Marionette milanesi

La storia della compagnia

Pubblicato il 14/12/2002 / di / ateatro n. 045

Il XVIII secolo, al suo declinare, già aveva consacrato il successo e la fortuna delle marionette in Milano. E non soltanto per le antiche maschere della Commedia dell’Arte ma, soprattutto, per un nuovo curioso personaggio particolarmente gradito al pubblico milanese: Gerolamo della Crina. Le incerte notizie sulla sua nascita, in parte reali ed in parti fantastiche come per tutti i personaggi divenuti un mito, lo vogliono originario di di un paese dell’Astigiano, Caglianetto, verso la prima metà del Seicento, e intrattenitore di un vasto pubblico sulle piazze delle piccole città e dei villaggi. Nel Settecento è protagonista assoluto degli spettacoli del marionettista Sales a cui causò non pochi guai per l’omonimia con alcuni personaggi in carne ed ossa che vantavano nobili prosapie e parentele illustri. A Genova, infatti, il Sales fu invitato a lasciare la città poiché non era gradito al Doge Gerolamo Durazzo che una marionetta, sempre pronta a lanciare strali ai potenti e a strizzare l’occhio al pubblico sulle umane vicende, portasse il suo stesso nome.
Trasferitosi a Torino, il marionettista e la sua celebre marionetta trovarono un’accoglienza altrettanto ostile; in un’epoca di dominazione francese non era gradito che in Borgo Doragrossa il pubblico si affollasse allegramente per assistere al dramma semi-serio dal titolo inequivocabile Artabano tiranno universale, con Gerolamo suo fido scudiero. La chiara allusione a Napoleone Bonaparte, futuro imperatore, e al fratello Giuseppe, offrì il destro ai funzionari della Polizia per espellere marionette e marionettisti.
La città di Milano, al contrario, accolse con calorosa cordialità questo buffo personaggio di legno che vestiva una livrea di taglio settecentesco color rosso scuro profilata di rosso chiaro, con cravatta bianca annodata, a metà fra il fazzoletto da collo di uso campestre ed una trascurata galla alla Vallière, calzava calze rosse e scarpe con grossa fibbia, portava in capo un cappello a lucerna di chiara moda illuminista e parlava una lingua che ricordava agli spettatori milanesi una terra libera ed indipendente: il Piemonte. Si muoveva e si dimenava in palcoscenico, portava le mani sui fianchi girando la testa ora verso i suoi interlocutori ora verso il pubblico e tracannava sulla scena un quintino di buon vino che un piccolo serbatoio occultato nella cavità superiore del corpo restituiva, una volta calata la tela
Chi dava vita al personaggio era questa volta il marionettista Giuseppe Fiando il quale presentò i suoi spettacoli dapprima in un locale situato in Piazza del Duomo presso l’Albergo del Dazio Grande e poi in uno stabile della Piazza dei Tribunali, l’odierna zona di Via Mercanti.
Un dipinto di Angelo Inganni, raffigurante la piazza del Duomo di Milano sul lato della Loggia dei Mercanti, mostra la “plancia” (così, anticamente, venivano chiamate le locandine illustrate degli spettacoli marionettistici, divise in “quarti” che presentavano i momenti salienti dell’azione scenica) recante l’avviso di uno spettacolo del Teatro Fiando detto Gerolamo, tratto da un fatto di cronaca nera accaduto in Olanda: La Luna del 13 marzo con Gerolamo avvocato difensore.
L’abilità del Fiando e la ricchezza dei suoi spettacoli riscossero, col passare degli anni, grande successo e conclamata fama al punto che con un decreto del 24 marzo 1807 gli venne concesso l’Oratorio del Bellarmino sito in Piazza Cesare Beccaria dove oggi sorge il monumento dell’illustre statista a cui i milanesi intitolarono la piazza.
Il locale fu trasformato in sala teatrale dal Canonica, allievo del Piermarini e la facciata affidata al Tazzini. Va detto che nella città di Milano molti erano i teatri di marionette e tutti assai frequentati come il Lentasio, il Sant’Antonio, il Santa Redegonda ed i marionettisti che vi agivano o vi avevano agito erano assai illustri come il Re, il Nardi che presentava il personaggio di Gianduja, ed il Macchi. Ma il repertorio di Giuseppe Fiando seppe resistere a tanta concorrenza (ivi compreso un teatro meccanico a Porta Orientale) anche per la puntuale insistenza con cui inoltrava richiesta alle autorità cittadine per ospitare nel suo locale anche spettacoli di genere vario. Il repertorio marionettistico era comunque di grande richiamo non soltanto per la varietà ma, soprattutto, per la costante attenzione del nostro marionettista agli spettacoli che trionfavano sui palcoscenici della città: i drammi e le tragedie presentati dagli attori in carne ed ossa (basti pensare al Temistocle di Metastasio o ad Alvaros mano di sangue, cavallo di battaglia del celebre Bon), i grandi balli a firma dei celebri coreografi e danzatori del Teatro alla Scala come Prometeo o Il noce di Benevento, le fiabe di Carlo Gozzi Il mostro turchino e La regina serpente, le riduzioni dei grandi romanzi come Robinson Crusoè, le numerose commedie interpretate dalle maschere della Commedia dell’Arte e i grandi melodrammi con orchestrina (Giovanni Ricordi suonava il violino al Gerolamo) e cantanti dal vivo. Nella seconda metà del secolo il Consiglio Comunale decise il destino di Fiando e del suo teatro: l’abbattimento delle costruzioni Fiando, Daverio, Mevola, Carretti.
Ma soltanto dopo due anni sulla Piazza del Palazzo di Giustizia fu costruito un nuovo teatro per le marionette: disegno di Paolo Ambrosini Spinella, costruttori Rivolta e Pellini, i due capimastri che curavano l’edificazione della Galleria Vittorio Emanuele su progetto del Mengoni. Il nuovo edificio è definito da un cronista dell’epoca elegantissimo per le colonnine, le travature in ferro, le decorazioni in stucco dorato e l’ornato a fiori della volta. A due anni dall’inaugurazione esordisce nella sala del Gerolamo anche il teatro dialettale che, per qualche tempo, si alternerà agli spettacoli di marionette sino al 1871, quando queste ultime la faranno da padrone in uno spazio costruito a loro misura e dimensione. Solo sporadicamente le Compagnia dialettali rientreranno al Gerolamo. La Compagnia Fiando diretta dalla vedova del celebre marionettista, presenta una nutrita programmazione alternando la ripresa di spettacoli di grande successo a nuove produzioni. Di particolare interesse, in questi anni, le riviste teatrali, importate da Parigi, che vedono Gerolamo e Meneghino protagonisti di eventi contemporanei. Di particolare interesse le riviste del 1897 e del 1898; quest’ultima, nel quadro finale, presentava i protagonisti del Risorgimento intenti al gioco delle carte disturbati dal Pedreterno intenzionato ad inviare sulla terra qualcuno che portasse un poco di scompiglio.
Dopo un decennio la famiglia Fiando abbandona il Teatro che, da quel momento affidato ad un impresario, ospiterà le più celebri formazioni marionettistiche del momento: la Compagnia Zane, che tornerà nella sala-bomboniera di Piazza Beccaria a più riprese, con grande successo sino al trionfo dovuto alla messainscena del ballo Excelsior; la Compagnia di Antonio Colla (il maggiore dei figli del capostipite Giuseppe) che, in diverse stagioni, presentava spettacoli come Guarany e Dogali, obbligando le autorità ad intervenire per timore di rinnovate agitazioni popolari contro la politica coloniale; e la Compagnia Gorno dell’Acqua.
Nel 1906 l’impresario Gittardi che dirigeva il Gerolamo, piuttosto malcontento per le ultime esperienze vissute con le compagnie marionettistiche, aveva deciso di non ospitare più attori di legno. Ma recatosi a Vigevano ad assistere a Pietro Micca, spettacolo della Compagnia Carlo Colla e Figli, scritturò quei marionettisti per quella ed altre stagioni. Così la Compagnia Carlo Colla e Figli fece il suo ingresso al Teatro Gerolamo di Milano, dove rimarrà sino al 1957, assumendo dal 1911 in poi anche la gestione della sala di Piazza Beccaria. Ma per conoscere la storia dei Colla occorre camminare a ritroso per quasi un secolo.
A qualche passo dal Duomo, fra la Corsia dei Servi e la Piazza Beccaria, sorgeva il vicolo San Martino. Qui, fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, esisteva il palazzo di Giovanbattista Colla, un ricco commerciante proprietario di una rivendita di legna, carbone e foraggi (“sostra” era il nome che veniva dato a questi edifici), fornitore prima dell’Imperial Esercito Austriaco e poi delle Armate degli invasori Francesi.
Nel 1805 egli battezzò nella chiesa di Santa Maria alla Corsia dei Servi, oggi San Carlo, il figlio Carlo Gaspare Gioachino, detto Giuseppe, “Compadre il Signor D. Gioachino Valcharzer Cordoba figlio del fu D. Pietro della Parrocchia di San Sepolcro”, come attesta il certificato di battesimo ritrovato nell’archivio parrocchiale a firma del Curato Borroni.
Il nome altisonante del padrino sottolinea le amicizie di buon tono, le stesse che, con molta probabilità, affollavano le sale di casa Colla e assistevano agli spettacoli di marionette che vi si tenevano per diporto. Il Colla, infatti, secondo l’uso del tempo, aveva adibito una delle sale del palazzo per darvi spettacolo facendo costruire un teatro di marionette dotato di scenografie e di personaggi alti, all’incirca, quaranta centimetri.
Lo spettacolo delle marionette nel teatrino di casa era una moda che accomunava le famiglie aristocratiche e quelle della borghesia, come attesta Goethe il cui Guglielmo Maister, fanciullo, assiste in casa della nonna paterna, nell’incantata atmosfera natalizia, allo spettacolo di Davide contro il gigante Golia. Carlo Goldoni adolescente, nelle delizie di Wipack, ospite dei Conti Lantieri, si esibisce in qualità di marionettista usando un teatrino dalle ricche decorazioni con mutamenti di sontuose scenografie, rappresentando Lo sternuto d’Ercole su versi di Martelli e musica di Hasse. I preziosi materiali teatrali di Casa Borromeo all’Isola Madre, costruiti da rinomati ed illustri artisti, sono un raro quanto ricco documento di tale consuetudine.
Certamente nessuno della famiglia Colla avrebbe mai immaginato che lo svago privato potesse dare origine ad una formazione marionettistica vera e propria. Fu infatti un rovescio di fortuna dovuto ai tempi assai burrascosi, agli improvvisi mutamenti di padrone, che costrinse la famiglia Colla a dover abbandonare Milano e a cercare rifugio altrove.
Non si hanno notizie di quel che sia avvenuto negli anni che seguirono immediatamente le epurazioni avvenute dopo il Congresso di Vienna per chi aveva avuto rapporti con i francesi, né delle peregrinazioni a cui fu costretta la famiglia dopo aver lasciato il capoluogo lombardo. Soltanto dal 6 marzo 1835, mentre la Compagnia teneva spettacoli nella “piazza” di Borgo Vercelli, furono annotati su di un libro mastro gli spostamenti della formazione nei vari paesi e cittadine del Piemonte, le opere rappresentate, gli incassi e le spese sostenute. E’ questa la data con cui ufficialmente si indica l’inizio dell’attività professionale della famiglia Colla, guidata da Giuseppe Colla ormai trentenne.
E’ curioso notare come il repertorio di questo periodo abbia pochissimo in comune con quello delle altre compagnie. Le titolazioni di spettacoli come Le prigioni di Lambergher, La venuta dell’Anticristo, Il creditor burlato, Il sagrifizio delle Vergini, Li equivoci in confusione non trovano riscontro presso altre formazioni marionettistiche. Possiamo pensare che esistesse una produzione propria o che i Colla attingessero a fonti totalmente estranee al pubblico delle grandi città ma più vicine alla tradizione del popolo ed ispirate ad un concetto di teatro molto più genuino ed immediato. Tale ipotesi è confermata ampiamente dal protagonista degli spettacoli, la maschera Famiola, sconosciuta alle compagnie marionettistiche che in quegli anni e nei seguenti, almeno sino al 1861, diedero spettacoli nelle diverse regioni dell’Italia settentrionale.
Famiola era il nome derivato dalla traduzione dell’espressione piemontese “J l’ai fam” (ho fame), che il singolare personaggio pronunciava nascendo da un enorme uovo che campeggiava al centro della scena; gioco scenico comune ai personaggi nati dalla fantasia popolare poiché già nel luglio 1806, a Milano, il Fiando aveva rappresentato la commedia “Il povero superbo ed il ricco ignorante con Gerolamo nato dall’uovo”. Un secolo più tardi, e precisamente nell’aprile 1908, il burattinaio Campogalliani presentava al pubblico milanese lo spettacolo “Fasolino che nasce e muore dall’uovo”.
Famiola indossava pantaloni, gilet e giacca di panno rosso bordati di bianco, calze a righe bianche e rosse, scarpe nere con fibbia settecentesca, parrucca nera con codino rialzato stretto da un nastro rosso, uno zucchettino rosso sul capo e al collo una vistosa cravatta verde a farfalla, insieme di colori che non doveva passare inosservato in territorio piemontese!
In quegli anni in cui la storia d’Italia, e, in particolare, del Piemonte, si preparava ad eventi importanti, l’attività continuò con ugual ritmo rispettando gli stessi itinerari nella scelta delle “piazze” che, sprovviste di un teatro vero e proprio, senza possibilità quindi di ospitare attori e cantanti in carne ed ossa, cominciarono ad accogliere con particolare simpatia le compagnie marionettistiche di passaggio (e questa dei Colla in particolare), ad entusiasmarsi alle peripezie di Famiola, finto buffone sordomuto per aiutare un padrone perseguitato ingiustamente o ingenuo interlocutore di un Sultano iroso, nel tentativo di ricongiungere amanti separati da ineluttabile destino.

All’interesse per le commedie di repertorio, che precedevano balli a sfondo storico come L’incendio di Mosca o a sfondo mitologico quali Plutone e Minerva, si aggiunse il fervore commosso dei tempi nuovi quando la Compagnia Colla si presentò con lo spettacolo La battaglia di Palestro.
Era accaduto che Giuseppe Colla, alla fine del maggio 1859, si fosse trovato nel bel mezzo della battaglia di Palestro e avesse di lontano assistito allo scontro fra piemontesi ed austriaci operando validamente con la popolazione. E naturalmente il pubblico accolse trionfalmente lo spettacolo che mostrava avvenimenti di cui era giunta soltanto un’eco confusa.
Nel 1861, con la morte del fondatore avvenuta il 21 maggio a Soresina, la struttura della Compagnia mutò, poiché i figli Antonio, Carlo e Giovanni, unici sopravvissuti della numerosa figliolanza, decisero di dividersi l’edificio teatrale (così si chiama, in gergo marionettistico, il patrimonio costituito da marionette, teste di ricambio, costumi, scenari, copioni e materiale di attrezzeria) e diedero vita a tre diverse compagnie. Antonio, dopo un sodalizio con il marionettista Croce, morì senza eredi; Carlo diede vita alla formazione Carlo Colla e Figli di cui ci occupiamo; da Giovanni discese la Compagnia “Giacomo Colla e famiglia”, oggi nota come “Le marionette di Gianni e Cosetta Colla”.
Carlo Colla prese ad annotare la storia della sua Compagnia a Broni il 22 agosto del 1863.
I piccoli paesi e le borgate scomparvero quasi del tutto per lasciar posto, nell’itinerario della Compagnia, alle grandi città e ai centri più importanti, indizio preciso di un’attività professionale che andava migliorando qualitativamente sino al punto di essere in grado di soddisfare un pubblico sempre più esigente. Gli spostamenti diventarono meno frequenti poiché la Compagnia sostava per circa tre mesi in ogni piazza; si arrivò, persino, ad un massimo di sette località in un anno e tutte comprese fra il territorio piemontese e quello dell’Oltrepò Pavese, zona in cui i Colla erano già simpaticamente noti.
Ed arriviamo al 1889, anno in cui una grave malattia alla gola colpì Carlo Colla costringendolo a ridurre notevolmente in un primo tempo, e poi del tutto, il suo lavoro di direttore della Compagnia e ad abbandonare per sempre l’interpretazione della maschera di Famiola.
Il sedicenne Carlo jr., maggiore dei figli maschi, si trovò improvvisamente a sostituire il padre negli impegni e nelle scadenze relative all’attività marionettistica. Necessariamente gli anni che seguirono furono dedicati a conseguire la praticaccia nel combinare affari, nel coordinare gli spostamenti della Compagnia con le esigenze di montaggio e smontaggio dell’attrezzatura scenica, nel trattare con gli impresari teatrali non sempre ben disposti verso un giovanissimo alle prime armi.
Il giovane Carlo, nell’intraprendere la sua carriera di teatrante, aveva seguito con profonda ammirazione i successi dello zio Antonio, notando la tecnica raffinata del maneggio, la preziosità e l’eleganza degli allestimenti scenici, elementi teatrali che gli avevano aperto la strada verso un pubblico raffinato ed esigente come quello del Teatro Gerolamo di Milano. In lui cominciò a farsi luce l’idea che esistesse la possibilità di realizzare spettacoli eccezionali attraverso un lavoro serio, prima in sede di studio e poi in fase di allestimento; soprattutto comprese che sarebbe nata una grande compagnia se egli fosse riuscito a infondere nei fratelli l’idea di una creazione che scaturisse da diverse competenze fra loro coordinate.
E la prima fu proprio il ballo Excelsior che nacque, durante un periodo di licenza dal servizio militare, a Caluso nel 1895 con il titolo di Civiltà e Progresso; naturalmente gli allestimenti dei grandi teatri, con attori in carne ed ossa, cioè, e dei complessi marionettistici che avevano agito nella capitale lombarda (ne va dimenticata l’ammirazione per lo zio Antonio) dovettero influenzare notevolmente l’inventiva del giovane capocomico ma, altrettanto naturalmente, il senso della scena, l’immediatezza del rapporto fra il teatro, specie quello delle marionette, ed il pubblico, trovarono il loro giusto rilievo non solamente in ciò che il libretto descrittivo del Cav. Manzotti esigeva ma nella rigorosa comprensione degli elementi storici che quella sfavillante allegoria, specchio di un’epoca e delle sue illusioni, richiedeva dalla magica ironia delle teste di legno. Le scenografie del Mens e del Bellio, gli effetti di luce, gli splendidi costumi, i numerosi giochi scenici e le graziose movenze dei 215 personaggi che vi agivano furono espressione di una abilità marionettistica che stava diventando sempre più evidente.
Carlo ritornò definitivamente alla direzione della Compagnia sul finire del 1896, riprese l’interpretazione della maschera e la direzione della Compagnia in cui era stato sostituito, per tutta la durata della ferma militare, dal fratello Giovanni.
Gli anni seguenti vedono l’allestimento e la messainscena di spettacoli ispirati ai grandi temi che permettevano a tutte le forme spettacolari di grande presa sul pubblico di trionfare.
Una impronta particolare fu data anche al modo di concepire la recitazione che tutti i marionettisti dell’epoca mantenevano generalmente su toni assai caricati, ampollosi e roboanti: Carlo preferì una tecnica più legata allo straniamento e mantenuta su tonalità particolari che potessero sostituire la mimica facciale di cui i piccoli personaggi di legno non potevano servirsi per esprimere sentimenti e moti dell’animo, e divenire realtà esteriore di un’anima che la caratterizzazione del volto della marionetta già presagiva nella sua immobilità. Il sodalizio fra i quattro fratelli divenne importante per il gusto con cui si dedicarono alle diverse interpretazioni dei personaggi e alla sorprendente abilità con cui riuscivano a variare il timbro delle voci passando dal registro baritonale a quello tenorile, al falsetto e alla caricatura.
Il successo fu immediato e gli spostamenti della Compagnia incominciarono a comprendere anche grosse città fra cui Parma, dove i Colla approdarono nel 1899 al Teatro San Giovanni con la nuova produzione Da Port Arthur a Tokio cui seguì, l’anno dopo, La Serenata di Pierrot. Qui gli spettacoli dovettero soddisfare un palato piuttosto difficile (basti pensare ad alcune calde serate al Regio!) dei Parmensi i quali accolsero per sei anni consecutivi i Colla, divenuti estremamente popolari, con stagioni teatrali della durata di circa otto mesi.
Nel 1906, proprio a Parma, accaddero due avvenimenti di notevole importanza nella storia dei Colla: la morte del vecchio Carlo, sopravvissuto per parecchi anni alla sua forzata rinuncia al capocomicato, e la realizzazione dello spettacolo Pietro Micca, che rappresentò l’occasione per raggiungere il Gerolamo di Milano.
E al Gerolamo la Compagnia ritornerà nella stagione teatrale seguente, e poi ancora e ancora sino al 1911, anno in cui i Colla diventeranno Teatro stabile delle marionette (l’unico in Milano, dopo il Teatro alla Scala!) assumendo anche la gestione della sala. Al personaggio di Famiola viene sostituito quello del più celebre Gerolamo a cui il teatro era intitolato da più di un secolo.
Dal 1911 sino al secondo conflitto mondiale al Gerolamo il sipario si alza alle 20,45 di tutti i giorni, escluso il venerdì, con doppio spettacolo al giovedì e alla domenica e nei giorni festivi. Ed è un rito per i milanesi accorrervi a Natale, a S. Stefano, a Capodanno, nel giorno dell’Epifania e a Carnevale.
Insieme al pubblico di sempre, negli anni, assistono agli spettacoli della Carlo Colla e Figli spettatori illustri del mondo dell’arte e della cultura come Gordon Craig, Stravinsky, Simone Weil, Luchino Visconti, Erminio Macario, Paolo Poli, Lila De Nobili, Filippo Crivelli, Giancarlo Menotti, a testimoniare con il loro interesse ed i loro scritti come il teatro delle marionette, con la sua popolarità, fosse momento indimenticabile per contenuti e per emozioni, ma soprattutto per la grande sapienza nel fare spettacolo.
Con la “crescita” della Compagnia anche il repertorio si misura con una città come Milano: le marionette interpretano melodrammi, fiabe, balletti, i classici della letteratura, riviste, operette, farse, poemi epici e cavallereschi; non vi è genere che resista alla fascinazione con cui gli attori di legno e gli attanti recitano sul palcoscenico.
Per esse mostrano un particolare interesse le grandi ed importanti ditte che chiedono il loro nome sul siparietto pubblicitario che cala ad ogni intervallo e sui programmi di sala. Negli anni Trenta viene addirittura allestito uno spettacolo a sfondo pubblicitario per una importante ditta farmaceutica e negli anni Cinquanta, durante gli intervalli dello spettacolo, sono rappresentati veri e propri spot pubblicitari con marionette, scene e costumi appositamente disegnati e costruiti.
Persino il cinema sceglie queste marionette e questi marionettisti in più occasioni: nel 1916 con Il sogno folle, nel 1935 con I quattro moschettieri di Nizza e Morbelli, tratto dalla rivista radiofonica che spopolava all’epoca, nel 1946 con Cristoforo Colombo, Il gatto dagli stivali, Cenerentola e L’orfanella delle stelle interpretato da Gandusio e dagli stessi Colla.
Un grande della musica, Manuel De Falla, per la prima mondiale del suo Retablo a Venezia, nel 1932, vuole i Colla di Milano per animare i personaggi creati da Otto Morach.
Nel 1952 Carlo II, causa il suo stato di salute, affida la direzione della Compagnia al nipote Giuseppe. Così gli spettacoli al Gerolamo continuano sino al 1957.
Ma i tempi sono mutati. L’avvento della televisione e il dilagare delle produzioni cinematografiche dei cartoni animati polarizzano l’attenzione del pubblico rendendo faticosa la gestione del Teatro Gerolamo, che è anche minacciato di demolizione da un nuovo piano regolatore. Carlo II Colla, unico sopravvissuto dei fratelli, con quella auctoritas che lo aveva sempre distinto, decide di sciogliere la Compagnia e di abbandonare la sala del Gerolamo. L’intervento della Amministrazione pubblica, sollecitata durante reiterati incontri per circa un anno, concede che il materiale teatrale sia ospitato nelle Depositerie Comunali di via Meda.
Dopo l’abbandono dei Colla il Gerolamo è dichiarato monumento nazionale ed affidato al Piccolo Teatro di Milano.
Nel 1965, dopo otto duri anni di silenzio e di indifferenza sul futuro di questo patrimonio artistico e culturale, Angela, Cesarina, Teresa, Carla, Carlo III ed Eugenio Monti, figlio di Carla, decidono di recuperare il materiale teatrale e di riprendere l’attività.
L’anno successivo si inaugura presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano una esposizione dei materiali teatrali dei Colla voluta da Mario Apollonio e da Monsignor Guido Aceti.
La Scala offre ai Colla di riprendere per due stagioni consecutive il celebre ballo Excelsior nella incantevole sede della Piccola Scala. Nello stesso anno il regista Filippo Crivelli, affezionato spettatore del Teatro Gerolamo, allestisce sul palcoscenico del Maggio Musicale Fiorentino il ballo “Excelsior” con Carla Fracci, Ludmilla Tcherina ed altre étoiles della danza; chiede che nel foyer del Teatro siano ricostruiti alcuni piccoli palcoscenici con scene, costumi e personaggi dell’edizione marionettistico dei Colla.
Nel 1970 Giancarlo Menotti “Duca” di Spoleto, che già nel 1957, al momento di abbandonare il Gerolamo aveva offerto ai Colla di trasferirsi nella cittadina umbra per partecipare al nascituro Festival dei Due Mondi, invita la riunita Compagnia Carlo Colla e Figli a rappresentare Excelsior. La presenza dei marionettisti milanesi si ripeterà a Spoleto nel 1971 e dal 1990 ad ogni edizione del Festival con nuove e vecchie produzioni, sempre acclamate ed osannate dal pubblico italiano ed internazionale.
Per tutti gli anni Settanta, ormai direttore artistico Eugenio Monti, la Carlo Colla e Figli raffina la tendenza a compiere un lavoro di ricerca filologica, riscrittura e recupero su quanto di più valido il materiale della compagnia presenta.
Nel 1980 l’incontro con il CRT offre agli spettacoli della Carlo Colla e Figli l’occasione di essere conosciuti nei teatri di tutto il mondo: Francia, Spagna, Germania, Olanda, Gran Bretagna, Russia, Cecoslovacchia, Ungheria, Grecia, Stati Uniti, Messico, Venezuela, Argentina e Australia.
La Compagnia partecipa a festival di grandissima risonanza internazionale come il Festival di Edimburgo (1983), il Festival d’Automne a Parigi (1984, 1987), La Biennale Teatro a Venezia (1985), il Festival of Three Worlds a Charleston negli Stati Uniti (1987, 1989), il I Festival di Teatro Italiano a Mosca (1990), il Fundateneo Festival di Caracas (1991), Italiana a Buenos Aires (1992), Europa Festival Praga e Budapest (1993) e poi ancora piazze importantissime quali Berlino, Freiburg, Nancy, Canterbury, Amsterdam, Leuven, Colonia, Francoforte, Barcellona, Amiens, Città del Messico, e altre manifestazioni di gran pregio e cultura, dove si arriva ad avere il tutto esaurito di pubblico adulto in sale di 600 posti e 1000 posti.
Fra le più prestigiose realizzazioni di questi anni sono il Prometeo, Aida, La tempesta di Eduardo, la trilogia Omaggio a Goldoni.
Il sodalizio con il CRT si interrompe nel 1994, quando l’Associazione Grupporiani assume in proprio anche la distribuzione degli spettacoli della Compagnia Carlo Colla e Figli.
Con la ripresa del 1965 la Carlo Colla e Figli ha subito una trasformazione radicale nei confronti della tradizione della grandi compagnie marionettistiche del passato: lo staff dei marionettisti. L’uso infatti prevedeva l’impiego di soli componenti la famiglia che dava il nome alla compagnia, uso impossibile negli anni Sessanta non fosse altro per i costumi cambiati in fatto di numero medio di figli. La Compagnia Carlo Colla e Figli quindi unì gli ultimi eredi della raffinatissima abilità di destreggiarsi fra bilancini e fili, a marionettisti provenienti da altre formazioni ormai sciolte e a giovani che volevano intraprendere l’antico mestiere.
Oggi Carlo III ed Eugenio Monti Colla sono gli ultimi marionettisti che agirono al Teatro Gerolamo: la loro maestria ormai sembra incredibile e affascinante dote naturale più che risultato della lunga frequentazione con fili e bilancini. I nuovi marionettisti hanno invece dato vita all’Associazione Grupporiani (che prende nome dalla loro prima sede in Via Oriani a Milano, appunto).
L’Associazione Grupporiani (sotto la direzione artistica di Eugenio Monti Colla) ha messo a punto e perfezionato una serie di laboratori artigiani per la manutenzione dell’edificio marionettistico della Compagnia Carlo Colla e Figli e per la creazione di nuovi spettacoli.
Il pubblico, generalmente, non sa che i componenti del gruppo, si occupano anche di restaurare continuamente il materiale antico. Le marionette necessitano di cure particolari che vanno, per esempio, dalla ricucitura di un orlo alla risuolatura di una scarpa perché le marionette, camminando sul palcoscenico, consumano tacchi e suole, proprio come gli attori veri. Le parrucche, poi, vanno acconciate ogni volta e gli abiti vanno ripuliti, aggiustati e riposti.
Le scene, tutte in carta, vanno continuamente controllate e rinforzate là dove le piegature hanno indebolito la struttura e le macchine di scena vanno verificate ad ogni spettacolo.
Questa attività giornaliera ha fatto sì che i laboratori della Grupporiani siano diventati anche i più qualificati e competenti nel restauro di marionette provenienti da raccolte pubbliche e private. A questo proposito vale qui ricordare il restauro del materiale marionettistico del Museo di Novara, del fondo Rissone appartenente al Museo dell’Attore di Genova, della collezione Cenderelli del Museo della Marionetta di Campomorone (GE).
Grazie alla grande competenza e capacità di realizzazione e alla ricchezza dei materiali usati, la Grupporiani viene spesso richiesta di costruire marionette da collezione tratte dal repertorio classico oppure da quello delle avanguardie storiche, come Il cavaliere errante di Kokoschka eseguito per il Museo Guggenheim di New York.
Dai laboratori escono anche interi nuovi allestimenti ogni volta che il materiale antico non è sufficiente o la riproposta di un testo crea nuove necessità.
Si può comprendere quindi come mai parte dell’attività della Grupporiani sia rivolta anche all’organizzazione di seminari e stages sia per uso interno che aperti a partecipanti esterni.
I seminari si svolgono in sede o anche all’estero, come per esempio quelli organizzati a Berlino nel 1992 e nel 1993 per il Tanzwerkstatt.
L’abilità artigianale dei laboratori della Grupporiani hanno indotto molti operatori del settore teatrale a servirsi del loro apporto per creazioni artigianali come nel caso della realizzazione di marionette a grandezza d’uomo su disegno di Renato Guttuso per La foresta: radice, labirinto nel 1987, la scenografia per La finta semplice di Mozart al Teatro Scientifico di Mantova, scene e costumi per Orfeo all’inferno di Offenbach per l’A.S.L.I.C.O., i costumi de Il flauto magico di Mozart (regia di Arruga a Ravenna Festival), i costumi per Noblesse oblige di Santucci (regia di Shammah) e La maschera di Bertolazzi (regia di Crivelli) entrambi al teatro Franco Parenti di Milano.
La Grupporiani sperimenta anche altre tecniche tipiche del teatro d’animazione: nel 1983 ha realizzato sotto la guida di Cesi Barazzi una spettacolazione di espressione corporea e tecnica delle ombre, nel 1988 ha realizzato La famiglia dell’antiquario di Carlo Goldoni per burattini, e nel 1990 ha creato un teatrino su nero i cui personaggi sono stati protagonisti di serial televisivi per ragazzi.
Oggi la Compagnia Carlo Colla e Figli, oltre a continuare l’attività di compagnia di giro in Italia e all’estero, persegue una politica di presenza continua nella città di Milano all’Atelier Carlo Colla e Figli che l’Associazione Grupporiani ha trasformato, assumendone i costi, da laboratorio a spazio teatrale da duecento posti: qui l’attività si svolge con spettacoli mirati per le scuole e un repertorio dedicato a un pubblico colto e di amatori.
Sono di questi anni le nuove produzioni de La leggenda di Pocahontas, La lampada di Aladino, Il Pifferaio magico, Il principe Igor, Sheherazade/Petruschka fino ai recentissimi Il trovatore e La bella addormentata nel bosco.




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