Al placido Don

Un frammento

Pubblicato il 04/01/2004 / di and / ateatro n. 025

A novembre, ha Ravenna, ha debuttato Al placido Don. Fantasmi del fiume, un testo forte e intenso di Renata Molinari e Luigi Dadina (che ne è anche il protagonista). Parla di fiumi, come dice anche il titolo. E di guerra, come leggerete qui sotto, a ricollegare le inquietudini del presente con la memoria della ultima guerra che ha insanguinato le nostre terre.
Oggi nessuno chiede più racconti di guerra, cos’è la guerra, a chi lo chiedi?
Ti sembra di saperlo, ti sembra che non ti riguardi, la vedi alla televisione, a chi lo chiedi, ai profughi?
Che poi, se qualcuno ti interessa, allora non glielo chiedi, e lui non te ne parla, al massimo qualche accenno; si ha paura a parlarne, paura di scoprirsi nemici, in guerra.
Se la domanda, poi, è “cos’è la guerra”, allora piomba il silenzio, come un segreto da non tentare.
Succedeva anche con mio padre, quando gli chiedevo di spiegarmi la guerra, lui allora diceva che non se ne può parlare.
Lui e le cose che non mi ha mai detto mia madre, andavano nello stesso senso.
Quando si arriva alla guerra, anche se dopo ci sono tanti libri, tanti film, la sensazione è che noi non possiamo capirla,
non possiamo sapere cos’è.
Una cosa è sicura, che quando cominci a domandare, all’inizio c’è sempre la morte, un morto, e quando smettono di parlare, anche.
E’ successo così, quando ero piccolo.
C’era sempre la morte di qualcuno che veniva evocata, nei racconti dei parenti, poi il silenzio.
Il cugino Ido, morto giovane…
La zia Adelaide, che suo marito l’avevano portato via…
Zelio che era morto in montagna.
E Valter che non si è più ripreso da quando gli hanno ammazzato il fratello.
Tutti morti giovani, tutti della nostra età, o dei nostri padri, degli amici.
Perché poi le domande nascono da quello che vivi.
Cosa succede attorno a te, cosa succede ai tuoi amici?
Edo è stato bocciato, Ivan è stato all’ospedale, Marco ha una morosa segreta, la Giulia, che i suoi dicono che è troppo giovane per queste cose, Corrado ha lasciato la squadra di calcio e Vanni ha già trovato un lavoro. C’è un momento in cui la conta gira in un altro modo.
La mattina ti svegli e Cleto è morto, la casa di Zvanì incendiata, Selmo scappato, l’Angiolina sfollata con le sue bambine.
Prova a immaginartelo, nel tuo condominio, fra i tuoi compagni di scuola, di lavoro, prova… Non ce ne è uno che torni a casa, bene, durante la guerra
Poi la guerra finisce e la gente torna, cambiata, ferita, ma torna. E si comincia a parlare, del passato, ma soprattutto del futuro. E si guarda cosa è rimasto, cosa rimane, riconoscibile, da dove ripartire. La stalla, le aule della vecchia scuola, l’officina di Minardi, il ponte sul fiume….
Già, perché la guerra, poi, finisce. Anche questo è un mistero: come fa a finire questa cosa – che nessuno sa spiegarti cos’è. Non si capisce.
Finché non arriva la morte, quella cattiva, improvvisa, che ti fa sembrare strane tutte le cose “vive” attorno a te. Proprio la morte, cosa succede, come succede che ci ammazziamo, come succede.
E come succede che questo diventi normale.
Come succede che questo diventi la Storia con la S maiuscola.
Come succede.
E si cerca di capire, si separa, si giudica.
Diceva il compagno Bertolt Brecht, che poi forse, non era proprio proprio compagno, anarchico forse, certo credeva nella rivoluzione.
“Anche il minimo gesto, in apparenza semplice,
osservatelo con diffidenza.
Investigate se proprio l’usuale sia necessario”
“Trovatelo strano, anche se consueto,
inspiegabile, pur se quotidiano,
indecifrabile, pure se è regola.”
“E – vi preghiamo – quello che succede ogni
giorno
non trovatelo naturale.
Di nulla venga detto: è naturale
In questo tempo di anarchia e di sangue,
di ordinato disordine, di meditato arbitrio,
di umanità disumanata,
così che nulla valga come cosa immutabile.”
Intanto però i morti restano morti.

Renata_Molinari_e_Luigi_Dadina

2004-01-04T00:00:00




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