L’editoriale

Una questione di spazi

Pubblicato il 06/10/2002 / di / ateatro n. 043

Secondo un censimento del 1871, in Italia c’’erano 940 teatri in 699 città. Nel 1907 una guida specializzata segnalava oltre 3000 spazi teatrali nella penisola. All’’inizio degli anni Novanta, dopo l’’avvento del cinema e della televisione, si contavano in tutto 840 spazi teatrali e musicali in attività.
In teoria esiste dunque nel nostro paese un enorme patrimonio inutilizzato di spazi destinati allo spettacolo, profondamente innestati nel tessuto urbano di città e cittadine. Alcune regioni hanno realizzato un censimento di spazi per lo spettacolo in uso o dismessi: è accaduto per esempio Toscana o in Emilia Romagna, dove l’Istituto Beni Culturali della regione ha censito una novantina di “teatri storici”.
Alcuni mesi fa l’Agis, in collaborazione con la Fondazione Teatro Massimo, ha completato un’indagine a livello nazionale: ha individuato 361 teatri chiusi o inagibili, in grandissima parte di proprietà pubblica; circa il 50% sono edifici di indiscutibile interesse storico. Nell’elenco figurano anche edifici progettati, costruiti e completati, ma mai inaugurati. In alcuni casi, le difficoltà sono state determinate dalle nuove normative sulla sicurezza. La riapertura di questi teatri è stata oggetto di una interrogazione parlamentare dell’onorevole Gabriella Pistone dei Comunisti italiani.
A Milano, è da anni al centro delle cronache lo scandaloso caso del Teatro Gerolamo, un piccolo gioiello chiuso da una ventina d’anni. Di recente si è deciso di ristrutturare e di recuperare all’attività teatrale un certo numero di questi antichi edifici – almeno di quelli che non sono stati irrimediabilmente trasformati in supermercati, garage, filiali bancarie o depositi di oggetti smarriti. In alcuni casi la ristrutturazione è stata addirittura portata a termine e il teatro ha ricominciato a vivere.
Perché il problema non riguarda solo il recupero delle strutture dal punto di vista architettonico. Il vero nodo è la funzione cui devono essere destinati questi spazi – una decisione che ha ovviamente un peso determinante nelle scelte da operare nel corso della ristrutturazione e che dipende da scelte politiche e culturali. Una sala recuperata ritorna a essere il salotto buono della città, e offre un’occasione per ritrovare la continuità storica. Ma una volta riaperta, a quale tipo di spettacolo (e in genere di attività) dev’essere destinata? Come farla diventare un vero teatro, un teatro vivo?
Quello che presentiamo qui di seguito, grazie al reportage di Roberta Mannelli, è un caso per certi versi tipico e molto italiano: la storia e il destino del Teatro Rossi di Pisa. La vicenda offre numerosi spunti di riflessione, anche nelle sue miserie politico-burocratiche. Ma potrebbe aprire anche nuove prospettive: per molto del nuovo teatro il nodo principale, oggi, sono le strettoie della distribuzione, l’impossibilità di garantire una adeguata circolazione agli spettacoli.
Accanto a questo caso esemplare, ateatro43 offre le anticipazioni di due volumi che stanno per arrivare in libreria: il primo è l’indagine a cura di Tiziano Fratus Lo spazio aperto. Il teatro ad uso delle giovani generazioni, di cui si può leggere la prefazione; il secondo è la terza e ultima parte del saggio che Francesca Lamioni ha dedicato al teatro yoruba, e che accompagna il testo del Premio Nobel Wole Soyinka Le Baccanti di Euripide: un rito di comunione, curato e tradotto dalla medesima Francesca Lamioni per l’Editrice Zona.
Infine, per la sempre più smagliante sezione tnm, Anna Maria Monteverdi se n’è andata a Parigi per raccontarci tutto (ma proprio tutto) sul mega-festival delle arti digitali alla Villette.

Redazione_ateatro




Tag: editoriale (47), spazi (28)


Scrivi un commento