Per passione

L'editoriale di "ateatro 66"

Pubblicato il 07/04/2004 / di / ateatro n. 066

Se volete capirci qualcosa, ateatro 66 questa volta è diviso in quattro parti.
In attesa della conclusione dell’’esplosivo dossier di Mimma Gallina sulla situazione delle nostre scene –- che verrà pubblicato su «Hystrio» e che anticiperemo nel prossimo numero della webzine -– nella prima parte rendiamo conto dell’incontro del 15 marzo alla Camera dei Deputati, con la testimonianza della fervida Mimma, l’intervento di Giovanna Marinelli e altri materiali (a proposito, andate a curiosare nei forum come si è sviluppata la carriera della signora Negri, ora che è membro della Commissione ministeriale, e chi ne approfitta…).
Nella seconda parte, interviste: Anna Maria Monteverdi confessa l’astro nascente della (non)narrazione Andrea Cosentino, Oliviero Ponte di Pino interroga Federico Tiezzi sull’Antigone di Brecht-Sofocle che sta debuttando a Prato e Alessandra Giuntoni si confronta con Magdalena Pietruska e Roger Rolli dell’Institutet för Scenkonst fondato da Ingemar Lindh nel 1971. Poi , per chi ha una buona banda (stiamo misurando i Kbyte, non stiamo facendo solfeggio…), è possibile vedere & ascoltare Massimo Munaro in quattro frammenti video di Orsola Sinisi.
Per l’imperdibile tnm, il pezzo forte è il nuovo spettacolo di Robert Lepage (un altro Brecht, liberamente ispirato all’Opera da tre soldi), inseguito in una replica parigina da amm.
Infine, quarto e ultimo, i primi programmi dei festival, a cominciare dalla Biennale veneziana, con l’ambizioso progetto-ricognizione ideato da Massimo Castri sulla drammaturgia.

Ma chi ce lo fa fare di regalarvi tutto questo ben di Dio? E a che serve? Mica diventiamo ricchi, anzi…
Beh, intanto ce lo fa fare la passione, la voglia di spenderci per quello che ci piace. Perché in teatro ci capita (ancora, per fortuna) di vedere spettacoli che ci appassionano, di conoscere persone che ci entusiasmano, di confrontarci con idee ed esperienze che ci mettono in discussione. Per questo ci spiace – ci fa soffrire – vedere energie sprecate, cose belle che passano inosservate, invenzioni che meriterebbero più attenzione. Per questo ci irrita – ci fa imbestialire – vedere sprechi e ruberie, assistere impotenti al degrado di un sistema teatrale che – come il calcio – sembra avviato a un inevitabile collasso. Insomma, ci piace e ci sembra giusto.
Ma a che serve, tutto quello che facciamo? Non sappiamo bene a che possa servire. Da un lato speriamo che parlare di cultura dello spettacolo possa aiutare a costruire un migliore rapporto con il pubblico, a formare degli spettatori curiosi, attenti e liberi, a dare agli artisti una maggiore consapevolezza del loro lavoro. Sul versante dell’economia dello spettacolo, crediamo sia importante capire i meccanismi produttivi, evitare sprechi di risorse (sono spesso soldi pubblici, ovvero nostri) e cercare di fare in modo che artisti e pubblico possano incontrarsi nelle condizioni migliori.
Per quanto riguarda le nostre denunce, sarebbe ingenuo pensare che possano avere un qualche effetto immediato. Da un lato c’è una presunzione di impunità, che accantona regole e leggi in favore del diritto del più forte (ovvero della maggioranza). Al di là, a volte, di ogni decenza e buon gusto.
Dall’altra c’è purtroppo, da parte di tutti, una scarsa volontà di difendere il principio di legalità: un po’ per fragilità culturale, un po’ per intrinseca debolezza, un po’ perché forse basta aspettare che cambi il vento e magari qualche poltrona tornerà libera, un po’ per avere, a quel punto, le mani libere per qualche privato affaruccio – ovviamente a fin di bene… E poi chi non ha qualche scheletro nell’armadio, o qualche favore da scambiare?
In questo scenario, dove domina il piccolo cabotaggio (o peggio, come abbiamo visto e vediamo), parlare di progettualità o di riforme di sistema è velleitario, è pura follia. Non ci resta che registrare quello che sta accadendo, giorno dopo giorno, come l’aria si stia facendo sempre più mefitica, come il terreno vada inaridendosi.
In compenso abbiamo qualche certezza. Siamo convinti che questo modo di guardare il teatro – e non solo – incrocerà altri sguardi, altre esperienze, nuove vitalità. E che quando si arriverà al collasso del sistema, ci sarà questo teatro della memoria, una piccola serra dove avremo cercato di far germogliare qualche fiore, di costruire qualche ragionamento, di avanzare qualche proposta. Una piccola piazza in cui discutere, confrontarsi, immaginare… Poca cosa, certo, ma sotto queste nere lune italiane è l’unica cosa che resta da fare.

Redazione_ateatro

2004-04-07T00:00:00




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