Libri & altro: Simbolismo l’origine delle avanguardie

Roberto Tessari e Massimo Lenzi, Maschere e musiche. Saggi, materiali e studi sul Simbolismo teatrale

Pubblicato il 28/12/2004 / di / ateatro n. 079

Massimo Lenzi e Roberto Tessari, l’uno studioso di teatro legato alla drammaturgia e alla regia russa, il secondo una delle più autorevoli voci della critica teatrale del Novecento, hanno dedicato questo volume ad alcuni temi e autori che, ad inizio secolo, hanno portato alla frantumazione del teatro tradizionale. Il volume è, infatti, un’attenta lettura di una corrente artistica quale il Simbolismo, vista come “progenitrice” di tanta avanguardia teatrale contemporanea.
Lenzi nella prima parte del volume parla di Aleksander Blok, di cui si dà un’analisi del dramma Roza i Krest del 1912, summa dell’opera blokiana, per dimostrare la “centralità del linguaggio poetico in un contesto drammaturgico”, ovvero, la “funzione drammaturgica del ritmo versificato”, scendendo a scandargliarne sin nei dettagli varietà, costanti e musicalità, nella prospettiva dello studio “metricistico” di Rudnev. Materiali di studio sono stati i Diari e i Taccuini blokiani relativi alla pièce, da cui è stato possibile verificare la genesi creativa, l’ipotesi di messa in scena, le diverse “redazioni” del testo, l’elaborazione del tema dei “conflitti sociali ed individuali ingenerati nel mondo cristiano dall’eresia catara”.
Tessari propone invece un excursus che va dal Wagner di Bayreuth (che congeda il Duca di Meininger e il suo “realismo ricostruttivo e archeologico”) al Jarry del dissacrante Ubu Roi (che dà inizio al Simbolismo teatrale) al blokiano Balagàncik (La baracca dei saltimbanchi) con la regia del capofila dell’avanguardia teatrale sovietica, Vsevold Meyerchol’d, soffermandosi sul significato della maschera nella teatrologia simbolista, percorso che conduce alla “tentazione teatrale della visionarietà”, ma fors’anche (e con questo crediamo di giustificare il titolo del volume) attraverso quella polarità di cui parla nel 1871 Nietzsche, quando coniuga Apollo e Dioniso: i personaggi sono maschere (laddove nello spettacolo naturalistico sono “personaggi verosimili”) e il ritmo è una danza:
“Qualora volessimo restare a livello di metafore”, ricorda Tessari, “dovremmo dire che il Dioniso manifestatosi attraverso Ubu Roi e Balagàncik non è quello della tragedia, bensì quello della commedia: non il nume di uno stile rappresentativo teso a riflettere intorno al mistero della sua morte e resurrezione, ma il puer aeternus delle Lenee e del Komos – lo spirito “infantile”, dissoluto e scapestrato, negatore di qualsiasi certezza, devoto della confusione, amante del turpiloquio e della denigrazione senza limiti, di cui possiamo trovare chiare tracce nelle opere di Aristofane. Come aveva intuito Yeats, il teatro ‘vivo’ del Novecento non nasce da una improbabile sintesi di estenuate forme moderne e di astratte speranze nel recupero d’una “sacra barbarie” primigenia. Si profila invece attraverso lo sberleffo (goliardico o accorato, poco importa) che oltraggia e scompone tutte le certezze accreditate senza eluderne il peso concreto”.
Ubu roi (1896) e Balagàncik (1906) sconvolgono le regole e le convenzioni del dramma, del personaggio (che diventa maschera), dell’attore (che nella profezia di Craig dovrebbe assurgere al rango di Supermarionetta), sconvolgendo equilibri e certezze e anticipando la ricerca del Secondo Novecento, da Carmelo Bene al Living Theatre.

Roberto Tessari e Massimo Lenzi, Maschere e musiche. Saggi , materiali e studi sul Simbolismo teatrale, mpf Editore, Lucca.

Anna_Maria_Monteverdi

2004-12-28T00:00:00




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