Mercato: l’’anticamera per il pubblico

da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell'era Berlusconi in "Hystrio" 1/2004

Pubblicato il 13/01/2004 / di / ateatro n. 062

Parlare di mercato richiede qualche precisazione preliminare, in primo luogo per distinguere fra due tipi di domanda, il pubblico (ovvero il consumatore finale), che decreta certamente in larga misura con la sua risposta il successo di uno spettacolo, ma solo in parte il risultato economico (che dipende molto dal sistema distributivo); e il sistema distributivo: esercizi privati (programmati dai gestori e/o da agenzie), teatri comunali (la spina dorsale del sistema, su cui convergono i maggiori finanziamenti degli enti locali) che possono essere gestiti con criteri artistico-organizzativi più o meno autonomi dalle amministrazioni pubbliche, i teatri di produzione, cioè il sistema della stabilità in un’’accezione allargata (in cui le logiche che presiedono le ospitalità sono culturalmente, ma anche economicamente legate all’attività di produzione e alla relativa distribuzione: ci riferiamo agli “scambi”), le centrali distributive pubbliche (l’’Eti in primo luogo e i circuiti territoriali) e private (le agenzie). Insomma quello che Raffaele Viviani definiva efficacemente “l’’anticamera’ per arrivare al pubblico”.
In Italia non si è mai introdotta una distinzione chiara fra pubblico e privato: il settore dello spettacolo – si sa – è “stagnante”, “non progressivo” nel suo complesso e si dà per scontato che non possa produrre profitto. Ovvero: i prodotti più orientati al mercato sono considerati oggi, dal sistema teatrale pubblico, sullo stesso piano di quelli d’arte, con incidenze non secondarie sugli equilibri economici del sistema. Oltre a ciò, attraverso i criteri di finanziamento, lo stato interviene sul mercato da un lato prescrivendo “dimensioni” aziendali (produttive e distributive) che attribuiscono un valore sempre maggiore alla risposta del pubblico e al contempo con prescrizioni che compromettono di fatto la libertà delle imprese: l’esempio più chiaro ci sembra l’’indicazione di prolungare le “teniture” (la durata delle programmazioni) agli Stabili, un’’invasione di campo i cui contraccolpi negativi sono di gran lunga superiori agli auspicati effetti positivi.
Se consideriamo l’’andamento della domanda (biglietti venduti) per il teatro di prosa su un arco di tempo medio lungo, 1990/2002, (ricaviamo i dati dall’’annuario Siae Teatro in Italia 2002 e da diversi numeri del «Giornale dello Spettacolo») possiamo rilevare una crescita lenta ma stabile, con una battuta d’arresto nel 2000/2001, e una ripresa nel 2002. In questo ultimo anno, il comparto definito “teatro” dalla Siae ha totalizzato 13.540.225 biglietti venduti (presenze) pari al 71,71% del totale relativo allo spettacolo dal vivo. E’’ interessante analizzare la composizione di questi dati. Il teatro di prosa propriamente detto, ha totalizzato:

  2001 2002 variazione
presenze 11.660.224 11.200.243 – 4%
rappresentazioni 79.849 81.228 + 2%
incassi (spesa del pubblico) 148.380.568 147.390.677 –1%

Questi i dati per la rivista e commedia musicale:

  2001 2002 variazione
presenze 713.994 1.413.320 + 98%
rappresentazioni 2.146 2.907 + 35%
incassi (spesa del pubblico) 21.540.045 44.510.115 + 107%

Nel confronto con la prosa la crescita di commedia musicale-rivista-musical è davvero strabiliante: supera il raddoppio in termini di incassi e quasi lo raggiunge per presenze, mentre l’’incremento delle rappresentazioni, + 35%, dimostra che l’’alta ricettività del sistema distributivo nei confronti del settore è stata ripagata ampiamente dal gradimento di un pubblico disponibile a sostenere un maggior costo dei biglietti. Anche il pubblico della prosa ha compensato in parte, con biglietti più alti, il calo complessivo delle presenze, che contrasta con l’incremento delle rappresentazioni (quindi dei costi delle imprese di produzione). Nel complesso una situazione piuttosto preoccupante.
Un punto di vista ancora più interno all’andamento del teatro di prosa tra il luglio 2002 e il luglio 2003 mostra tre campioni assoluti nel rapporto rappresentazioni-presenze-incassi: Vincenzo Salemme, Carlo Giuffrè e Gigi Proietti. Segue una fascia composita con nomi di consolidata o più recente notorietà teatrale (da Mauri a Luca de Filippo, da Poli a Dapporto, da Cecchi a Paolo Rossi), ma anche con alcuni degli spettacoli più apprezzati dalla critica (come Sabato, domenica e lunedì con la regia di Servillo o Prometeo di Ronconi): gli incassi medi in quest’area oscillano dai 6 ai 12.000 euro e le presenze fra le 300 e le 700. Spiccano, nell’’insieme, se pure con un minor numero di repliche (quindi di presenze e incassi totali), i risultati superiori alle 1.000 presenze medie di Fo, della Cortellesi, dei Legnanesi, delle Maldobrie dello Stabile del Friuli Venezia-Giulia. Nella fascia fra le 200 e le 300 presenze medie, e fra i 2.000 e i 5.000 euro di incasso si collocano la maggioranza delle produzioni. Ma una buona percentuale – non solo fra le proposte di ricerca che agiscono spesso in sale sotto i 100 posti ma anche nel settore della stabilità – raggiunge risultati molto bassi, dimostrando un rapporto di scarsa rilevanza con il “mercato”, inteso come pubblico/incassi: 158 spettacoli (su 789, che non comprendono il teatro per ragazzi), totalizzano meno di 100 presenze medie e 281 non superano i 1.000 euro di incasso (quasi la metà di questi sono sotto i 500); a questi dati, corrisponde, forse, anche la necessità di “diluire” l’attività in repliche totalmente improduttive, ingiustificate dal punto di vista del rapporto costi/presenze, ma probabilmente solo necessarie a raggiungere i requisiti ministeriali.
Per la commedia musicale ad alcune situazioni di punta, che raggiungono valori assoluti e medi di grande rilevanza (la media a recita di Notre Dame de Paris è stata di 2.655 spettatori e 101.191 euro di incasso), segue una consistente fascia medio alta e media, ma 24 produzioni totalizzano incassi medi inferiori ai 5.000 euro. Come dire, se pure con dati in crescita (anche dal punto di vista del numero delle produzioni) e molto soddisfacenti, anche in questo settore, da un punto di vista di mercato, non tutti “ci azzeccano”. A partire dalle sale si possono “incrociare” altri dati interessanti, relativi alle classifiche di presenze e incassi medi dei teatri, e dal famoso o famigerato “tasso di occupancy”: una buona affluenza e un buon incasso sono merito delle compagnie ma certo molto anche della solidità dei teatri, e chi riesce a piazzare i propri spettacoli nelle sale più affermate, con un maggior numero di abbonati, ha una chance in più. Come dire: a un buon giro corrisponde una buona risposta di pubblico.

Il musical scaccia la prosa
E’ chiaro che la potenziale risposta del pubblico (già verificata o presunta), conta nell’orientare le scelte: in misura determinante per i teatri privati – e non è un caso che sempre più sale si stiano specializzando in musical – ma in misura crescente anche per quelli pubblici. La presenza dello spettacolo musicale nei teatri pubblici sta affiancandosi e in parte sostituendo quella della prosa tradizionale, che sicuramente non ha poche responsabilità in questa evoluzione (ripetitività, distanza dagli spettatori, soprattutto giovani etc.). Bisogna del resto dare atto che la qualità raggiunta da questo genere è spesso molto alta, i temi che tratta sono spesso più “urgenti” soprattutto per il pubblico giovane, la critica colta si è messa a seguirlo, e anche il ministero l’’ha nobilitata con il riconoscimento di “Teatro nazionale della Commedia Musicale” attribuito al Sistina. Altre considerazioni. Tanto i teatri privati che pubblici stanno aumentando i prezzi (tendenza già rilevata nel 2002): scelta inevitabile forse a compensazione dei minori finanziamenti, o forse, per i privati soprattutto, si è ampiamente verificato che chi ha già scelto il teatro o la musica dal vivo, non si sposta su altri consumi per qualche euro in più. Ma in che misura questo potrebbe scoraggiare il pubblico giovane? I teatri comunali hanno ridotto i cartelloni in media di uno spettacolo rispetto alla stagione 2002/2003 (magari mantenendo lo stesso prezzo degli abbonamenti). Lo spazio concesso alle giovani compagnie e all’innovazione è sempre più risicato. C’è chi collega questi orientamenti a una situazione di campagna elettorale perenne, per cui si teme qualunque intervento possa ridurre il tasso di consenso degli spettatori. I circuiti regionali del resto, per affermazione degli stessi direttori (non di rado esautorati da presidenti-politici) non riescono a operare con decisione in direzione del “nuovo” e il sostegno dell’Eti è praticamente venuto meno. Gli scambi non riguardano solo gli stabili: le imprese di produzione che dispongono di una sede tendono a scambiare in misura crescente (comprensibilmente del resto), non inferiore al 60/70% con punte del 100%. Questo fenomeno e la conseguente chiusura del “giro” per chi, in assenza di sede, non abbia forti elementi di chiamata spingerà qualche compagnia giovane e non, soprattutto nei capoluoghi di regione, ad acquisire una propria sede. Su quale economia potranno basarsi questi spazi anche di fronte alla contrazione dei finanziamenti locali? » prevedibile una fase di selezione, che potrebbe preludere a un “effetto ricambio”. Le direzioni artistiche sono in ribasso: quando ci sono, tendono a privilegiare le logiche del marketing rispetto a quelle della funzione pubblica e del progetto culturale e spesso subiscono senza troppi traumi le direttive politiche; in alcune sedi prestigiose non sono stati nominati o rimpiazzati a pari livello i direttori, sostituiti di fatto dalle agenzie, o piuttosto dagli accordi fra agenzie e assessori o funzionari più o meno capaci. Le agenzie più attive in effetti (l’Utim di Milano, Essevuteatro di Firenze), stanno riacquisendo spazi e funzioni che – ci sembra – avessero perso progressivamente, a partire dalla fine degli anni Settanta; ma il ruolo di intermediazione, senza interlocutori competenti, può facilmente allargarsi e determinare “forzature” nei cartelloni: non sarà difficile a questo proposito trovare stagioni “fotocopia”. Per concludere: abbiamo offerto qualche elemento di informazione frammentario sul processo – ormai in atto da anni – di impoverimento e degrado del sistema distributivo nel suo complesso, tanto sul piano della progettazione artistica che delle competenze gestionali e, soprattutto, su quello delle tensioni ideali e della consapevolezza della funzione culturale. La situazione, occultata da dati generali apparentemente positivi, è a maggior ragione grave, soprattutto per le giovani generazioni.

Mimma_Gallina

2004-01-13T00:00:00




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