Le recensioni di “ateatro”: 1968

Progetto e regia di Serena Sinigaglia

Pubblicato il 13/07/2004 / di / ateatro n. 070

Tra gli anni che nella storia recente hanno segnato una svolta epocale, il 1968 merita senz’’altro un posto d’’onore. E’ l’’anno della ribellione generalizzata e della scoperta della libertà, del tramonto (che pareva definitivo) delle virtù e dei vizi borghesi, l’’alba del consumismo giovanilista. In quella breve stagione le due anime dell’’ultima rivolta –- quella libertaria, individualista e anarcoide e quella marxista-leninista e gruppettara -– non si erano ancora cristallizzate e separate.
In quell’’anno a molti sembrava possibile cambiare il mondo (in meglio), e in quell’’anno il mondo è molto cambiato, come testimoniano molti degli eventi che hanno punteggiato quei mesi e che tornano nello spettacolo di Serena Sinigaglia intitolato per l’’appunto 1968.

Dopo un breve prologo impacciato e vagamente didascalico con la autopresentazione di quattro leader del movimento in altrettanti paesi (Francia, Germania, Usa e Italia), sfilano in una serie di brevi scene le mille liberazioni che esplodevano su vari fronti, dalle università alle fabbriche, dai manicomi ai ghetti neri (con il pugno alzato di Smith e Carlos sul podio olimpico), e poi il maggio parigino, i carri armati a Praga dopo la primavera e l’eccidio sulla piazza delle Due Culture a Città del Messico, la nuova consapevolezza femminile, il rifiuto del dogmatismo bigotto delle chiese, la mobilitazione contro la guerra del Vietnam e naturalmente la trasgressiva trinità di sesso, droga e rock & roll… Insomma, con entusiasmo e allegria, senza schemi ideologici preconcetti, 1968 prova a raccontare tutto quello che avrebbe segnato gli anni successivi, sempre rivisitato con leggerezza e ironia, e sospinto da una colonna sonora live con frammenti di Beatles, Rolling Stones, Dylan, i Doors, Cohen che fa da collante e raccordo, così come un paio d’anni fa la musica latina trascinava la biografia teatralizzata del Che, prima della parentesi più didascalica dello sceneggiato teatrale dedicato a Rosa Luxemburg (anche se rispetto agli altri due tasselli di questa trilogia sulla memoria storica, 1968 è probabilmente il più riuscito: politicamente meno semplicistico dello spettacolo sul Che, e certamente più godibile del flash back sulla Germania d’inizio secolo).

Scena dopo scena, si condividono la curiosità e il divertimento che – nei nostri anni plumbei, mentre il mondo sembra cambiare solo in peggio e riesce perfino difficile immaginarselo, un mondo diverso e migliore – hanno animato il lavoro di Serena Sinigaglia (e della sua drammaturga Paola Ponti) e delle quattro interpreti Beatrice Schiros, Irene Serini, Marcella Serli e Sandra Zoccolan, con il supporto del terzetto di musicisti composto da Massimo Betti, Elvio Longato e Andrea Poli.
Così per un’ora e mezza si respira un po’ di quell’aria utopistica e idealistica che una trentina d’anni fa ha mobilitato milioni di ragazzi in tutti i continenti. Anche se alla fine, in tutta questa esplosione di vitalità e di rivolta, di sete di giustizia e rivendicazioni ugualitarie, di coscienze in espansione e fratellanza, si coglie però un indizio rivelatore. Nella montagna di sedie e banchi che occupano la scena, troneggiano infatti due icone. Sono prevedibilmente i ritratti di Jimi Hendrix e il Che. Morti giovani, e dunque cari agli dei (forse), e tuttavia preda entrambi di una incontenibile spinta autodistruttiva.

1968
Progetto e regia di Serena Sinigaglia
Drammaturgia di Serena Sinigaglia e Paola Ponti
Scenografia di Maria Spazzi
Costumi di Federica Ponissi
A.T.I.R. in collaborazione con Torino Spettacoli
Milano, Teatro Verdi

Oliviero_Ponte_di_Pino

2004-07-13T00:00:00




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