Le recensioni di “ateatro”: In fondo a destra

di Raffaello Baldini, regia di Federico Tiezzi

Pubblicato il 20/07/2003 / di / ateatro n. 055

In fondo a destra è il primo testo teatrale in lingua italiana di Raffaello Baldini, dopo un significativo percorso poetico, con liriche che hanno spesso per protagonisti personaggi dall’immagine e dal destino già teatrali, e due testi nel dialetto della natia Santarcangelo di Romagna. E’’ il ritratto dell’’alienazione di un intellettuale metropolitano, giocato su una invenzione vagamente kafkiana (o buzzatiana): il protagonista si perde in un labirinto sotterraneo che sembra raccogliere una folla di individui come lui, di varia provenienza geografica, tutti intrappolati in un limbo dove non accade nulla, se non un ossessivo girovagare alla ricerca dell’uscita e un altrettanto incessante e vano incontrarsi e riperdersi. Il tono, a nascondere l’’angoscia di fondo, è delicatamente ironico (nelle gag delle conversazioni tra questi dannati senza colpa) o velatamente lirico (nei monologhi interiori dei protagonista).
Sul versante della drammaturgia, Sandro Lombardi (per una volta al lavoro solo fuori scena)e Silvio Castiglioni (che come direttore del Festival di Santarcangelo in questi anni si è meritatamente concesso questa scorribanda d’’attore) hanno condotto un meticoloso lavoro di sottrazione, operando una serie di microtagli interni che tolgono molte notazioni realistico-descrittive, per indirizzarsi piuttosto verso l’astrazione: insomma più vicino a Beckett che dalla parte del realismo magico, in una dimensione freddamente mentale: la scelta che riflette anche il contenuto del prologo e dell’’epilogo, scritti per l’occasione, dove si lascia intuire che il labirinto in cui si perde il protagonista può anche essere quello delle parole e del linguaggio.
Dal punto di vista visivo, Federico Tiezzi (che negli ultimi vent’anni ha spesso innervato con la presenza dei Magazzini diverse edizioni del Festival, dai tempi di Sandinista! al famigerato affaire del cavallo fino ai recenti Bernhard e Testori) utilizza alcune icone dell’’alienazione contemporanea: come i quadri di Magritte o i pannelli di Gilbert & George. Ingessa i due protagonisti di vesti formalmente impeccabili, imbozzolandoli in abiti scuri, cappotto, giacca e gilé e scarpe robustamente eleganti.

Gilbert & George, Bloody Faith, 1976.

Silvio Castiglioni in In fondo a destra, foto di Marcello Norberth.

Ma lo sfondo è di un magenta incandescente, che le raffinate luci di Gianni Pollini utilizzano per raggiungere quasi un effetto di solarizzazione (come in certi pannelli di Gilbert & George, per l’’appunto). E così come le immagini dei due artisti inglesi sono spesso composte di più pannelli accostati in composizioni di grande formato (vedi They, 1986, un doppio autoritratto composto di sedici pannelli fotografici), qui lo spettacolo si compone per brevi sequenze, frammenti di monologo intervallati da lampi di buio (i tagli del testo), come se fossero strip di fumetti accostate l’’una all’’altra.
Lo sfondo è geometricamente disegnato dalle cornici di due grandi porte. Tra loro pende dal soffitto una gigantesca lampadina. Lì sotto solo un divano, che costituirà il fulcro del lavoro gestuale degli attori. Nel prologo e nell’’epilogo le parole s’’avvitano giocosamente su se stesse: ma in questo gioco, nella sua gratuità, c’’è una crepa destinata a trasformarsi in una voragine e a sforare nell’’incubo. Massimiliano Speziani, cui tocca di dare inizio e fine allo spettacolo, tradisce una precisione nevrotica nella quale risolve tutti i rovelli del protagonista, salvo proiettarli nel suo doppio onirico. Silvio Castiglioni esegue il compito con assoluto controllo e cronometrica precisione, nelle intonazioni e nei gesti, con momenti di sorprendente bellezza: come quando cui s’’appoggia sul bracciolo e s’’adagia sul divano. Ma pian piano da quel corpo ingabbiato nell’’abito più convenzionale iniziano a riemergere, come da un passato geneticamente inscritto nel corpo e incancellabile, il profumo della terra e la fatica del contadino.

René Magritte, Il figlio dell’uomo, 1964.

Silvio Castiglioni in In fondo a destra, foto di Marcello Norberth.

Nel testo di Baldini, il protagonista ha sufficiente buonsenso per non cedere alle illusioni di fuga che gli vengono prospettate via via dai suoi compagni di sventura, per non credere alle loro facili soluzione; ma non ha sufficiente intelligenza, o follia, per inventare la via della fuga. Nella carne di Castiglioni questo buonsenso pare rimandare a una radice bertoldesca, quasi contadina (con spazzi ormai quasi impercettibili di comicità arlecchinesca, magari nella piega del labbro), mentre una intelligenza “urbana”, con tutti i suoi galatei, sembra quasi incatenarlo al labirinto del linguaggio. Proprio in questo doppio movimento dal paese alla città e ritorno, dalla terra alla metropoli e ancora alla terra sta lo scarto ambiguo, lo snodo vitale della messinscena.

In fondo a destra
di Raffaello Baldini
Regia di Federico Tiezzi, con Silvio Castiglioni e Massimiliano Speziani
Santarcangelo, Lavatoio

Oliviero_Ponte_di_Pino




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