La confessione cinematografica di un fan di Alfred Hitchcock

Costanti tematiche e motivi teatrali nel cinema di Robert Lepage: il caso Le confessionnal

Pubblicato il 23/07/2005 / di / ateatro n. 086

Il confessionale (Le confessional, 1995) di Robert Lepage è il primo film girato dal regista canadese ed è anche l’unico a non essere tratto da alcuna sua opera teatrale. Solitamente abituato a creare un percorso artistico che dal teatro approda al cinema, transitando per un lungo processo dall’ideazione alla messinscena, attraverso successivi stadi di stesura e di scritture fino alla fissazione del testo definitivo e alla realizzazione di una pellicola (da Le Poligraphe a No, a La face cachée de la lune), Lepage qui si cimenta direttamente con il medium cinematografico senza l’originario imprimatur teatrale, ma non rinuncia però a chiamare all’appello contenuti e motivi formali che abitano le sue internazionali produzioni teatrali.
Dal punto di vista della trama, il film è un’intricata saga familiare che si impernia sullo svelamento dell’identità del padre, appena morto, da parte dei due protagonisti, e che si collega, come è noto ad una certa filmografia hitchcockiana, in particolare a Io confesso, pellicola che Alfred Hitchcock, regista molto amato da Lepage, girò proprio a Quebéc nel 1952.
I richiami di Lepage a Hitchcock sono sia tematici (come in Io confesso c’è un prete ingiustamente accusato che non può difendersi perché vincolato dal segreto confessionale) sia visivi, con l’inserto di alcune scene in bianco e nero della pellicola del regista inglese che si fondono perfettamente con la storia di Il confessionale in un gioco di citazione e insieme metanarrazione filmica.
Come nei suoi spettacoli teatrali Lepage mostra talvolta allo spettatore il dispositivo in scena (i videoproiettori ai piedi degli spettatori in La face cachée de la lune), svelando gli artifici tecnici che permettono all’attore di dialogare con la macchina scenica, così ne Il confessionale ricostruisce il set di Io confesso palesando allo spettatore gli artifici sottesi all’opera cinematografica con un complesso procedimento autoriflessivo. Io confesso è stato inoltre girato nella chiesa dove sarà battezzato uno dei protagonisti del film di Lepage.
In entrambi i film è nel passato che si ricerca la verità o la soluzione di un mistero – lo svelamento dell’identità del padre di Marc Lamontagne in Il confessionale e del vero assassino in Io confesso. Quest’ultimo è giocato su due piani temporali, passato e presente (si ricordi il lungo flash-back che occupa la parte centrale del film, e che mostra la storia d’amore fra il prete e la protagonista femminile); allo stesso modo la struttura del primo lungometraggio di Lepage si basa sulla stretta intersecazione di due storie ambientate in periodi diversi: la prima, che si svolge proprio durante le riprese di Io confesso in una chiesa del Quebéc nel 1952, narra le difficoltà di una ragazza madre e il segreto sulla paternità del figlio che aspetta; la seconda, ambientata nel 1989, ruota intorno alla ricerca del padre da parte del bambino, ormai adulto, aiutato dal suo fratellastro Pierre.
Nel film di Hitchcock i ricordi dei personaggi assumono la forma di flashback: ognuna delle evocazioni del tempo passato di Io confesso viene introdotta e si conclude mediante una dissolvenza, diversamente da quanto accade nel film di Lepage, dove le immagini del passato non appartengono ai ricordi di alcun personaggio, ma sono inserite dal narratore extradiegetico senza utilizzare tecniche di transizione come ad esempio la dissolvenza.
Le transizioni temporali di Lepage sono introdotte da carrellate, da panoramiche o piani sequenza, perciò senza stacchi di montaggio, e non sono mai collegate alla memoria volontaria dei personaggi.
L’inchiesta poliziesca della pellicola hitchcockiana corre parallela ne Il Confessionale ad una inchiesta più intima e archetipica: la ricerca delle proprie origini rappresentata dallo svelamento edipico dell’identità del padre.
Ne Il Confessionale molte immagini in bianco e nero del film di Hitchcock si intarsiano con le immagini a colori vere e proprie della storia dei personaggi lepagiani. Fin dall’inizio del film, brani di Io confesso grazie all’espediente del ponte sonoro, si inseriscono interrompendo la narrazione.

La sequenza de Il confessionale più interessante dal punto di vista tecnico in cui assistiamo all’integrazione di Io confesso è sicuramente quella ambientata nel 1952 nella chiesa dove lavora la madre di Marc e dove officia messa il prete che ha accolto in confessione il suo segreto. Lo staff di Hitchcock sta girando in questa chiesa alcune sequenze di Io confesso mentre si sta celebrando il battesimo di Mark in sagrestia.
In un complesso piano sequenza la macchina da presa prima inquadra Hitchcock (interpretato da Ron Barrage) e il suo attore (nel film di Lepage una controfigura presa di spalle incarna Montgomery Clift) che stanno iniziando a girare una scena di Io confesso, poi in un procedimento di mise en abîme nel momento in cui Hitchcock dice “Motore!” la pellicola di Lepage diventa in bianco e nero e all’inquadratura diegetica de Il confessionale subentra una vera e propria sequenza di Io confesso in bianco e nero (la sequenza che Hitchcock sta girando in quel momento nella chiesa): lo “sguardo” di Hitchcock si sostituisce allo “sguardo” del regista di Il confessionale senza soluzione di continuità con un complesso effetto metacinematografico.
La produzione cinematografica di Lepage, in particolare Il confessionale e Polygraphe, è basata sulla ricerca di una verità mai garantita, sempre pronta a contraddirsi: i personaggi delle sue opere filmiche e teatrali sono contraddistinti da una personalità contraddittoria, sfaccettata, che fa dubitare continuamente della loro buona fede, della loro innocenza o colpevolezza, della veridicità delle loro confessioni. Allo stesso modo il fascino e l’interesse dell’opera hitchcockiana, come hanno sottolineato per primi Eric Rohmer e Claude Chabrol nel saggio dedicato al regista inglese , consiste proprio nel saper creare figure ambigue, che spesso caricandosi della colpa di delitti altrui, divengono essi stessi colpevoli (un esempio per tutti il prete protagonista di Io confesso).
Nota Antonio Costa nell’introduzione al libro di Rohmer e Chabrol che i nuclei narrativi e tematici al centro dell’opera hitchcockiana sono il transfert di colpa, la confessione, la tentazione della perdizione e il sospetto (tutti temi presenti ne Il confessionale e Polygraphe) e l’inevitabilità del passato che riemerge (si vedano a questo proposito i film hitchcockiani La donna che visse due volte, 1958, e Marnie, 1964) .

In Lepage un movimento a spirale anima il teatro da un lato e il cinema dall’altro: motivi visivi (la scacchiera, il muro, il ponte…) e tematici (il viaggio tra Oriente e Occidente, il plurilinguismo, la specularità all’interno di una coppia di personaggi spesso legati da affetto fraterno) tipici della sua produzione teatrale ritornano nei film, mentre dal medium cinematografico Lepage accoglie uno spregiudicato modo di trattare il tempo e di ravvicinare, mediante un’operazione di montaggio, epoche e luoghi diversi (in una stessa scena è possibile assistere alla compresenza di più luoghi e livelli temporali di volta in volta illuminati, “inquadrati” grazie all’introduzione del video).
L’opera teatrale di Lepage che più di ogni altra intrattiene legami formali, tematici e soprattutto strutturali con Il confessionale è sicuramente I sette rami del fiume Ota (Les sept branches de la rivière Ota, 1994-1996), concepito del resto negli stessi anni in cui fu elaborato e girato il film.
E’ un’opera complessa con un andamento centrifugo a “mandala” che trova il suo cuore geografico e temporale nell’Hiroshima dilaniata dalla bomba atomica nel 1945 e che segue la vita di sette personaggi legati fra loro da rapporti di parentela nel corso di un cinquantennio tra Hiroshima, New York, Osaka, Terezin, Amsterdam.
I due personaggi principali motore dell’azione sono, come ne Il confessionale, due fratelli , che inizialmente ignorano di esserlo, chiamati entrambi Jeffrey: si incontreranno per caso a New York ormai adulti e scopriranno di avere avuto lo stesso padre Luke O’Connor, grazie ad una fotografia (la verità verrà letteralmente “alla luce” dopo il processo di sviluppo della fotografia).
Proprio come ne Il confessionale, dove l’unica testimonianza che Marc adulto ha della sua infanzia è rappresentata da una foto del suo battesimo, traccia di un passato destinato altrimenti all’oblio.
Uno dei simboli de Il confessionale è il ponte (ne I sette rami del fiume Ota sono presenti due ponti che attraversano il fiume, ricostruiti subito dopo essere stati distrutti dalla bomba atomica): il film infatti inizia e finisce con immagini del Pont de Québec. Il ponte, «legato al tema della sessualità, della fecondazione, della rigenerazione» , assurge così a simbolo di una separazione spaziale, che infine però congiungerà luoghi e tempi altrimenti non collegati.
Forse un indiretto invito di Lepage a superare i particolarismi che lacerano anche la sua Regione a favore di una contaminazione culturale che arricchisca il singolo individuo e insieme la comunità.
I personaggi dello spettacolo viaggiano, come Marc e Pierre de Il confessionale, fra Oriente e Occidente, per ricostruire le proprie origini, affrancarsi dal loro passato o trovare risposta ai propri interrogativi morali e interiori.
Ma è soprattutto nel modo di trattare i salti temporali, l’emergere confuso di sprazzi di memoria che irrompono nel presente senza transizioni sintattiche, come a ricalcare il processo mentale di improvviso ritorno di immagini rimosse, che I sette rami del fiume Ota non può non ricordare il procedimento di montaggio che è alla base de Il confessionale: Béatrice Picon-Vallin sostiene infatti che il vero tema dello spettacolo (un vero e proprio “prototipo del genere videoteatrale) è appunto, il “trattamento della memoria”.
lepage porta con disinvoltura sulla scena teatrale un montaggio parallelo di tipo cinematografico grazie anche all’introduzione del video: la scenografia, che ad un primo livello ricostruisce la tipica casa giapponese formata da porte scorrevoli semi-trasparenti è composta in realtà da sette pannelli di spandex che oltre ad “inquadrare” i personaggi, isolandoli dal resto dell’azione, fungono da schermi di proiezione. In questo modo la scena può ospitare contemporaneamente luoghi ed epoche lontane fra loro proprio come ne Il confessionale uno stesso piano-sequenza accoglieva e metteva in relazione significante il 1952 e il 1989, il Québec e il Giappone.
Tutte le transizioni temporali ne Il confessionale sono innestate da una unità di luogo: Lepage usa lo spazio come veicolo per viaggiare liberamente tra presente e passato, in questo caso tra il 1952 e il 1989 che spesso coesistono in una stessa inquadratura. Abbracciando il tempo e lo spazio, la mobile cinepresa di Lepage giustappone il “qui ed ora” al “là ed allora” come può fare un regista teatrale che si muove tra molteplici scenari mediante illuminazione alternata.
In una sequenza del film vediamo l’amante di Marc anziano nel 1989 che sale le scale dell’albergo. La macchina da presa segue il suo ascendere lungo la rampa delle scale, ma fra un piano e l’altro il personaggio si trasforma in se stesso da giovane, quando era ancora prete, colto nell’atto di salire le scale della chiesa. Lepage inganna l’occhio dello spettatore poiché assistiamo ad un falso piano sequenza: all’altezza del pavimento che divide le due rampe di scale (momento in cui avviene lo scarto temporale apparentemente fluido) c’è un impercettibile stacco nel montaggio.
L’appartamento del padre dove Pierre è tornato rappresenta l’inevitabile persistenza della memoria, indicata dai vuoti quadri scoloriti sulla parete dove un tempo c’erano le fotografie di famiglia. La parete diviene nel film un diaframma permeabile su cui emergono in dissolvenza sequenze legate al passato dei personaggi.
A livello visivo ricorre il motivo del paravento tipico delle culture orientali: come ne I sette rami, così anche ne Il confessionale l’appartamento in Giappone dove si ucciderà Mark è formato da pannelli scorrevoli suddivisi in caselle rettangolari (un richiamo alla grata del confessionale) che incorniciano i personaggi.
Nelle scene ambientate in Giappone de I sette rami del fiume Ota, Lepage adotta un’illuminazione in controluce che appiattisce i personaggi rendendoli nere sagome bidimensionali che ricordano il teatro d’ombre orientale; ritroviamo lo stesso procedimento ne Il confessionale, in particolare nella sequenza della sauna in cui i personaggi, inquadrati dall’alto e immersi in nel vapore giallo, divengono silhouettes evanescenti, e nella sequenza ambientata nell’appartamento di Pierre dove una luce posta in basso in primo piano proietta, ingranditi e deformati, i corpi dei due fratelli accostati alla parete.

Come ogni suo spettacolo teatrale, anche i film di Lepage si originano a partire da un “oggetto risorsa”, l’idea che è alla base del processo creativo, un “germe du départ” che trova corpo in un oggetto concreto in perenne trasformazione, che diventa il leit motive visivo dell’opera d’arte: «Un piccolo dettaglio nel quale ciò che nasce nel processo della creazione può rivelare in un attimo tutto quello che contiene lo spettacolo» .

In Il confessionale assistiamo, soprattutto nell’ultima sequenza, al continuo metamorfismo dell’oggetto-risorsa intorno a cui ruota tutto il film: la parete, che grazie ad un elaborato sistema di sovrimpressioni si trasforma in schermo cinematografico, grata del confessionale e vasca da bagno.
In montaggio parallelo sono sintatticamente e semanticamente accostati il suicidio della madre di Mark nel 1952 a Québec, il suicidio di Mark nel 1989 in Giappone, e Pierre nella sua abitazione di Québec.
Hitchcock ha appena finito di girare una sequenza di Io confesso nel 1952 e dice all’operatore “cut!” (“taglia!”); con uno stacco torniamo in Giappone dove Mark si sta tagliando le vene nella sua vasca da bagno. Sull’immagine della vasca oramai divenuta rossa di sangue, germina per sovrimpressione il corpo privo di vita della madre di Mark che si è uccisa nel 1952 nello stesso modo del figlio. In un ennesimo salto temporale e spaziale la macchina da presa si sposta nella casa di Pierre nel 1989: Pierre è seduto su una poltrona posta di fronte a un televisore che dà le spalle alla parete verniciata di blu. Fuori campo si sentono le voci e i rumori di Io confesso. Durante una carrellata in avanti, che si avvicina a poco a poco alla parete, si sente fuori campo Pierre che risponde al telefono apprendendo la notizia della morte di Mark. Il rumore del suo pianto si sovrappone alla musica finale di Io confesso, mentre sulla parete ormai inquadrata a schermo intero con un procedimento di chroma key emerge l’’ultima inquadratura di Io confesso con la scritta “The end”. A questo punto assistiamo ad un ritorno al 1952, proprio nel momento in cui gli abitanti di Quebéc City assistono, in una sala cinematografica, alla prima proiezione pubblica di Io confesso.
Che la sequenza di trasformazioni inizi con un suicidio nell’acqua, utero materno e dunque insieme morte e rinascita, e si concluda con lo schermo cinematografico che mostra il film ormai compiuto dopo una lunga gestazione, mi spinge a pensare che Lepage veda nell’’arte l’’unico veicolo per indagare sulle proprie radici e insieme fuggire la mortalità.
Il film di Lepage riflette sulle necessità di scoprire se stessi, e quindi rinascere, attraverso la ricerca delle proprie origini: è necessario fare i conti con il passato personale e con la storia del proprio paese e questo è possibile solo cercando uno specchio e solo confrontandosi con il diverso da sé.
Oltre che dal punto di vista contenutistico anche da quello formale, Lepage, adotta una compresenza di vari stili e linguaggi sempre tesi alla ricerca di una unitarietà che si origini dalla différence.

Sara_Russo

2005-07-23T00:00:00




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