affini ci scambiamo, nei foyer dei teatri, nel camerini, alla fine di lunghe telefonate di lavoro, con grande godimento collettivo. Ci scandalizziamo, ma non facciamo nulla per migliorare la situazione, perché pensiamo che quello che diciamo degli altri – gli altri lo possono dire, più o meno, anche di noi.

Intorno a Santarcangelo, da un paio d’anni almeno, sono in corso piccole e grandi manovre. Pettegolezzi e calunnie ne fanno ovviamente parte, e circolano a gran velocità, come nugoli di frecce avvelenate. Quello che invece è mancato e continua a mancare ancora oggi, purtroppo, è una seria discussione sul festival e sul suo destino. Abbiamo cercato di lanciarlo e rilanciarlo in più occasioni, questo dibattito, su ateatro, nella maniera più seria possibile. Parlando della natura del festival, della sua storia, della sua progettualità. Ci siamo esposti in prima persona, con tanto di nome e cognome. Il risultato? Il silenzio, o qualche insinuazione personale lanciata a mezza bocca, pronti subito a ritrattare.

Invece, guarda caso, è bastato scendere nel pettegolezzo e subito il dibattito – nel forum e nel mondo reale - si è acceso, con toni più o meno scandalizzati e moralistici. Certo, non nella maniera migliore: usando pseudonimi e insinuazioni, tra mille semplificazioni, e spesso diffondendo palesi falsità. Ci scusiamo con chi si è sentito offeso dalle perfidie di Perfida e dagli sfoghi ormonali del forum, ma in ogni caso questo è quel che si dice in giro (o meglio, una parte di quel che si dice in giro). Lei lo racconta con la sua satira disinibita e il sorriso maligno di una zitella inacidita dai troppi orgasmi. E magari con qualche spiritosa invenzione (a proposito, dopo che Perfida ha lanciato in un suo precedente dialoghetto teatrale il finto concorso di idee per il Crt, qualcuno ha girato gli assessorati milanesi chiedendo come fare per iscriversi!!!).

Insomma, ogni tanto la provocazione e il paradosso possono servire (anzi, sono indispensabili). Ma ateatro, malgrado il fascino di Perfida, continua a ritenere che sarebbe meglio discutere a viso aperto, e senza pseudonimi. E’ il solo modo che può aiutare a fare chiarezza, e a capire meglio quello che sta succedendo.
ateatro e i suoi forum sono a disposizione per pubblicare i progetti presentati in questo round santarcangiolese (se i candidati avranno la bontà di inviarceli), così come qualunque altro documento può contribuire a elevare il livello del dibattito.

Nel frattempo, continuiamo a cercare di informarci e di tenervi informati.


 


 

Ancora su Santarcangelo
La critica, la politica, il sistema teatrale
di Oliviero Ponte di Pino

 

La corsa a ostacoli per la scelta del nuovo direttore del Festival di Santarcangelo – sempre più pasticciata e stiracchiata - ha suscitato nel forum “Fare un teatro di guerra? Vecchio teatro nuove istituzioni” una discussione viva, accesa, quasi feroce. I forum di ateatro avevano già ospitato in passato dibattiti e battibecchi, ma mai con questa intensità. Già questo è un elemento su cui riflettere. Perché oggi il Festival di Santarcangelo, che suscita tali e tante passioni, rappresenta evidentemente un nodo nevrotico del nostro teatro. Un secondo aspetto, ovviamente legato al primo, riguarda la piega che ha preso la discussione, i temi che ha affrontato, i bersagli che ha attaccato.

Un primo equivoco che forse è bene provare a dipanare riguarda il potere e il ruolo della critica, che in molti interventi mi pare molto sopravvalutato. Quello del critico teatrale è un mestiere che richiede preparazione, competenza, dedizione, attenzione, sensibilità eccetera eccetera. E’ un mestiere utile a chi lo pratica (scrivere serve a chiarirsi le idee, non solo a guadagnare qualche euro), per chi fa teatro (perché uno sguardo esterno arricchisce qualunque artista, checché ne pensi l’interessato, anche e soprattutto quando non solletica la sua vanità) e per il pubblico (che trova strumenti di informazione, formazione e orientamento). Come tutti i mestieri, quello del critico può essere fatto meno o male, onestamente o trafficando, con integrità o vendendosi al miglior offerente. Più di altri mestieri può essere costruttivo e distruttivo.

Il problema è che questo mestiere in Italia da almeno vent’anni non è più una professione. A differenza di quello che capitava dal dopoguerra agli anni Ottanta, oggi non è più possibile guadagnarsi da vivere facendo il critico teatrale (ovvero occupandosi di teatro per una testata giornalistica, tra quotidiani, riviste, radio e televisione). Come sappiamo tutti, nel sistema dei media il teatro – e soprattutto un certo tipo di teatro, quello che piace a noi - è assolutamente marginale, come sappiamo tutti fin troppo bene. Chi si occupa di teatro è sistematicamente sottopagato e il teatro ha nei media uno spazio sempre minore. Sono pochi – pochissimi - i critici teatrali che hanno come occupazione principale (e principale fonte di reddito) la critica teatrale. Questo semplice fatto la dice lunga sul reale potere dei critici teatrali: è molto vicino allo zero.

Certamente il potere reale, nel teatro italiano, non l’hanno – purtroppo o per fortuna - certamente i critici. Non sono i critici a gestire i budget miliardari dei teatri, e neppure, salvo rare e fugaci eccezioni, quelli dei festival. Di più. In questi anni, nessun direttore di teatro - stabile pubblico, privato o di ricerca che sia -, nessun direttore di festival, è stato designato dalla critica: le nomine arrivano tutte dalla politica (e, aggiungo, evidentemente i politici non amano i critici e non mi pare ascoltino molto i loro consigli). Negli organi decisionali (consigli d’amministrazione e simili) da anni i critici (ovvero quelli che a teatro ci vanno per mestiere e per passione) sono presenze sporadiche e minoritarie: sono molto più numerosi gli organizzatori, gli impresari e perfino i drammaturghi.
Il potere reale è nelle mani dei direttori di teatri e di festival inamovibili, di consigli d’amministrazione di nomina tutta politica (e anche lì, se per caso ci arriva, il critico risponde prima di tutto a chi l’ha nominato). Insomma, a gestire il teatro italiano è un ceto di funzionari e burocrati di nomina politica, spesso democratici e di sinistra, a loro agio nei corridoi di assessorati e ministeri. Il loro naturale obiettivo è la ricerca del consenso e del gusto nazional-popolare (che oggi vuol dire televisivo), la loro ricetta consiste nel minimizzare il rischio politico e culturale, la parola d’ordine è “Niente grane e se possibile qualche passaggio al Tg3 regionale” (perché sono gli unici che forse se ne possono occupare).
Ci sono sempre le eccezioni, e anche i più malvagi amano salvarsi l’anima inserendo un paio di spettacoli “decenti” nei loro cartelloni (magari proprio quelli segnalati dai critici…), perché naturalmente tutti amiamo la qualità e il buon teatro, e sappiamo riconoscerlo, ma purtroppo le esigenze del mercato… Però lo scenario è questo.

(Ma forse adesso cambia: l'assunzione di alcuni teatranti a responsabilità assessorili lascia intuire una nuova fase nel rapporto tra scena e politica...)

E’ fin troppo facile trovare una riprova dello scarso potere della critica teatrale. Oggi i critici più giovani (dai “critici impuri” di cui ateatro ha parlato a lungo, e che nel frattempo stanno invecchiando anche loro) non possono permettersi di intraprendere quella professione. E lo sanno benissimo. Fanno tutti altro, devono fare anche altro, per semplici motivi di sopravvivenza, con tutte le conseguenze del caso. Eccoli dunque “poeti di compagnia”, operatori e organizzatori, precari all’università, eccetera, con paghe miserabili. Ecco dunque moltiplicarsi le relazioni pericolose (marchette) di chi arrotonda facendo il consulente a festival e teatri (sempre meno agli enti locali), entrando a far parte di giurie di vario calibro, scrivendo testi per programmi di sala o riviste di compagnia, traducendo copioni (ma capita solo ai critici più “autorevoli”, perché questo è uno dei rari casi in cui possono girare soldi veri).

Una ulteriore riprova? Una trentina d’anni fa in Italia solo i teatri e i festival più grandi (e ricchi) disponevano di un ufficio stampa. Oggi qualunque compagnia media e piccola, qualunque festivalino o rassegnucola, ha manipoli di addetti stampa. A differenza di quella del critico, quella di ufficio stampa oggi è una professione. I ragazzi studiano per diventarlo: sono sempre più numerosi i master in comunicazione & affini che insegnano a fare l’ufficio stampa e il PR, mentre quelli che vorrebbero formare i critici si contano sulle dita di una mano e restano episodici. Nel suo insieme, la cultura italiana (il teatro e i media) ha deciso di investire molto di più in comunicazione che in critica, molto più nell’autopromozione che nella cultura del teatro. Le riviste che si occupano di spettacolo dal vivo hanno vita faticosa e misera, i programmi di sala – arricchiti magari con il contributo del poeta di compagnia, o del critico della grande testata – sono spesso assai più ricchi e sontuosi. La cultura del teatro, oggi, la fanno più le compagnie e i teatri dei critici.

A questo contribuisce una deriva che caratterizza l’universo mediatico in generale: la tendenza alla personalizzazione. Il pubblico, si dice, preferisce ascoltare la viva voce dei suoi beniamini, rispetto alle astruse elucubrazioni dei filologi. Il pubblico pretende un contatto diretto, senza mediazioni intellettualistiche. Infatti negli ultimi anni, non solo in teatro, i giornali – quando proprio sono stati costretti ad assoldare un critico – hanno preferito un intellettuale genericamente competente, non uno specialista: perché questo “critico generico”, colto e intelligente, che rifugge dai tecnicismi, si dice, è estraneo ai maneggi dell’ambiente, ma soprattutto si ritiene che sia meglio in grado di intercettare il gusto medio del pubblico. E il cerchio si chiude.

Anche questo meccanismo comunicativo che privilegia l’intervista, il contatto diretto e il volto dell’artista in primo piano, contribuisce a svuotare la funzione critica di autorevolezza e significato. In compenso gonfia ancora di più l’ego degli artisti di successo, che preferiscono il rapporto diretto con il pubblico, senza mediazioni, e che di fronte a qualunque notazione critica si sentono legittimati alla rimozione, all’insulto o alla querela… Persa la sua aura, svuotato il suo ruolo, svanita la sua autorevolezza (“Che peso ha la mia acuta stroncatura di 15 righe, dopo che il mio giornale ha pubblicato un’intervista a cinque colonne con foto scosciata alla soubrette?”), il critico diventa un bersaglio insieme troppo facile e troppo sbagliato per le ire di giovani teatranti - fermo restando che la critica ha senz’altro le sue colpe, ma che in sostanza assiste impotente allo svuotamento del proprio ruolo.

La seconda curiosità innescata dal dibattito di queste settimane riguarda l’interesse quasi morboso che eccita la telenovela di Santarcangelo: un festival minore (almeno per quanto riguarda il budget), che ha vissuto in gran parte sulla sua storia e sulla tradizione del nuovo (e sul semi-volontariato di chi lo realizza e di chi va lì a portare i suoi spettacoli a rimborso spese – e forse nemmeno quello). Che il festival sia in crisi, lo dimostra il metodo scelto per la designazione del nuovo direttore, in cui ai candidati (invitati) si chiedeva in sostanza di indicare come reperire le risorse necessarie a far sopravvivere e rilanciare la manifestazione, visto che gli enti locali più di quello che danno già – dicono – non possono dare.

Con tutti i suoi limiti, Santarcangelo ha rappresentato in questi anni un’eccezione, tra le mille rassegne e rassegnine turistico-avanguardiste di cui pullula il bel paese. La kermesse romagnola, vista anche la vicinanza con il ricchissimo “distretto produttivo teatrale” della zona, era rimasta di fatto l’unica vetrina nazionale del nuovo nel nostro paese. Per un giovane gruppo, andare a Santarcangelo significava essere visti da critici e operatori italiani e stranieri, e magari avere qualche possibilità di circuitazione. Rispetto ad altre situazioni estive (la crisi ormai perenne della zigzagante Biennale Teatro, il caos generoso ma dispersivo di Armunia, le scelte mirate di Inteatro, la corona di spettacoli che ha Volterra accompagnano l’evento della Compagnia nella Fortezza nel Supercarcere, o le promesse più o meno mantenute degli spettacoli-evento delle altre rassegne, e poi il pulviscolo di mille iniziative spesso generose ma velleitarie), Santarcangelo ha dunque svolto – con mille miti e imperfezioni, con un volontarismo generoso e magari pasticciato - un ruolo importante.

Ancora più importante, vista la deriva attuale del nostro sistema teatrale. Perché il grande problema è che oggi per gli spettacoli – e soprattutto per gli spettacoli dei gruppi – è diventato difficilissimo girare. Il teatro italiano ha sempre vissuto di tournée: non esistono grandi città capaci di lunghe teniture (al massimo le due-tre settimane di Roma e Milano), ma un tessuto di centri medi e piccoli in cui ammortizzare le spese di produzione degli spettacoli con teniture brevi o brevissime e lunghe tournee. In questi ultimi anni (e il pezzo di Franco D’Ippolito in questo numero di ateatro lo conferma) far girare uno spettacolo è diventato pressoché impossibile. Basti pensare che una piazza come Milano pare off limits per la Socìetas Raffaello Sanzio, che un lavoro importante come L’ospite probabilmente non ci arriverà mai, che il nuovo spettacolo di Pippo Delbono ci approderà a due anni da debutto – e queste sono le punte alte della ricerca internazionale…

Per i giovani gruppi, Santarcangelo era rimasta – ancora sembrava – l’ultima occasione per riscattarsi a questo degrado, uno spiraglio per ottenere un minimo di visibilità e di attenzione. Anche questa, peraltro, era diventata in buona parte un’illusione: Santarcangelo o no, le tournée si sono accorciate. Di più. Vista la situazione dei teatri cittadini, molte compagnie vivono ormai quasi solo di festival e rassegne estive. Le quali, per la loro stessa natura, vogliono costruire eventi e quindi chiedono “prime”, debutti, novità. Il risultato: dopo un buono spettacolo, magari un ottimo spettacolo, una formazione di media notorietà, in evoluzione, che ha bisogno della verifica del pubblico per crescere, è costretta a buttar via le sue produzioni per dar vita a creazioni sempre nuove, in un crescendo costoso e logorante. Ormai è più facile progettare, proporre e creare un evento (almeno sulla carta) che far girare uno spettacolo. Questo atteggiamento sta avendo conseguenze profonde sulla nostra cultura dello spettacolo, rendendola sempre più superficiale e clamorosa.

Per questo la posta in gioco a Santarcangelo è così alta. O almeno lo sembra. Perché per certi aspetti il festival è stata un’isola felice, almeno nelle fantasie di molti teatranti. Per questo, ora che il giocattolo sembra rotto, ora che le pressioni esterne si sono fatte più forti, ora che la discrepanza tra le illusioni e la realtà si è fatta più forte, esplode l’inquietudine. E ci si accorge che il marcio, forse, non è solo in Danimarca. Anche perché nessuno, in questi mesi ha provato a dare un senso costruttivo al dibattito intorno al festival. Forse nell’attesa di un Godot – il nuovo direttore-salvatore – che non potrà arrivare. Alla fine, dopo che i mille piccoli Amleti del nuovo teatro avranno sillabato il loro “essere o non essere”, sulla scena di Santarcangelo non potrà che arrivare l’immancabile Fortebraccio (o meglio, un suo prestanome).


 


 

Che succede a Venezia?
Dal volume Il teatro possibile di Mimma Gallina, Franco Angeli, in libreria a settembre
di Mimma Gallina

 

Il direttore della Biennale Teatro 2006 sarà Maurizio Scaparro, che tra il 1979 e il 1982 diresse le storiche edizioni della manifestazione che rilanciarono l'ideologia della festa e il legame con il Carnevale.
Proprio questo passata collaborazione - e la volontà di riprendere quella direzione sono state ribadite sia dal comunicato del cda che annuncia la nomina, sia dallo stesso Scaparro nelle sue prime dichiarazioni alla stampa. «Penso a un festival che preveda testimonianze teatrali internazionali e italiane di altissimo livello tra tradizione e innovazione» ha detto Scaparro. La sua Biennale incrocerà le celebrazioni dei centerari Carlo Gozzi e Carlo Goldoni (Scaparro ha appena concluso le riprese a Venezia dello spettacolo che ha tatto dai Mémoires di Goldoni). «Sono due miei amori costanti: Venezia quasi mai lasciata, la Biennale ritrovata dopo venticinque anni. A mio avviso occorre cercare partendo da Venezia di aiutare a ricostruire le nostre civiltà attraverso le fondamenta della cultura, e per quanto ci riguarda, del teatro».
Per capire meglio la situazione veneziana, è assai utile una anticipazione dal volume Il teatro possibile di Mimma Gallina, Franco Angeli, in libreria a settembre (e quando esce COMPERATELO E STUDIATELO: ma ne riparleremo a tempo debito).


La città di Venezia è vissuta per qualche secolo di rendita dall’essere stata - fra l’altro - il grande palcoscenico d’Europa e del Mediterraneo. Tuttora occasioni come il Carnevale o la Festa del Redentore, e manifestazioni come la Biennale, tendono ad accreditare questa immagine.
Ma per quanto riguarda le modalità organizzative tradizionali e “paganti” di spettacolo, i numeri ci raccontano una realtà molto diversa e sconcertante: nel rapporto spettatori/abitanti (V. tabella 1) la città registra il tasso più basso fra quelle che esaminiamo, il 12,29%: sappiamo che i dati sono parziali, ma possiamo ritenere con una buona approssimazione che non troppi veneziani (decisamente molti meno della media nazionale), e sicuramente pochissimi turisti vadano a teatro.




Tabella 1. IL TEATRO NELLE CITTA’
CittàTeatriLavoriSpett.IncassiRecite% Sp.% Inc.% Ab.Med/Rec
Roma241831093.10221.608.145,362.77317,7122,9441,35394
Milano33294982.10815.637.589,582.21215,9116,6083,04297
Napoli981423.9949.340.700,787836,879,9242,68541
Torino16173387.7325.783.913,1910006,286,1442,90388
Firenze6130229.8663.316.422,164813,723,5257,00478
Genova8128177,5642.369.244,514962,882,5229,42358
Palermo225120.3841.682.726,822031,951,7918,45593
Bologna11144251.0113.202.277,986724,073,4065,88374
Trieste370179.7692.219.085,574202,912,3683,58428
Bari562106.1791.859.824,751621,721,9733,98655
Venezia21533.843500.943,35860,550,5312,29394

Fonte: adattamento dalla Borsa Teatro del "Giornale dello Spettacolo".
Legenda: la voce % Sp. indica l’incidenza in percentuale degli spettatori sul totale generale; la voce % inc. indica l’incidenza degli incassi sul totale generale; la voce % ab. indica la percentuale degli spettatori in rapporto agli abitanti delle città; la voce Med/rec indica la media degli spettatori per ogni recita.
Avvertenza: i dati della tabella 3 si riferiscono a teatro di prosa (inclusi recital e cabaret) e commedia musicale (musical), sono ricavati in tempo reale – nel corso della stagione - dall’AGIS e potrebbero non essere completi, soprattutto con riferimento a sedi “alternative”, piccole sale, rappresentazioni scolastiche (questa lacuna però vale per tutte le città e questo li rende comparabili nella sostanza). Non sono invece comparabili ai dati SIAE che si riferiscono sempre all’anno solare.





Fra il 2002 e il 2003, l’andamento dello spettacolo dal vivo in genere nell’area metropolitana (Venezia con la terraferma: Mestre/Marghera: vedi tabella 2), è allarmante: crescono le rappresentazioni totali, ma non per la prosa (dove si riducono quasi del 15%) e calano presenze e incassi in tutti i settori. L’analisi disaggregata dei dati – attraverso la Borsa Teatro: in particolare i tassi di occupancy - rivela problemi maggiori in laguna che nei teatri di Mestre.




Tabella 2. IL TEATRO A VENEZIA

AttivitàRappr.
2002
Rappr.
2003
Biglietti
2002
Biglietti 2003Spesa 2002Spesa 2003
Balletto classico e moderno16204.5942.85584.867,0984.599,09
Burattini e marionette991.5211.2904.563,004.060,00
Concerto classico1.2091.24792.43090.2042.207.007,522.415.035,02
Concerto di danza988217.39319.292146.065,21175.751,50
Concerto Jazz10202.8561.74843.461,0020.447,14
Operetta1-504-8.386,97-
Recital letterario382499722.013,603.771,20
Rivista e c. musicale2-2.113-26.539,60-
Spettacolo di musica leggera948932.16327.298420.256,66429.275,80
Teatro di prosa45538289.34480.4971.636.553,751.117.510,71
Teatro di prosa dialettale2-155-811,92-
T. di prosa rep. napoletano------
Teatro lirico11110722.61515.9192.215.515,13728.835,60
Varietà ed arte varia1704741.6771.60832.363,6723.366,15
Totale2.1802.438267.614241.6836.828.405,125.002.652,21

Fonte: adattamento dalla Borsa Teatro del "Giornale dello Spettacolo".




Confrontando i dati con altre città, un fenomeno che balza agli occhi è l’altissimo numero di concerti classici (1.247 nel 2003) per più di 90.000 spettatori: possiamo da un lato ricondurre questo primato alla presenza capillare di Istituzioni Musicali, anche molto prestigiose, ma si evidenzia dall’altro un’attività concertistica diffusa rivolta ai turisti: concentrata in un paio di sale e chiese (come la Chiesa della Pietà e di San Vidal), con promotori in costume del settecento e qualità modesta (diciamo un’alternativa meno romantica alla gondola-serenade).
Esiste evidentemente un ampio margine di sviluppo della relazione fra spettacolo e turismo (così caldeggiato dal Ministero): da un punto di vista di qualificazione – per quanto riguarda la musica - e tutto da inventare per la prosa (anche il Teatro Stabile lo ha dichiarato fra i propri obiettivi).

T&T: Teatro e Turismo

Qualche considerazione per inquadrare e complicare il problema.
Va subito fatta chiarezza su un equivoco: turismo e spettacolo non interagiscono per magia, per grazia ricevuta.
• Non di rado, anzi una visione tradizionale della gestione del turismo tende a frenare lo sviluppo di un’attività di spettacolo di qualità (privilegiando e spingendo verso altri “consumi”)
• Anche sul piano dei finanziamenti, la tendenza di sponsor e fondazioni bancarie nelle località a forte concentrazione monumentale, è quella di valorizzare i monumenti, appunto, trascurando gli “optional”
• Bisogna poi distinguere – almeno sul piano organizzativo - fra il “turismo culturale” vero e proprio (che è in crescita e che – se ben comunicato - può trovare in festival, eventi e affini un elemento costitutivo) e un turismo che può anche comportare il “consumo” di cultura e spettacolo. Ma perchè si creino le famose “sinergie” ci vogliono politiche e scelte precise.
Tornando a Venezia: è evidente che le due tipologie turistiche si intrecciano, che la città può trovare nelle manifestazioni di spettacolo un elemento qualificante, che le istituzioni culturali possono determinare forme di turismo “residente”, ma è anche evidente che per il turismo di massa Venezia, come elemento di richiamo, basta e avanza. In concreto:
a) Lo spettacolo a Venezia, fatta eccezione per Biennale cinema (la Biennale settori dal vivo ha un incidenza quantitativa modesta) e per il Carnevale (che sostiene la stagione invernale oltre ad alimentare l’industria del merchandising) è un accessorio abbastanza secondario dell’economia turistica, ed è esclusivamente orientato all’attività musicale e in parte di danza, tanto di qualità -si sa che la Fenice registra presenze elevate- che legata all’iniziativa privata e associativa diffusa.
b) Il turismo non ha bisogno del teatro di prosa, (o crede di non averne), tanto più considerando i fattori di comprensione, impegno etc. Forse è il teatro che potrebbe proporre una sua funzione, contribuire a qualificare anche il turismo di massa e di passaggio (ma anche inserirsi in quello “culturale”), e ricavarne forse benefici economici. Una scelta di questo tipo presuppone convinzione e una progettualità artistica e imprenditoriale, non solo una buona azione di marketing e potrebbe indirizzarsi in molti modi diversi, ad opera d diversi soggetti.
Il teatro italiano di tradizione e di ricerca tende a “snobbare”, considerandolo di fatto dequalificante, il rapporto con il turismo, a meno che non si identifichi con festival prestigiosi. Ma i festival non sono la sola “formula” possibile. Nel caso specifico – Venezia - a fianco di appuntamenti qualificanti e fondamentali come la Biennale, non troveremmo niente di disdicevole in un buon programma permanente di repertorio goldoniano (o veneto in genere), tradizionale e non, con tanto di traduzione simultanea e materiali plurilingui compresi nel prezzo del biglietto. Oppure in master non episodici e promossi davvero a livello internazionale sulla Commedia dell’Arte (e i suoi eredi). Non abbiamo suggerito niente di particolarmente originale, ipotesi di lavoro di cui spesso molti parlano, ma che nessuno concretamente fa.


 


 

Che succede nel teatro italiano?
Una riflessione sui dati della stagione 2004-2005
di Franco D’Ippolito

 

I dati della Borsa Teatro del “Giornale dello Spettacolo” dell’Agis non possono considerarsi attendibili, in termini statistici, rispetto all’intero panorama teatrale della produzione e della distribuzione teatrale. Sono troppo parziali (si riferiscono soltanto alle recite per cui le compagnie ed i teatri comunicano presenze ed incassi) e sono spesso raggruppati secondo criteri assai discutibili.
Fatta questa doverosa premessa, leggendo le classifiche della stagione teatrale 2004/05 degli spettacoli per generi (“Giornale dello Spettacolo” n. 16 del 13 maggio 2005) balza agli occhi un dato, sicuramente non scientifico, ma pur sempre importante per la evidenza dei numeri. Se pure parziale, se pure del tutto casuale, da quelle due classifiche ricaviamo una fotografia della produzione teatrale italiana molto preoccupante, scandalosamente taciuta dalle analisi e assente dai dibattiti.
Su uno spaccato di 419 spettacoli che hanno totalizzato oltre 1.900 spettatori nella stagione 2004/05, solo 8 (appena l’1,9%) ha superato le cento repliche, mentre addirittura 243 (ben il 57,8%) non ha raggiunto le trenta repliche.
Proviamo a tradurre in giornate lavorative questi dati? Ne ricaveremo che i lavoratori (artisti, tecnici e organizzatori) italiani dello spettacolo, per oltre la metà degli spettacoli prodotti, hanno percepito meno di 30 giornate di paga, riposi compresi (quando il loro contratto prevede il pagamento delle giornate di riposo!). Virtuale per virtuale, azzardiamo una proiezione sull’intero sistema della produzione teatrale italiana nella stagione 2004/05. E’ plausibile, con tutti i benefici d’inventario che vogliamo, che si siano prodotti mettiamo 1.200 spettacoli che utilizzano mediamente 10 persone, fra artisti, tecnici e organizzatori. Magari! ma vogliamo essere ottimisti. Applicando le percentuali di cui sopra, dei circa 12.000 lavoratori impiegati, meno di 230 hanno lavorato per oltre 100 giornate recitative (che significano mediamente 130 giornate, più o meno 4 mesi di paga) e quasi 7.000 per meno di 30 (più o meno un mese di paga).
Il dato non è affatto nuovo, sebbene continui colpevolmente a essere sottaciuto. Nel 1999 i dati Enpals, elaborati nel Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1990-2000 (a cura di Carla Bodo e Celestino Spada, Il Mulino, 2004, pag. 376), riportavano per gli oltre 17.000 lavoratori del teatro un’occupazione media di 79 giornate contributive (3 mesi di paga) con una diminuzione nel decennio 1990-1999 del 10,3% (pag. 377). Evidentemente il trend negativo ha continuato ad operare.
Può definirsi il sistema dello spettacolo teatrale un sistema produttivo? E può, con questi numeri, continuare a rivendicare attenzione, sovvenzioni e priorità? Sicuramente sì, proprio perché non sono questi numeri a determinare la crisi, ma l’abbandono di sane politiche della cultura a mortificare tutti, lavoratori e pubblico. A chi giova, se non alla politica che mira al consenso giornaliero, strombazzare successi di pubblico che, come fuochi d’artificio, destano grandi oh! di stupore ed ammirazione per poi spegnersi a terra dopo pochi secondi? Come si fa a continuare a riferirsi ai fenomeni del botteghino (peraltro dimostrate eccezioni nell’intero sistema) e a pensare che siano quei 7, 8 spettacoli in una stagione che motivano e giustificano l’intervento pubblico nel settore? A chi possono rivolgersi le migliaia di lavoratori che non riescono a sopravvivere economicamente facendo teatro per non abbandonarlo o frequentandolo sempre più occasionalmente (dopo essersi garantiti la sussistenza per altre vie)?
Stiamo sprecando talenti di ogni età perché non sappiamo ( o non vogliamo) guardare al sistema teatro come a un complesso di produttori/lavoratori/distributori articolato, plurale, in cui non ci sono né vinti né vincitori, né intoccabili né superflui. Gli spettacoli debbono poter aver vita fintanto che esiste un pubblico che vuole assistervi, senza doverli tirare avanti per raggiungere i minimi ministeriali o chiuderli per fare le nuove produzioni richieste dal Ministero o dal mercato di scambio delle tournée.
Allora, la fiscalità generale (attraverso i contributi e le sovvenzioni pubbliche) deve intervenire a sostegno degli artisti oppure deve promuovere condizioni di accessibilità agli spettacoli per i cittadini-contribuenti, con l'obiettivo non solo di far consumare teatro, ma di farlo conoscere?
Temiamo che finché non ci riapproprieremo di un “pensiero” sul produrre e distribuire spettacoli, anche la sopravvivenza striminzita di oggi potrebbe essere messa in discussione.


 


 

Una lettera su Stabat Mater
A Oliviero Ponte di Pino
di Gerardo Guccini

 

Caro Oliviero,
le tue ampie osservazioni sul libro che ho fatto assieme a Michela Marelli, Stabat Mater. Viaggio alle fonti del 'teatro narrazione', invitano a riprendere l'argomento. Partendo dai documenti raccolti e dalla ricostruzione storica che apre la pubblicazione, hai infatti percorso piste e proposto integrazioni che rimettono in questione le conoscenze intorno al 'teatro narrazione'. Trovo utile e anche bello che la materia storica si modifichi passando di mano in mano. È segno che fra gli argomenti e chi li tratta c'è un relazione viva, che i fatti del teatro, svolgendosi, modificano lo sguardo critico e che questo sguardo, misurandosi alla ricostruzione del passato, paga il suo debito culturale e umano. Debbo dire che sono d'accordo su quasi tutte le tue aperture; ma non sul fatto che queste vengano presentate in quanto di integrazioni, facendo supporre che, nel testo di Stabat Mater, si perseguano impostazioni assai diverse. I fraintendimenti sono ingredienti spesso preziosi del dibattito culturale, stimolano idee e soluzioni impreviste; però, se vogliamo avanzare insieme nella conoscenza delle cose, dobbiamo individuarli ed esplicitarli alla ricerca, che so…, delle ragioni che li hanno prodotti, oppure, se c'è, di un motivo di conflitto autentico, sul quale confrontarsi con costrutto.
Tu scrivi che, dopo aver esaminato la contrapposizione fra il recupero della dimensione drammatica e "quella perdita di senso che è l'esito estremo del post-moderno", trascuro "un aspetto ugualmente fondamentale, e forse ancor più determinante. Perché il teatro di narrazione, prima che dagli autori-drammaturghi o dai registi, nasce dagli attori e con modalità specifiche". Permettimi di osservare che se parlo di fattori storici di carattere generale, dalla crisi delle avanguardie a quella dei gruppi, dalla negazione del dramma al suo mediato ripristino, lo faccio appunto per popolare di riferimenti quell'attività attoriale che, non c'è dubbio, ha generato le esperienze di 'teatro narrazione', ma lo ha fatto trasformando, assumendo, metabolizzando quanto si stava svolgendo ai diversi livelli della realtà teatrale, politica e personale. Credo, anzi, che Stabat Mater possa venire considerato un libro di attori e sugli attori. È tale per via dei documenti editi (diari e testi drammatici di attori), delle informazioni raccolte e dell'impostazione storiografica, che evidenzia le transizioni fra le "narrazioni drammatizzate" degli anni Ottanta e il successivo 'teatro narrazione': "Prima, la cultura di gruppi, quali, ad esempio, Laboratorio Teatro Settimo e il Teatro delle Albe ha sperimentato collettivamente sotto la guida di un regista le reti relazionali che avvolgono il narrante e il narrato nel quadro del rapporto attore/personaggio, poi alcuni attori/narratori si sono distaccati dalle loro comunità teatrali con un movimento che è stato, al contempo, di allontanamento fisico (non istituzionale) e di assunzione morale. Un movimento, insomma, che ricorda, una volta sfrondata dei toni più accesi, la famosa descrizione di Nietzsche sull'autocoscienza dell'artista tragico" allorché "discende nella solitudine, in disparte dai cori" (p. 28).
Se ritieni che il 'teatro narrazione' nasca dall'attore come Minerva dalla testa di Giove, e sia cioè costituito da una serie di invenzioni assolutamente originali, che nulla devono a quanto precede, il nostro dissenso è autentico. Penso, infatti, che in teatro (all'incirca come in natura) poco o nulla si crei e molto, moltissimo, si trasformi, e che ciò che chiamiamo 'creazione' sia, almeno in parte, una trasformazione forgiata da urgenze che la rendono energica ed unica.
Curino, Fabbris e Giagnoni (le sorelle peregrine di Stabat Mater), nel corso dell'esperienza, ritrovano e trasformano la forma monologo facendone un vivaio di nuova teatralità. D'altra parte, in una bella intervista leggibile sul tuo sito, Marco Baliani confidava di aver appreso il suo "artigianato" narrativo dal rapporto con i bambini. L'animazione, il 'teatro ragazzi', quello di gruppo, la cultura delle avanguardie e le forme della tradizione drammatica, sono alcune delle fonti che, confluendo assieme nel lavoro dell'attore, hanno prodotto il fenomeno del teatro del 'teatro narrazione'. L'attore, insomma, è stato certamente il motore e il 'luogo' di tale possibilità teatrale, ma considerarlo anche scaturigine delle fonti che utilizza, mi sembrerebbe un’impostazione alquanto astratta. E mi guardo bene dall'attribuirtela, preferendo pensare a fertili fraintendimenti.
Nella prima parte di Stabat Mater, intitolata Panorami, c'è un mio lungo saggio storico sul 'teatro narrazione' (La storia dei fatti), seguita da due lettere di Gabriele Vacis (l'una a Marco Paolini, l'altra a Roberto Tarasco) riunite sotto il tautologico titolo di Due lettere di Gabriele Vacis. Ora, Vacis, nella storia di Laboratorio Teatro Settimo, è stato un regista pervasivo e un ideologo sottile, capace di riconoscere la crisi del proprio ruolo a fronte dell'indipendenza creativa degli artisti scenici. Può darsi che, vedendolo rappresentato in questa sede introduttiva, un lettore particolarmente informato quale tu sei pensi a un ulteriore manifestazione della sua eclettiche capacità di guida registica. Mentre, in realtà, le due lettere riportate ci consentono di gettare uno sguardo all'interno del gruppo torinese, riconoscendo, come già negli anni '90 e '91, si fronteggiassero due modelli di indipendenza attoriale: quello, diciamo così, romantico-anarchico rappresentato dai viaggi di Stabat Mater al di fuori dei teatri, e quello lucidamente autogestito di Marco Paolini. Ideologo sottile più che mai, Vacis individua nell'indipendenza creativa di Paolini, nel frattempo fuoriuscito da Settimo, l'effettivo punto di arrivo della cultura del gruppo. Lo spettacolo di cui parla, a questo proposito, è Tiri in porta, dopo Adriatico, il secondo di quegli Album di Marco Paolini, che, giustamente, individui come "palestra determinante per l'evoluzione del genere" e dei quali, anche attraverso questi documenti, possiamo ora meglio valutare l'azione di pungolo e modello. Tutto interagisce e si trasforma: il teatro 'fatto persona' di Marco Paolini influenza le scelte di Settimo, così come la virata tragica di Stabat Mater indica a Paolini altri orizzonte espressivi del narrare.
Ben presenti in Stabat Mater sono anche altri elementi che includi nell’elenco delle integrazioni.
Sintetizzando i riferimenti comuni ai percorsi compiuti da questa prima generazione di attori/narratori, ho indicato il ruolo importantissimo svolto dal rapporto con il pubblico dei ragazzi: l'effettiva e rischiosa "palestra" in cui i narratori si sono riconosciuti tali (cfr. pp. 22-23). Ai Pensieri di un raccontatore di storie (1991), che Baliani scrive e pubblica nell'ambito dei progetti per l'Assessorato Istituzioni Scolastica del Comune di Genova ho dedicato un paragrafo (Marco Baliani storico del teatro, pp. 41-47) nel quale si individuano i debiti della storiografia nei riguardi dei narratori, che, come scrivi, sono stati i primi teorici del loro teatro. Mentre, per quanto riguarda il percorso di Paolini, il testo del saggio rimanda a un mio precedente articolo: Il teatro narrazione: fra "scrittura oralizzante" e oralità-che-si-fa-testo (in "Prove di Drammaturgia", n. 1/2004, pp. 15-21). Qui, forte dei miei ricordi personali e dei tuoi contributi, ho ricostruito con una certa esattezza il percorso che va dagli Album all'orazione civile, che nelle sue prime versioni serba più evidenti tracce dei precedenti percorsi: "l'esordio poi soppresso del Vajont, continua a mantenere l'opera-simbolo del 'teatro narrazione' nell'orbita degli Album. Rielaborando i propri ricordi intorno agli anni della catastrofe (…) Paolini stabilisce infatti una fascia di narratività intermedia, nella quale, prima di ricostruire il meccanismo tragico dei fatti, si sofferma indugiando su osservazioni ed episodi ancora una volta compatibili con la sensibilità e il linguaggio del suo consolidato alter ego teatrale, il Nicola tratto da Goscinny".(p. 20)
Mi piacerebbe leggessi questo lavoro che affronta argomenti di cui anche tu segnali la pregnanza, individuando, verso la fine della tua recensione/commento, l'opportunità di indagare il passaggio "dall'oralità (e dalle sue diverse stratificazioni , sedimentate e modificate dal contatto con il pubblico) alla scrittura - o meglio a una sorta di "scrittura orale" - e dunque lo statuto del testo".
Personalmente, trovo che la memoria dell'attore sia l'effettivo contesto di consolidamento di questo comporre trasversale alle pratiche della performace e della scrittura: "Non si tratta di mandare a mente il testo, ma di scrivere mentalmente, di comporre nella memoria. È lo stesso processo che è stato riscontrato nell'elaborazione della testimonianza, per cui un individuo interrogato più volte sugli stessi fatti codifica il nastro mnemonico del vissuto in una sorta di 'scrittura mentale' che utilizza sempre le stesse espressioni".(p. 15)
C'è negli studi la fase dell'integrazione, che scocca allorché i criteri di collocazione dei dati si fanno tanto condivisi e consapevoli da suscitare un'erudizione animata dalla conoscenza. Il tuo lungo commento a partire da Stabat Mater mi fa pensare che questo momento stia arrivando anche per il trascurato teatro degli anni Ottanta, che soffre a tutt'oggi d'una storicizzazione quanto meno distratta. Te ne ringrazio sinceramente. Un caro saluto,

Gerardo Guccini


 


 

Una mail (ancora...) su Stabat Mater
A Oliviero Ponte di Pino
di Laura Curino

 

Settimo Torinese maggio 2005

Caro Oliviero,
grazie per il bel commento al libro di Gerardo Guccini e Michela Marelli su Stabat Mater.Grazie la calorosa accoglienza, i commenti e gli allargamenti del discorso.
Scusa se scrivo solo ora, ma son sempre raminga e non sempre a tiro di un pc...

E' confortante riguardare alla meravigliosa fatica di Stabat Mater e ritrovare attraverso di voi il senso di una esperienza di teatro nomade e fuori dai teatri che, se dimenticata, andrebbe perduta anche per chi - come me - l'ha vissuta.

Sono stati giorni in cui tutto (pensiero, corpo, cibo, sonno, relazioni, abiti, amori, razionale, irrazionale) era fortemente coagulato attorno al teatro.
I bisogni primari, mangiare, dormire, coprirsi, sopravvivere bruto, erano piegati, in una sorta di non programmato ritorno all'essenziale, alle necessità della creazione artistica.

Era uno spendere se stessi, consumare inevitabilmente vita irrecuperabile. In quel viaggio la percezione della vita come avventura da giocare di ora in ora era anche percezione della morte, o meglio, di una certa qualità quotidiana del consumarsi del corpo. Si potevano sentire le cellule consumarsi. Si poteva avvertire l'esistenza di risorse non rigenerabili. La responsabilità verso se stressi era grande: come voglio consumare il tempo che mi è dato? Con chi? Perché?

”Tempo - dice il demonio a Faust - tempo hai preso da me, tempo geniale...." e chiede il conto.

Circolavano tra noi lunghi silenzi tranquilli. Ti guardavi attorno e vedevi spesso i tuoi compagni in ascolto di una qualche voce, lo sguardo rivolto all'interno che vedi spesso sui volti delle donne incinte. Sottrarsi alla visione del disordine per darsi un tempo di costruzione altra.

Mariella Fabbris, Lucilla Giagnoni, Luca Riggio, Roberto Tarasco,. io.
Cinque.
Basta una mano a contarci.
Avvertivamo il pericolo di isolamento che - paradossalmente - ci minacciava.
Giravamo di casa in casa per l'Europa, la regola sfiancante di non passare mai due notti nello stesso posto, sovraesposti agli altri.
Avremmo potuto cedere alla tentazione di creare una bolla autosufficiente, uno di quegli orribili contenitori che mi ha mostrato un giorno Lucilla, e di cui parla in un suo recente lavoro: quelle scatoline di vetro sigillate al cui interno qualcuno ha sistemato un ecosistema di organismi, fiori, minerali, che possono vivere senza altra aria che quella nella bolla.
Dicono.
Non ci facevamo ingannare.
Sapevamo che anche quelle scatole magiche si esauriscono. Muoiono.
Nessuno è autosufficiente.
Come nomadi, circensi, ciarlatani, giostrai, zingari, il rischio è di non vedere la Storia, tutti presi dalla nostra storia.

E' stato sfiancante e fantastico.
Ho imparato che un attore ha bisogno di lavorare ogni giorno perché la sua abilità, la sua attenzione, la sua concentrazione, non perdano di forza.

C'è bisogno di incontrare pubblici diversi e ascoltarli. Ascoltare. Che nessuno vuol farlo più. Si bercia. Si dibatte, si combatte anche se non ce n'è ragione. Il viaggio di Stabat era una resa incondizionata.

Abbiamo sempre avuto Gerardo Guccini come complice affettuoso e attento.
E così molto altri che ci hanno accompagnato.
Guccini segue da tempo il lavoro delle persone attorno a Teatro Settimo.
E' stato spesso critico e ci ha sempre costretti a cambiare i punti di vista prima di scegliere.
Anche lui è un ascoltatore attento, poi si alza (e quando si alza, con quel gran personale da protagonista d'opera, prende spazio e autorevolezza) e prova a dire quello che vagamente, disordinatamente, gli abbiamo comunicato, poi ce lo scrive, così siamo costretti a decidere se fare o non fare quello che avevamo detto di voler fare.
Riesce a riprendere il filo che stiamo perdendo, e a restituircelo subito, così da darci tempo.
Non dico niente che tu non sappia già, per essere tu stesso capace di dialogo di costruzione da sempre, con numerosi scritti importanti.
Questo tuo articolo lo conferma.

Riguardo alla tua battuta divertita, non penso ci sia nelle intenzioni di Guccini un desiderio di stabilire diritti di primogenitura sul discorso della narrazione. Abbiamo così tanto lavorato sul nucleo creativo delle persone che erano il Teatro Settimo, da capire bene quali sono stati gli apporti di ciascuno a quel sentire comune.
Dal teatro per i bambini, al lavoro sul territorio, a quello sulla messa in scena, sulla traduzione, riscrittura e invenzione del testo, ogni volta che un nuovo artista intrecciava il suo tempo con quello del gruppo, dava una virata vigorosa, autorale, alle opere.
Qui è stata la nostra forza: accettare la momentanea e disorientante debolezza che un nuovo pensiero provocava.
Ero socia fondatrice della “ditta” con responsabilità legali, economiche e progettuali prima (inevitabilmente prima) che artistiche, ...tremavo, sballavo, perdevo orientamento ogni volta che ne arrivava uno “nuovo”!
Se era bravo e propositivo il suo fascino condizionava e rivoluzionava - suo malgrado magari - equilibri e progetti di tutti.
Ne arrivava uno o una nuova e ...mi sembrava di non saper o poter fare più niente!
Quando questo artista era generoso e positivo (leggi Marco Paolini per esempio) il tempo intercorso tra disorientamento e comprensione era breve. Trovata l'affinità si poteva dar corso ad una reciprocità di insegnamento e di invenzione che non ha eguali.
Altre volte è stato solo doloroso, rabbioso perdersi.
Faticoso è ricostruire. Ma “magnifica intrapresa”.

Prima del viaggio di Stabat c'era stato un momento di grande incomprensione nella Compagnia.
Sono partita in una situazione di apparente rigetto. Non sapevo se ero cuore malato, cuore trapiantato, difesa immunitaria, chirurgo, organismo altro,...frattaglia pronta per marcire... ed altre di queste esagerazioni emotive che prendono l'individuo che si isola.
Tornare dal viaggio e ritrovare la capacità di cogliere il nuovo, è stato tutt'uno. Se sai cosa sei, hai meno paura degli altri, è cosa nota, ...ma di qui ad assumersela....

Oggi servono ancora sguardi lucidi e complici.
Il teatro di narrazione che facevamo prima della narrazione si chiamava storie per bambini, lavoro sul territorio, discorso caldo col pubblico, mediazione culturale, ritrovato gusto per la sequenza narrativa.
Con Marco Paolini arrivano la consapevolezza dell'artista solo davanti alla propria autoralità, la coraggiosa messa in scena della Storia, la visibilità e la dignità riconosciuta del narratore come veicolo di riflessioni con la collettività.
Con Baliani ecco la parola scritta dedicata agli attori con capacità rara di comunicare ad altri artisti senza chiudersi in metalinguaggio.
La restituzione di alcune delle nostre esperienze in materia organizzata e riletta criticamente è stata un regalo di cui ancora oggi verifico l’utilità e la poesia.
Con ognuno di quelli che si sono misurati col lavoro del racconto è stata ulteriore scoperta di un teatro ancora vivo nei temi, nella lingua, nella gestione degli spazi, nonostante le ristrettezze economiche e politiche.
Non cito altri testi per non dimenticarli, ma negli ultimi due anni tesi e pubblicazioni danno continuamente nuove prospettive alla materia.

E' importante non trattare con leggerezza questo patrimonio.
Se ne sentono delle belle da sempre nel teatro: tocca non montarsi troppo la testa quando i fenomeni montano, né rompersela quando calano... noia, insofferenza, desiderio di novità, sono fenomeno inevitabile e sano.
Tutti sono alla ricerca di qualcos'altro, soprattutto gli artisti,intendiamoci.
Nessuno che ami il proprio lavoro d'artista si contenta.
Ma “nuovo” , ce lo ha insegnato Grotowski, non è di per se' un valore.

Ci vuole tempo.
Tempo di ascolto e verifica.
E siccome tempo ce n'è così poco, perché costa, perché il teatro in Italia soffre di una ristrettezza che ci riporta indietro di anni, l'unica possibilità è - come state facendo voi con i vostri scritti - moltiplicare l'attenzione e gli apporti, riscoprire le numerose fonti e rimetterle vigorosamente in circolo. E chiedere spazio al teatro.

Per concludere dirò una cosa che può sembrare “fuori moda”: mi sembra di essere così in ritardo... sono femmina!
Tutto il tempo perduto alle spalle, nel passato, incombe.
Ogni tanto penso: non ce la faremo mai a recuperare...
Poi esce il libro di Gerardo Guccini e Michela Marelli, esce il tuo articolo, arrivano tante lettere, ritrovo energia.
Grazie grazie grazie.


 


 

Il Fatzer Fragment di Bertolt Brecht
Appunti per una interpretazione
di Nevio Gàmbula

 

Tutto il teatro di Brecht potrebbe essere citato come esempio di ricerca di itinerari creativi diversi da quelli consueti. Le nuove invenzioni – ed in particolare il concetto di straniamento – non servono a Brecht per un semplice arricchimento di possibilità teatrali: sono lo strumento per il manifestarsi di un pensiero che tende ad ampliare le capacità critiche dei soggetti che partecipano, da attori o da spettatori, allo spettacolo.
Tale concezione si esprime in modo radicale nel dramma frammentario La rovina dell’egoista Johan Fatzer, ancora inedito in Italia. Brecht lavorò al Fatzer tra il 1927 e il 1932, scrivendo oltre 500 pagine di appunti che comprendono alcune scene complete, parti del coro, note teoriche e frasi appena decifrabili. I quaderni e i fogli sparsi non hanno una unitarietà e sembra fossero stati concepiti da Brecht come una palestra di scrittura, piena di cancellature, aggiustamenti, frammenti non risolti. Al di là di ogni preoccupazione di giungere ad un prodotto finito, Brecht cerca qui di sviluppare una nuova drammaturgia in cui agisce uno sguardo insieme stupefatto e conflittuale; il risultato è altamente esplosivo. A scorrere questa grande abbondanza di appunti si coglie una lingua lucida, anche atroce, che uccide una volta per tutte la vuota fraseologia letteraria e teatrale e che mira a mettere in moto un meccanismo percettivo da “lama avvelenata di gelido dolore”. Il “tono” degrada la letterarietà e scende negli inferi di una semplicità spiazzante, definitivamente abbandonando le illusioni di una teatralità pacificata.

KOCH
Non sparate più. L’uomo non può
Nuotare sopra all’acqua del mare.
E chi nuota lo uccidono ancora
Le vostre navi da guerra. L’uomo non può
Volare da solo nel cielo, ma deve portarsi appresso la morte. Dove potrebbe fuggire lì uno!
Dappertutto
È l’uomo!

BÜSCHING
L’uomo è il nemico e deve cessare.

È stato Heiner Müller che per primo ha cercato di trarre “da una materia così grezza uno spettacolo rappresentabile”. Rinunciando ad una narrazione lineare e basata sulla evoluzione temporale della vicenda, Müller ha montato alcuni dei frammenti di Brecht per rispondere all’esigenza di elaborare una sorta di lunga suite della rivoluzione necessaria e impossibile, rovesciando uno dei grandi temi dell'umanesimo: la fiducia nei riguardi delle “magnifiche sorti e progressive” della società. Solo che l’umanesimo non è rovesciato nel suo contrario (il disincanto), bensì in una nuova consapevolezza della catastrofe presente: il comportamento dei protagonisti del dramma ha infatti, come esito finale, la disfatta.

CORO
Tutto questo è l’affare del tempo
Chi costruisce argini al fiume, vede, se solo vive
Abbastanza, l’argine cadere a pezzi o
Il fiume che resta fuori.

CONTROCORO
Vedete, il materiale fin qui è sufficiente
Mettetevi un ordine, ne resta abbastanza.
Portate acqua nei deserti, resta
Pur sempre sabbia. Non abbiate paura:
La fine non è raggiungibile!

Il dramma è ambientato in un periodo di grandi rivolgimenti. Siamo nel terzo anno della prima guerra mondiale e la Germania è attraversata da tumulti e scioperi generali. Nel novembre del 1918 i consigli degli operai e dei soldati, riuniti in assemblea, elessero un governo repubblicano, formato in maggior parte da socialisti. Sembrava realizzarsi il sogno di un’intera generazione: il potere nelle mani del popolo. Ma il movimento socialista fu duramente represso e non riuscì ad evitare la sconfitta. Queste circostanze storiche fanno lo sfondo entro il quale si svolge la vicenda di quattro disertori, i quali, abbandonato il proprio panzer dentro una buca, giungono in una città industriale della Germania, ora in preda al caos a causa della guerra e del malcontento.
Brecht coglie l’importanza di questo grande ciclo storico. Da una parte, come dimostra ad esempio la figura di Galileo, la crisi sociale lo spinge a scoprire nuovi valori e fiducia in “una nuova umanità”; dall’altra, come appunto scrive nel Fatzer, dalla Grande Guerra “sputò fuori una generazione / coperta di lebbra / che durò poco e che / rovinando si trascinò nella rovina / il mondo invecchiato”.
Emblematico è il coesistere, nello stesso autore e in personaggi contigui, di tematiche e di retroterra all’apparenza distanti, in realtà accomunate da l'evidenziazione di contraddizioni vitali, capaci cioè di scatenare trasformazione. La tipicizzazione del personaggio Fatzer segue le orme di un altro personaggio di Brecht: l’asociale Baal, il quale vaga senza meta e senza regole sino alla morte in solitudine. Però, nel frattempo, Brecht ha cominciato a studiare Marx, Engels e Lenin, ed ecco che a differenza che nel suo primo dramma (che è del 1922), nel Fatzer il comportamento anarchico e ribelle viene messo in relazione con le istanze pratiche del marxismo; ed anche la funzione del dramma cambia.
È di questo periodo la precisazione dei canoni estetici che caratterizzeranno da qui in avanti tutta la sua produzione, e in particolare al suo concetto di teatro epico. Il teatro contemporaneo – afferma Brecht – non è più in grado di esprimere le contraddizioni del reale, c’è bisogno di nuovi registri formali. Il più importante risultato delle sue teorizzazioni è sicuramente il passaggio da una adesione dello spettatore per empatia (commozione del pubblico fatta scattare dall’immedesimazione dell’attore nel personaggio), ad una adesione distaccata, che permetta al pubblico di tenere vigile la mente e di giudicare i diversi comportamenti che l’attore propone attraverso una recitazione “resa strana” (straniata). Le novità riguardano ogni aspetto della scena: da un utilizzo della musica non più come sottofondo, ma capace di aprire un discorso a sé stante; al rendere evidenti gli strumenti utilizzati (ad esempio i fari) allo scopo di rompere l’illusione di trovarsi nella realtà piuttosto che in teatro; alla gestualità incisiva; alla giustapposizione di episodi contrastanti; all’uso sapiente di un montaggio non lineare. Questa strada non poteva che condurre Brecht anche ad un lavoro di scavo del linguaggio. L’insieme dei fogli di appunti relativi al Fatzer fa infatti capire che, in quel periodo, Brecht stava conducendo delle prove di scrittura in relazione ad una visione marxista della storia.
La lingua del dramma non è ambigua, per lo meno nel senso che la sua “duttilità semantica”, piuttosto che oscurare i riferimenti extra-teatrali, e soprattutto ideologici, ne permette il riconoscimento. Proprio perché vive nella chiarezza di senso, la lingua del Fatzer richiede una comprensione particolare: PER ADESIONE CONFLITTUALE; il lettore (lo spettatore) deve essere posto in grado di valutare i comportamenti cui la lingua rinvia, deve scegliere tra due concretezze diverse; ma la scelta evoca l’interpretazione e la comprensione, dunque presuppone una attivazione razionale delle facoltà di pensiero. NEL FATZER L’ENIGMA NON È NELLE PAROLE, MA NEI COMPORTAMENTI. Le parole sono esplicite nel loro senso. Nel gioco dei rinvii da parola a parola, i riferimenti sono univoci: nel personaggio Fatzer si esprime l’egoismo anarcoide, di colui che antepone i propri interessi di singolo a quelli della classe cui appartiene, mentre il personaggio di Koch è funzione di una razionalizzazione dell’agire di tipo leninista. Nel tradurre queste “classi semantiche diverse” il lettore chiarisce a se stesso la direzionalità dei diversi agenti, ed è portato ad accettare o rifiutare, e comunque a valutare l’orientamento pratico dei personaggi: il testo richiede una presa di posizione critica rispetto a quanto enunciato. La non identificazione, tipico procedimento del teatro brechtiano, avviene dunque ad un livello di “direzioni ideologiche” presentate come alternative. Mentre nei drammi didattici composti nello stesso periodo del Fatzer l’antagonismo evidenziato è tra un comportamento ritenuto eticamente valido e devianza, nel dramma in questione, che pure in parte risente della rigidità degli stessi drammi didattici, le contraddizioni sono svolte su “piani inclinati”, sono sfuggevoli, quasi che ogni comportamento abbia come risultato la catastrofe. Qui la formazione (l’elemento educativo dei drammi) tradisce la speranza e l’atteggiamento positivista: la presa di posizione assunta, qualsiasi essa sia, conduce al fallimento. Ora, qui è evidente che la storia irrompe con forza nel dramma, e non solo come sfondo o come materia da elaborare. Il periodo è nettamente controrivoluzionario, a tutti i livelli. Se ci si asproccia ad una analisi della fase in corso nel periodo in cui Brecht sta elaborando il suo Fatzer (che è poi quella post il tentativo fallito dell’insurrezione spartachista), non si potrà non notare l’estrema difficoltà di intravedere uscite positive da una situazione che ha già fatto esplodere la democrazia nel suo risultato più estremo, il fascismo in Italia e il nazismo in Germania (che proprio in quel periodo sta accingendosi a prendere il potere); a fronte, per di più, di una involuzione del regime sovietico in senso autoritario. È un periodo, insomma, dove le speranze di realizzare “quella semplice cosa così difficile da realizzare” (il comunismo) sono ridotte a quasi zero e torna a battere alla porta “la marcia possente delle armate” controrivoluzionarie. È il personaggio Koch a palesare questa posizione di diffidenza, come anticipando la sconfitta:

KOCH
“ … la nostra causa è finita. E
In quest’ora che i suoni della vittoria
Annunciano la grande era del nostro nemico mortale
Rimandando la sua caduta ad un tempo indeterminato
Di cui solo questo è sicuro, che sarà molto tempo dopo
La nostra morte
”.

Questo punto è di capitale importanza. Non è certo un caso che Heiner Müller punti proprio sui frammenti del Fatzer per elaborare una scrittura “il cui vero piacere sia quello della catastrofe”. Alla fine della vicenda di Fatzer, scrive Müller, “c’è il nulla”. È un passaggio che in fondo ci riguarda, che riguarda la nostra epoca: finita la “speranza”, crollate le “illusioni rivoluzionarie”, resta la controrivoluzione.

KOCH
Troppo deboli per difenderci, noi passiamo All’attacco. (…)

CORO
Alzati, Keuner, e vai
Per la città e
Verifica se
Non ci sia qualcosa di meglio che
La vostra causa, che il Fatzer.
Osserva tutti quelli che incontri ed
Esamina ognuno! Senti i discorsi
E tasta la stoffa di cui
Son fatti le loro giacche e i loro pensieri
Se sono sazi o affamati
Se sopportano a stento ma
Se sono pronti a portare fatiche ancora più grandi per
Eliminare ogni fatica.
Perché ce ne fossero soltanto cinque
Nell’intera città
Che sono pronti e capaci
A sovvertire,
Unisciti subito a loro
Lascia stare ciò che è vecchio e
Decidi subito per il nuovo
Ossia: il rovesciamento totale. (…)

FATZER
Ma di tutte le imprese rimane
Solo questa: vivere.
Impresa di massimo rischio, quasi senza prospettive
Possibile solo attraverso la rapina, ma di ora in ora:
Ogni etto di carne fresca è una vittoria
Costruirsi questo tetto sulla testa di nuovo ogni ora
E il nostro unico trionfo, che forse non potremo mai vivere:
in margine a questi anni
esserci ancora.


(La traduzione – inedita – è a cura di Milena Massalongo)


 


 

Salmagundi delle Albe - un’avventura tra Livorno e Ravenna
Una buona pratica, due città, sei foto
di Concetta D'Angeli

 

Questa è la storia di un fatto sorprendente. Ha al suo centro Salmagundi, delle “Albe” di Ravenna: uno spettacolo che molti critici hanno accolto con favore, altri con perplessità. Io ne sono stata travolta, insieme a una ventina di allievi.



Tutto è cominciato con una “buona pratica” di cui fu data comunicazione al convegno di Milano (autunno 2004): a Livorno, in un piccolo spazio da poco restaurato (il Teatro delle Commedie), con il finanziamento del Comune e il concorso delle Università di Pisa, Bologna, Torino, Genova, da alcuni anni si tengono dei seminari seguiti con crescente attenzione. Ebbero origine, anni fa, dalla volontà utopica e generosa di Fernando Mastropasqua.



Pur lasciando piena libertà a chi di volta in volta li conduce, questi seminari rispettano la medesima formula. Sono composti di una parte teorica svolta da professori universitari; e esemplificazioni pratiche affidate a drammaturghi o registi o attori. Sono accomunati da uno stesso tema che varia ogni anno (il 2005 con Il racconto comico); e ognuno di essi si conclude con piccole performances realizzate dagli artisti. In questo modo il Teatro delle Commedie si garantisce una “stagione” basata su un coerente progetto culturale, costituita da spettacoli non affidati alle sole ragioni finanziarie e all’ovvietà pubblicitaria, pensata sulla base di un percorso di ricerca reale. Lo stesso che avrà ispirato gli incontri seminariali.
Quest’anno De Marinis, dell’università di Bologna, è stato affiancato da Marco Martinelli, regista e drammaturgo delle “Albe”. Si è aperta così l’avventura che voglio raccontare.



Ai venti iscritti al seminario - studenti universitari, appassionati di teatro, aspiranti attori, signore - Marco annuncia che intende portare tutti sul palcoscenico, allestire una specie di Salmagundi livornese. Provoca il panico. Foraggia persino la mia diffidenza verso i “saggi finali” - imbarazzanti patetiche recitine per commozioni familiari.
Ignoravamo che il Salmagundi ravennate nacque in modo non dissimile. Nacque dalle facce e dai corpi dei ragazzi che parteciparono al corso per la crescita professionale dell’attore, denominato “Epidemie”, promosso dal Teatro Rasi nel 2004. Lavorando con loro, Marco Martinelli scrisse il testo, lo confezionò addosso a ciascun attore come se facesse un abito di scena, come se prendesse a prestito parole, inflessioni vocali, atteggiamenti, conformazioni fisiche. A tentoni, muovendo dal vuoto di quel non sapere, accettando l’ansia di un esperimento che non aveva traccia, usando la curiosità e il divertimento, sperimentando un’inventiva senza freni, si definirono personaggi, si crearono situazioni, si appresero linguaggi. Nel programma di sala di Salmagundi Cristina Ventrucci definisce il tragitto “l’acquisizione di un sapere scenico che mantiene intatta la grazia dell’invenzione libera”.



A Livorno abbiamo invece iniziato all’inverso, con il libro in mano già scritto e pubblicato. Abbiamo iniziato leggendo, Martinelli teso a riconoscere, in ognuno di noi, gli attori “veri”, i ravennati, per intenderci... Più tardi anche noi ci saremmo ritrovati a sfangarcela in un’operazione di riconoscimento analoga.
Il tempo di salire sul palco e l’usuale modo di procedere del Teatro delle Albe ci ha catturati. E’ un continuo intreccio fra teoria e prassi, una progettualità che subito si converte in realizzazione. E’ allegria, gioco di squadra; è scambiarsi e rovesciare ruoli, fra maestri e allievi; è solidarietà che ha l’intensità del patto d’onore. E questo è quello che voglio testimoniare: il lavoro e i metodi trascinanti di Marco Martinelli... Quando da un sogno e da un’esperienza condivisi prendono forma testo e spettacolo. Quando il teatro si lega ai pensieri e ai desideri dei corpi vivi, si interroga sui propri compiti, riflette sul reale, lo critica, lo ama...



Salmagundi esprime fastidio per la trionfante stupidità, e però anche la consapevolezza di condividerne gran parte. Vi si racconta la favola patriottica di un Paese di Bengodi dove da trent’anni nessuno s’ammala più; l’Istituto Nazionale per la Prevenzione delle Epidemie, diventato ente inutile, non ha altra occupazione che produrre uno smisurato sciocchezzaio, affaccendarsi in manovre di basso potere, organizzare il “Varietà Scientifico del Venerdì”, ballare il tip-tap. Finché un neo-laureato in medicina scopre che il cuore di suo zio si sta trasformando in un salame cotto: la storia umana di dolore-malattia-morte si riapre.



Il testo scritto, sebbene divertente, rischia di tracimare per eccesso di vitalità. Una fantasia iperattiva produce a getto continuo gags, battute, situazioni comiche. Soprattutto nella seconda parte, la struttura non ce la fa più a sostenere il gioco mutevole, l’equilibrio si incrina. Lo spettacolo invece funziona, eccome! Il pericolo dello sbilanciamento è arginato con scintillante abilità, i cedimenti d’assetto sono compensati dal ritmo indiavolato, l’opera si arricchisce di continue azzeccate invenzioni. Coerenza e armonia, salvaguardate, poggiano sui consueti punti di forza del Teatro delle Albe. La bravura degli attori (la parte storica della Compagnia è rappresentata da Luigi Dadina e Maurizio Lupinelli; gli altri interpreti sono i corsisti di “Epidemie”); la gestione dello spazio scenico - qui ristretto, affollatissimo, vociante – a rappresentare un’infelice claustrofobica ossessiva condizione; le luci di Vincent Longuemare, creativo collaboratore del Gruppo.
Accanto alla sapienza tecnica, la regia mette a frutto una cultura multiforme. Ondate di buio arrestano il tumulto delle azioni; sciabolate lucenti squarciano l’oscurità e restituiscono tableaux vivants, quella stasi che s’ispira alla pittura più che al fermo immagine cinematografico. Si susseguono scene d’interni gremite, allucinate, ispirate alle sequenze teatrali e visionarie dei dipinti di Goya. La luce decisa, tagliente, una suggestione caravaggesca, prorompe da un’unica fonte, imprime un avvolgimento unidirezionale. Coretti demenziali e inni assurdi vengono intonati con puntualità zelante da tutti i personaggi: personalità di potere, gente comune smaniosa di notorietà, perfino i morti (curiosi e avidi), che spiano la vita di chi sopravvive. E nella scioccheria canora, di tanto in tanto, fascinoso e imperativo, esplode il barocco di Haendel e Lulli. La musica di corte: a sottolineare quanto la stupidità dilagante sia da considerare fenomeno antropologico che fonda le identità individuali e cementa le coesioni pubbliche.

Gli iscritti al seminario livornese, elettrizzati infine dalla loro performance, organizzano un tour a Ravenna, dove Salmagundi andava in scena al Rasi (6-9 aprile). Lì avviene l’agnizione. Ognuno ha trovato il suo alter ego “professionale” nell’attore che interpretava il medesimo personaggio. E come Freud racconta del bambino che scopre la propria immagine nello specchio, il riconoscimento è stato commovente inquietante giubilante.
Il teatro, si sa, è un fantasmagorico gioco di riflessi: lo abbiamo sperimentato con emozione a Ravenna, ritrovando gesti, toni di voce, vita che i personaggi di Salmagundi avevano preso a Livorno. Oppure scoprendo le differenze, le possibilità diverse, impensate, per incarnare lo stesso ppersonaggio.
L’incontro fra le due troupes è avvenuto in una stanza di specchi, nella quale un mago e i suoi adepti hanno fatto vivere i loro sogni. E se li sono trasmessi, li hanno condivisi. Hanno insegnato e hanno appreso di quanto entusiasmo sia produttiva la partecipazione delle fantasie, delle illusioni – del teatro. E chi lo specchio, chi il mago se non Marco Martinelli, coreuta di quel gioco fantastico e ameno.


 


 

Artaud, Van Gogh e le immagini divoranti
Da "Macerata I-Mode Visions 2005" dedicata ad Antonin Artaud
di Valentino Bellucci

 

Dal 18 al 20 maggio si è tenuta a Macerata presso il Teatro Josef Svoboda l'esposizione annuale del Corso di Comunicazione visiva Multimediale dell'Accademia di Belle Arti dal titolo MACERATA I-MODE VISIONS.
Il festival, giunto alla II edizione, ha proposto il concorso “I modi della visione” aperto ad una selezione di 13 film-makers dell’Accademia, performances multimediali, retrospettive video e filmiche, due tavole rotonde con la partecipazione di critici e docenti dell’Istituto.
Macerata I-Mode Visions è stata dedicata quest’anno ad Antonin Artaud (1896-1944): un omaggio al pensiero e all’opera del geniale assertore della “filosofia della crudeltà” e una riflessione su quanto di artaudiano, “capace di svegliarci: nervi e cuore”, sia sopravvissuto nei linguaggi e le forme degli attuali media. In programma convegni e performance multimediali, retrospettive video e filmiche, convegni e tavole rotonde con la partecipazione di semiologi e critici di teatro e media tra cui: Massimo Puliani (Coordinatore Scientifico del Corso CVM), Anna Maria Monteverdi, Alessandro Forlani, Valentino Bellucci, Pierpaolo Loffreda, Pierfrancesco Giannangeli, Elisa Calandra, Carlo Infante, Fabrizio Bartolucci (con una lettura della Lettera sul Corpo, che un tempo donò il suo nome alla tragedia di Romeo Castellucci). (ndr)

 
> Vetri di suono dove giran su se stessi gli astri,
cristalli dove cuociono i cervelli,
il cielo brulicante d’impudori
la nudità degli astri divora.
Antonin Artaud

…noi possiamo far parlare solo i nostri quadri.
Vincent Van Gogh

Ma che cosa sono i colori se non prorompe in
essi la vita più fonda degli oggetti?
Hugo von Hofmannstahl


§ 1. Premessa. Artaud e Van Gogh si occuparono di immagini, le divorarono o ne furono divorati? Questa domanda però ne presuppone un’altra: fu la follia a utilizzare il loro genio o avvenne il contrario? Avvicinandosi all’opera di questi due autori si ha come l’impressione che essi siano andati oltre la follia attraverso la follia stessa. Come giustamente notava Karl Jaspers: “ La personalità, il talento preesistono alla malattia, ma non hanno la stessa potenza. In queste personalità la schizofrenia è la condizione, la causa possibile perché si aprano queste profondità.” Per Jaspers la follia non è genio, ma, al massimo, permette a chi è già un genio di inoltrarsi in territori psichici e formali prima preclusi agli stati di coscienza normali. Non a caso lo stesso Artaud ebbe dei contatti con le tribù dei Tarahumara e con uno sciamano; lo sciamanesimo è basato sul raggiungimento di altri stati di coscienza per poter raggiungere altre dimensioni di realtà. Questo ci autorizza forse a dire che Artaud utilizzasse consapevolmente queste alterazioni? Van Gogh a questo proposito scrive qualcosa di illuminante:

Quando si cammina per ore ed ore per questa campagna, davvero si sente che non
esiste altro che quella distesa infinita di terra – la verde muffa del grano o dell’erica
e quel cielo infinito. Cavalli e uomini sembrano formiche. Non ci si accorge di nulla,
per quanto grande possa essere, si sa solo che c’è la terra e il cielo. Tuttavia, in
veste di piccola particella che guarda altre piccole particelle – per trascurare l’infinito –
ogni particella risulta essere un Millet.


Questo brano non è forse la descrizione di uno stato allucinatorio? “Cavalli e uomini sembrano formiche”. Bisogna immaginare Van Gogh che cammina per ore ed ore nelle campagne olandesi o nel sud della Francia, fino a perdersi fisicamente e psichicamente; il suo girovagare non era una mera ricerca del paesaggio giusto da dipingere, ma una ricerca di un altro stato di coscienza, una sorta di trance dove “si sa solo che c’è la terra e il cielo”. Questo permise a Van Gogh di cogliere pittoricamente le sue visioni, esse nascevano dall’intreccio della natura reale con la coscienza eccitata del pittore. Non a caso Van Gogh scrisse anche: “ Hai visto quel ritratto che mi aveva fatto, mentre dipingevo i girasoli? La mia faccia da allora si è molto rischiarata, ma ero proprio io, estremamente stanco e carico di elettricità…” Si allude al ritratto fattogli da Gauguin, in esso Van Gogh riconosce la propria condizione e ci svela d’essere stato, all’epoca dei Girasoli “carico d’elettricità”, ciò significa che per raggiungere un tono di giallo così forte al pittore olandese occorreva una certa carica, una certa scossa. In fondo si potrebbe interpretare la follia di Van Gogh, a anche quella di Artaud, come una scossa elettrica che può distruggere ma che può essere canalizzata in energia creativa. Ma non solo. La pittura di Gauguin svela la carica presente in Van Gogh nella stessa misura in cui Van Gogh svela l’energia presente nella natura, presente e nascosta. Allora l’alterazione di coscienza non modifica la realtà, ma serve per poterla decifrare:

Mi siedo con una tavola bianca di fronte al luogo che mi colpisce, guardo quel
che mi sta dinanzi, mi dico: « Questa tavola vuota deve diventare qualcosa » – torno
insoddisfatto – la metto via e quando mi sono riposato un po’, vado a guardarla con
una specie di timore. Allora sono ancora insoddisfatto, perché ho ancora troppo
chiara in mente quella scena magnifica per poter essere soddisfatto di quello che ne
ho tirato fuori. Ma trovo che nel mio lavoro c’è in fondo un’eco di quello che mi
ha colpito. Vedo che la natura mi ha detto qualcosa, mi ha rivolto la parola e che
io l’ho trascritta in stenografia.


La prima fase è raggiungere uno stato di coscienza adatto per cogliere la parola della natura, essa la rivolge a pochi; la seconda fase è tentare di mettere su tela tale parola, espressa nello splendore della luce, da ricreare con la forza dei colori. La terza fase è quella della delusione e della consapevolezza, delusione perché lo splendore della natura è irraggiungibile, consapevolezza perché Van Gogh sa comunque di aver colto qualcosa, d’aver stenografato un enigma. Le sue notti stellate sono solo un’eco delle stelle reali, fiammeggianti come nessuno immagina. Le visioni allucinatorie di Van Gogh in realtà sono il residuo di una visione ben più potente. E Hofmannsthal fu uno dei primi ad accorgersene, quando scrisse a proposito dei dipinti di Van Gogh:

…ed era una creatura ogni albero, ogni striscia di campo giallo o verdastro,
ogni siepe, ogni sentiero tagliato nella collina pietrosa, una creatura la brocca
di stagno, la scodella di terra, il tavolo, la rozza sedia – mi si levava incontro
come rinata dallo spaventoso caos della non-vita, dal baratro dell’irrealtà, così
che io sentii, no, seppi, che ognuna di quelle cose, di quelle creature, era nata…
[…] Mi sentivo come uno che dopo una interminabile vertigine sente terra ferma
sotto i piedi e intorno a lui infuria una tempesta nel cui furore egli vorrebbe
urlare di gioia.


Tutto si anima di vita nei quadri di Van Gogh, l’inorganico diventa organico, l’organico diventa luce; le opere del pittore olandese non ci mostrano un mondo irreale, ma, come ha notato Hofmannsthal, ci vogliono mostrare l’irrealtà del mondo che tutti i giorni noi consideriamo reale, nel suo grigiore che dipende soltanto da una coscienza divenuta grigia. E Artaud, col suo teatro, tentava la stessa impresa: colpire fino al midollo l’esistenza degli altri:

L’illusione non si fonderà più sulla verosimiglianza o l’inverosimiglianza
dell’azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di tale azione. […]
Non ci rivolgiamo allo spirito o ai sensi degli spettatori, ma a tutta la
loro esistenza. Alla loro e alla nostra. Giochiamo la nostra vita nello
spettacolo che si svolge sulla scena. […] Lo spettatore che viene da noi
sa di venire a sottoporsi a una operazione vera, dove sono in gioco non
solo il suo spirito ma i suoi sensi e la sua carne. […] Egli deve essere
convinto che siamo capaci di farlo gridare.


E anche l’Hofmannstahl spettatore dei quadri di Van Gogh arriva a sentire l’impulso di gridare; ci troviamo su due terreni simili, dove si sta giocando una partita estrema. Fu questo desiderio di colpire “tutta l’esistenza” degli altri ad avvicinare Artaud e Van Gogh; la follia fu soltanto uno strumento, o l’alibi di una società che fu spaventata da questo.


§ 2. Artaud interprete di Van Gogh. Occorre ora leggere ciò che lo stesso Artaud scrisse su Van Gogh, per comprendere fino a che punto tale affinità fu reale. Fin dall’inizio del suo scritto Artaud rivela:

…una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle lucide
indagini di certe menti superiori le cui facoltà di divinazione la infastidivano.
[…] No, Van Gogh non era pazzo, ma i suoi dipinti erano dei fuochi greci,
delle bombe atomiche… […] Così la società ha fatto strangolare nei suoi
manicomi tutti coloro di cui ha voluto sbarazzarsi o difendersi, poiché
s’erano rifiutati di rendersi complici con lei di certe incredibili oscenità.
Perché un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare
e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità.


L’accusa di Artaud è decisa: la follia degli artisti è un’invenzione della società per difendersi dalle rivelazioni di “certe menti superiori”. Ciò significa che per Artaud il grande artista abita ad un livello di coscienza superiore, dove è possibile attingere “insostenibili verità”. Ma questa visione rappresenta soprattutto il rapporto che ebbe lo stesso Artaud con la società; Van Gogh si pose in maniera diversa:

Volevo dirti che credo di aver fatto bene a venire qui, innanzi tutto perché
vedendo la realtà della vita dei pazzi o dei vari squilibrati di questo serraglio
mi passa il timore vago, la paura della cosa in se stessa. E poco per volta
posso arrivare a considerare la follia una malattia come un’altra.


Per il pittore la follia fu una malattia tra le tante che l’uomo può contrarre, più a causa della propria fragilità che per colpa della società. Certo, Van Gogh era consapevole che tale “malattia” poteva derivare dallo sforzo psichico dedicato alla sua pittura (“nel mio lavoro ci rischio la vita e la mia ragione vi si è consumata per metà” ), eppure non arrivò alle accuse di Artaud, anche perché i due ebbero esperienze cliniche diverse e rapporti personali coi medici diversi. Basti pensare all’amicizia tra Van Gogh e il dottor Gachet. Eppure Artaud potrebbe ancora dirci che è la stessa società a condurre Van Gogh verso questo atteggiamento remissivo e umile. Il suo suicidio fu una punizione inflittagli dalla società:

Van Gogh […] aveva scoperto che cosa e chi era, quando la coscienza generale
della società, per punirlo di essersi sottratto a lei, lo ha suicidato. […] S’è
introdotta dunque nel suo corpo, questa società consacrata, santificata e posseduta,
ha cancellato in lui la coscienza soprannaturale che aveva raggiunto, e, come
un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno, lo ha sommerso in
un ultimo balzo, e, prendendo il suo posto, lo ha ucciso.


Questo brano è fondamentale; esso ci mostra l’esistenza, per Artaud, di due livelli di coscienza: quello della “coscienza generale della società” e quello della “coscienza soprannaturale” dell’artista; la cosa interessante è che una coscienza inferiore riesce a prendere il posto di una coscienza superiore. Come è possibile? Ciò è dovuto alla fragilità del corpo, alla sua imperfezione organica, come se il corpo di Van Gogh non potesse difendere la sua coscienza dagli attacchi della società. Lo stesso Artaud scrive in un altro testo che

…ogni uomo onesto di questo tempo è abitato da un incubo o da un succubo,
allo stesso modo ogni medico, ogni prete, ogni scienziato, ogni pedagogo di
quest’epoca è l’incubo o il succubo che abita un corpo umano…


La società abitò da sempre Van Gogh con i suoi incubi e le sue forzature:

…in effetti sono stato costretto a fare certe cose, né potevo agire diversamente. E
proprio il sistema di accusarmi di avere intenzioni malsane mi ha reso molto freddo
e piuttosto indifferente nei riguardi di molte persone. […] …sto iniziando a comprendere
quanto sempre più tremendamente difficile sia sapere quando si ha ragione o torto.


La coscienza di Van Gogh fu sempre in una duplice tensione: da un lato il doversi difendere dalla coscienza del gregge, acutamente descritta da Nietzsche, e dall’altro lato la ricerca di una coscienza più alta, da raggiungere e trasmettere attraverso l’arte. In questo senso Artaud e Van Gogh appartengono alla schiera degli autori moderni, che, secondo Susan Sontag

…si riconoscono dallo sforzo di desacralizzare se stessi, dalla volontà di non
essere moralmente utili alla comunità, dalla tendenza a presentarsi non come
critici della società, ma come profeti, avventurieri spirituali e paria della
società. […] Ciò che [Artaud] ha lasciato in eredità non sono varie opere
d’arte portate a compimento, ma una presenza eccezionale, una poetica,
un’estetica del pensiero, una teologia della cultura, e una fenomenologia
della sofferenza.


Ed è proprio questa “fenomenologia della sofferenza”, a mio avviso, ad accomunare in modo sostanziale Artaud e Van Gogh; basta osservare i loro autoritratti, a matita di Artaud e a colori di Van Gogh, per leggere tale fenomenologia. E Artaud nota, sempre parlando di Van Gogh, che egli

…dipingeva, non già delle linee o delle forme, ma cose della natura inerte
come fossero in preda a delle convulsioni. […] …è con il suo colpo di
maglio, proprio con il suo colpo di maglio che Van Gogh non smette di
colpire tutte le forme della natura e degli oggetti. Graffiati dal chiodo di
Van Gogh, i paesaggi mostrano la loro carne ostile, la collera delle loro
viscere sventrate che una strana forza ignota sta però metamorfizzando.


È un brano fondamentale per capire i rapporti profondi e segreti che legano entrambi; Artaud parla del “chiodo di Van Gogh” – è un punto cruciale, ma per ora dobbiamo mettere da parte questo chiodo per riprenderlo, come merita, in seguito. Per ora ciò che ci interessa notare è la teatralità che Artaud scorge nell’attività pittorica di Van Gogh; Artaud non sta tanto descrivendo il quadro del pittore ma il suo agire sulla tela e sulla natura. Non si tratta più dei vecchi strumenti: il pennello è diventato un maglio, un bisturi, ed è questa prima metamorfosi che ha permesso la seconda, quella della natura in convulsioni. Per Artaud Van Gogh ha ferito la carne delle cose, le ha fatte sanguinare. Perché? In fondo Van Gogh agisce sulla natura con crudeltà, la stessa che Artaud esercitava sul suo pubblico teatrale. Perché? Prima di tentare una risposta dobbiamo proseguire:

…un dipinto di Van Gogh, - venuto alla luce, riconsegnato direttamente alla
vista, l’udito, il tatto, l’aroma, sulle pareti della mostra, - lanciato infine di
nuovo nel flusso dell’attualità, rimesso in circolazione.


La pittura di Van Gogh è totale, non riguarda soltanto la vista, ma tutti gli altri sensi. Ma ciò che va rilevato in questo brano è il riferimento all’udito. Per Artaud il disegno, il segno, è musicale. Come nota Derrida:

…nei momenti in cui egli [Artaud] rinuncia alla descrizione della pittura
di Van Gogh, si sente come impacciato nel passare alla glossolalia.
Questo mette in evidenza il carattere fonico, musicale, orchestrale della
pittura: ai suoi occhi, i disegni si devono sempre (entendre) ascoltare.


Ecco che la multimedialità di Artaud viene allo scoperto, ed è una multimedialità unitaria, che deriva dal fatto stesso del segno, sia esso teatrale o pittorico, in ogni caso esso è anche musicale. La separazione degli ambiti artistici appare allora come una mistificazione che Artaud e anche Van Gogh hanno cercato di spezzare. Non a caso Van Gogh si sentiva particolarmente affine alla musica di Wagner:

Ho letto ancora un articolo su Wagner, l’amore nella musica – […]
Come sarebbe necessario avere la stessa cosa per la pittura. […] Tutti
avranno forse un giorno la nevrosi, il ballo di san Vito o altro.
Ma non esiste forse il controveleno? In Delacroix, in Berlioz o Wagner?


Van Gogh cita Delacroix e Wagner nella stessa categoria di “controveleno”, per lui pittore e musicista lavoravano in vista di un unico fine e il pittore doveva ricercare i suoi effetti sinfonici. Ma questa vicinanza tra musica e pittura è stata esemplarmente teorizzata da Kandinsky:

Le tonalità cromatiche, come quelle musicali, hanno un’essenza più
sottile, danno emozioni più sottili, inesprimibili a parole. […] Molti
quadri, xilografie, miniature ecc. delle epoche artistiche del passato
sono composizioni «ritmiche» complesse con forti riferimenti al principio
sinfonico.


Kandinsky sottolinea giustamente il fatto che la pittura ha da sempre seguito dei ritmi e delle costruzioni musicali; il compito dell’arte nuova, secondo lui, risiede nel liberare totalmente la pittura da ogni figurazione, rendendola astratta e pura come la scrittura musicale. Non a caso Kandinsky cita l’opera di Cézanne più che quella di Van Gogh, infatti Cézanne fu, sotto certi aspetti, ispiratore del cubismo, riducendo il paesaggio ad una struttura geometrica di cubi, cilindri e coni colorati. Ma a Van Gogh interessava la figurazione, che restava elemento fondamentale, poiché la forza del colore doveva agire su oggetti naturali o artificali, ma sempre su oggetti riconoscibili. Van Gogh non poteva, come nota acutamente Artaud, fare a meno dei suoi corvi:

…nessun altro pittore tranne Van Gogh avrà saputo come lui
trovare, per dipingere i suoi corvi, quel nero da tartufi, quel
nero “da gran scorpacciata” e nello stesso tempo quasi
escremenziale delle ali dei corvi sorpresi dalla luce calante
della sera.


Senza la figura dei corvi quel nero sarebbe riuscito a trasmettere ad Artaud il sapore dei tartufi e degli escrementi? Da un punto di vista fenomenologico la risposta che dobbiamo dare è: no. È il corvo stesso, la cui sostanza è messa a nudo da Van Gogh, che ha sia un aspetto invitante e sia un aspetto disgustoso. Ma c’è di più. I corvi di Van Gogh ci mostrano il perenne ossimoro che ossessionava Artaud e che, come vedremo, ritornerà spesso. Questa tensione dell’ossimoro (gustoso/disgustoso) proviene dalla gnosi, come ci ricorda Susan Sontag:

Basandosi su un’esasperazione del dualismo (corpo-mente, materia-spirito,
male-bene, buio-luce), lo gnosticismo promette l’abolizione di tutti i
dualismi.


Pur essendo presenti in Artaud e in Van Gogh molti temi dello gnosticismo (ma questo lo esamineremo più a fondo in seguito) in essi non c’è la volontà di crerare una sintesi superiore che superi tutti i dualismi. Non erano affatto hegeliani. Il loro tentativo è piuttosto quello di abitare al massimo la tensione massima degli opposti. Infatti Artaud prosegue scrivendo:

…Van Gogh pensava che si dovesse saper dedurre il mito dalle cose più
terra terra della vita. Sul che, io penso che avesse dannatamente ragione.
Poiché la realtà è terribilmente superiore ad ogni storia, ad ogni favola, ad
ogni divinità, ad ogni surrealtà. Basta avere il talento per saperla
interpretare.


Il mito sta a significare ciò che è primordiale, ciò che è energia pura, ancora non controllata o controllabile da nessun logos; e questo mito è nella realtà stessa, nelle sue immagini, che la rendono “terribilmente superiore”. Ma per cogliere questa superiorità occorre avere uno stato di coscienza superiore; occorre la trance, e le immagini del pittore Van Gogh che mandano gli spettatori del quadro in una sorta di trance, così come Artaud voleva

…che si ritorni attraverso il teatro a un’idea della conoscenza fisica
delle immagini e dei mezzi per provocare trances. […] Chi ha
dimenticato il potere di comunicazione e il mimetismo magico di un
gesto, può riapprenderlo dal teatro, poiché un gesto porta con sé la
sua energia…[…] Fare arte significa privare il gesto della sua
risonanza nell’organismo, e questa risonanza, se il gesto è fatto
nelle condizioni richieste e con la necessaria energia, invita l’organismo,
e di conseguenza l’intera individualità, ad assumere atteggiamenti in
armonia col gesto stesso. Il teatro è il solo luogo al mondo, e l’ultimo
mezzo collettivo che ci rimanga, per toccare direttamente l’organismo…


Una “conoscenza fisica delle immagini”, cosa significa? Significa che una corrente di energia scorre tra me e l’immagine, che l’immagine mi divora attraverso la sua forza e attraverso lo splendore della sua realtà; l’uomo non può concepire realtà senza immagini, e l’immagine divorante è impossibile senza il corpo. Lo stesso Diderot a proposito di un cieco-nato si domandava:

…in che modo un cieco-nato si forma un’idea delle figure? Io credo
che, dai movimenti del corpo, dalla presenza successiva della mano in
più luoghi, e dalla sensazione ininterrotta di un corpo che gli passa tra
le dita, egli si faccia il concetto di direzione. […] geometra o no, il
cieco-nato riferisce ogni cosa all’estremità delle proprie dita.


In fondo Van Gogh e Artaud volevano uscire dalla loro e dalla nostra cecità; sapevano che tutti noi siamo in realtà dei ciechi-nati che credono di vedere. Ma così come il vero cieco ha bisogno del suo corpo per farsi un’idea delle figure, noi abbiamo bisogno di un corpo che sanguini, crudelmente, di un corpo divorato dalle immagini per vederle nel loro reale splendore. E per riuscire a fare questo occorrono tramiti, mezzi, gesti che possano condurre l’energia della realtà fino a colpire il nostro corpo. Allora la trance che riceviamo è simile a quella che lo stesso Van Gogh doveva ricevere prima di poter vedere realmente le immagini da dipingere. E per Artaud la pittura e l’immagine, come ci ha ricordato Derrida, vanno ascoltate:

…nessuno dopo Van Gogh avrà saputo scuotere il grande cembalo, la
sovrumana sonorità, perpetuamente sovrumana in base al cui ordine
ignorato risuonano gli oggetti della vita reale, quando si sia saputo
tener le orecchie abbastanza aperte da cogliere il sopraggiungere della
loro ondata.


In fondo l’orecchio tagliato di Van Gogh non potrebbe essere l’eliminazione dell’orecchio comune, incapace d’ascoltare “la sovrumana sonorità”, per liberare l’orecchio superiore, la coscienza risvegliata? Non è forse la manifestazione di una liberazione? Van Gogh poteva fare a meno di quel tipo di orecchio, così come i filosofi hanno fatto a meno delle loro lingue, nel paragone proposto da Bataille:

…l’orecchio mostruoso inviato nel suo involucro esce bruscamente dal
cerchio magico al cui interno abortivano stupidamente i riti di
liberazione. Egli ne esce con la lingua di Anassarco d’Abdera troncata
con i denti e sputata sanguinante in faccia al tiranno Nicocreone, con
la lingua di Zenone d’Elea sputata in faccia a Demylos…


Van Gogh portò l’orecchio al bordello, come estremo gesto d’amore e di sfida ad una società non meno repressiva del tiranno Nicocreano, repressiva verso altri stati di coscienza. Ma torniamo ad Artaud, il quale considera preminente il teatro, la sua possibilità di agire col corpo sul corpo. Eppure anche in Van Gogh egli nota una ‘recita’:

Si può dopo averla vista, voltare le spalle a qualsiasi tela dipinta, poiché
non ha più nulla da dirci. La luce tempestosa della pittura di Van Gogh
inizia le sue cupe recite nel momento stesso in cui si è smesso di
vederla.


Cosa significa “cupe recite”. Ritorna anche qui l’ossimoro gnostico tipico di Artaud (luce tempestosa / cupa); la luce nella pittura di Van Gogh inizia cupe recite dentro di noi proprio quando abbiamo smesso di guardarla. Molti avranno provato sulla propria pelle, nel proprio corpo, questa sensazione se hanno avuto modo di vedere una tela di Van Gogh, come se il colore si fosse insinuato in noi, per restarvi a lungo. Hofmannsthal ricorda ancora questa sensazione e si chiede:

…perché il colore di queste cose mi parve (parve! Parve! Sapevo pure
che era così!) contenere non solo il mondo intero, ma anche l’intera
mia vita?


Forse perché il colore ha delle potenzialità ontologiche ancora tutte da scoprire, forse perché le immagini colte da Van Gogh hanno dei colori divoranti, capaci di divorare un mondo e la nostra vita, così come divorarono la vita stessa di Van Gogh. Merleau-Ponty non ci indicato che “il giallo, si offre come un certo essere e al tempo stesso come una dimensione, l’espressione di ogni essere possibile”? Van Gogh ha colto il secondo aspetto ontologico del giallo, quello dimensionale, che lo rende universale, totale; basta osservare i suoi Girasoli. È, questa capacità, nient’altro che pittorica (come riconosce lo stesso Artaud: “Nient’altro che pittura, Van Gogh, e nulla più…”); certo, una capacità più unica che rara, perché non basta mettere, spalmare un tubetto di giallo su una tela per avere il giallo universale, divorante, potente. Occorre un’immagine reale come quella dei girasoli davanti agli occhi; i girasoli reali devono mandare a Van Gogh la loro scossa, che passerà poi nel suo giallo, attraverso il suo corpo. È stata questa corrente d’energia che ha sconvolto Hofmannsthal, che gli ha fatto sentire che in quei colori c’era tutta la sua vita, passato, presente e futuro. Le recite dei quadri di Van Gogh sono cupe nella loro universalità, nel loro essere “ogni essere possibile”, si tratterebbe quindi di una recita ontologica: un ente diventa ogni ente possibile. L’Essere stesso diventa contemporaneamente drammaturgo, palcoscenico e attori del dramma. Esso diventa come la peste artaudiana:

La peste dunque, a quanto sembra, si manifesta – prediligendoli – in tutti
i punti del corpo, in tutti i luoghi dello spazio fisico, dove la volontà
umana, la coscienza e il pensiero sono presenti e in grado di manifestarsi.
[…] La situazione dell’appestato […] è identica a quella dell’attore…[…]
Nell’aspetto fisico dell’attore, come in quello dell’appestato, tutto testimonia
che la vita ha reagito sino al parossismo…


L’attore e il pittore devono reagire, la vita stessa, la realtà deve reagire in loro, far scattare qualcosa fino al parossismo. Pur essendo figure singolari essi diventano totali. È in questo modo che si manifesta l’atto magico secondo Artaud, attraverso un

Teatro che, abbandonando la psicologia, racconti lo straordinario, metta in
scena conflitti naturali, forze naturali e sottili…[…] Un teatro che provochi
trances come le danze dei Dervisci…


Mettere in scena forze naturali… Non lo ha fatto anche Van Gogh con i suoi cieli vorticosi? Si tratta di diventare conduttori di energie, di forze universali e per fare ciò occorre perdere l’io fasullo, il Nafs (dato che Artaud si riferisce ai dervisci e alla tradizione sufi, dove l’io quotidiano e sociale è solo una prigione per l’io divino e assoluto che abita in noi) e farlo perdere anche agli altri. Ecco la crudeltà di Artaud: “Tutto ciò che agisce è crudeltà.” Le immagini pittoriche e teatrali sono crudeli e divoranti, ma la loro azione si rivolge all’io fasullo,

l’Io che comanda, sempre svelto nei suoi sofismi, nasconde
all’individuo il fatto che sta tentando di correre prima di essere
capace di camminare.


Per questo Artaud non sopporta più il teatro psicologico, esso illude l’individuo, gli fa credere di poter correre (“spaventosa dispersione di energie” ecco come vedeva Artaud il teatro psicologico) quando ancora non sa camminare. E lo stesso Van Gogh non sopportava certa pittura, esclamando:

Ma quando vedo dei giovani pittori che compongono e disegnano
a memoria – e poi ci spalmano sopra a caso quanto vogliono, questo
pure a memoria – poi guardano il risultato da lontano assumendo una
espressione triste e misteriosa mentre cercano di scoprire a che cosa
assomigli, in nome del cielo, e infine ne tirano fuori qualcosa, sempre
a memoria – a volte mi disgusto…



Si faccia attenzione alle volte in cui Van Gogh ripete “a memoria”, il fastidio che prova per quel dipingere solipsistico, senza una realtà con cui fare i conti, senza un campo di grano che emani le sue scosse elettriche. La pittura per Van Gogh fu sempre un corpo a corpo, una lotta tremenda in cui “vi perdette mille estati”. Così Artaud conclude la sua investigazione-immedisimazione con il pittore che fu suicidato dalla società:

Van Gogh è di tutti i pittori quello che ci spoglia più a fondo,
e fino alla trama…[…] Aveva dunque ragione Van Gogh: si può
vivere per l’infinito, non saziarsi che d’infinito, c’è abbastanza
infinito sulla terra e nelle sfere di che saziare mille grandi geni, e
se Van Gogh non ha potuto appagare il suo desiderio così da
irradiarne la sua esistenza intera, è perché la società glielo ha
proibito.


E la società non si basa sull’infinito, ma sempre sul finito. Lo stesso Artaud ha provato su di sé i confini che non si dovrebbero superare, pena l’elettrochoc e l’isolamento.


§ 3. Tra teatro e pittura, tra gnosi e estasi: due immagini divoranti. Vediamo ora, più da vicino, l’immagine teatrale e quella pittorica. Artaud scrive:

Una vera opera teatrale scuote il riposo dei sensi, libera l’inconscio
compresso, spinge a una sorta di rivolta virtuale […], impone alla
collettività radunata un atteggiamento eroico e difficile.


Anche Van Gogh voleva scuotere dal torpore attraverso i suoi quadri, e per farlo preferiva una pittura “sporca”:

Se dipingessi pulito come Bouguerau, la gente non avrebbe vergogna di
lasciarsi fare il ritratto, ma credo che quello che mi ha fatto
perdere i modelli è che trovavano che era «fatto male», che io
non facevo che dei quadri pieni di colore.


Questa pienezza del colore allontanava i possibili modelli per un ritratto, mentre i quadri di Bouguerau, accademici, “puliti”, non fanno paura a nessuno. Ma Van Gogh, come nota Artaud, è

più pittore di tutti gli altri pittori, essendo colui presso il quale
la materia, la pittura, occupa un posto di primo piano, con il
colore preso così come è spremuto dal tubetto…


È il colore l’elemento fondante nelle immagini pittoriche di Van Gogh, il disegno stesso è una guida, un confine dove far esplodere il colore; lui stesso sentiva una profonda identità coi colori:

So per certo che possiedo un istinto per il colore e che mi verrà
sempre di più e che la pittura l’ho fin nel midollo delle ossa.
[…] …il pittore dell’avvenire deve essere un colorista come non
ce n’è ancora stato uno
.


Il destino dell’immagine pittorica era legato per Van Gogh alla forza del colore, un colore che il pittore deve sentire “fin nel midollo delle ossa”. Da cosa dipende invece l’immagine teatrale in Artaud? Egli scrive:

Bisogna infatti ribadire che la sfera teatrale non è psicologica
ma plastica e fisica. […] …l’autore che adopera esclusivamente
parole scritte non ha nulla che fare con il teatro, e deve lasciar
posto agli specialisti di questa stregoneria oggettiva e animata.
[…] …nel «teatro della crudeltà» lo spettatore è al centro, mentre
lo spettacolo lo circonda. In tale spettacolo la sonorizzazione è
costante: suoni, rumori e grida sono scelti anzitutto per la loro
qualità vibratoria, e poi per ciò che rappresentano. Fra questi
mezzi sempre più affinati interviene anche la luce. Luce, che
non ha soltanto lo scopo di colorare o di illuminare, ma che
porta in sé la propria energia, la propria influenza, la propria
suggestione.


Mettere in secondo piano il linguaggio, la parola, nell’ambito teatrale, significa mettere da parte il logos e tutte le esperienze cognitive razionali; ad Artaud interessa ben altro; per lui la parola è un mezzo come gli altri, ma il fine è oltre la comprensione. Il teatro è per lui stregoneria, operazione sciamanica; lo spettacolo teatrale non deve più essere frontale ma deve inglobare lo spettatore, circondarlo coi suoni, con le grida, con le luci. L’immagine teatrale non è più rappresentazione, ma possessione, è un’immagine divorante nel senso di un’energia che viene espressa dalla luce. È un teatro d’energie che deve produrre

…immagini soprannaturali, un’emorragia di immagini, un getto
sanguinante di immagini sia nella testa del poeta sia in quella
dello spettatore. […] Propongo perciò un teatro in cui immagini
fisiche violente frantumino e ipnotizzino la sensibilità dello
spettatore…


Artaud lega lo scorrere delle immagini allo scorrere di un getto di sangue, tanto per lui l’energia che scorre in queste immagini deve colpire e agire sull’organismo dello spettatore. Non a caso una sua breve pièce teatrale si intitola proprio “Il getto di sangue” e in essa c’è questa lunga indicazione scenica:

(Silenzio. Si ode come il rumore di un’immensa ruota che
gira producendo del vento. Un ciclone li separa l’uno dall’altra.
Si vedono allora due astri che si scontrano e una serie di gambe
di carne viva che cadono insieme con dei piedi, delle mani, delle
capigliature, delle maschere, dei colonnati, dei portici, dei templi,
degli alambicchi, che cadono, ma sempre più lentamente, come
se cadessero nel vuoto; poi tre scorpioni uno dopo l’altro, e
infine una rana, e uno scarabeo che scende con una lentezza
esasperante, una lentezza da far vomitare. Il giovane, gridando con
tutte le sue forze
) Il cielo è impazzito.


Se consideriamo il ciclone e gli astri che si scontrano, questo cielo “impazzito” potrebbe essere uno dei cieli stellati di Van Gogh, ma Artaud vi aggiunge una carnalità che va oltre il surrealismo, e degli elementi che si ricollegano alla tradizione degli sciamani, come l’ “immensa ruota”:

Gli sciamani possedevano un altro elemento cognitivo chiamato
la ruota del tempo e la spiegazione che ne offrivano era che il
tempo assomigliava a un tunnel…


Come lo sciamano messicano Artaud cerca di far andare in trance i suoi spettatori, ipnotizzandoli, portando la loro coscienza ad un altro livello; per fare questo occorre trasformare il vecchio teatro in un teatro di energie e di forze primordiali. Non a caso l’energia è la questione primaria nello sciamanesimo messicano:

[gli sciamani] percepivano l’energia come una forza che fluisce libera
nell’universo, svincolata da tutti i condizionamenti della socializzazione
e della sintassi: un’energia pura e vibrante. Definivano questo atto percettivo
il vedere.


E non si tratta in Van Gogh e in Artaud di vedere l’energia che scorre libera nell’universo? Lo stesso Castaneda ci dice che lo sciamano cercava di creare in lui delle reazioni visive. Se in Artaud il contatto con questa tradizione è documentato in Van Gogh esso è una pura affinità, un puro “caso” dove con altri mezzi e con altre radici culturali si arriva a mete simili. Possiamo definire Van Gogh lo sciamano del colore, così come Artaud fu lo sciamano della scena teatrale, a patto di focalizzare la questione delle forze naturali che diventano energia visibile.


Vedere l’energia così come fluisce nell’universo equivaleva per
Don Juan alla capacità di vedere un essere umano come un uovo
luminoso
o una sfera luminosa.


Come non riconoscere la stessa capacità a Van Gogh se si osservano i suoi ritratti, dove gli esseri umani diventano luminosi, circondati da luce e fonte, essi stessi, di luce? Cosa sono i vortici dell’autoritratto di Van Gogh del 1890 se non puri flussi di energia, l’energia dell’universo che scorre libera e che pochi, pochissimi vedono? Ma dobbiamo ricordarci che è pur sempre pittura, così come l’energia che Artaud vuole scatenare e liberare dipende dalla tradizione gnostica, infatti

L’opera di Artaud è particolarmente preziosa come prima
documentazione completa su qualcuno che attraversa
completamente
la traiettoria del pensiero gnostico. Il risultato,
naturalmente, è un crollo terribile.


Sì, poiché Artaud e Van Gogh erano i cercatori di un viaggio di non ritorno, mentre per Castaneda gli sciamani messicani “ci indicano la possibilità di maneggiare contemporaneamente due sistemi cognitivi senza recare alcun danno al proprio sé.” Susan Sontag invece ci ricorda che Artaud (e anche Van Gogh) conclusero in un “crollo terribile”; non si possono “maneggiare” culture diverse in un unico modo; Artaud e Van Gogh restano, nonostante tutto, eredi di una grande e pesante tradizione culturale che in un certo senso hanno portato avanti e in un altro senso hanno fatto esplodere. Artaud era gnostico nelle sue esasperazioni, nel suo sentirsi prigioniero di un corpo e di una società repressiva, e, “come gli gnostici, è un individualista radicale”. Van Gogh non fu uno studioso di gnosi, fu gnostico per istinto, così come fu sciamano istintivamente, soprattutto quando scrisse:

Nella vita di un pittore la morte non è forse quello che c’è di
più difficile. Dichiaro di non saperne assolutamente nulla, ma
la vista delle stelle mi fa sempre sognare, come pure mi fanno
pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche
città e villaggi. […] Se prendiamo il treno per andare a Tarascon
oppure a Ruen, possiamo prendere la morte per andare in una
stella.


In questa sua indifferenza verso la morte, come se l’intera realtà materiale non fosse altro che un piccolo simbolo o un piccolo ostacolo per raggiungere una dimensione superiore, Van Gogh fu gnostico. Gnosi e stati estatici, teatro e pittura, questi i livelli che divorarono e che furono divorati dai due artisti.


§ 4. Da sangue a sangue. Artaud e Van Gogh ci hanno lasciato numerosi autoritratti: disegnati, quelli di Artaud, e dipinti, quelli di Van Gogh. Sull’autoritratto vangoghiano Artaud scrive:

Chi un giorno ha saputo guardare un volto umano guardi
l’autoritratto di Van Gogh, […] L’occhio di Van Gogh è
quello di un grande genio…[…] No, Socrate non aveva
quell’occhio, forse prima di lui solo l’infelice Nietzsche ebbe
quello sguardo in grado di spogliare l’anima, di liberare il
corpo dall’anima…


È molto interessante il fatto che Artaud avvicini lo sguardo di Van Gogh allo sguardo di Nietzsche, ma oltre questa assonanza c’è un ulteriore elemento che può farci capire fino in fondo cosa attragga Artaud verso il pittore:

Lo sguardo di Van Gogh è sospeso, inchiodato, vitreo dietro
le palpebre rade, le sopracciglia scarne e senza una piega.


Ecco che ritorna il “chiodo” che avevamo messo da parte, nello sguardo inchiodato di Van Gogh, inchiodato come ad una croce. Artaud sentiva in modo blasfemo l’enigma dell’incarnazione e della vicenda di Cristo, arrivando a scrivere:

Sono io, io, il qui presente Antonin Artaud, ad aver sofferto il
supplizio della croce sul Golgota e sono tutti gli anticristi del
Padre Eterno che non ha mai voluto soffrire che hanno strillato…


La gnosi di Artaud arriva al punto d’accusare dio d’essere il malvagio demiurgo, incapace di soffrire e di sacrificarsi; Artaud sentiva d’essere stato lui ad aver vissuto l’esperienza della crocifissione. È stato giustamente notato che attraverso gli elettrochoc “la perdita di conoscenza subita attraverso gli spasmi, poi la ripresa di coscienza rigeneratrice, dovevano avere una portata paragonabile alla crocifissione” . Artaud dovette sentire una esperienza simile nello sguardo inchiodato di Van Gogh. Come se i loro autoritratti non fossero che degli Ecce Homo…Ma Van Gogh aveva un’altra visione del Cristo:

…Gesù; dapprima egli non era che un comune falegname, ma si
sollevò a qualcos’altro, qualsiasi cosa sia…[…] …qualunque cosa
si possa dire di Gesù, egli aveva ben altra concezione delle cose
del mio amico falegname…


Anche queste parole hanno un sapore blasfemo; non si fa cenno alla divinità di Cristo, ma al fatto che egli si “sollevò a qualcos’altro”, come se il falegname avesse raggiunto un livello di coscienza superiore. Ma Van Gogh si ferma qui; egli non rivendica la stessa passione di Cristo, non si sostituisce ad esso, come fa Artaud. Eppure, come nota Derrida:

Van Gogh si dà, si dà a vedere, fa l’offerta sacrificale della sua carne,
mettendo in mostra le sue scarpe. E Gauguin, che Shapiro cita nella
conclusione, lo confermerebbe. Ha di fronte a sé la «visione del Cristo
risuscitato», «la visione di un Gesù che predica la bontà e l’umiltà».


In fondo Artaud e Van Gogh fanno “l’offerta sacrificale della propria carne”, attraverso forme espressive diverse, per collegare il loro sangue col sangue altrui. In questa tensione carnale la tradizione cristiana assume un senso più estetico-esistenziale che religioso. Ma torniamo ai disegni di Artaud, a tal proposito Derrida dice:

Il disegno [in Artaud] ha come finalità di scongiurare le potenze malvage,
maligne, dei succubi o degli incubi che vengono, sotto il letto, per divorare
l’uomo e impossessarsi della sua forza fisica.


Il disegno ha per lui, ancora una volta, una valenza magica, di difesa; Artaud buca e brucia i bordi dei suoi disegni come un mago che compie i suoi rituali magici per vincere forze maligne. Ma quando si tratta dei suoi ritratti le cose vanno oltre:

Quello che Artaud vuole fare non è ricostituire un soggetto non
alienato, ma ritornare a una scena più originaria, che ha a che
vedere con la nascita e il simulacro del nome proprio che permette
alla società di identificare i soggetti. […] La defigurazione non è
destinata a ritrovare il vero viso…[…] …questa passione per il
viso non è senza rapporto con tutta la tragedia d’Artaud autore
dell’identità, del nome proprio, o del suo proprio nome.


È come se nei suoi autoritratti Artaud cercasse di trovare il proprio volto prima di qualsiasi identità, prima del soggetto; un volto senza nome, ecco la questione. Derrida utilizza il termine subjectile a proposito di questa soggettività raffigurata prima di qualsiasi soggettività, paragonandola alla Chora platonica, ricettacolo informe che permise al demiurgo di plasmare le forme del cosmo. Artaud però lotta contro ogni Chora, contro la realizzazione di questa prigione, il mondo materiale:

Contro il subjectile Artaud getta dei proiettili, che sono la punta
della matita, il fiammifero, le sigarette…


Egli, con la punta della matita, vorrebbe consumare il proprio volto, impedendo che vi si possa apporre qualsiasi nome proprio. In realtà gli spiriti malvagi non hanno il loro potere grazie al nome proprio? Le forze maligne, come la società, hanno bisogno del soggetto. Anche l’accanimento con il quale Van Gogh dipingeva i suoi numerosi autoritratti non potrebbe essere avvicinata a questa impresa? Se lo sguardo di Van Gogh, secondo Artaud, è simile a quello di Nietzsche, non è, come quello del filosofo, uno sguardo che precede tutti i nomi e tutti i nomi può avere? Del resto Nietzsche nei biglietti della follia sembrava possedere tutti i nomi e nessuno. Se si osservano e si confrontano gli autoritratti di Van Gogh si può notare che essi sembrano raffigurare la stessa persona, ma anche persone completamente diverse. Negli autoritratti di Rembrandt vediamo sempre Rembrandt, nonostante le differenze d’ età, ma negli autoritratti di Van Gogh è come se si trattasse di un volto originario che solo per un istante assume un soggetto. E Artaud lo ha visto con grande pregnanza:

…Van Gogh ha colto il momento in cui la pupilla sta per rovesciarsi
nel vuoto, in cui quello sguardo, diretto contro di noi come il frammento
di una meteora, assume il colore atono del vuoto e dell’inerte che lo
riempie. […] …la mia morta esistenza non racchiude nulla, ed il nulla
del resto non ha mai fatto del male a nessuno…


Non dobbiamo confondere il nulla col vuoto; qui il nulla è ancora un sinonimo del vuoto, che, secondo il pensiero orientale (quanto amava Van Gogh la pittura orientale!) non è mero non-essere ma una sorta di energia neutra, indifferenziata, capace di assumere tutte le forme. Ma il vuoto di Van Gogh si nutre della pienezza del colore, mentre Artaud usa l’austerità del segno, della matita, un segno che consuma sé stesso, come accade nei disegni e nelle sculture di Giacometti, dove Sartre notava:

…lo spazio, fosse anche nudo, è ancora sovrabbondanza. […]
Nello spazio, dice Giacometti, c’è di troppo.


Lo stesso avrebbe potuto dire Artaud del viso e del corpo: c’è di troppo e questo troppo sembra essere ineliminabile. Sì, poiché è impossibile sconfiggere il vuoto. Esso non è un’astrazione, come il nulla. Ma nei disegni di Artaud e nei dipinti di Van Gogh la lotta sembra essere indifferente alla dicotomia vittoria-sconfitta. La loro domanda forse è: sono riuscito a spendere tutto il mio sangue, tutto il mio corpo?


§. 5 Conclusione.
Fu così insopportabile la vita per questi due uomini? Hanno sofferto moltissimo, certo, ma la loro sofferenza non divenne mai negazione, anche se vi fu sempre il tentativo di evadere dalle prigioni di una carnalità opaca, da stati di coscienza meccanici. Entrambi cercarono di recuperare il proprio corpo spendendolo, consumandolo in immagini divoranti; in fondo “Artaud non rinuncia alla salvezza” e le scarpe dipinte da Van Gogh “sono il volto di Vincent: il cuoio della sua pelle invecchiato, rugoso, carico di esperienza e di fatica, segnato dalla vita e soprattutto, molto familiare…” . Sì, Artaud e Van Gogh ci sono, in realtà, familiari. Al di là dello gnosticismo o dello sciamanesimo, essi sono uomini che portano sulla propria pelle i geroglifici di tutti, i geroglifici delle immagini che ci hanno donato e che continueranno a donarci, perché:

Dio mi ha collocato nella disperazione come in una costellazione di
vicoli ciechi il cui fascio di raggi si conclude in me. Non posso
né morire, né vivere, né desiderare di morire o di vivere. E tutti
gli uomini sono come me.


ma

Devo avere una esperienza più vasta, devo imparare ancora di più,
prima che io sia maturo, e ciò è questione di tempo e perseveranza.
[…] Il nocchiero a volte riesce a servirsi della tempesta per poter
andare avanti, anziché lasciar affondare la nave.


NOTE

1 A. Artaud, Vitres de son, in Bilboquet, a cura di V. Accame, in Poesia francese del Novecento. Volume secondo, Bompiani, Milano 1985, pag. 91.
2 V. Van Gogh, Lettere a Theo, a cura di M. Cescon, Guanda, Milano 1984, pag. 358.
3 H. von Hofmannsthal, L’ignoto che appare, a cura di G. Bemporad, Adelphi, Milano 1991, pag. 300.
4 K. Jaspers, Strindberg und Van Gogh, trad. it. a cura di U. Galimberti, Genio e follia, Rusconi, Milano 1990, pag. 165.
5 V. Van Gogh, op. cit., pag. 208.
6 V. Van Gogh, op. cit., pag. 344.
7 Ivi., pag. 160.
8 H. von Hofmannsthal, op. cit., pag. 301.
9 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, a cura di G. R. Morteo e G. Neri, Einaudi, Torino 1972, pag. 7.
10 A. Artaud, Van Gogh suicidato dalla società, in Il Mito Van Gogh, a cura di A. Castaldi, Pierluigi Lubrina editore, Bergamo 1987, pp. 61-64.
11 V. Van Gogh, op. cit., pag. 331.
12 V. Van Gogh, op. cit., pag. 358.
13 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 66.
14 A. Artaud, Io sono Gesù Cristo. Scritti eretici e blasfemi, trad. it. di P. Di Palmo, Stampa Alternativa, Roma 2003, pag. 73
15 V. Van Gogh, op. cit., pp. 220-221.
16 “La comunità può costringere il singolo a reintegrare a favore del singolo e della comunità il danno più immediato risultante dalla sua azione…[…] …ogni impresa individuale, ogni individuale modo di pensare dà i brividi; non è possibile calcolare quel che devono aver sofferto nell’intero corso della storia proprio gli spiriti più rari, più eletti, più originali, per il fatto che vennero sentiti come i malvagi e i pericolosi, per il fatto anzi che essi stessi si sentirono tali. ” [ F. Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano 2001, pp. 14-15.]
17 S. Sontag, Sotto il segno di Saturno, trad. it. di S. Bertola, Einaudi, Torino 1982, pp. 12-15.
18 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 67.
19 Ibidem.
20 J. Derrida, Artaud et ses doubles - entretien, Paris 1986, pag. 1. (traduzione mia).
21 V. Van Gogh, op. cit., pag. 305 e 323.
22 W. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, a cura di E. Pontiggia, SE, Milano 1989, pag. 72 e 92.
23 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 68.
24 S. Sontag, Sotto il segno…, op. cit., pag. 45.
25 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 70.
26 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit., pag. 197.
27 D. Diderot, Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono, in Opere filosofiche, a cura di P. Rossi, Feltrinelli, Milano 1963, pag. 75.
28 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 70.
29 G. Bataille, La mutilazione sacrificale e l’orecchio reciso di Vincent Van Gogh, in Il mito Van Gogh, op. cit., pag. 56.
30 A. Artaud, op. cit., pp. 82-83.
31 H. von Hofmannsthal, op. cit., pag. 305.
32 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, trad. it. di A. Bonomi, Bompiani, Milano 1999, pag. 232.
33 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 83.
34 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit., pag. 140 e 143.
35 Ivi., pag. 199.
36 Ivi., pag. 200.
37 I. Shah, L’io che comanda, trad. it. di F. Santi e A. Maggio, Ubaldini, Roma 1996, pag. 12.
38 A. Artaud, Il teatro e…, op. cit., pag. 194.
39 V. Van Gogh, op. cit., pp. 156-157.
40 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 87.
41 Ivi., pag. 91.
42 A. Artaud, Il Teatro e…, op. cit., pag. 146.
43 V. Van Gogh, op. cit., pag. 290.
44 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 85.
45 V. Van Gogh, op. cit., pag. 161 e 273.
46 A. Artaud, Il teatro e…, op. cit., pag. 187, 190, 198.
47 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit., pp. 198-199.
48 A. Artaud, Il getto di sangue, in Teatro Dada, a cura di G. R. Morteo e I. Simonis, Einaudi, Torino 1969, pag. 217.
49 C. Castaneda, La ruota del tempo, trad. it. di M. B. Piccioli, Rizzoli, Milano 2002, pag. 12. Castaneda si riferisce agli sciamani del Messico, e Artaud fece nel 1936 un viaggio in Messico, dove ebbe modo di venire a contatto con la tradizione sciamanica. (Uno sciamano gli consegnò addirittura un pugnale “magico”)
50 C. Castaneda, op. cit., pag. 9.
51 Ivi., pag. 10.
52 S. Sontag, op. cit., pp. 50-51.
53 C. Castaneda, op. cit., pag. 14.
54 S. Sontag, op. cit., pag. 47.
55 V. Van Gogh, op. cit., pag. 284.
56 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pp. 90-91.
57 Ibidem.
58 A. Artaud, Io sono Gesù Cristo…, op. cit., pag. 85.
59 G. Rosolato, cit. in A. Artaud, Io sono Gesù…, op. cit., pag. 7.
60 V. Van Gogh, op. cit., pp. 195-196.
61 J. Derrida, La verità in pittura, trad. it. di G. e D. Pozzi, Newton Compton, Roma 1981, pag. 346.
62 J. Derrida, Artaud et ses doubles..., op. cit., pag. 2. (trad. mia)
63 Ibidem.
64 Ibidem.
65 A. Artaud, Van Gogh…, op. cit., pag. 91. Non bisogna dimenticare l’importanza che Artaud diede al teatro orientale e alla riflessione relativa al vuoto: “ Ogni sentimento potente provoca in noi l’idea del vuoto. E il linguaggio lucido, impedendo a tale vuoto di apparire, impedisce anche l’apparizione della poesia nel pensiero. Per questo un’immagine, un’allegoria, una figura che mascherino ciò che vorrebbero rivelare hanno per lo spirito un significato maggiore della lucidità del discorso e delle sue analisi.” [ A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit., pag. 188]
66 J.-P. Sartre, La ricerca dell’assoluto, in Alberto Giacometti. Sculture – dipinti - disegni., Artificio, Firenze 1995, pag. 152.
67 J. Derrida, Artaud: la parole soufflée, in La scrittura e la differenza, trad. it. di G. Pozzi, Einaudi, Torino 1982, pag. 237.
68 J. Derrida, La verità in pittura, op. cit., pag. 347.
69 A. Artaud, Bilboquet, op. cit., pag. 87.
70 V. Van Gogh, op. cit., pp. 136-137.

BIBLIOGRAFIA

Artaud A., Bilboquet, a cura di V. Accame, in Poesia francese del Novecento. Volume secondo, Bompiani, Milano 1985

Artaud A., Il teatro e il suo doppio, a cura di G. R. Morteo e G. Neri, Einaudi, Torino 1972.

Artaud A., Van Gogh suicidato dalla società, in Il mito Van Gogh, a cura di A. Castaldi, Pierluigi Lubrina editore, Bergamo 1987.

Artaud A., Io sono Gesù Cristo. Scritti eretici e blasfemi, trad. it. di P. Di Palmo, Stampa Alternativa, Roma 2003.

Artaud A., Il getto di sangue, in Teatro Dada, a cura di G. R. Morteo e I. Simonis, Einaudi, Torino 1969.

Bataille G., La mutilazione sacrificale e l’orecchio reciso di Vincent Van Gogh, in Il mito Van Gogh, op. cit.

Castaneda C., La ruota del tempo, trad. it. di M. B. Piccioli, Rizzoli, Milano 2002.

Derrida J., Artaud et ses doubles - entretien, Paris 1986.

Derrida J., La verità in pittura, trad. it. di G. e D. Pozzi, Newton Compton, Roma 1981.

Derrida J., Artaud: la parole soufflée, in La scrittura e la differenza, trad. it. di G. Pozzi, Einaudi, Torino 1982.

Diderot D., Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono, in Opere filosofiche, a cura di P. Rossi, Feltrinelli, Milano 1963,

Hofmannstahl von H., L’ignoto che appare, a cura di G. Bemporad, Adelphi, Milano 1991.

Merleau-Ponty M., Il visibile e l’invisibile, trad. it. di A. Bonomi, Bompiani, Milano 1999.

Jaspers K., Strindberg und Van Gogh, trad. it. a cura di U. Galimberti, Genio e follia, Rusconi, Milano 1990.

Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, a cura di E. Pontiggia, SE, Milano 1989.

Nietzsche F., Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano 2001.

Sartre J.-P., La ricerca dell’assoluto, in Alberto Giacometti. Sculture – dipinti - disegni., Artificio, Firenze 1995.

Shah I., L’io che comanda, trad. it. di F. Santi e A. Maggio, Ubaldini, Roma 1996.

Sontag S., Sotto il segno di Saturno, trad. it. di S. Bertola, Einaudi, Torino 1982.

Van Gogh V., Lettere a Theo, a cura di M. Cescon, Guanda, Milano 1984.


 


 

L'esoterismo della crudeltà
Da "Macerata I-Mode Visions 2005" dedicata ad Antonin Artaud
di Alessandro Forlani

 

Nel 1937, rimpatriato da quel viaggio in Messico “alla ricerca di un’esperienza decisiva”, sulle tracce delle tribù indiane Tarahumaras dedite all’uso e al culto del fungo peytol, Artaud si interessa all’astrologia, al linguaggio dei tarocchi, le conoscenze esoteriche. Ne testimonia Les nouvelles révélations de l’etre, pubblicato in quell’anno con lo pseudonimo “Le Révélé”.
Certa aneddotica o agiografia pretende, ancora, che Artaud attribuisse in quel periodo un particolare potere magico-profetico ad un bastone regalatogli da René Thomas; che sosteneva appartenuto a San Patrizio e gli ispirò il progetto di un pellegrinaggio in Irlanda. Viaggio conclusosi con l’arresto e l’internamento di Artaud, allo sbarco a Le Havre, in manicomio in camicia di forza.
Nella Premessa alla traduzione/rifacimento de Il Monaco di Gregory Lewis (1931), capolavoro del romanzo gotico, Artaud afferma:

“Un libro come questo mi dà la sensazione della vita profonda molto più di tutti i sondaggi psicologici, filosofici o psicanalitici dell’inconscio; e, per conto mio, trovo sorprendente che cartomanti, tiratori di tarocchi, fattucchieri, dervisci, maghi, negromanti e altri reincarnati siano da molto tempo divenuti meri personaggi di favole e romanzi; e che uno dei lati più superficiali dello spirito moderno voglia che l’ingenuo sia colui che si dà ai ciarlatani. Io mi do ai ciarlatani, ai guaritori, ai maghi, agli stregoni e ai chiromanti, perché tutte queste cose sono.”

Un interesse per le scienze occulte, quello di Artaud, che alla luce della vicenda personale saremmo tentati di considerare bizzarria; peggio ancora lo scaltro espediente o la disperata risorsa di un guitto in condizioni di necessità. Ma ecco, se consideriamo la civiltà artistica dei primi decenni del XX secolo, che scopriamo che Artaud, in questo “delirio”, non è solo.

L’esoterismo influenza l’opera di William Butler Yeats, che in un verso di A prayer for my son (1928) si dichiara convinto, come Artaud, che “Such devilish things exists”. Gli “stregoni” popolano il trentennio, in modo particolare il famigerato Aleister Crowley, che ispira a W. Somerset Maugham il romanzo The Magus. C’è una sottile, curiosa affinità fra il “Fa ciò che vuoi. Ogni atto intenzionale è un atto magico” (Magick, 1904) e quel celebre passo del Il Teatro e la Crudeltà (1933):

“Al punto di logoramento in cui è giunta la nostra sensibilità è evidente che abbiamo soprattutto bisogno di un teatro che ci risvegli: nervi e cuore (…) Tutto ciò che agisce è crudeltà.”

Breton sperimenta la scrittura automatica, affine per metodo alla psicoscrittura degli spiritisti. Mac Gregor Mathers pubblica nel ’26, appena due anni dopo il Manifesto del Surrealismo, un’antologia di testi mistici ebraici con il titolo di The Kabbalah Unveiled. E Artaud, nel suo primo Manifesto:

“IL PROGRAMMA: Rappresenteremo, senza tener conto del testo (…) un frammento da Zohar: la storia di rabbi Shimeon, che ha il vigore e la violenza indomabili di un incendio.”

Ancora alla Cabala Mistica si dedica Violet Mary Firth (alias Dion Fortune); allieva del Carl Gustav Jung della Psicologia della Religione (1940) e Psicologia e Alchimia (1944). Ne The Burial of the Dead, primo canto di The Waste Land (1922) Thomas Sterne Eliot, con l’invenzione del personaggio di “Madame Sosostris, famosa cartomante”, usa la simbologia dei Tarocchi e delle leggende medioevali sul Santo Graal. Gustav Meyrink, forse lo scrittore–iniziato per eccellenza, avverte ne Il Volto Verde (1916):

“Di nulla l’uomo è tanto certo come di essere sveglio; in realtà è catturato da una rete di sonno e sogni che lui stesso ha tessuto. Più fitta è la rete, più potente domina il sonno; quelli che vi restano imprigionati sono i dormienti, che attraversano la vita come un branco di animali diretti al macello. Restare svegli è tutto.”

Antonin Artaud, ne Il Teatro e la Cultura, pare giungere alla medesima conclusione:

“E’ duro quando tutto ci induce a dormire, guardando con occhi fissi e coscienti, svegliarci e guardare come in un sogno, con occhi che non conoscono più la loro funzione e il cui sguardo è rivolto verso l’interno”.

Il ritorno alla tradizione esoterica, non già in virtù di certo oscuro fascino che tanti conquistò nell’età del Romanticismo quanto piuttosto come fondamento di poesia e d’indagine dell’animo umano, è diffuso. L’approccio dominante è quello antropologico, psicanalitico, estetico; interessa mano la dimensione del sacro. Ne deriva che l’esperienza mistica si riduce a dato culturale: interessante, utile, originale; mai tuttavia “perturbante” davvero. Jung e la Firth, da una prospettiva scientifica fosse pure non-convenzionale, si interessano soprattutto alla “connessione fra certi stati psicosomatici e gli quelli descritti dai ritualisti tantrici orientali e dalla tradizione cabalistica occidentale”; Eliot ammette:

“Non conosco esattamente la composizione del mazzo dei tarocchi, da cui mi sono allontanato, come si vede, per servirmene al mio scopo.”

Yeats, dalle altezze liriche di The Winding Stair e The Tower, facilmente scade in ben più di un’occasione, in un esoterismo post-romantico, “di maniera”, qual è quello di The Celtic Twilight e Rosa Alchemica. La mistica di Crowley è manifesto di scandalo ove non, addirittura, raggiro; il suo mazzo di tarocchi (disegnato da Frieda Harris) acquista valore più come prodotto di design che non come strumento divinatorio.
La singolarità dell’esperienza di Artaud sta al contrario nell’autentico tentativo di sintesi fra approccio moderno alla tradizione esoterica e comprensione profonda di quanto in essa sia di sacro. Essenzialmente nell’ambito della ricerca teatrale:

“Questo modo poetico e attivo di considerare l’espressione sulla scena ci porta sotto tutti i riguardi ad abbandonare l’accezione umana, attuale e psicologica del teatro, per ritrovare l’accezione religiosa e mistica di cui il nostro teatro ha smarrito completamente il senso. Che se poi basta che qualcuno pronunci le parole religioso o mistico perché lo si scambi per un sacrestano o per qualche bonzo profondamente illetterato ed estrinseco di un tempio buddista, buono tutt’al più per manovrare una sonagliera fisica di preghiere, questo denuncia soltanto la nostra incapacità di trarre da una parola tutte le sue conseguenze, e la nostra profonda ignoranza dello spirito di sintesi e di analogia.

Per quanto vasto, questo programma non va oltre il teatro, che a nostro parere si identifica in sostanza con le forza dell’antica magia.”


Si insiste più volte sull’identità Magia-Teatro nel Manifesto per un teatro abortito (1927) e Teatro Alfred Jarry Stagione 1928:

“Concepiamo il teatro come una vera operazione di magia.”

“Il Teatro Jarry non bara con la vita, non la scimmiotta, non la illustra, tende a continuarla, ad essere una specie di operazione magica suscettibile di qualsiasi sviluppo. Obbedisce in ciò ad un’esigenza dello spirito che lo spettatore sente nascosta nel suo intimo. Non è il momento di fare un corso di magia attuale o pratica, ma si tratta proprio di magia.”


Che il recupero di certa funzione dell’occulto debba avvenire nelle forme dell’occulto – il tempio, il rito, il mago che l’officia – è soprattutto evidente nei capitoli del Primo Manifesto del Teatro della Crudeltà dedicati allo Spettacolo:

“Grida, lamenti, apparizioni, sorprese, colpi di scena d’ogni genere, magica bellezza dei costumi ispirati a certi modelli rituali.”

alla Regia:

“Intorno alla regia, intesa (…) come punto di partenza di qualsiasi creazione teatrale, si costituirà il linguaggio tipico del teatro (…) Scomparirà l’antico dualismo fra autore e regista, sostituiti da una sorta di Creatore unico.”

Alla Scena e la Sala:

“Abbandonando i teatri attualmente esistenti, prenderemo un capannone o un granaio qualsiasi, che faremo ricostruire secondo i procedimenti utilizzati nell’architettura di certe chiese o luoghi sacri in genere, e di certi templi dell’Alto Tibet.”

Questi segni non si allontanano dall’origine per servire, come in Eliot, ad altri scopi. Non intendono essere volgarizzati e tradotti, perché, di conseguenza, resterebbero sconsacrati. Al rifiuto poetico della parola e del testo per rigenerare linguaggio, espressione e contenuto; al rifiuto programmatico del teatro borghese per rigenerare una civiltà del teatro, corrisponde il rifiuto di categorie della sensibilità diverse dalla mistica per ritrovare, integri, l’esoterico e il sacro. I tentativi di Yeats, di Fenollosa o di Ezra Pound di raccontare in Teatro No i poemi celtici medioevali sono per Artaud tentativi falliti in partenza:

“L’antico totemismo degli animali, delle pietre, degli oggetti stregati dal fulmine, degli abiti impregnati di bestia, insomma tutto ciò che serve a captare, a dirigere e a stornare forze, è per noi cosa morta, dalla quale sappiamo trarre soltanto un beneficio immobile ed estetico, un beneficio da spettatori e non da attori.”

E’ la magia lo strumento del “risveglio”: nella prima, pura e semplice accezione del termine che ricorre nel Il teatro e il suo doppio. Ma la seduzione spesso ridicola del “primitivo” ideale e irreale, del misterioso esotico, di un occulto letterario nella migliore delle ipotesi, ideologico nella peggiore, non tocca Artaud: ed in questo senso il suo è un approccio autentico e moderno. Il teatro e il suo doppio, pur se arriva ed invocare “la mitragliatrice”, o “bombe da mettere in qualche posto” non vagheggia antistoriche o indifferenti-alla-Storia o pericolosamente contrarie-alla-Storia identità celtiche o ariane.
Già nel Teatro Alfred Jarry nel 1930 è vigorosamente annunciata questa presa di posizione, in un passo che altrimenti inteso contraddirebbe da solo le precedenti asserzioni:

“Il Teatro Alfred Jarry rinuncerà a tutti i mezzi che hanno a che fare da vicino o da lontano con le superstizioni, come: sentimenti religiosi, patriottici, occulti, poetici ecc. se non per denunciarli o per combatterli. Non si ammetterà che la poesia di fatto, il meraviglioso umano, cioè svincolato da ogni aggancio religioso, mitologico o fiabesco, e l’umoristica, unico atteggiamento compatibile con la dignità dell’uomo per cui il tragico e il comico siano divenuti una falsa alternativa.”

E’ pur vero che, ancora nel Manifesto per un teatro abortito, Artaud risponde alla Rivoluzione Surrealista, “di poltroni”, con toni che sanno di fascinazione Romantica; di un esoterismo alla Fulcanelli del Mistero delle Cattedrali (1925):

“La Rivoluzione più urgente fare è in una specie di regressione nel tempo. Torniamo alla mentalità, oppure semplicemente, alle abitudini di vita del Medioevo, ma veramente, e per una specie di metamorfosi nelle essenze, e mi convincerò allora che avremo fatto la sola Rivoluzione di cui valga la pena parlare.”

Ma la sede è ancora quella del pamphlet: occorre riferirsi agli scritti più maturi e soprattutto teoricamente più strutturati, ove l’occulto si spoglia d’ogni attributo letterario, pittorico, storico, accidentale e viene inteso in senso assoluto come “via” per ridestarsi da un torpore universale, che non può conoscere soluzione razionale. Si converrà che Il Teatro e il suo doppio - e il Manifesto del Teatro della Crudeltà - nascono dunque da una condizione dell’individuo che è propria ed esasperata di un secolo, “punto di logoramento cui è giunta la nostra sensibilità”. Il torpore della civiltà occidentale.

Alessandro Forlani, Macerata, 18.05.2005

NOTE

1 Traggo queste notizie (e i brani da Il Teatro e la Cultura; La messa in scena e la Metafisica, il Primo Manifesto del Teatro della Crudeltà citati di qui in avanti) da Antonin Artaud; Il teatro e il suo doppio; Einaudi, Torino, 2003.
2 M.Gregory Lewis – Antonin Artaud; Il Monaco; Bompiani Tascabili, Milano, 1989.
3 The Tower - A prayer for My Son, v. 11; in W.B. Yeats, Collected Poems, Vintage, London, 1992.
4 Lo Zohar, il “Libro dello Splendore”, è un’opera cabbalistica monumentale autorevole quanto la Bibbia e il Talmud, di origine medioevale (si data al 1305), per lo più in forma di dialogo o parabola. Impossibile stabilire qui con precisione a quale “storia di Rabbi Shimeon” Artaud si riferisca.
5 Più estesamente: “Non solo il titolo, ma il disegno e gran parte dei particolari simbolici di questo poema sono stati suggeriti dal volume di Miss Jessie L. Weston sulla leggenda del Graal, From Ritual to Romance. Devo tanto a codesto libro che esso chiarirà le difficoltà del poema meglio delle mie note; e io lo raccomando (indipendentemente dal grande interesse che presenta di per sé stesso) a chiunque giudicherà che il poema valga la pena di venire illustrato. Ho anche un debito di carattere generale verso un’altra opera di antropologia che ha avuto un profondo influsso sulla nostra generazione, cioè The Golden Bough del Frazer; mi son servito specialmente dei due volumi Adonis, Attis, Osiris. Chiunque è familiare con queste opere riconoscerà immediatamente nel poema certi riferimenti a riti di vegetazione.” T.S. Eliot, note a La Terra Desolata; Einaudi, Torino, 1994. Il Ramo d’Oro della Magia e la Religione e l’opera tutta di James G. Frazer, come in queste note indicato, rappresentarono un fondamentale punto di riferimento per gli intellettuali dei primi decenni del Novecento che si interessarono di Esoterismo e Scienze Occulte.
6 Dion Fortune, La Cabala Mistica; Astrolabio, Roma, 1973.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Relazione sul laboratorio di webcam-teatro (Roma, 30 maggio-6 giugno 2005)
Dal sito http://www.webcamtheatre.org
di Giacomo Verde

 

Primo giorno - 30 maggio
4 ore, 1 webcam, 8 persone
Ho illustrato alcune comunità di webcam, spiegando le differenze di utilizzo del mezzo. Abbiamo "visto" anche i Survelliance Camera Players e ipotizzato una performance da una strada di Roma. Purtroppo le webcam da Roma attualmente sono rare, non sono belle e utilizzabili per una performance. Poi abbiamo visto il tipo di video streaming disponibile dall'università di Roma. Tra le tre tipologie di utilizzo delle webcam (attraverso una web-comunità; attraverso le webcam di strada messe on-line; attraverso uno streaming video personale) si è deciso di sperimentare l'intervento nelle web-comunità perché sono di immediata e facile gestione.
Dopo alcune prove di video-chat nella comunità di webcamnow la serata si è conclusa con la spiegazione dei soggetti delle 10 scene di Cercando Utopia come possibili spunti per creare delle azioni-webcam. Si è quindi fatto bainstorming sul concetto Il futuro è ora.

Secondo giorno - 31 maggio
4 ore, 3 webcam, 12 persone, molte nuove
Disponiamo di un host che ci permette di collegare contemporaneamente fino a 7 computer a Internet.
Dopo aver riassunto le cose fatte nel giorno precedente ci siamo collegati prima a webcamnow e poi a webcamitalia.
Per far provare cosa è la videochat a tutti quanti. Molta euforia e divertimento. Alla fine della serata si sono ipotizzate diverse possibilità di creare performance all'interno di una comunità. Ma non siamo riusciti a decidere cosa fare esattamente. Ci siamo lasciati con il compito di cercare altre comunità italiane.
Non abbiamo preso in considerazione i temi di Cercando Utopie perché sembra più semplice esplorare altre strade.

Terzo giorno - 1 giugno
4 ore, 4 webcam, 10 persone circa
All'inizio abbiamo avuto problemi di collegamento e attivazione. Poi ci siamo inseriti su webcamitalia. E’ stata una vera occupazione della video-chat. Si è molto improvvisato usando testi dall'Amleto e realizzando immagini con l'utilizzo di teli colorati e dello spazio. Ma il tutto era abbastanza caotico. Ci sono stati momenti interessanti ma niente di "concluso". Le persone esterne al nostro gruppo che erano presenti in chat dopo un po' ci hanno abbandonato. Abbiamo anche provato a fare il gioco del mimo. Ma l'unica persona esterna voleva chattare e non giocare agli indovinelli. Mentre i nostri, che erano presenti sia in sala che in video-chat, giocavano principalmente dal vivo piuttosto che on-line.
Abbiamo fatto un ultimo tentativo su webcamnow ma non siamo riusciti a catturare l'attenzione delle persone in chat. Anche perché nel gruppo c'era più attenzione all'utilizzo del computer e della chat e solo due persone si sono preoccupate di fare azioni. Alla fine abbiamo concordato sulla necessità di ipotizzare delle azioni-web precise da sperimentare. Bisogna che ci sia maggior coordinamento tra chi scrive e chi viene ripreso. Bisogna tenere conto che si puo' vedere solo una camera per volta, e quindi è inutile tenere accese diverse nostre web-cam se non se ne prevede un uso specifico.

Giorno di Pausa - 2 giugno
1 ora circa da casa, 2 webcam
Ci siamo dati appuntamento sulla video-chat ognuno da casa propria. Non era certo che chi aveva il computer potesse anche essere disponibile. Infatti ci siamo connessi solo in due. è stato comunque interessante. Abbiamo giocato con il ritardo del segnale e con l'audio. Ho salvato il testo della chat.

Quarto Giorno - 3 giugno 4 ore, prima 1 poi 3 webcam, 8 persone
Abbiamo posizionato un tavolino con PC e webcam in modo che fosse la "zona di trasmissione". Il PC era collegato al videoproiettore, che era visibile da eventuali spettatori senza PC in sala e da chi stava al tavolino.
Abbiamo spostato il tavolo collettivo in modo che chi stava al computer non potesse vedere bene lo schermo e potesse seguire le azioni principalmente attraverso lo schermo del proprio computer.
Ho illustrato il seguente programma della serata.
Dividere i partecipanti tra spettatori e performer, ovvero a turno saremmo stati spettatori o performer nella zona di trasmissione.
Ho proposto 2 ipotesi di esercizio performance.

1) Assolo quotidiano:
una persona apparentemente normale di fronte alla webcam comincia a dare di matto e a dire/fare cose extra normali pur mantenendo il controllo e la situazione standard.

2) Coppia creativa, uno chatta l'altro cura le immagini:

- elaborare un testo poetico, con oggetti o pose;
- elaborare una piccola storia, con oggetti o pose;
- rapporto di coppia litigiosa nella stessa inquadratura-tastiera.

Ci siamo collegati a webcamitalia. Abbiamo realizzato a turno la prima ipotesi, improvvisando. Una musica elettronica-ambient è stata trasmessa in sala. Ma a differenza di quanto mi aspettassi c'è stata molta creatività sulle immagini, e un po' sui testi, ma quasi niente sul "personaggio" di fronte alla web-cam; che rimane quindi un terreno da esplorare con maggior attenzione.
Ho salvato il testo della chat. Avremmo dovuto ripetere l'esercizio con maggior attenzione al coordinamento chat-webcam ma... dopo una breve discussione e durante la "pausa" sono entrate in chat altre persone esterne al gruppo attivando un gioco di comunicazione che poi è sfociato in una sorta di happening (con la trasmissione di diverse musiche) dove realtà e finzione si mescolavano. Sono state collegate anche le altre 2 webcam. E’ entrata nel gioco anche gente dall'esterno del gruppo, che nonostante un certo disorientamento si è poi molto divertita. Ho salvato anche questa chat.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Mi ha sorpreso il fatto che i partecipanti al laboratorio, anche se non avevano mai fatto video-chat, si sono comunque facilmente fatti coinvolgere, soprattutto nell'improvvisazione. è stato molto difficile cercare di strutturare e sperimentare qualcosa di preciso.
Il fatto di trovarsi nella stessa stanza, con diverse connesioni, offre delle possibilità di confronto diretto ma "distrae" dalla sperimentazione specifica della webcam.
E' comunque molto utile, e interessante, passare coscientemente dal ruolo di spettatore attivo a performer, fino ad eliminare la separazione.
Sono stati interessanti gli interventi creativi in chat fatti dagli esterni al gruppo. Peccato che non si siano potuti attivare anche con il video. Le prossime volte bisognerà provocare anche questa possibilità.

Nel caso dell'intervento in una "web-chat pubblica" (come abbiamo provato noi) è comodo essere più persone "performanti" ovvero che si sentono responsabili di "animare" la situazione come per fare spettacolo. In questo modo possono contagiare i passanti casuali. Le "azioni webcam" devono comunque essere aperte all'intervento-commento di tutti altrimenti, se danno l'impressione di essere uno "spettacolo strutturato", rischiano di allontanare i presenti perché non si sentono necessari e co-protagonisti dell'evento. Infatti chi si connette a una video-chat lo fa anche per "mostrarsi attivamente" e non solo per "assistere passivamente". Per prossimi laboratori devo cercare di strutturare meglio degli altri esercizi-prove come quelli dell'ultima sera.Inoltre bisognerebbe provare a fare un lab (o almeno una sua parte) con i partecipanti che stanno nelle loro case in modo da avere un riscontro più specifico della performatività del mezzo. Anche se non siamo riusciti ad affrontare i temi di Cercando utopie il laboratorio è stato comunque un "luogo felice".

4 giugno 2005


 


 

La bellezza necessaria: un incontro sulle scritture per il teatro
All'Arboreto di Mondaino il 21 e 22 maggio
di Ufficio Stampa

 

sabato 21 e domenica 22 maggio 2005
Comune di Mondaino - Sala del Durantino
L’arboreto
presenta
LA BELLEZZA NECESSARIA
scritture per il teatro
incontro residenziale
a cura di Massimo Marino
Lo sguardo sul presente. Questo chiediamo al teatro, senza dimenticare di cercare le radici, le tradizioni, quelle ancora vive, che possono nutrire una difficile contemporaneità.
Uno sguardo acuminato, politico, in quanto attento a una polis che sempre più è mondiale e in grave crisi, che è locale e ugualmente attraversata da incertezze che mettono in dubbio le identità fino a farle svanire. Un guardare capace di andare a fondo, rovesciando le vuote superfici rilucenti della società dello spettacolo.
Cerchiamo un dialogo fitto fra maestri e giovani, fra saperi diversi tesi a uno scopo simile.
Chiediamo di incontrarci, per due giorni, da diversi punti di visuale, per andare al cuore del teatro, per raccontarne il movimento, per trovare sotto i problemi che angustiano un’arte trascurata, abbandonata, energie per azioni nuove, necessarie. Chiediamo di mettere a confronto diversi modi e metodologie di stare nel teatro, di fianco, sotto a esso, di farlo, di guardarlo, di narrarlo, di analizzarlo, di progettarlo.
Chiediamo di ritrovarsi per discutere della forza poetica del teatro, delle sue capacità morali, dei suoi compiti civili e dello stato di avvilimento in cui è ridotto, a drammaturghi, artisti, critici, storici, studiosi, giornalisti, organizzatori: per indagare diversi modi di “scrivere” questa arte, metterli a confronto fra di loro e con l’idea di “pubblico”, di “spettatore”, di “collettività”; per far confrontare il “fare”, il “riflettere”, il creare occasioni e strumenti per fare e riflettere; per sviluppare coscienza, per aprire la strada a una bellezza assente dai nostri giorni. E necessaria.
L'arboreto
Massimo Marino

Meccanica dell’incontro
L’incontro, promosso da l'arboreto di mondaino e coordinato da Massimo Marino, sarà una due giorni di libera discussione intorno a drammaturgia, creazione teatrale, critica, editoria, riviste, studi di teatro, organizzazione e pedagogia (dello spettatore e degli artisti), con l’ambizione di disegnare scenari per pratiche non ancora esplorate sul rapporto fra il dire e il fare teatro.
Si possono prevedere orientativamente quattro sessioni di lavoro, dedicate rispettivamente a questi temi:
scrivere il teatro - Renata Molinari
guardare e raccontare il teatro -
Massimo Marino
studiare e trasmettere il teatro
- Gerardo Guccini
organizzare il teatro - Andrea Nanni

Su ogni tema ci sarà un breve intervento introduttivo che farà un quadro della situazione e dei problemi della particolare prospettiva di “scrittura” considerata, e si lascerà poi al libero intervento dei presenti lo sviluppo delle informazioni, dell’argomentazione, del dibattito.
La discussione deve impostare un progetto di riflessione laboratoriale più a lungo termine, che potrà articolarsi anche in incontri più strettamente tematici e “di settore”, e svilupparsi anche in altri luoghi.
Parteciperanno all'incontro Fabio Acca, Patrizia Baggio, Paola Berselli, Fabio Bruschi, Claudia Cannella, Riccardo Caporossi, Roberto Castello, Vanessa Chizzini, Cinzia De Felice, Edoardo Donatini, Goffredo Fofi, Tiziano Fratus, Mariangela Gualtieri, Gerardo Guccini, Marcello Isidori, Gianni Manzella, Massimo Marino, Renzo Martinelli, Renata Molinari, Anna Maria Monteverdi, Alessandra Moretti, Andrea Nanni, Francesco Niccolini, Daniela Nicolò, Massimo Paganelli, Stefano Pasquini, Oliviero Ponte di Pino, Andrea Porcheddu, Armado Punzo, Franco Quadri, Valeria Ravera, Cesare Ronconi, Paolo Ruffini, Letizia Russo, Rodolfo Sacchettini, Anna Lisa Sacchi, Gilberto Santini, Mariateresa Surianello, Cristina Ventrucci, Giacomo Verde.

Programma giornaliero
sabato 21 maggio
ore 11,00 - 13,00 Apertura dei lavori - Scrivere il teatro
introduce Renata Molinari: Il racconto del teatro e le sue scritture
ore 15,00 - 16,45 Guardare e raccontare il teatro
introduce Massimo Marino: L’informazione, la critica, la cultura teatrale
ore 16,45 - 17,15 Pausa
ore 17,15 - 19,00 Studiare e trasmettere il teatro
introduce Gerardo Guccini: Intorno al teatro: lo studio e la memoria
domenica 22 maggio
ore 10,00 - 11,30 Organizzare il teatro
introduce Andrea Nanni: Progettare senza progetto
ore 11,30 - 12,00 Pausa
ore 12,00 - 14,00 Scritture per il teatro


dal 9 al 21 maggio
Motus in residenza & studio
indagini su
Pre-paradise sorry now
di Rainer Werner Fassbinder (e non solo).
venerdì 20 e sabato 21 maggio, ore 21.15
teatro dimora - mondaino
Piccoli episodi di fascismo quotidiano
Ian Brady e Myra Hinley. Pas de deux e racconti.
accadimento pubblico di Motus
in coproduzione con l’arboreto di mondaino
l'arboreto - teatro dimora
2005
ottavo anno di attività
Con l'incontro La bellezza necessaria e la prima tappa nel nuovo percorso creativo Motus l'arboreto di mondaino inaugura il suo ottavo anno di attività.
Mariangela Gualtieri, Virgilio Sieni, Laura Curino, compagnia MK, Fanny & Alexander, Emma Dante, Compagnia Abbondanza/Bertoni, Elena Bucci, Renata Molinari, Massimo Marino: sono i principali protagonisti di questo nuovo anno di attività (maggio - dicembre 2005).
L'arboreto, situato nell'incantevole borgo di Mondaino, nella valle del Conca sul confine tra Romagna e Marche, è un ex arboreto sperimentale della flora mediterranea (nove ettari di parco naturale con circa 6.000 piante) divenuto un grande laboratorio: spazio di un progetto, luogo fisico reale da visitare e da vivere, il Teatro Dimora, le due case foresteria, una sala multimediale ed una biblioteca.
Dal 1998 l'arboreto, gestito dall'associazione culturale l'arboreto, è diventato punto di riferimento per artisti e compagnie, la casa ideale per tutti coloro che chiedono ospitalità per residenze creative e laboratori residenziali.

programma 2005

i laboratori
dal 13 al 15 maggio
sguardo memoria racconto
laboratorio di osservazione e scritture per il teatro secondo anno
a cura di Massimo Marino
dal 10 al 12 giugno
il corpo delle azioni
laboratorio condotto da Giacomo Verde
con la collaborazione di Fabrizio Cassanelli
dal 13 al 15 giugno
nel grande regno delle parole
laboratorio di ascolto, lettura e scrittura per i bambini di
mondaino condotto da Mariangela Gualtieri - Teatro Valdoca
martedì 2 e mercoledì 3 agosto
sulla fragilità e il corpo articolare
laboratorio per danzatori
condotto da Virgilio Sieni - compagnia Virgilio Sieni Danza
dall’1 al 4 settembre
scrittura dalle scritture
ovvero la vera storia di giuda
laboratorio per attori-autori intorno alle mitologie dei Vangeli
condotto da Paolo Puppa
dal 9 all’11 settembre
tragedia e dialogo
Madri Regine, Fratelli di Sangue, Figli al Macello, Padri Assenti
laboratorio condotto da Laura Curino
dal 23 al 25 settembre
a. alfavita (le traduzioni)
laboratorio condotto da Margherita Crepax, Chiara Lagani e
Francesca Mazza - compagnia Fanny & Alexander
dal 29 settembre al 2 ottobre
l'essere scenico
laboratorio di danza
condotto da Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
compagnia Abbondanza/Bertoni
dal 24 al 29 ottobre
per dire teatro
incontro fra autori e attori, per generare e scambiare scritture, azioni e parole in presa diretta
a cura di Renata Molinari
dal 18 al 20 novembre
la mandria dentro il recinto
laboratorio di teatro
condotto da Emma Dante - compagnia Sud Costa Occidentale
dicembre, date da definire
cio che non siamo in grado di cambiare
dobbiamo almeno descriverlo
(R.W. Fassbinder)
laboratorio teatrale condotto da Daniela Nicolò e Enrico Casagrande - Motus
le residenze creative, le coproduzioni
dal 9 al 21 maggio
indagini su pre-paradise sorry now
di Rainer Werner Fassbinder (e non solo)
Motus in residenza & studio
venerdì 20 e sabato 21 maggio, ore 21.15
teatro dimora - mondaino
piccoli episodi di fascismo quotidiano
Ian Brady e Myra Hinley. Pas de deux e racconti
accadimento pubblico di Motus
in coproduzione con l’arboreto mondaino
dal 16 al 28 giugno
progetto sostanza sonora
residenza creativa del gruppo MK + ESC
coproduzione MK, ESC electro acoustic synthesis crew,
Santarcangelo dei Teatri, Zone Attive, l’arboreto mondaino
in collaborazione con Xing, Associazione culturale Mosaico
dal 4 all’10 luglio
autobiografie di ignoti
residenza creativa di Serra Teatro, Teatro della Centena,
Le Belle Bandiere

direzione artistica Elena Bucci
in collaborazione con Progetto Teatro Argo Navis itinerari teatrali nella provincia di Rimini, Sagra Musicale Malatestiana, l’arboreto mondaino
domenica 10 luglio, ore 19
teatro dimora - mondaino

naufraghi del bar calipso
prova aperta al termine della residenza creativa con gli attori del laboratorio di formazione I e II musiche originali e alle tastiere Andrea Agostini
coproduzione Serra Teatro, Teatro della Centena, Le Belle Bandiere, l’arboreto mondaino
dal 5 al 16 agosto
chôra
histoire du pauvre petit Popocatepel
residenza creativa della compagina Nanaqui per la realizzazione dello spettacolo
Chôra di Céline Astrié
coproduzione Biennale di Venezia, Théâtre de la Digue à Toulouse, La Rose des Vents,
La Ferme du Buisson, Service Culturel BCLA Ambassade de France, l´arboreto mondaino;
con la partecipazione di Théâtre National de Toulouse, Mairie de Toulouse
dal 12 al 15 ottobre
contagio eutopico
residenza creativa di Giacomo Verde - zoneGemma
sabato 15 ottobre, ore 21.15
teatro dimora - mondaino

cercando utopie: contagio
performance da un’idea di Giacomo Verde
coproduzione La Città del Teatro, Armunia - Festival Costa degli Etruschi, l’arboreto mondaino
gli incontri
sabato 21 e domenica 22 maggio
sala del durantino - mondaino

la bellezza necessaria
scritture per il teatro
incontro residenziale promosso da l’arboreto mondaino
a cura di Massimo Marino
interverranno drammaturghi, artisti, studiosi, critici, editori, organizzatori
al teatro dimora
venerdì 20 e sabato 21 maggio, ore 21.15
teatro dimora - mondaino
piccoli episodi di fascismo quotidiano
Ian Brady e Myra Hinley. Pas de deux e racconti
accadimento pubblico di Motus
in coproduzione con l’arboreto mondaino
sabato 21 e domenica 22 maggio
sala del durantino - mondaino

la bellezza necessaria
scritture per il teatro
incontro residenziale promosso da l’arboreto mondaino
a cura di Massimo Marino
domenica 10 luglio, ore 19
teatro dimora - mondaino

naufraghi del bar calipso
prova aperta al termine della residenza creativa con gli attori del laboratorio di formazione I e II musiche originali e alle tastiere Andrea Agostini
coproduzione Serra Teatro, Teatro della Centena, Le Belle Bandiere, l’arboreto mondaino
sabato 4 settembre, ore 21.15
teatro dimora - mondaino

scrittura dalle scritture
ovvero la vera storia di giuda
presentazione del lavoro realizzato dai partecipanti al laboratorio per attori-autori intorno alle mitologie dei Vangeli
condotto da Paolo Puppa
sabato 15 ottobre, ore 21.15
teatro dimora - mondaino

cercando utopie: contagio
performance da un’idea di Giacomo Verde
coproduzione La Città del Teatro, Armunia - Festival Costa degli Etruschi, l’arboreto mondaino
sabato 29 ottobre, ore 21.15
per dire teatro
presentazione del lavoro realizzato dai partecipanti all'incontro fra autori e attori, per generare e scambiare scritture, azioni e parole in presa diretta
a cura di Renata Molinari

l'arboreto – teatro dimora
mondaino - 2005


associazione culturale l'arboreto
comune di mondaino - comune di riccione - comune di cattolica
provincia di rimini
regione emilia-romagna
con il sostegno
cna rimini


info:
l'arboreto
vicolo gomma, 8 rimini
tel. e fax 0541.25777
arboreto @infotel.it
info@arboreto.org
www.arboreto.org


 


 

La Toscana teatrale si mette in mostra
A Pisa dal 18 al 21 maggio
di Ufficio Stampa

 

MOSTRA DEL TEATRO 2005
La Toscana dei Teatri in Rete
Pisa
mercoledì 18 – sabato 21 maggio 2005

CinemaTeatroLux
Stazione Leopolda
Teatro di Sant’Andrea
Teatro Francesco di Bartolo di Buti



Mostra05
MOSTRA DEL TEATRO 2005 La Toscana dei Teatri in Rete è un progetto realizzato dalla Provincia di Pisa per promuovere la realtà dei piccoli e medi teatri della regione. Si tratta di una rassegna annuale di spettacoli ed eventi teatrali aperta alle compagnie di tutto il territorio.
Visto il successo della prima edizione, quest’anno la Mostra si è arricchita di ospiti e iniziative: a Pisa, in 4 giorni, in 4 sedi differenti, si susseguiranno 30 compagnie, 6 spettacoli, 2 vetrine, 2 convegni, 1 concerto e 1 installazione.
La Regione Toscana e il Comune di Pisa aderiscono anche quest’anno all’impresa.
La Compagnia del TeatroLux cura l’organizzazione.

Teatro/i di Toscana
La Toscana ha nel teatro, e nei teatri, una delle sue anime più profonde.
Nel teatro inteso come mondo e cultura del teatro, perché le arti sceniche e drammatiche hanno in questa terra una culla e un luogo di espressione importante da secoli: il melodramma è nato a Firenze quasi cinquecento anni fa, la regione nel tempo ha dato i natali ad artisti ed eventi importanti, e ad oggi sul territorio vivono innumerevoli manifestazioni, artisti e compagnie.
Nei teatri perché la Toscana vanta - fra piccoli, medi e grandi teatri - qualcosa come 200 strutture attive: si tratta di un patrimonio architettonico, artistico e culturale inestimabile, di recente censito e fatto oggetto di investimenti di recupero mirati.
È alla valorizzazione di questa ricchezza straordinaria, per molti aspetti unica nel suo genere, che il progetto Mostra del Teatro si propone di contribuire.

Reti
Reti tematiche, reti territoriali, reti organizzative: la rete come risposta alla frammentazione, ovvero all’altra faccia di questa grande vivacità culturale.
Fare rete: mettere in collegamento gli operatori, dare spazio e visibilità a artisti e compagnie giovani, far circuitare le produzioni.
Questo è lo strumento che la Regione Toscana ha individuato e promuove per sostenere una realtà delicata come quella dei piccoli e medi teatri, che più delle grandi strutture soffre le oscillazioni del pubblico e l’incertezza egli investimenti.
Questa è la strategia che la Mostra di quest’anno si propone di raccontare.
Dunque, 4 reti territoriali (1 regionale, Sipario Aperto, e 3 provinciali: T.I.R – Teatri in Rete - Pisa, Rete Toscana dei Teatri, Firenze - Rete Teatrale Aretina), una rete tematica singolare come quella del Progetto speciale Teatri in Carcere, una rete di sedi diverse in sinergia per organizzare e ospitare l’evento, e 30 compagnie in alternanza sul palco per l’occasione: queste le voci che racconteranno la Toscana dei Teatri in Rete alla Mostra.

Vetrine
La mostra è una vetrina, aperta a tutti gli amanti del teatro e agli operatori del settore.
Condensando in pochi giorni, in spazi ravvicinati, un tal numero di artisti e di eventi selezionati, essa rappresenta un’iniziativa unica nel suo genere, almeno sul territorio, per tutti quanti, per passione o per lavoro, desiderino conoscere la Toscana dei Teatri.
L’edizione di quest’anno, oltre al cartellone degli spettacoli, prevede anche due “maratone” di mini-performance (20 minuti per ciascuna compagnia): la prima è dedicata alle esperienze del teatro in carcere, la seconda offre una sezione di danza e video e una rassegna di proposte di compagnie teatrali toscane emergenti.


Mostra del Teatro
La Toscana dei Teatri in Rete

18 - 21 Maggio 2005
Pisa

CinemaTeatroLux
Stazione Leopolda
Teatro di Sant’Andrea
Teatro Francesco di Bartolo di Buti



Programma


mercoledì 18 maggio



CinemaTeatroLux
ore 19.00
T.I.R – Teatri in Rete, Pisa
La Compagnia del TeatroLux
Stramonio
da Stramonio di Ugo Riccarelli
regia Paolo Pierazzini
con Francesco Gerardi
immagini Ugo Beconcini


Teatro di Sant’ Andrea
ore 21.00
T.I.R – Teatri in Rete, Pisa
Compagnia I Sacchi di Sabbia
Tragos –
atto unico con comica finale
ideazione Giovanni Guerrieri e Gabriele Carli, Giulia Gallo, Vincenzo Illiano, Andrea Lancioni
con Giovanni Guerrieri, Gabriele Carli, Giulia Gallo, Vincenzo Illiano


CinemaTeatroLux
ore 22.30
Rete Toscana dei Teatri
Accademia Amiata Mutamenti
“fino al punto che si può raggiungere”

di Sara Donzelli
regia Giorgio Zorcù
con Sara Donzelli


giovedì 19 maggio


Stazione Leopolda

ore 10.00
Seminario del Coordinamento Regionale del progetto speciale Teatro in Carcere
LE BUONE PRATICHE DEL TEATRO IN CARCERE (diffidate delle imitazioni...)
coordina Lanfranco Binni, Dirigente Servizio per lo Spettacolo della Regione Toscana
partecipa Mauro Grassi, Direttore Generale del Dipartimento Regionale delle Politiche Formative e dei Beni Culturali della Regione Toscana

ore 15.00 – 18.00
VETRINA Le esperienze e le compagnie del Progetto Speciale Teatro in Carcere della Regione Toscana
Carte Blanche/Centro Teatro e Carcere di Volterra - Carcere di Volterra, Teatro Popolare d'arte/Casa circond. di Arezzo, Ass. Culturale SOBBORGHI/Casa di reclusione di S. Gimignano, Giallo Mare Minimal Teatro/Casa circond. di Empoli, A.I.C.S./Casa circond. "Ist. Mario Gozzini" di Firenze, Centro di Teatro Internazionale/Casa circond. "Il Pozzale" di Empoli, ARIA Ass. Teatralmusicale/N.C.P. Sollicciano sez. femminile, Ass. culturale O.S.A. Teatro/I.P.M. "Meucci" di Firenze, TiConZeroCompagnia/Casa di reclusione di Massa, Ass. Dialogo/Carcere di Porto Azzurro, Operatore Massimo Altomare/Casa circond. di Sollicciano sez. maschile, Operatrice Elisa Taddei/Casa circond. di Sollicciano sez. maschile, Ass. CinemaTeatroLux di Pisa/Casa Circondariale Don Bosco di Pisa, ARCI Solidarietà Livorno/Casa di Reclusione Livorno, Irene Paoletti/Casa di Reclusione di Massa Marittima.


Teatro di Sant’ Andrea
ore 19.00
Rete Teatrale Aretina
Teatro Popolare d’Arte
Progetto Beckett
Aspettando Godot - primo studio
di Samuel Beckett
regia Gianfranco Pedullà
con Gilberto Colla, Marco Natalucci, Andrea Mugnai, Giusi Merli, Tito Anisuzzaman
musiche Marco Magistrali


CinemaTeatroLux
ore 21.30
Rete Toscana dei Teatri
Giallo Mare Minimal Teatro
www.dghamelin. com
di Renzo Boldrini e Giacomo Verde
regia Renzo Boldrini e Giacomo Verde
con Renzo Boldrini
musiche Mauro Lupone
venerdì 20 maggio
giornata dedicata a Teatri in Rete

Stazione Leopolda
Incontro aperto con i Teatri in Rete della Toscana
LA TOSCANA DEI TEATRI IN RETE Le compagnie, i circuiti, i teatri piccoli e medi

ore 10.00
apre Nicola Landucci, Assessore alla Cultura della Provincia di Pisa
introduce Assessore alla Cultura della Regione Toscana
partecipa Emanuela Caroti, Assessore alla Cultura della Provincia di Arezzo

ore 11.00 – 13.00
tavola rotonda
Un distretto culturale per i teatri e le compagnie della Toscana
.
Le proposte delle reti teatrali delle province di Arezzo, Firenze e Pisa:
>il teatro come diritto alla cittadinanza
>il teatro come capitale spirituale
>il Centro Servizi per le compagnie e per i teatri
intervengono, Riccardo Sottili (Rete Toscana dei Teatri - Firenze), Gianfranco Pedullà (Rete Teatrale Aretina - Arezzo), Paolo Pierazzini (T.I.R - Teatri in Rete, Pisa), Maurizio Iacono (Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Pisa), Renzo Boldrini (Teatro Santa Croce sull’Arno)

ore 15.00 - 17.00
dibattito
Il progetto regionale Sipario Aperto: le compagnie, i circuiti, i teatri piccoli e medi
coordina Lanfranco Binni - Dirigente del Servizio per lo Spettacolo della Regione Toscana

CinemaTeatroLux
ore 18.00
VETRINA della Mostra del Teatro 2005
- Progetto speciale La Danza in Video:
Compagnia Danza Icaro, Effetto Parallelo, Movimento inactor
- Un biglietto da visita per giovani compagnie di teatro
mini-performance (20 minuti ciascuna) di Arnoklein, La Casa Encantada, Pinocchi e Lucignoli, Quieta Movere, Sdrammatika2, Teatri della Resistenza, Teatro del Tè

Teatro Francesco di Bartolo di Buti
ore 21.30
Rete Toscana dei Teatri
Associazione Teatro Buti e Fondazione Pontedera Teatro
Quei loro incontri – gli uomini...gli dei
I cinque ultimi dialoghi con Leucò di Cesare Pavese
messa in scena Danièle Huillet e Jean Marie Straub




sabato 21 maggio

Stazione Leopolda
ore 21.30
Onda Video - Tra Art
Bloomsday 100
- installazione video-teatral-musical-letteraria di Robert Cahen
ispirata all'Ulisse di Joyce
e performance musical-teatrale a cura di Ensemble Fuoricentro

ore 23.15
Quadro Nuevo
Quadro Nuevo live - concerto dal vivo in piazza




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sedi degli spettacoli e degli eventi
CinemaTeatroLux, piazza Santa Caterina 6, Pisa – tel 050.830943
Teatro di Sant’Andrea, via del Cuore c/o Chiesa di Sant'Andrea, Pisa - tel 050.542364
Stazione Leopolda, Piazza Guerrazzi, Pisa - tel 050.21531
Teatro Francesco di Bartolo, Buti tel 0587.724548

ingressi
spettacoli presso CinemaTeatroLux e Teatro di Sant’Andrea € 6
spettacolo presso Teatro di Buti € 11

riduzione per studenti universitari su biglietti degli spettacoli presso CinemaTeatroLux
con acquisto presso D.S.U.
Lungarno Pacinotti, 32 Pisa
tel. 050 567508
urp@dsu.pisa.it
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PER INFORMAZIONI
SEGRETERIA DELLA MOSTRA
PRESSO CINEMATEATROLUX
LUNEDÌ-VENERDÌ ORE 9-13 E 15-17
TEL 050 83 09 43
FAX 050 83 10 535
WWW.CINEMATEATROLUX.IT
info@cinemateatrolux.it
 


 

Le nostre Buone Pratiche e quelle degli altri (diffidate dalle imitazioni)
Una telefonata con Oliviero Ponte di Pino
di Perfida De Perfidis

 

OLIVIERO Ah, carissima Perfida, sei tu! Complimenti, il tuo pezzo su Santarcangelo l’hanno letto tutti, e si sono divertiti moltissimo.

PERFIDA Tutti tutti?

OLIVIERO Beh, qualcuno proprio contento non era, ti dirò.

PERFIDA Immagino. Commenti piccanti? Repliche?

OLIVIERO Per ora nessuna delle tue vittime si è fatta viva con ateatro. Ma lo sai meglio di me, i teatranti l’ultima cosa che fanno è chiamare me, o lamentarsi con ateatro. In teatro si mugugna moltissimo, ma solo in privato. Non si discute mai a viso aperto, non si fanno denunce pubbliche...

PERFIDA Io infatti mi trovo benissimo nei foyer, al ristorante e in camera da letto. Per non parlare dei camerini!!! E riesco sempre a sapere quasi tutto…

OLIVIERO E anche qualcosa più di tutto, mi pare.

PERFIDA No, no, quello che racconto è tutto vero. Incrocio le fonti, verifico le informazioni, faccio la radiografia ai pettegolezzi... Perché poi le cose più incredibili in genere sono le più vere. Pensa alla nuova Commissione Prosa... Non l’avevate attaccato voi Pischedda? Gli avete portato fortuna. Chissà adesso dove promuovono la Maria Giovanna Elmi, dopo che siete stati così cattivi con lei… Te l’hanno anche scritto nel forum: siete misogini, tu e la tua amica Mimma. Ma quando ci vediamo? Ho letto che questa settimana vai in Toscana.

OLIVIERO In Toscana? Perché?

PERFIDA Ma non c’è un incontro sulle Buone Pratiche? Aspetta, c’entra con il carcere, ci va anche Armando Punzo.

OLIVIERO Strano, non ne sapevo nulla.

PERFIDA Ma forse è stata Annamaria, oppure Mimma e Franco. Lo fanno a Pisa.

OLIVIERO Strano, me ne avrebbero parlato. Aspetta che glielo chiedo: siamo in chat per discutere della seconda tornata delle Buone Pratiche.

PERFIDA Una nuova tornata delle Buone Pratiche? Ma questa è una notizia… L’altra volta è stato così eccitante, tutta quella bella gente…

OLIVIERO No, guarda, nessuno di noi ne sa niente di questo incontro… ateatro ignora totalmente questa presunta Buona Pratica.

PERFIDA Beh, magari metti il comunciato nelle news di ateatro. Ti inoltro la mail. Ma davvero non c’entrate nulla, voi di ateatro? Punzo non è tuo amico?

OLIVIERO Sì, senz’altro, lo conosco da anni, a Volterra fa un ottimo lavoro, straordinario, ne parliamo spesso sulla webizne, la sua è sicuramente una buona pratica, anzi ottima…

PERFIDA Ero convinta che se un teatrante parla di Buone Pratiche, deve essere in contatto con voi. L’idea e il marchio li hanno lanciati ateatro

OLIVIERO Sì, l’abbiamo lanciato noi, ma le Buone Pratiche non mica è un marchio registrato, lo usano da anni in molti ambiti, anche nella pubblica amministrazine…

PERFIDA Ma dopo il successo del vostro incontro di Milano, nel vostro mondo le Buone Pratiche sono associate con ateatro. C’erano più di cinquecento persone, venute da ogni angolo d’Italia, ne hanno parlato tutti per settimane, prima e dopo.

OLIVIERO Beh, se ce la copiano vuol dire che era una buona idea. O se preferisci, che era davvero una buona pratica.

PERFIDA Però è un uso un po’ abusivo, soprattutto perché crea un bel po’ di confusione. La gente pensa che ateatro c’entri qualcosa, con quella roba. Insomma, voi siete una garanzia di indipendenza. Anche se siete un po’ coglioni, lasciamelo aggiungere.

OLIVIERO Peeeerfida…

PERFIDA Dopo ti spiego perché siete coglioni. Ma intanto, scusa, se non c’entra ateatro la faccenda diventa un po’ ridicola: sono loro stessi a finanziare e sostenere queste buone pratiche, poi non possono mica essere loro stessi a certificarne la bontà…

OLIVIERO Cosa vuoi che ti dica? Faremo una pubblica dissociazione: ateatro non c’entra nulla con quell’incontro. Non ci hanno invitato, non ci hanno detto nulla, metto tra le news il comunicato che mi mandi, e lì accanto spiego che non c’entriamo nulla.

PERFIDA Scusa, ma sei davvero ingenuo. Quanto ci avete guadagnato con le Buone Pratiche?

OLIVIERO Beh, in realtà abbiamo lavorato gratis per mesi, e alla fine ci abbiamo anche rimesso qualche centinaio di euro.

PERFIDA Caro Oliviero, pensa che c’è gente che fa carriera, rubando idee come questa: negli assessorati, nei teatri, in qualche ente, nelle università, magari saccheggiando quello che scrivete sulla webzine… E tutta questa gente viene pure pagata, amore mio. Vedi quanto sei coglione. E poi tieni presente che dietro a questo incontro c’è una mezza idea: far nascere un nuovo Stabile della Toscana, magari accorpando Pontedera, Cascina, Castigliocello, più qualche pisano e livornese sparso.

OLIVIERO Ma non possiamo chiedere la percentuale, se ci rubano un’idea. Oltretutto a Milano abbiamo teorizzato l’open source: se qualcuno approfondisce e rilancia il progetto delle Buone Pratiche, dobbiamo solo essere felici. Abbiamo sempre offerto aiuto e consulenze gratuite a chi ce li ha chiesti, dopo le buone pratiche…

PERFIDA Ottimo. Allora dimmi che cosa farete per la seconda tornata delle Buone Pratiche, così vi rubano subito anche questa ottima idea, se la fanno pagare e tu sei tutto contento…

OLIVIERO Ci stiamo lavorando, alle Buone Pratiche 2. Sarà una sorpresona. Guarda, a te lo posso dire, perché sai come mantenere un segreto.

PERFIDA Ah, come mi capisci…

OLIVIERO Perfida, amore mio, sarà in un posto bellissimo, ti segnalo lì vicino un paio di agriturismi con beauty farm, magari una sera se sei libera ti vengo a trovare...

PERFIDA Ti prenoti per una notte super, cocchino?

OLIVIERO Ci sarà moltissima gente, pensiamo a qualche filosofo, a qualche sociologo, a qualche teorico della comunicazione…

PERFIDA Adoro comunicare, adoro i teorici della comunicazione, però divaghi. L’ho capito che non mi vuoi ancora dire di che parlerete, alle Buone Pratiche 2/The Original

OLIVIERO The Original!!! Bella idea. Diffidate dalle imitazioni!!!

PERFIDA Ma ti invito una sera a cena, ai primi di giugno, quando passo da Milano… Ti bacio, cicciottino mio…

OLIVIERO Ma sono davvero ingrassato?


 


 

Torino Contemporanea: il bando dell'edizione 2005
Scadenza 3 giugno 2005
di Torino Contemporanea

 

Area del Teatro e delle Arti Performative
Battello Ebbro
CSD/l’Espace
Il Barrito degli Angeli

Il Mutamento Zona Castalia
LOSS
Mosaico Danza
Senza Confini di Pelle
Servi di scena Opus rt
Stalker Teatro/Officina CAOS

TORINO CONTEMPORANEA
Festival delle Arti Performative
Torino 8 >> 18 settembre 2005
Iniziativa realizzata con il sostegno della Città di Torino e della Regione Piemonte

Torino Contemporanea vuole essere un appuntamento annuale per la presentazione ed il confronto delle produzioni e delle esperienze artistiche multidisciplinari della performance e dello spettacolo dal vivo.
Il festival si rivolge a compagnie o singoli performer dell’area torinese, del Piemonte, nazionali ed internazionali che operano nell’ambito dell’innovazione e che ricercano occasioni di confronto e di scambio con il pubblico e con diverse generazioni di artisti.
Particolare attenzione è rivolta al pubblico popolare e ai giovani che non frequentano abitualmente i teatri e, proprio in questa ottica, Torino Contemporanea non vuole essere solo una vetrina ma un punto di riferimento costante per il coinvolgimento di un nuovo pubblico e per il confronto fra gli artisti.
In prospettiva, Torino Contemporanea vorrebbe divenire un’iniziativa, oltre che frequentata dagli operatori e dagli spettatori locali, anche di interesse e di attrattiva per operatori e pubblico internazionali.

Il festival è coordinato e diretto da “Area del Teatro e delle Arti Performative”, associazione attualmente formata da nove compagnie torinesi, e prevede un programma articolato in più centri a Torino, con possibilità di estensione anche in altre città della Regione Piemonte.
I soggetti organizzatori del festival sono operatori di compagnie che producono spettacoli, performance ed eventi culturali; gli organizzatori sono pertanto “parte in causa”, non astratti “super partes”, che dirigono il festival conoscendo in prima persona le difficoltà, le potenzialità e gli obiettivi verso cui tendere con un’azione culturale collettiva.
Il festival Torino Contemporanea è dunque progettato e organizzato da operatori, soggetti attivi che intervengono direttamente con le loro capacità artistiche, per favorire l’incontro e lo scambio con altri operatori ed il pubblico. Le qualità e le modalità di intervento delle compagnie organizzatrici e delle compagnie ospitate, nella loro molteplicità di proposta artistica e di capacità di creare relazione con gli spettatori, determinano il carattere del festival.

Gli eventi saranno allestiti e presentati nei seguenti spazi a Torino:
l’Officina CAOS (8 > 11 giugno ) e L’Espace (16 > 18 giugno)
Nella settimana successiva, dal 19 al 25 settembre, secondo le proposte delle realtà artistiche interessate, la programmazione potrà svolgersi anche in altre sedi sul territorio regionale.

CAOS, Piazza Montale 18/A
Venerdì 9, sabato 11 e domenica 12 settembre
Nel Teatro Officina CAOS verranno presentati 1 o 2 spettacoli a sera, mentre, a seguire, all’interno della sala Don Orione verranno allestite 4 stanze per la presentazione di interventi performativi e performance di diverse compagnie della durata di 10 minuti circa, visibili contemporaneamente dal pubblico suddiviso in piccoli gruppi di una decina di persone alla volta. Gli interventi si ripeteranno nell’arco della serata più volte in modo da permettere la fruizione delle performance a tutto il pubblico.

ESPACE, Via Mantova 38
venerdì 16, sabato 17 e domenica 18 settembre 2005

Per ogni serata è prevista la presentazione di 3 interventi spettacolari volti a costruire un percorso. In seguito alla scelta delle performance partecipanti ad ogni serata verranno individuate delle tematiche di interesse comune al fine di determinare un ambito in cui emergano con più evidenza le poetiche, le metodologie e le linee artistiche delle compagnie partecipanti alla serata.
Il confronto rispetto alle tematiche individuate intende ulteriormente stimolare lo scambio fra le compagnie partecipanti ad ogni serata. Al termine di ogni percorso spettacolare è previsto un dibattito tra gli artisti che hanno presentato i loro lavori e il pubblico. Il dibattito sarà coordinato da esperti del settore, conoscitori della realtà culturale locale e dei movimenti artistici internazionali. Si possono proporre performance della durata massima di 40 minuti.

- SEDI ULTERIORI DEL FESTIVAL
In considerazione dell’obiettivo che questo festival si pone, di divenire un punto di riferimento per tutti gli artisti dell’area piemontese, qualora vi fossero realtà artistiche in altre località del Piemonte o nella provincia di Torino interessate a proporre spazi nella settimana dal 19 al 25 settembre successiva alla programmazione prevista a Torino, il programma del festival potrà ampliarsi ad ulteriori spazi di svolgimento della manifestazione. Per questa prima edizione del festival, l’organizzazione, qualora le proposte saranno ritenute di interesse e in armonia con l’indirizzo artistico della manifestazione, potrà pubblicizzare le eventuali altre sedi come facenti parte a tutti gli effetti del festival. Chi vorrà proporsi per questo modello organizzativo dovrà garantire l’intera gestione degli spettacoli presentati e potrà essere considerato come soggetto partecipante all’organizzazione della prossima edizione del festival, prevista nel 2006.

La presentazione di una proposta a questo modello organizzativo non esclude la possibilità di partecipare ad uno degli altri modelli del festival.

La nuova scadenza entro la quale inviare proposte è venerdì 3 giugno 2005 (il materiale deve pervenire entro la data, non fa fede la data del timbro postale). Il materiale (è necessario presentare un video dell’intervento artistico, anche di eventuali prove) deve pervenire a:

Festival Torino Contemporanea
Presso Stalker Teatro
Piazza Montale 14 bis A – 10151 Torino
Per informazioni: Laura Manzone + 39 011 7399833 - info@torinocontemporanea.it

1. Le proposte dovranno essere corredate da documentazione scritta (curriculum, esperienze precedenti, presentazione e descrizione dell’intervento).
2. E’ necessario compilare ed allegare alla proposta la scheda tecnica così come da modello indicato. I materiali inviati non saranno restituiti.
3. L’organizzazione garantisce l’ospitalità, la comunicazione, lo spazio fisico per la presentazione al pubblico, il supporto tecnico ed un rimborso economico da concordare. La direzione definirà i partecipanti sulla base della possibilità concrete del festival (tempi, spazi, esigenze tecniche) cercando di favorire le realtà artistiche originali nel campo dei linguaggi dell’arte e dello spettacolo contemporaneo.

SCHEDA TECNICA

Nome della compagnia o nomi del nucleo artistico:
Città di residenza:
Indirizzo:
Tel / fax:
e-mail:
Indirizzo pagina web:
Nome del responsabile o referente organizzativo:
Titolo dell’intervento:
Durata in minuti:
Discipline artistiche di riferimento e genere dell’intervento (spettacolo, performance, evento, installazione ecc…):
Elenco delle persone coinvolte nella produzione artistica, indicando nome, cognome e qualifica (indicare il numero totale di persone da ospitare previste per la realizzazione dell’intervento)
Totale persone:
La compagnia o il gruppo artistico è in possesso di agibilità: SI  NO

ASPETTI TECNICI DA VALUTARE E CONCORDARE:

Spazio scenico:
larghezza
profondità altezza tipo di pavimento
Attrezzatura scenica:

Schizzo schematico, indicare la disposizione del pubblico





Attrezzatura illuminotecnica:
tipo quantità potenza
Schizzo schematico, indicare il carico luce max e min e il numero di canali dimmer utilizzati





Attrezzatura audio:
lettori microfoni amplificatori (watt)
Eventuali atre esigenze:

Attrezzatura di scena:
fondali, quinte…

Attrezzatura video:
proiettore, schermo, monitor…

Personale tecnico: personale richiesto per il montaggio e smontaggio (tempo richiesto)


 


 

Super Ronconi olimpico a Torino
Il progetto Domani: cinque spettacoli dal 2 febbraio all'11 marzo
di Redazione ateatro

 

"Cinque spettacoli teatrali per i cinque cerchi olimpici," ha esordito Ronconi. "Un contributo culturale per le Olimpiadi Torino 2006 con temi non necessariamente legati allo sport." E' il progetto Domani ideato da Walter Le Moli e dal regista per le Olimpiadi della cultura 2006. Gli spettacoli, finanziati dall'assessorato alla Cultura del Comune di Torino (si parla di un investimento di 7,5 milioni di euro), si svolgeranno in luoghi teatrali e non, ed affronteranno 5 temi di ampio interesse: storia, guerra, etica, tecnologia e finanza.
Domani andrà in scena dal 2 febbraio all'11 marzo del prossimo anno in occasione dei giochi olimpici invernali. Nel cartellone trovano spazio un classico come Troilo e Cressida di William Shakespeare e un testo contemporaneo, la Trilogia sulla guerra di Edward Bond. Il primo è la storia di un amore impossibile durante la guerra di Troia, il secondo parla ancora della guerra e dei suoi effetti devastanti sulla società con una lontana possibilità di grande pace. Gli altri tre spettacoli sono Biblioetica di Gilberto Corbellini, Pino Donghi e Armando Massarenti tratta degli sviluppi della biotecnologia, Lo specchio del diavolo di Giorgio Ruffolo delinea una storia dell'economia; infine Il silenzio dei comunisti mette in scena uno scambio di lettere tra Vittorio Foa, Miriam Mafai e Alfredo Reichlin.
Per il capoluogo piemontese, l’iniziativa ha consentito di «riesplorare le potenzialità del tessuto urbano», come ha detto Agostino Re Rebaudengo, presidente della Fondazione dello Stabile cittadino, attraverso il recupero di spazi quali le Fonderie Limone di Moncalieri, ora campus artistico, il Teatro Vittoria, riaperto di recente, e il Cinema Astra che diverrà teatro. Inoltre coinvolgerà molti giovani: nell'ampio team necessario alla realizzazione dell'evento ci saranno ben 120 ragazzi formati professionalmente tramite corsi realizzati apposta.
Per Ronconi il filo conduttore che lega i pezzi teatrali è il conflitto tra le culture, la crisi tra passato e presente che però lascia uno spiraglio per il futuro. "Abbiamo voluto portare sulla scena argomenti che si conoscono poco come la guerra, l'economia e la biotecnologia. Di recente ci si concentra sin troppo sulle ricerche formali, mentre credo che oggi, invece di puntare a tutti i costi ad un "nuovo", sia tempo di tornare al "necessario". E quindi trattare anche sul palco i temi che fanno parte della vita. È un'occasione di forte impegno civile, in cui però non voglio proporre soluzioni o panacee: le mie sono ipotesi drammaturgiche per far pensare. E magari per capire dove il nostro teatro può ancora arrivare.”
Intorno all’iniziativa non sono mancate (e non mancheranno) le polemiche, a cominciare da quella sui costi dell’operazione (che è finanziata con fondi extra FUS) e sulla loro gestione.


 


 

ateatro è tra i siti italiani più autorevoli e credibili
Non lo diciamo noi ma la ricerca di web credibility di Spazio RP
di Redazione ateatro

 

ateatro è stato inserito tra i 1800 siti italiani più autorevoli e credibili dalla redazione di Spazio RP, testata specializzata in prodotti editoriali e servizi professionali ad uso degli operatori delle relazioni pubbliche e ufficio stampa.
Il nostro sito è stato infatti inserito nel nuovo cd-rom Spazio RP Internet 2005-2006, l’unica mappa dei siti italiani più influenti ricavata dalla prima ricerca di web credibility mai svolta in Italia.
“Abbiamo creato Spazio RP Internet”, ha spiegato Roberto Portanova, direttore editoriale, “perché la rete è uno strumento potente, ma che va conosciuto. Tutti noi siamo in grado di valutare l’autorevolezza di un quotidiano o di una rete televisiva, ma non tutti possiamo comprendere il grado di credibilità ed influenza di un sito web. Questo molto spesso si traduce in spreco di tempo e risorse preziose o, al contrario, nella perdita di importanti opportunità di comunicazione”.
Per individuare i 1.800 siti italiani più affidabili ci sono voluti quasi 12 mesi di lavoro, durante i quali sono stati intervistati 1000 tra giornalisti e uffici stampa, sono state monitorate quotidianamente una quarantina di newsgroup di tutte le categorie e visitati non meno di 10.000 siti.
Ogni sito è stato valutato secondo una serie di parametri, tra i quali: l’essere linkato da altri siti autorevoli, il contenuto informativo e di servizio, l’aggiornamento, la grafica, la presenza di link e di strumenti di comunicazione (chat, forum, newsletter, rassegne stampa, comunicati stampa).
Alla fine ogni sito ha raggiunto un valore ponderato, e sono stati scelti i soli siti che hanno dimostrato un livello di credibilità superiore del 30% rispetto alla media. Questi sono stati recensiti in modo da fornire un valido strumento di analisi e interpretazione ai professionisti della comunicazione che li possono utilizzare per veicolare comunicati e messaggi.
I risultati della ricerca verranno presentati in dettaglio e discussi il prossimo 20 giugno in un convegno-dibattito che si terrà a Roma presso la sede dell’istituto di formazione Ateneo Impresa.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Multimedia video streaming in festival
Le iscrizioni si chiuderanno il 9 luglio 2005
di Redazione ateatro

 

DigiFestival.net - Cantiere di Arte Virtuale, il primo festival multimediale in video streaming, si terrà solo su internet dal 15 agosto al 15 settembre 2005, è patrocinato dalla Regione Toscana e dal Comune di Firenze, e realizzato in collaborazione con TRA ART, rete regionale per l'arte contemporanea. L'organizzazione del festival è a cura dell'associazione culturale Art in Vision di Firenze.
Le discipline ammesse alla competizione sono: Musica, Teatro e Danza, Video, Fotografia, Arti figurative, Sport.
Le iscrizioni si chiuderanno il 9 luglio 2005. I premi verranno corrisposti in denaro.


 


 

La scomparsa di Barbara Nativi
Attrice, regista, traduttrice, organizzatrice
di Redazione ateatro

 

E’ mancata il 3 giugno a Firenze, dopo alcuni mesi di malattia, Barbara Nativi, attrice, regista, traduttrice, direttrice del Teatro della Limonaia di Firenze e del festival Intercity a Sesto Fiorentino (che inaugura lunedì l’edizione 2005 dedicata a Edimburgo).
Il percorso di Barbara Nativi, caratterizzato da una personalità forte e da una straordinaria generosità, è un pezzo di storia del teatro toscano e italiano, anche nella sua necessità di aprirsi alla drammautrgia contemporanea.
Laureata in storia moderna, collabora con il circolo Victor Jara (dove sono attivi Panichi, Riondino, Trambusti) e poi con l’Humor Side (ora Teatro di Rifredi). Lavora come attrice e performer, e collabora con Paolo Hendel, Thierry Salmon, Remondi & Caporossi. Con Silvano Panichi fonda la compagnia Teatro Laboratorio Nove; successivamente apre il Teatro della Limonaia, di cui è fin dall’inizio direttore artistico.
Debutta nella regia nel 1988, con Da Woyzeck. Nello stesso anno fonda Intercity, la rassegna che propone messe in scena e testi teatrali contemporanei nelle diverse città in Europa e in America (Parigi, Montreal, Berlino, Londra…), per la quale firma numerose traduzioni e regie, curando tra l’altro per Ubulibri l'antologia Nuovo teatro inglese e Il teatro del Quebec, oltre che due antologie pubblicate dal Teatro della Limonaia, Intercity Plays 1 e 2.
Tra le sue regie, Le cognate di Michel Tremblay (1995), Shopping & Fucking di Mark Ravenhill (2000) e due testi di Sarah Kane (Blasted, 1997, e Fame/Crave, 2001), che aveva ospitato a Intercity; e >Noccioline di Fausto Paravidino (2002).
Nel 1996 riceve il Premio della critica da parte dell'Associazione nazionale critici teatrali per il complesso della sua attività di regista, scrittrice e operatrice culturale nell'ambito della ricerca teatrale. Nel 1997 riceve il premio Ubu per il Festival Intercity.


 


 

I corti teatrali in concorso
Il bando
di Associazione culturale Anticaja e Petrella

 

C.C. – Corto Concorso
dedicato ad un’amica: Nannarella (Anna Magnani)
L’Associazione culturale Anticaja e Petrella promuove un festival di corti teatrali.
L’edizione del concorso prevede la presentazione di spettacoli a tema libero la cui durata non deve superare i 10 minuti.
Saranno ammessi al concorso messeinscene ispirate ad un repertorio originale o adattamenti personali di repertorio.
“Anticaja e Petrella”
è un’associazione senza fini di lucro, attiva nella reintegrazione sociale e nel recupero occupazionale di detenuti ed ex detenuti e di persone a rischio di emarginazione. Promuove e ospita iniziative di carattere culturale dedicate al teatro, alla musica lirica ed a quella contemporanea. Accoglie esposizioni e laboratori di fotografia, di pittura e di scultura. Sostiene e organizza manifestazioni teatrali e cinematografiche.
Nelle serate finali del Festival sono previsti incontri con personaggi noti del mondo dello spettacolo, scelti tra attori, autori, registi e critici, appassionati e non del genere. Tra questi si possono già citare alcuni amici dell’Associazione, come, Anna Mazzamauro, Giuliano Gemma, Massimo De Rossi, Alberto Sotis, Michele Placido, Gianni Ippoliti, Pino Strabioli ed altri che andranno a formare la Giuria nelle serate finali. Gli incontri sono pensati per favorire momenti di approfondimento, di confronto e di scambio nel contesto informale che caratterizza l’Associazione. Regole di partecipazione 1. Invio
Le domande per la selezione vanno inviate tramite posta ordinaria o consegnati a mano entro il 30 Giugno 2005 al seguente indirizzo:
C.C- - Corto Concorso
c/o Anticaja e Petrella
Via Monte della farina, 62
00186 Roma
Tutte le domande dovranno essere accompagnate da una scheda di presentazione dello spettacolo proposto e dai curricula degli artisti corredati da una foto.

2. Selezione
a) Saranno selezionati per partecipare alla rassegna i primi 100 iscritti.
b) Agli artisti delle opere selezionate verrà richiesto di inviare al più presto materiale grafico e delle note sullo spettacolo.
c) Gli spettacoli saranno presentati in serate aperte al pubblico.
d) La scelta degli spettacoli ammessi nelle semifinali e nella finale avverrà a cura e a giudizio insindacabile del Comitato di selezione.
e) La serata finale si svolgerà davanti alla Giuria.
3. Date Limite
Invio della domanda di iscrizione entro e non oltre il 30 giugno 2005.

4. Calendario
a) Il festival si svolgerà nel corso del mese di luglio.
b) Il calendario e gli orari delle esibizioni sono di esclusiva competenza dell’Organizzazione e saranno consultabili sul sito Internet e in una bacheca esposta nella sede dell’Associazione.
c) Gli orari e le date delle esibizioni stabilite dall’Organizzazione non saranno modificabili.
d) L’Organizzazione di Corto Concorso curerà la pubblicazione di un programma delle opere presentate.

5. Norme Generali
a) La partecipazione a Corto Concorso è gratuita. Non è richiesta alcuna tassa d’iscrizione.
b) Il materiale spedito non verrà restituito in quanto andrà a costituire un archivio, patrimonio dell’Associazione.
c) La Direzione di Corto Concorso può prendere decisioni relative a questioni non previste dal presente regolamento. d)Per ogni eventuale controversia è competente il Foro di Roma, e fa fede il presente regolamento.

6. I Premi
Il festival prevede tre premi così ripartiti:
Primo classificato: euro 1500,00
Secondo classificato: euro 1000,00
Terzo classificato: euro 500,00


 


 

Le novità di giugno su www.dramma.it
Il nuovo testo di Daniele Timpano & molto altro
di www.dramma.it

 

Il dramma del mese è Per amarti meglio di Daniele Timpano.
Il libro del mese è: Stabat mater - viaggio alle fonti della narrazione di Gerardo Guccini e Michela Marelli.
Nell'agenda di Macrò Maudit l'ultima produzione Bruciati dallo xanax due atti unici di Angelo Longoni per la regia di Giulio Baraldi in scena al Teatro Libero di Milano dall'1 all'11 giugno.
Nell'agenda del Teatro delle Moline/TNE le informazioni sull'ormai irrinunciabile appuntamento annuale con "Scrivere per il teatro" il convegno giunto alla quinta edizione. Nella sezione "Finestre" l'ultimo numero delle newsletter di Ateatro e del Teatro di nessuno.
Segnaliamo il festival di nuova drammaturgia e non solo La fabbrica dell'uomo che Outis organizza a Milano dal 18 giugno al 10 luglio.
Le novità della sezione Drammaturgie :
Una lettera aperta di Antonio Tarantino con Precisazioni a proposito dello spettacolo Come un romanzo in programma al Festival delle Colline Torinesi.
Gli articoli: "La nuova drammaturgia cinese" di Tiziano Fratus e "Schegge d'autore" sull'omonomimo concorso/festival romano di corti teatrali di Daniela Pandolfi.
Le numerose recensioni (a cura di Maria Dolores Pesce, Daniela Pandolfi, Tiziano Fratus, Vincenzo Morvillo, Maurizio Giordano e Marcello Isidori) tra cui vi segnaliamo: Babele di Letizia Russo, Il cortile di Spiro Scimone, Paolo Borsellino Essendo Stato di Ruggero Cappuccio, Vita mia di Emma Dante, Luana prontomoda di Luigi Gozzi e Marinella Manicardi, Storia di Frangisca di Nino Romeo, In arte Masaniello di Geppi Di Stasio, Il maestro e Marta di Filippo Arriva.

Due importanti proposte formative per i prossimi mesi:
Scadenza iscrizioni 16 giugno!
Un percorso completo che, con approfondite esposizioni del docente, letture di brani da libri, visione di spezzoni di film, sit-com, sketch e spettacoli dal vivo e con tecniche laboratoriali, attraverserà analiticamente l'affascinante e difficile mondo della scrittura comica dal teatro al cabaret, dalla televisione al cinema. Una full-immersion di 20 ore da venerdì 24 giugno nel pomeriggio (ore 15,00) alla domenica 26 giugno sera (ore 19,00).
Un progetto di campus estivo realizzato da Les Enfants terribles con la direzione di Francesco Marino. E' un momento di formazione e spettacolo, un occasione di confronto, un momento di riflessione sul teatro, sull’arte e sulla musica. E’ anche un’occasione di vacanza e di studio in un piccolo paese, Riace (RC), che si affaccia sul litorale ionico della costa calabrese.


 


 

WOW!!! ateatro vince il Premio Hystrio-Altre Muse
Tutti i ricnoscimenti e la finale del Premio alla Vocazione per giovani attori
di Redazione Hystrio

 

Premio Hystrio alla Vocazione 2005
Teatro Litta
corso Magenta, 24 - Milano
16-17-18 giugno 2005

Strano momento vive il teatro. Con il fiato corto sulle scene istituzionali, preso d’assalto nei corsi universitari, brulicante di vita nella galassia di scuole, laboratori e seminari affollati di giovani che il teatro, oggi, preferiscono farlo che andarlo a vedere. Alla sua quindicesima edizione, il Premio Hystrio alla Vocazione è ormai non solo un osservatorio privilegiato delle nuove generazioni di attori, ma spesso una prima occasione concreta di verifica per chi vorrebbe fare di quest’arte un lavoro. Ha già superato ampiamente il migliaio, infatti, la schiera degli aspiranti giovani attori che, in queste ultime sei edizioni milanesi, si è cimentata sul palcoscenico davanti a una giuria di addetti ai lavori. Qualche sogno si è trasformato in realtà e nuovi talenti si sono rivelati alla scena italiana. La formula del concorso è rimasta invariata: cinque giornate di audizioni (due di pre-selezione e tre di selezione finale) che si concludono con la serata-spettacolo delle premiazioni nel corso della quale, in un ideale passaggio di testimone generazionale, la rivista Hystrio assegnerà anche alcuni premi ad artisti, personalità e realtà significativi del panorama teatrale nazionale. Novità di quest’anno è il Premio Hystrio-Arlecchino d’oro, nato da una collaborazione con l’omonimo festival mantovano, che va ad aggiungersi alle categorie già consolidate (attore/attrice, regia, drammaturgia, altre muse) e al Premio Hystrio-Provincia di Milano, destinato a una realtà operante sul territorio. Vi aspettiamo, siete tutti invitati!


Programma

giovedi 26 e venerdi 27 maggio
ore 10-18 – Pre-selezione (Teatro Libero, via Savona 10, Milano). Audizioni pubbliche di aspiranti attori autodidatti o provenienti da scuole di recitazione non riconosciute a livello nazionale. Al termine della giornata di venerdì 27, comunicazioni della Giuria.
La Giuria della pre-selezione: Roberta Arcelloni, Fabrizio Caleffi, Giulia Calligaro, Albarosa Camaldo, Claudia Cannella, Ivan Canu, Domenico Rigotti

giovedi 16 e venerdi 17 giugno
ore 10-18 – Selezione. Audizioni di aspiranti attori provenienti da scuole di recitazione riconosciute a livello nazionale e dei candidati che hanno superato la pre-selezione.

sabato 18 giugno
ore 10-13 – Selezione. Audizioni di aspiranti attori provenienti da scuole di recitazione riconosciute a livello nazionale e dei candidati che hanno superato la pre-selezione.
ore 15 – Comunicazioni della Giuria sui vincitori del Premio alla Vocazione.
ore 21 – Cerimonia-spettacolo delle premiazioni.
Al termine, rinfresco nel settecentesco cortile di Palazzo Litta.

Le audizioni sono aperte al pubblico. L’ingresso alla serata del 18 giugno è libero


Premio Hystrio all’interpretazione a Fabrizio Gifuni
Premio Hystrio alla regia a Giorgio Gallione
Premio Hystrio alla drammaturgia ad Davide Enia
Premio Hystrio-altre muse a www.ateatro.it
Premio Hystrio -Provincia di Milano a Associazione Olinda onlus
Premio Hystrio-Arlecchino d’oro a gruppo A.T.I.R.
Premio Hystrio alla Vocazione per giovani attori edizione 2004
Borsa di studio Gianni Agus

conduce la serata Paola Bigatto

Giuria del Premio Hystrio alla Vocazione:
Ugo Ronfani (presidente), Liselotte Agus, Marco Bernardi, Ferdinando Bruni, Fabrizio Caleffi, Gaetano Callegaro, Claudia Cannella, Monica Conti, Nanni Garella, Sergio Maifredi, Lamberto Puggelli, Antonio Syxty

Direzione artistica e organizzazione:
Hystrio, via Olona 17, 20123 Milano, tel. 02.400.73.256, fax 02.45.40.94.83, e-mail: hystrio@fastwebnet.it, www.hystrio.it


 


 

Maurizio Scaparro direttore della Biennale Teatro 2006
Torna venticinque anni dopo l'invenzione del carvevale post-modern
di Redazione ateatro

 

Il 6 giugno si è riunito il cda della Fondazione la Biennale di Venezia, presieduto da Davide Croff, che dopo aver preso in esame i programmi dei Settori Danza, Musica e Teatro, ha deciso di effettuare le nomine dei Direttori per il 2006.
Il cda ha chiamato Ismael Ivo, già direttore del 3. Festival di Danza Contemporanea 2005 attualmente in svolgimento, a dirigere il prossimo Festival per il 2006, nell'ottica della continuità e dei progetti pluriennali che, con la nuova gestione, caratterizzano tutti i Settori di attività della Biennale e ha nominato Maurizio Scaparro direttore del Settore Teatro sempre fino al 2006.
La nomina di Maurizio Scaparro è stata effettuata anche nell'ottica di una collaborazione con il Comune di Venezia per le attività del prossimo Carnevale, tenendo conto che proprio Scaparro era stato protagonista, come Direttore del Settore Teatro della Biennale nel quadriennio dal 1979 al 1982, del rilancio in tutto il mondo del mito del Carnevale di Venezia. Sarà realizzato inoltre nel mese di ottobre 2006 un programma di celebrazioni, in collaborazione con le istituzioni veneziane, in occasione del bicentenario della morte di Carlo Gozzi, e in vista del tricentenario della nascita di Carlo Goldoni.
Quella di Scaparro, dopo la direzione spontaneista di Romeo Castellucci in questo 2005, segna dunque un ritorno all’antico e la ricerca di una maggiore integrazione tra la Biennale e il flusso turistico che si riversa in laguna per il Carnevale. Anche se sarà difficile ripetere i fasti delle edizioni dei primi anni Ottanta, con la riscoperta della Festa come elemento rituale e di socializzazione.


 


 

La questione della primavera
La mobiltazione del 4 luglio a Santarcangelo
di Santarcangelo dei Teatri

 

Per un giorno – il 4 luglio – il festival si ferma, esce dai luoghi deputati e si riversa nelle strade per manifestare un profondo disagio nei confronti delle istituzioni politiche, sempre più concretamente ostili verso un teatro che non rinuncia a volgere il suo sguardo sulla realtà e a farne oggetto di scandalo. Ed è perché questo scandalo sia sotto gli occhi di tutti per tutta la durata del festival che piazza Ganganelli è occupata da una grande tenda della Protezione Civile in cui chiunque lo ritenga opportuno può lasciare una testimonianza del proprio sdegno: un oggetto, una foto, due righe, qualcosa di piccolo perché lo spazio basti per tutti. Ce la immaginiamo alla fine del festival invasa dai contributi di artisti, operatori, critici e spettatori. “La questione cardinale della primavera va risolta, a ogni costo”, come ricorda Majakovskij nel proclama pubblicato qui accanto. Questa tenda è per non dimenticarlo.


Santarcangelo dei Teatri


in ragione delle ripetute e sempre più gravi malversazioni messe in atto a danno del Teatro Italiano (in specie di ricerca, sperimentazione o nuovo che dir si voglia), con sistematica se pur diseguale efficacia da quando si ha memoria fino a oggi, e considerate sia le recenti decurtazioni operate con macaberrima efferatezza dalla Commissione preposta ad attribuire i denari dello Stato alle Compagnie sia la protratta mancanza di una cornice legislativa adeguata allo stato delle cose,

proclama

lo stato di calamità innaturale e invoca l’aiuto della Protezione Civile, che per tutta la durata del Festival offrirà ricetto ai malcapitati di ogni sorta in una tenda posta in Piazza Ganganelli, dove tutti gli artisti sono invitati a lasciare un segno tangibile e durevole nel tempo della loro presenza a testimonianza della vitalità di una scena che non si rassegna al silenzio. Inoltre si indice una

Giornata di Mobilitazione Nazionale
lunedì 4 luglio 2005

in cui tutti gli artisti che vorranno intervenire sfileranno in corteo per le vie cittadine – a tale proposito si raccomanda la preparazione di striscioni e di slogan da scandire durante il percorso – fino a confluire in Piazza Ganganelli, dove la manifestazione si concluderà (come da copione) con un pubblico comizio. Seguirà una festa danzante sotto il tendone del Circo Inferno Cabaret.

Concentramento: ore 18 al Circo Inferno Cabaret con volantinaggio.
Inizio corteo: ore 19.
Comizio di Paolo Rossi: ore 21 in Piazza Ganganelli.
Festa danzante: ore 23 al Circo Inferno Cabaret.

Accorrete numerosi!!!

Per quel che riguarda il pane la cosa è chiara, per quel che riguarda la pace anche.
Ma la questione cardinale della primavera va risolta, a ogni costo.
Vladimir Majakovskij


 


 

Premio Hystrio: le motivazioni e il programma della manifestazione
anche quelle per ateatro...
di Redazione Hystrio

 

PREMIO HYSTRIO alla Vocazione per giovani attori 2005
Milano, Teatro Litta, 16, 17, 18 giugno

Oltre mille i giovani aspiranti attori, diplomati e diplomandi delle scuole di teatro di tutta Italia, ma anche autodidatti e giovani provenienti da altri paesi europei, che hanno calcato il palcoscenico nelle prime sette edizioni milanesi del concorso nazionale Premio Hystrio alla Vocazione per giovani attori (ma la storia del Premio alla Vocazione è ben più “antica”, con otto edizioni, dal 1989 al 1996, a Montegrotto Terme), facendo ben sperare nella vitalità delle nuove leve del teatro italiano. Il Premio Hystrio è diventato negli anni una vetrina prestigiosa per chi vuole farsi conoscere nel mondo dello spettacolo, una scelta questa, intensamente voluta dagli organizzatori per rendere il concorso una concreta occasione per chi vorrà trasformare una vocazione in professione.

La settima edizione, dopo le due giornate di pre-selezione che si sono svolte al Teatro Libero il 26 e 27 maggio, si intensificherà con le selezioni finali riservate a giovani attori diplomati o provenienti da scuole e accademie di tutta Italia che si terranno nei giorni 16, 17 e 18 giugno al Teatro Litta di Milano. Un’intensa maratona teatrale che si concluderà, come d’abitudine, il 18 giugno con la serata-spettacolo in cui, insieme ai tre vincitori del concorso scelti dalla Giuria (uno per la sezione maschile e uno per quella femminile, più la borsa di studio di perfezionamento intitolata a Gianni Agus) verranno assegnati ad artisti e istituzioni significative della scena italiana i PREMI HYSTRIO 2005

La Giuria di questa edizione del Premio Hystrio alla Vocazione per giovani attori è composta da: Ugo Ronfani (Presidente), Liselotte Agus, Marco Bernardi (regista e direttore del Teatro Stabile di Bolzano), Ferdinando Bruni (attore, regista e condirettore di Teatridithalia di Milano), Fabrizio Caleffi, Gaetano Callegaro (direttore del Teatro Litta di Milano), Claudia Cannella (direttore responsabile di Hystrio), Monica Conti (regista), Nanni Garella (regista), Sergio Maifredi (regista e vicedirettore del Teatro della Tosse di Genova), Lamberto Puggelli (regista), Antonio Sixty (regista).


Le selezioni/audizioni del 16 e 17 giugno al Teatro Litta sono aperte al pubblico con il seguente orario: giovedì e venerdì dalle 9.30 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00, sabato 18 dalle 9.30 alle 12.00.
Le tre borse di studio per i vincitori hanno un valore di € 1.550 ciascuna.



Strano momento vive il teatro italiano. Con il fiato corto sulle scene istituzionali, preso d’assalto nei corsi universitari, brulicante di vita nella galassia di scuole, laboratori e seminari affollati di giovani che il teatro, oggi, preferiscono farlo che andarlo a vedere. Alla sua quindicesima edizione, il Premio Hystrio alla Vocazione è ormai non solo un osservatorio privilegiato delle nuove generazioni di attori, ma spesso una prima occasione concreta di verifica per chi vorrebbe fare di quest’arte un lavoro. La redazione



i PREMI HYSTRIO 2005
Milano, Teatro Litta, sabato 18 giugno ore 21

Per i PREMI HYSTRIO 2005 sono stati selezioni dalla redazione del trimestrale di cultura teatrale artisti e istituzioni dal percorso artistico e culturale già consolidato in anni di intensa attività e allo stesso tempo di sicuro interesse per il futuro del teatro italiano.

Tra le importanti novità di quest’anno si segnala l’istituzione del Premio Hystrio - Arlecchino d’Oro nato dal gemellaggio tra la rivista e il Festival Arlecchino d’Oro di Mantova (quest’anno interamente dedicato alla memoria di Umberto Artioli), in questo primo anno il premio andrà al gruppo A.T.I.R. con lo spettacolo di Serena Sinigaglia Le troiane che sarà premiato a Milano il 18 giugno al Teatro Litta e successivamente andrà in scena a Mantova sul palco di Palazzo Tè nella serata conclusiva del Festival, il 2 luglio. Continua anche la collaborazione tra Hystrio e la Provincia di Milano che da tre anni premia il lavoro di una realtà operante sul territorio.


i PREMIATI

Premio Hystrio all’interpretazione a Fabrizio Gifuni
Attore di teatro, interprete a tutto tondo particolarmente legato al teatro greco, che ama confrontarsi con altissimi risultati anche nel cinema, radio, televisione. Quest’anno lo abbiamo visto diretto da Liliana Cavani, interpretare Alcide De Gasperi nel film tv De Gasperi. L’uomo della speranza ma anche, dopo sei anni di assenza dal palcoscenico, Pier Paolo Pasolini nell’applaudito spettacolo ‘Na specie di cadavere lunghissimo diretto da Giuseppe Bertolucci per il Teatro delle Briciole di Parma. In questi giorni sta girando il nuovo film di Franco Battiato.


Premio Hystrio alla regia a Giorgio Gallione

Regista e drammaturgo, dal 1986 è anche il direttore artistico del Teatro dell’Archivolto di Genova. Collabora con scrittori come Stefano Benni, Daniel Pennac, Francesco Tullio Altan, Michele Serra e José Saramago. Tra le sue regie più recenti La Buona Novella di Fabrizio De André, L’Inventore di sogni e L’uomo dell’armadio, entrambi da Ian McEwan, Corto Maltese, opera balletto con Gioele Dix. Ha diretto Bukowski con Alessandro Haber, Un tram che si chiama desiderio di Andre Previn per il Teatro Regio di Torino, Vita, una partitura inedita di Marco Tutino per il Teatro alla Scala e I bambini sono di sinistra con Claudio Bisio. www.archivolto.it


Premio Hystrio alla drammaturgia a Davide Enia

Giovane maestro di narrazione, autore, attore e regista, Enia nasce a Palermo, dove passa l’infanzia giocando a pallone (così narra la sua biografia ufficiale). Laurea in lettere e formazione alla scrittura drammaturgica nei laboratori e seminari curati da Danio Manfredini, Corte Sconta, Rena Mirecka, Tapa Sudana e Laura Curino. Italia-Brasile 3 a 2, maggio ’43 i suoi titoli più conosciuti e premiati dalla critica. Nel 2003, vince il Premio Ubu e il Premio Pier Vittorio Tondelli (sezione under 30 del Premio Riccione) con Scanna, messo in scena l’ottobre scorso alla Biennale di Venezia.


Premio Hystrio - altre muse a www.ateatro.it
La webzine di cultura dello spettacolo dal vivo curata da Oliviero Ponte di Pino in collaborazione con Anna Maria Monteverdi, è ormai diventata un punto di riferimento per il teatro italiano. Fondata all’inizio del 2000, in quattro anni ha pubblicato – grazie a una fitta rete di collaboratori – oltre 1000 tra saggi, interviste, recensioni, notizie, inchieste, testimonianze di artisti. Indipendente e gratuito, colto e provocatorio, militante e sperimentale, ateatro ha raccolto una parte della sua produzione nel volume Il meglio di ateatro 2000-2003, pubblicato da il principe costante Edizioni.


Premio Hystrio - Provincia di Milano all’Associazione OLINDA ONLUS

Anima del Festival Da vicino nessuno è normale che si tiene ogni anno all’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano. Luogo che grazie a loro da simbolo di esclusione è diventato una piazza pubblica di socialità e cultura intesa anche come rigenerazione umana del territorio. Le iniziative culturali sono parte integrante dei progetti promossi da Olinda, strumento per comunicare alla città il cambiamento avvenuto all’interno dell’ ex ospedale psichiatrico. www.olinda.org


Premio Hystrio – Arlecchino d’Oro al Gruppo ATIR

Produzione, realizzazione e distribuzione, non c’è fase dell’evento teatrale che il gruppo non autoproduca. Fondato nel 1996 da un nucleo di giovani artisti l’A.T.I.R. non perde occasione per fare ricerca teatrale nel modo più autentico e indipendente. Il direttore artistico/anima del gruppo, Serena Sinigaglia, ha firmato anche la regia de Le troiane, lo spettacolo scelto da Hystrio in collaborazione con il Festival Arlecchino d’Oro di Mantova. Un’attualizzazione perfettamente filologica e ben distillata dell’intenso testo euripideo, cui vengono affiancati degli a-parte dall’Iliade. Ottima prova collettiva con sedici attori sempre in scena, nata da una lunga e depositata confidenza con il testo e da interessanti incursioni nei più diversi mezzi espressivi. www.atirteatro.it


Durante gli anni hanno vinto il PREMIO HYSTRIO i nomi più importanti del teatro italiano, protagonisti eccellenti della scena teatrale italiana capaci di emozionare il pubblico in ogni occasione, tra gli altri: Maddalena Crippa, Nanni Garella, Kim Rossi Stuart, Marco Martinelli, Cristina Pezzoli, Alessandro Gassman, Gian Marco Tognazzi, Monica Conti, Laura Curino, Tony Servillo, Lucilla Morlacchi, Maria Laura Baccarini, Ascanio Celestini.

Anche quest’anno i vincitori riceveranno i Premi durante la serata conclusiva di sabato 18 giugno, ingresso libero con inizio alle 21.00 al Teatro Litta di Milano.
Condurrà la serata l’attrice Paola Bigatto.

Seguirà una degustazione di Franciacorta Antica Fratta offerta dall’azienda Meregalli e rinfresco.

Per ulteriori informazioni
Hystrio, via Olona 17, 20123 Milano, tel. 02.400.73.256 - fax 02.45.40.94.83
e-mail: hystrio@fastwebnet.it - www.hystrio.it


 



Appuntamento al prossimo numero.
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