Coordinate di viaggio

Note di regia (& altro) per I viaggi di Gulliver

Pubblicato il 19/07/2004 / di / ateatro n. 072

Come nasce la collaborazione con il Cim
Il Cim (Centro Igiene mentale) intendeva offrire ai suoi ospiti un’’alternativa alle solite attività proposte (calcetto, ceramica, ecc.), a seguito di un progetto europeo “Horizon” di tre anni. Nell’’ultimo anno, che prevedeva la loro partecipazione e una serie di lezioni tenute da me con alcuni loro utenti, il Cim aveva riscontrato come questo tipo di attività incuriosisse molto i suoi pazienti e fosse ricca di opportunità anche terapeutiche. Si decise perciò di dare seguito all’iniziativa proseguendo il lavoro nella loro sede. ”Diverse Abilità” (nel frattempo divenuta Compagnia teatrale integrata – cooperativa e associazione culturale) scelse il laboratorio di “Danza/Movimento Terapia” condotto da Anna Di Quirico e il mio di “Formazione dell’’attore” come i più adatti, date le ristrettezze logistiche ed economiche del Cim, e si pensò di dare al progetto la cadenza di due incontri settimanali, di due ore l’’uno, per tre anni.

Laboratorio teatrale e lavoro terapeutico. Il passaggio dai laboratori allo spettacolo
“Diverse Abilità” fin dall’inizio della sua attività si è posta come obbiettivi quelli di lavorare, attraverso lo strumento laboratoriale, sulla relazione tra le persone, l’individuazione di potenzialità espressive nascoste o bloccate, e sulla crescita psicofisica dei suoi attori. Questi obbiettivi, per altro necessari da raggiungere anche per attori in formazione cosiddetti “normali”, costituiscono anche un obbiettivo terapeutico. Insegno recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia, applicando gli stessi esercizi. Il nostro modo di procedere prevede inoltre il collegamento con il personale medico e il procedere del lavoro è in continuo ascolto delle piccole e grandi difficoltà di ognuno. La parte artistica e quella terapeutica attivano a loro volta una sorta di integrazione. A mio avviso, perché il processo di integrazione possa considerarsi tale a tutti gli effetti, quando un gruppo è maturo sia psicologicamente che artisticamente, è necessario un momento di verifica: un incontro con il mondo esterno, con il mondo “reale” del lavoro che permette di lasciare il contesto protetto del laboratorio interno a favore di una visibilità più aperta e ampia. Questa è l’occasione per confermare la forza sintonica del gruppo, dei vari operatori, e monitorare contemporaneamente la coscienza del pubblico. E’ l’occasione per vedere come la parte teorica di un lavoro e di una relazione fra persone diviene pratica.

La scelta del romanzo di Swift
Il romanzo di Swift a un certo punto del percorso laboratoriale si è rivelato molto utile per il rafforzamento del nostro lavoro. I temi del viaggio intesi come impulso alla scoperta-presa di coscienza e come relatività dei punti di vista, sono serviti da canovaccio.
IL VIAGGIO. Il viaggio è di per se un percorso esperienziale, prevede un prima e un dopo che lascia aperta la strada del cambiamento. Il viaggio più importante che noi facciamo è quello della nostra vita, ma durante il cammino, consapevoli o inconsapevoli, ne intraprendiamo molti altri. Ogni volta che scegliamo di seguire una strada, che sia essa affettiva o professionale, ci mettiamo di nuovo in viaggio. Sappiamo da dove partiamo ma non sappiamo quando, come e se arriveremo alla meta. Alle volte il viaggio ci spiazza, ci sorprende per bellezza o dolore. Esistono viaggi di piacere, d’avventura, ai limiti del possibile così come le fughe da realtà troppo strette e viaggi che non sceglieremmo mai, come la malattia.
IL LIBRO. Ricco di ironia sul potere e i politici dell’epoca. Gulliver non riesce a sostenere una vita familiare tradizionale e coglie ogni occasione per rimettersi in viaggio. Il mare diventa il suo elemento mediatore. La sua ironia ed intelligenza gli fanno da filtro e lo rendono emotivamente immune da sconvolgimenti interiori anche durante gli incontri più inusuali. Ogni approdo su nuova isola è preceduto da una tempesta come se, metaforicamente, per poter scoprire qualcosa di nuovo fosse costretto ad abbandonare le sue salde certezze e porsi nudo difronte all’ignoto. Ogni viaggio è un incontro e un confronto con la diversità fisica e culturale di popoli nuovi. Durante ogni viaggio, Gulliver è costretto a mettere in discussione le regole della sua società, la morale e i pregiudizi ai fini della sua stessa sopravvivenza, educandolo alla tolleranza ed al rispetto. Gulliver è lo spettatore stesso che intraprende un viaggio difficile e a tratti sgradevole o affascinante fra corpi e voci espressivi e dissonanti, suadenti e respingenti.

Modalità e difficoltà nel rapporto tra progetto teatrale e psicoterapia.
Le difficoltà in questo lavoro sono molte così come le ricchezze. I Cim non sono teatri e i medici non sono teatranti, così gli insegnanti di arti varie e i registi non sono psicoterapeuti. Esistono luoghi in cui le due realtà si fondono dando vita alla Teatro-Terapia, ma non è il nostro caso. La convivevnza dei reciproci mestieri è una grande ricchezza, l’ascolto reciproco delle esigenze, la fiducia di base, la collaborazione, sono fondamentali e se tutto ciò avviene il lavoro di ognuno può arricchirsi immensamente. Importante è ricordare sempre che i nostri attori prima che “pazienti” sono persone, e nonostante siano seguiti, guidati e “curati”, non appartengono a nessuno se non a loro stessi. Sono persone che hanno vissuto o stanno vivendo un momento difficile che esige rispetto. Questo vale per il teatrante che in nome della sua arte, specie nella fase imminente lo spettacolo, può rischiare di concentrarsi troppo su di sé, ma anche per lo staff medico che, specie nell’andata in scena, può faticare a vedere il suo pupillo come un professionista a tutti gli effetti. Partendo da questo presupposto e modificando eventualmente il piano di lavoro, in base alle esigenze del gruppo, è possibile vedere il raggiungimento di una meta condivisa. Il linguaggio espressivo, la chiave di racconto è così in continuo mutamento e lo stato d’animo migliore è quello di considerare la difficoltà riscontrata in corso d’opera non come un muro insormontabile ma come una prerogativa caratterizzante. Spesso si parte da un’idea drammaturgica più articolata, ricca di dettagli e colpi di scena, che però risulta difficile per alcuni e si scopre che la semplicità richiesta perché possa essere compresa da tutti è la chiave più interessante, quella che permette la sintesi, la visione profonda delle cose.

Note di regia
Lavorare con persone che non hanno come scopo quello di diventare attori è davvero molto stimolante, perché sono in partenza già aboliti molti luoghi comuni. Il desiderio di riuscita di un’operazione ha perciò meno il sapore di un bisogno narcisistico e individuale di successo. Il gruppo di Gulliver aveva il problema opposto, temeva il pubblico, il confronto, il giudizio. Alcuni, provenienti da passate esperienze evidentemente mal gestite, avevano paura a parlare in pubblico, paura di scordare la parte, paura di non capire e di sbagliare. Siamo quindi partiti dal presupposto che ogni gesto o azione dovessero essere condivisi e compresi da tutti. Personalmente avevo un’idea dello spettacolo finale legata anche a concetti difficili quali: l’equilibrio e il bilanciamento come metafora delle relazioni umane, che possono nel loro eventuale sbilanciamento equivalere ad un naufragio, l’incontro con il diverso che ci sorprende e ci costringe a relativizzare il nostro usuale punto di vista, il gigante che ci sovrasta che non è necessariamente quello delle fiabe ma alle volte è parte del mondo in cui viviamo o delle cose che ci succedono, come il nostro quartiere opprimente o il malessere che affrontiamo. Ogni esercizio durante il laboratorio e ogni scena poi montata per lo spettacolo sono state discusse con il gruppo, alle volte ho dovuto “pretendere” fiducia quando la strada sembrava tortuosa, ma ho sempre cercato un percorso per arrivare insieme alle cose. Trovo questa strada la più interessante da percorrere. Ho sentito il bisogno di usare il suono, il video, le luci e la scena attuando anche con questi elementi narrativi un gioco d’integrazione. I suoni e le immagini, più che raccontare qualcosa e vivere di vita propria, volevano essere un sottofondo all’azione scenica, una sorta di suggerimento – agendo quasi a livello subliminale – in grado di indirizzare il pubblico verso una percezione più istintiva della messinscena. Era una grande scommessa, in quanto l’insieme poteva rischiare di risultare scollegato o dissonante. Credo che alla fine anche questi elementi apparentemente più legati al mondo tecnologico, debitamente “sporcati” e resi imperfetti, come la parte più interessante di noi, nelle mani di collaboratori sensibili abbiano contribuito all’amalgama del tutto.

Alessandra_Panelli

2004-07-19T00:00:00




Tag: teatro sociale e di comunità (97)


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