Le recensioni di “ateatro”: Interrogatorio a Maria

di Giovanni Testori

Pubblicato il 10/04/2003 / di / ateatro n. 051

Una Chiesa, Santo Stefano, stipata di gente, in gran parte giovani intruppati da CL. In fondo, oltre la penombra un po’ falsa che rimbalza tra gli stucchi e le decorazioni ottocentesche, un cono di luce: in piedi alcuni ragazzi con l’aria ispirata, dopo essersi presentati (“Siamo attori di Dio”), iniziano a declamare le loro battute, con l’enfasi misurata e il pathos dei lettori laici durante la messa, passandosi il microfono. Non si capisce bene di cosa stiano parlando: ogni concetto viene spezzettato e ripetuto, in forma un po’ mutata, almeno un paio di volte, cercando di riprendere le formule classiche delle sacre scritture e delle preghiere.
Le loro immagini e metafore, però, riciclate per l’occasione senza la forza rituale, restano eccessive e demodé. Ultimo vezzo stilistico, il verso in fondo alla frase, come nelle traduzioni dal latino di un liceale. Anzi, meglio due o tre forme verbali (era, sarà ed è, oppure è e non è) per dare profondità filosofica. Dopo un po’ arriva la Madonna (una normale ragazza), si siede, prende il microfono, accetta di rispondere all’interrogatorio (non è un’intervista come quelle della Radio Vaticana in cui si risponde solo con i versetti del Vangelo).
Per un po’ non si capisce, poi non si vuol capire, alla fine si deve ammettere che le stanno chiedendo tutto (ma proprio tutto) dell’immacolata concezione, che secondo Testori non è poi molto immacolata. Perché quando le chiedono “Ti abbraccio?”, “Il corpo entrò?”, “Fosti ferita come mia madre?”, “Fu a letto?”, lei risponde sempre di sì, che fu così ma anche un’altra cosa (questo per dare “profondità religiosa”). Non si cade nella pornografia, perché siamo tutti beneducati e pieni di timor di Dio, ma l’interrogatorio va avanti con la curiosità morbosa delle dispute dottrinali. Poi la Madonna, investita dal vento lirico del ricordo, ci offre un’ennesima versione della passione, elenca i mali del mondo, almeno una trentina, dall’aborto alla scienza, ci lascia capire che la prossima (?) fine del mondo ce la siamo meritata, ma che tutto è sotto controllo. Resurrezione generale, dopo quasi due ore, degli spettatori decimati dal sonno, e grandi entusiastici applausi, con bacio finale tra Testori e monsignor Colombo. Si può ridere, alzare le spalle, ma questo è un aspetto del nuovo crisianesimo aggressivo, Wojtyla look, legato a una rinnovata e militante adesione alla fede e insieme alla tradizione, che si rispecchia in parte in Testori, spesso portavoce di un’ideologia che né borghesia né chiesa avevano più il coraggio di sostenere, e nella sua emblematica evoluzione. Il suo Ambleto di qualche anno fa era un’unica bestemmia, contro la famiglia, il padre, dio, il mondo, un atto di fede anti-cattolico (non a-cattolico, è chiaro). E per dire questa bestemmia si era perfino costruito una lingua, mentre ora scimmiotta la parola della legge.
Una figura anarchicamente provocatoria si è trasformata in garante di un ordine che vuole ricostruirsi. Forse non è il caso di giustificare “dialetticamente” una conversione che non si può esorcizzare attribuendola a arteriosclerosi o al prestigio offerto da Di Bella. Ma i temi di fondo di Testori però sono rimasti gli stessi: l’ossessione della carne, la nostalgia prenatale (perché la colpa non è nell’uomo, ma nel suo essere al mondo, nel suo concedersi al mondo: da cui una forte carica aggressiva contro tutti, o quasi, salvo la madre ritrovata, una chiesa ideale) si rispecchiano nella visione dell’incarnazione del Dio come atto sessuale. Il male del mondo è sempre lo stesso, totale, irrimediabile, ma ora riscattabile con la sua accettazione. E’ questo cristianesimo dagli accenti un po’ diversi da quelli tradizionali che oggi riempie piazze, chiese e la prima pagina del “Corriere”.

Questo articolo è comparso per la prima volta sul “manifesto” del 2 novembre 1979.

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