Satira politica bis

dopo Luttazzi, Benigni e Fo (e l'illuminato parere di Scalfari)

Pubblicato il 13/05/2001 / di / ateatro n. 010

Ma la campagna elettorale della sinistra l’hanno fatta i comici? In effetti, visto che il candidato del Polo delle Libertà si è sempre negato al confronto con l’avversario, i momenti più alti e illuminanti della campagna elettorale sono venuti dai comici: del resto era forse l’unica possibilità per far concorrenza all’avanspettacolo elettorale del Cavaliere. A futura memoria, dopo Luttazzi (vedi ateatro8), ecco Benigni e Fo. A seguire il parere di Scalfari, nel corsivo pubblicato su “Repubblica” proprio nell’election day.
Benigni da Enzo Biagi, Raiuno, giovedì 9 maggio 2001
Chi è Berlusconi. «Non voglio parlare di politica, sono qui per parlare di Berlusconi. E’ uno che gli piace stare sempre in mezzo, essere protagonista. C’è un comizio? Parla lui. A un matrimonio vuol essere lo sposo. A un funerale vuol essere il morto».
Chi è D’Alema. «Un Parlamento senza D’Alema sarebbe come il Duomo di Milano senza la Madonnina. Come la pizza senza la mozzarella. Se non vince a Gallipoli D’Alema, è come se Giovanni Paolo II perde nel collegio del Vaticano».
Chi è Rutelli. «E’ così bello… Capisco che un faccia a faccia con lui metta Berlusconi in difficoltà. E’ come se invitassero me a fare un pisello a pisello con Bossi. Però sarebbe un bel gesto vedere i due contendenti che si danno la mano davanti a tutto il popolo italiano. Questa, signor Biagi, non è una cosa che ci possono levare. E’ la democrazia. Ma io non voglio dare indicazioni di voto, eh? Per carità. Mi voglio mantenere veramente equidistante. Berlusconi non mi piace, Rutelli sì».
Il Cavaliere firma il contratto con gli italiani a Porta a porta. «Quello ormai è un cult. Quella cassetta l’ho registrata e l’ho messa fra Totò e Peppino e Walter Chiari e il Sarchiapone. Uno sketch eccezionale».
Conflitto d’interessi. «In du’ parole: è come se io, lei e un altro abbiamo tre aziende, una di pasta, una di ciliegie, una di caffè. Dice: devi levare le tasse a una di queste tre. Io sono il proprietario di quella delle ciliegie, a chi le levo? A quella delle ciliegie. Gli altri due come minimo mi danno uno scappellotto in testa. Invece no. Questo è il conflitto d’interessi. Dice: ma che sarà, mica una cosa che riguarda i problemi della gente. E invece no. Perché il conflitto di interessi è una delle basi della democrazia. Se viene a mancare una regola così alta, dopo non c’è più niente».
Il libro del Cavaliere. «C’è tutta la su’ vita: ha cominciato dal nulla, ha fatto tutto con la sua intelligenza, quindi ha cominciato proprio da zero. Ha costruito un sacco di cose: gli elicotteri, le ville. Ha cinque o sei figli, ha avuto una decina di mogli, di cui due sue. Ci manda a casa questo libro per farci vedere questa bellezza».
(da “la Repubblica”, 11 maggio 2001)
Fo al Palalido di Milano, 10 maggio 2001
«Da italiano mi sento offeso. Sì, per via di questi stranieri che disprezzano Berlusconi, quei giornali, come si chiamano? L’Economist, Le Monde, El Mundo e poi gli altri, perfino i giornali cinesi, che scrivono dei suoi legami con la mafia, delle società nei paradisi fiscali per non pagar le tasse». E giù l’elenco: uno a uno, dalla P2 al conflitto di interessi, gli scandali, presunti o certificati, legati al Cavaliere. Tutte buone ragioni, garantisce il Nobel, per non votarlo. Parte così, il nuovo spettacolo di Dario Fo e Fanca Rame, Il Grande bugiardo, un caustico ritratto di Berlusconi, «nella chiave della bugia e della spudoratezza» annuncia dal palco il Nobel.
Lo spettacolo ha debuttato ieri sera, a spizzichi e bocconi, tra un concerto di Gaetano Liguori e uno degli Stormy Six, tra una raccolta di firme e un appello, tra stand di commercio equo e solidale e prodotti etnici, nella festa al Palalido di «Miracolo a Milano», la lista di Franca Rame a sostegno di Sandro Antoniazzi, candidato ulivista a sindaco di Milano. Uno spettacolo sullo stile di quelli di una volta alla Palazzina Liberty, stile agitprop, tra cronaca, paradosso, realtà e grottesco, che elenca «tutte le balle di Berlusconi».
«È che le sa raccontare – dice Fo al pubblico – perché conosce i trucchi del piazzista. Guardate questi mesi: ha giurato sui figli, ha fatto il contratto con gli italiani, dice di essere operaio e imprenditore, agricoltore e commerciante. Si presenta come politico responsabile ma intanto assicura che cancellerà le tasse. Tutto e il contrario di tutto. Proprio come i batteleur di Parigi lungo la Senna. Balle, tutte balle. Prendiamo le tasse: le cancelleremo, dice. E se uno gli ricorda che nel suo progetto quelli che ne pagano poche continueranno a pagarle e quelli che ne pagano tante ne pagheranno meno, lui risponde: noi siamo per l’uguaglianza».
E più avanti: «Un altro scandalo: il conflitto d’interesse. Quattro anni fa aveva delegato di risolverlo a tre saggi. E non se n’è fatto niente. Ora un giorno promette che vende tutto. Il giorno dopo viene fuori che venderanno i figli. Il giorno dopo ancora i figli dicono che non hanno alcuna intenzione di disfarsi delle tv. E allora lui lamenta: ‘credete che sia facile vendere la Fininvest?’. È dell’altro giorno l’ultima: io non vendo più niente, ha detto il Cavaliere».
(Anna Bandettini, “la Repubblica”, 10 maggio 2001)
Eugenio Scalfari sulla satira politica
Roberto Benigni ha detto a Biagi: non voglio parlare di politica, parlerò soltanto di Berlusconi. Quando Biagi gli ha chiesto un giudizio sugli altri comprimari Benigni ha risposto da quel grandissimo comico che è con un’irrefrenabile risata. Che altro c’era da dire? Ma su Berlusconi ha detto tutto in meno di cinque minuti.
L’ha dipinto con una completezza e un acume psicologico stupefacenti. I suoi lazzi e i suoi paradossi l’hanno distrutto dal punto di vista dello spettacolo. L’aveva già fatto nel ’95-96, ma ora Benigni ha superato se stesso per lo stile, l’indagine psicologica e la forza della risata.
Qualcuno dei giornalisti sussiegosi che abbiamo ascoltato negli interventi dei giorni scorsi ha lamentato che il dibattito politico sia stato abbandonato nelle mani dei comici. Abbandonato? Questa critica è un raro esempio di ristrettezza mentale. Per distruggere un mito o meglio un feticcio c’è solo la “vis” comica. Non voglio togliere nulla a Rutelli a D’Alema ad Amato ma il vero contraddittore di Berlusconi, quello che gli ha rubato la scena sull’ultima curva è stato Roberto Benigni; un uomo di spettacolo e di comunicazione è stato battuto sull’ultimo miglio da un uomo di spettacolo e di comunicazione di gran lunga superiore. L’autore de La vita è bella aveva dalla sua l’immensa forza della verità, della risata e del sentimento morale.
Bastava cambiar canale e intercettare l’infinito sermone di Berlusconi sui suoi “cinque pilastri” e il melenso elenco di quante cose farà per tutti noi, giovani e vecchi, uomini e donne, imprenditori e lavoratori, ricchi e poveri, contadini e operai; bastava rivedere la scena del famoso contratto firmato sotto gli occhi solleciti e ammirati di Bruno Vespa e poi ritornare su Benigni e sulla sua risata per capire con certezza assoluta dove stesse la verità.
Ricordate la scena del pernacchio di quel grandissimo attore e comico che fu Eduardo De Filippo? Il pernacchio col quale si distruggeva l’uomo potente del Rione Sanità; e poi c’è qualche testina d’uovo che si lamenta dell’indebita concorrenza dei comici.
Rileggetevi le parole di Amleto su Yorik, il buffone di corte che l’aveva allevato: spero che farete ammenda delle vostre bolse scempiaggini.
(la Repubblica”, 13 maggio 2001)

AA._VV.




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