Le recensioni di “ateatro”: La casa degli spiriti dal romanzo di Isabel Allende

regia di Claudia Della Seta, Teatro Arabo Ebraico di Jaffa e Compagnia Teatrale Integrata Diverse Abilità di Roma

Pubblicato il 04/10/2003 / di / ateatro n. 058

Nella selezione del festival “Enzimi”, e subito dopo al Teatro dell’’Orologio, ha debuttato una originale versione teatrale del romanzo best seller La casa degli spiriti di Isabel Allende. La fortunata saga famigliare cilena, già vista in una discussa riduzione cinematografica, ha una struttura narrativa molto canonica e piuttosto meccanica, nobilitata da una tematica politica di fondo che parte dallo sfruttamento latifondista dei contadini fino alle efferatezze del golpe e della dittatura sanguinaria di Pinochet, con un tentativo finale di indicare nell’arduo ritorno alla democrazia una possibile strada verso la riconciliazione nazionale. Ed è proprio su questo sottotesto che lo spettacolo mette l’’accento, attraverso l’’adattamento di Claudia Della Seta, anche regista, e di Nili Agassi, con la supervisione di Daniel Horowitz. Sia nella costruzione dei personaggi, sia nella chiave psicologica del racconto è il punto di vista femminile a prevalere, e quest’’impostazione, tipica della scrittura della Allende, viene conservata ed esaltata dalla messinscena. Il progetto nasce infatti dall’’incontro tra due registe, Claudia Della Seta e Glenda Sevald, e dalla collaborazione tra due compagnie: il Teatro Arabo Ebraico di Jaffa e la Compagnia Teatrale Integrata Diverse Abilità di Roma. Due compagnie con alle spalle una storia di forte impegno civile, la prima agisce nel difficilissimo contesto attuale israeliano, cercando un’integrazione artistica e culturale tra la comunità ebraica e quella palestinese, la seconda da molti anni conduce un lavoro laboratoriale di grande rigore per il sostegno e l’integrazione dei soggetti disabili o in condizioni di disagio mentale. Questo lavoro teatrale è nato proprio a Tel Aviv, durante i mesi più duri, nel periodo di Jenin e dei quotidiani attentati in Israele, dove la tematica della riconciliazione appariva tanto più utopistica quanto più necessaria. I caratteri dominanti dell’adattamento teatrale e della sua messinscena sono sostanzialmente tre: l’incontro interculturale tra attori e tecnici israeliani e italiani, in prevalenza giovani; l’idea di creare una narrazione a flash-back dove nipote ex-rivoluzionaria e nonno ex-reazionario si ritrovano nella vecchia casa di famiglia per tentare una riconciliazione che passa soprattutto attraverso la rievocazione e il racconto della storia famigliare; la ricostruzione degli episodi salienti della vita famigliare in un innesto cronologico che apre le porte della cucina, dove si trovano i due “narratori”, agli altri ambienti animati dai fantasmi (appunto gli “spiriti”) del passato. Lo spettacolo, diviso in tre atti, ha una durata complessiva di tre ore e mezza, una lunghezza impegnativa per pubblico e attori che potrebbe essere ridotta tra il secondo e il terzo atto, ma che regge l’attenzione e il coinvolgimento emotivo grazie al ritmo serrato degli episodi, creato dall’efficace regia e alla buona prestazione degli attori. Quelli stranieri sanno volgere a loro favore le difficoltà della pronuncia, sfumando con il loro accento il pericolo accademico che incombe su molta “corretta dizione” dell’attore medio impostato italiano. Per aumentare la disinvoltura “casalinga” dei due narratori, sempre presenti in scena, la regia sceglie di far muovere il vecchio Esteban (Maurizio Marchetti) sulla carrozzella e di mettere ai fornelli la nipote Alba (Maria Serrao), la quale cucina per davvero piatti semplici poi serviti al pubblico negli intervalli. Ai due lati della cucina appaiono i differenti ambienti e i personaggi di tre generazioni (il passaggio dell’età dei protagonisti è sottolineato dal cambiamento di attori), dal vivo, o, nelle scene più dure, mediante il gioco delle ombre cinesi, o infine, al momento del golpe, con la proiezione di documenti video originali. Forse sarebbe stato drammaturgicamente più interessante, anche se più difficile, mescolare i diversi momenti temporali evocati dalla memoria dei narratori, invece di rispettare strettamente la cronologia, anche perché la memoria non è mai lineare, procede appunto per salti e associazioni spesso imprevedibili. In ogni caso, il delicato equilibrio tra la dimensione tragica, sicuramente dominante, e la vena ironica è ben calibrato nel naturalismo lievemente caricato della recitazione, soprattutto in alcuni personaggi come la sorella del patriarca, Férula (la brava Barbara Porta), Esteban il giovane (un vigoroso Stefano Viali) Blanca (la versatile Sofia Diaz) e Clara, moglie sensitiva di Esteban, il personaggio più sfaccettato e amabile (interpretata nelle tre età della vita dalle brave e belle Tamara Stiel, Mira Anwar Awad, Alba Caterina Rohrwacher).

Andrea_Balzola

2003-10-04T00:00:00




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