Opere d’arte totali

Una intervista a Paolo Consorti

Pubblicato il 15/02/2005 / di / ateatro n. 081

E’ aperta fino al 26 febbraio, alla Galerie sphn di Berlino la mostra Inferno di Paolo Consorti. Attualmente l’artista – la cui opera può certamente interessare chi si occupa di teatro – è al lavoro su una personale a Milano (di cui ateatro darà certamente notizia).
Paolo Consorti è nato nel 1964 a San Benedetto del Tronto. Le sue opere possono ricordare sia le visionarie allucinazioni di Hyeronimus Bosch sia gli esasperati travestitismi di Matthew Barney. Ma a caratterizzrali è anche quella che nei suoi Saggi critici Roland Barthes definiva “teatrlità”, ovvero “il teatro senza il testo”.
 
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Paolo Consorti, Eden, 2004.

I suoi lavori ricordano spesso una scena teatrale: nella costruzione dello spazio, con fondali che hanno spesso un grande impatto scenografico, nella disposizione delle figure in questo spazio, nell’identificazione di veri e propri personaggi, con costumi fortemente caratterizzati, che portano a volte a ipotizzare una dialettica personaggio-coro; nel suggerire una dinamica dell’azione che queste figure-attori paiono svolgere. Questa «teatralità» del suo lavoro, questo sapere registico, è consapevolmente ricercata o è – per così dire – il sottoprodotto di un percorso artistico che ha un’altra genesi?

Nel mio lavoro tutti gli elementi sono forzati, tesi fino alle loro estremità, ma posti su una piattaforma che si contiene in un equilibrio. Questo equilibrio per me è spettacolo, seduzione, coinvolgimento… e deve essere vibrante, denso.
Non credo che la pittura, la fotografia, la body art, o il teatro, esistano per sé stessi; tutte le discipline hanno i loro linguaggi, ma questi vengono contraddetti e smentiti, ignorati, o al contrario ripresi e contaminati dalle successive sperimentazioni.
Non ritengo nessun linguaggio assoluto, ed è per questo che nella mia arte mi muovo per il risultato e non per rendere assoluti i mezzi.
Allora dipingo senza voler essere pittore, e così fotografo, scolpisco, realizzo fondali, creo e muovo i personaggi, racconto una storia… ma non sono fotografo, scultore, scenografo, regista, scrittore; sono un artista che per realizzare ciò che ha immaginato ha bisogno di tutto. Dunque non cerco in modo programmatico connessioni specifiche con il teatro, ma mi interessano molto nella misura in cui lavorare sui personaggi, creare scene, muovere masse o isolare singoli, sono operazioni che mi consentono di comunicare in modo più forte.
Per quanto riguarda il mio background credo che una certa vicinanza con il teatro mi derivi da un rapporto indiretto, e per me molto forte, che è quello con la storia dell’arte, italiana in modo particolare, a conferma che le discipline si sovrappongono ed hanno punti di tangenza. Pensiamo alla pittura barocca, all’articolata costruzione della scena, al modo di collocare I personaggi e farli interagire. Cito Bernini, per la sua capacità di far fluire pittura, scultura e architettura in un’unica visione e Caravaggio, per la sua capacità di dare forza al gesto e di essenzializzare la scena. E’ questa la cultura che mi porto dietro e da cui sono partito, di cui conservo alcuni elementi mantenendo comunque un atteggiamento rispetto ad essa che non vuole essere in alcun modo citazionista.
Quello che mi interessa sono i sentimenti delle persone, le loro attitudini e i comportamenti.
E’ molto interessante la sua osservazione della dialettica personaggio-coro che emerge in alcune scene. Le masse nel mio lavoro sono un modo per sottolineare un’identità collettiva, un riconoscersi in un agire, in una scelta, o in una debolezza. Quando invece emerge un personaggio singolo questo è o un modo per sottolineare maggiormente una tensione in cui riconoscersi, o al contrario, una presenza a sé, un soggetto che osserva, quasi fosse una coscienza autonoma. La funzione di questi personaggi è quella di osservare, sono come uno sguardo interno alla scena che probabilmente rafforza il senso di spettacolo e teatralità.

Paolo Consorti, I traditori, 2004.

Qual è il suo rapporto con il teatro? Ha avuto un ruolo nella sua formazione? Lo frequenta abitualmente?

Mi affascina molto il teatro e confesso di sentire spesso il bisogno di scoprirlo meglio. Nella mia formazione è stato un incontro mediato dal linguaggio della pittura, dalla lettura di alcuni testi e da una passione per l’opera che in un certo periodo mi ha coinvolto molto. Penso a Richard Wagner, al teatro di Bayreuth, e a quella sua idea di opera d’arte totale, che mi ha molto affascinato e che ha dato tanto anche alla cultura del Novecento.

Paolo Consorti, Mediterraneo, 2003.

Come lavora alla produzione di un’opera? Utilizza modelli dal vivo? Ricostruisce nella realtà lo spazio scenico-pittorico?

Ci sono varie fasi di costruzione prima di arrivare all’immagine finale. Dopo aver messo a punto un progetto coinvolgo dei modelli, che possono essere amici e professionisti, vengono truccati e abbigliati secondo il loro ruolo, c’è una fase di preparazione in cui discuto con loro per arrivare a centrare l’azione. I personaggi sono fotografati singolarmente o in gruppo.
Un’altra operazione è quella di costruire gli spazi. Lo faccio attraverso piccole sculture e fondali dipinti che fotografo e trasporto su supporto digitale.
Poi l’elaborazione elettronica e il trasferimento su tela, dove intervengo anche manualmente.

Paolo Consorti, Purification, 2003.

Nel suo lavoro utilizza tecnologie elettroniche?

L’elaborazione elettronica e la stampa digitale sono passaggi importanti nel mio lavoro. Sono tecnologie di cui mi avvalgo da pittore; infatti non ho mai deciso di abbandonare la tela ma ho scelto di operare su di essa fondendo tecnologia e manualità in un risultato diverso dalla pittura pura e dalla fotografia.
Per me è un modo nuovo di fare pittura, lavorare solo con il pennello sarebbe anacronistico rispetto a quello che intendo realizzare e rispetto alle procedure che impiego.

Paolo Consorti, The truth, 2004.

Ha mai lavorato come scenografo?

Ho avuto una breve esperienza come scenografo per il cinema subito dopo gli anni dell’Accademia. Non erano produzioni importanti ma è stata un’esperienza che mi ha avviato verso realizzazioni concrete. L’incontro più entusiasmante è stato comunque quello con Sergej Bondarciuck, nato da una cooperazione italo-russa per un progetto, mai realizzato, sulla Divina Commedia.
Anche se quel lavoro, per la sua complessità, si è poi fermato, tutto quello che ho disegnato e progettato è rientrato in modo molto evidente nel mio percorso successivo, sia per quanto riguarda la concezione degli spazi, che per quel misto tra realismo trecentesco e immaginazione surreale che Dante ha saputo miscelare in modo straordinario.
La Divina Commedia è stata per me una grande passione e continua a esserlo ancora oggi; trovo attuale il mondo dei gironi, mi ricorda in qualche modo l’umanità libera e imprigionata di internet che per me è una fonte inesauribile di ispirazione.

Paolo Consorti, Trittico, 2005.

Le personali di Paolo Consorti

2004
Paolo Consorti, Gas Art Gallery, Turin

2003 Il Ponte Contemporanea, Rome

2002
Marella Arte Contemporanea, Milan

2001
Cartiere Vannucci, Milan
Galleria Nuova Artesegno, Udine

2000
Studio Ercolani, Bologna
Il Ponte Contemporanea, Rome

1999
Galleria Romberg, Latina
MAC Gallery, Minneapolis, USA

1998
Galleria L’Ariete, Bologna
Landrostei Pinneberg, Hamburg
Kunstverein Friedrichstadt, Berlin
Altermatt Gallery, Springfield, USA

1997
Space J.F.K., New York

1996
Southwest University, Marshall, USA

1995
Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Università La Sapienza, Rome

1993
Università Cattolica, Milan
Dai Ichi Gallery, Tokyo

1992
Palazzo Ducale, Urbino

Si ringraziano Galleria Marconi e Gloria Gradassi.

Oliviero_Ponte_di_Pino

2005-02-15T00:00:00




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