Una storia anormale

Intervista a Andrea Balzola su "La f@ttoria degli anormali"

Pubblicato il 27/10/2005 / di / ateatro n. 090

Qual è il punto di contatto tra il romanzo di Orwell e la storia da te immaginata, come hai pensato, cioè di attualizzarne la trama?
Il progetto La fattoria degli anormali si ispira molto liberamente al romanzo di Orwell, l’idea da cui nasce è la risposta a questa domanda: qual è la fattoria degli animali del presente e del prossimo futuro, nella quale Orwell – profeta di sventure anche col Grande Fratello di 1984 – avrebbe ambientato oggi il suo romanzo? La risposta è: una grande azienda biotecnologica multinazionale che sperimenta e produce ogm, vegetali, animali (e perché no, umani) proprietaria di un network televisivo e di un portale web: la GAF (Genetical Animal Farm). La rivolta degli animali in questo caso è motivata e aggiornata dai più recenti e sofisticati abusi che il genere umano infligge al mondo animale.
Come nel romanzo orwelliano, ma in modo completamente nuovo per contesto, linguaggio, personaggi e sviluppo narrativo, la storia è raccontata in chiave paradossale, con un humour nero surreale ma non irreale che forse sarebbe piaciuto a Breton. E’ un apologo satirico sulla tirannia di una multinazionale di prodotti biogenetici che produce, alleva e tiene prigionieri in una fattoria ipertecnologica animali di diverse specie sottoposti a ogni genere di sperimentazione, soprattutto riproduttiva (alcuni realmente prodotti dalla sperimentazione biogenetica, altri immaginari come un bestiario fantagenetico): si creano artificialmente animali clonati (pecore che hanno tutte la stessa identità, metafora dell’”uomo-massa”), animali transgenici (maiali con cuore umano che si innamorano soltanto delle femmine umane), specie ibride (il gattotopo, che ha problemi di schizofrenia), con caratteri più aggressivi (il pit-bush, un cane apparentemente bonario che ha però scatti incontrollati di ferocia), etc. La multinazionale, che possiede anche un proprio network televisivo e un portale web, fa televendita dei suoi prodotti, affidandola a un mutante (un essere umano androgino, con geni e un arto equini), anche lui transgenico. In lui s’incarnano le contraddizioni, i paradossi e l’instabilità di una condizione ibrida, incompiuta e artefatta, in cui sensibilità emotiva e programma genetico lottano fino all’autodistruzione. Gli animali/anormali sono messi in vendita per esperimenti (tipo vivisezione), a scopo alimentare (per essere mangiati), a scopo decorativo-moda (per avere animali domestici sempre nuovi e originali, allultima moda), per vari servizi (animali spia, animali kamikaze). Questi animali, che vivono ogni tipo di vessazioni fisiche ed emotive, di angosce psico-esistenziali, si organizzano e attivano una rivolta contro la multinazionale, si impossessano della fattoria tecnologica, del network TV, del portale web, facendo prigionieri anche il televenditore mutante, e una giormalista. Poi prevalgono gli animali più aggressivi, i maiali transgenici, con cuore, fegato, reni umani, e impongono la loro dittatura, guidata dal più grosso e spietato di loro: Orwell. Via via assomigliano sempre più agli uomini, si erigono su due zampe, si vestono e si comportano come uomini di potere, sfruttando crudelmente i loro ex simili, gli animali non transgenici, li vendono agli uomini o li uccidono per commerciarne la carne, o li sterminano come “pulizia etnica”. Il mutante, che è sempre stato asservito, prima dagli esseri umani e poi dalla dittatura dei maiali transgenici, scoprendo la spietatezza dei nuovi esseri ha infine uno scatto di follia e di orgoglio, si rivolta ed è ucciso in diretta televisiva. Testimone di tutto, scettico e disincantato, anarchico e irriverente, è un asino, che rappresenta l’indipendenza del pensiero, il valore della memoria e di un’identità ben radicata nelle sue radici naturali e culturali.

Come nel romanzo di Orwell, il senso della trama ha perciò una doppia lettura, che non si limita alla questione animalista…

Il romanzo di Orwell estrapolato dalla sua più mirata specificità storica, mantiene ancor oggi una duplice attualità: l’assunzione del punto di vista degli animali con la conseguente critica alla crudeltà e al cinismo ai quali gli esseri umani li sottopongono, e una critica spietata alla strumentalizzazione ideologica delle coscienze che tende a sfruttare legittime aspirazioni collettive di libertà e benessere piegandole ai fini del potere di singoli individui o di piccoli gruppi-lobbies. Oggi, il totalitarismo ha cambiato volto, non ha più quello barbaro e sanguinario dei dittatori del XX secolo (almeno in Europa), ma è più sofisticato e più ipocrita, più anonimo e più capillare, più seduttivo e più penetrante. E’ molto difficile difendersene. Oggi noi viviamo in due regimi totalitari, uno in atto e un altro in pectore. Il primo è la dittatura del mercato, (più in generale l’interesse economico che diventa prioritario in tutti gli ambiti dell’esistenza) un fenomeno globalizzante – perché parte dai paesi cosiddetti avanzati ma raggiunge tutte le aree del pianeta – sostenuto dai media, sempre meno strumenti di informazione e sempre più strumenti di orientamento del “consumo” collettivo, sia di beni materiali sia di beni immateriali (il gusto, le tendenze, le idee…). La seconda dittatura che si va affermando è quella dell’innovazione tecnologica, nel momento in cui lo sviluppo tecnologico non si fonda più sulle esigenze collettive ma le crea, diventando un valore autoreferenziale. Il connubio tra dittatura del mercato, promulgata dai media, primato dello sviluppo tecnologico e una particolare interpretazione dello sviluppo scientifico – potremmo definirla una corrente scientifica assolutista – che affida unicamente alla combinazione scienza-tecnologia la ricerca di una risposta ai grandi misteri dell’esistenza: malattia/benessere, sessualità/desiderio, vecchiaia/longevità, morte/nascita, determina il rischio di un regime autoritario globale, dove all’etica delle possibilità che dovrebbe governare l’evoluzione umana si sostituisce una politica delle certezze.

La biotecnologia e la biogenetica sono i veri motivi dominanti del progetto. Qual è la vostra posizione in merito alle sperimentazioni dell’ingegneria genetica?

Una delle questioni più controverse e complesse del dibattito scientifico ed etico contemporaneo riguarda proprio la ricerca biotecnologica, che come mai in passato tocca i fondamenti stessi della vita e dove non a caso s’intrecciano enormi interessi economici (delle multinazionali farmaceutiche, dei grandi centri di ricerca, delle nuove multinazionali specializzate in ogm), priorità dell’investimento tecnologico (la disponibilità e l’innovazione tecnologica costituiscono la discriminante per il raggiungimento dell’obiettivo “scientifico”) e certezza sulla possibilità che la scienza sia in grado di rimediare tutti gli “errori” o le “incompiutezze” della natura. La realizzazione dell’ambizioso progetto di mappatura genetica integrale dell’uomo (il progetto “Genoma umano”), a detta degli stessi scienziati (mi riferisco per esempio ai testi di Gianni Tamino e di Roberta Bartocci che pubblichiamo nella brochure del progetto) non autorizza automaticamente a pensare di poter gestire secondo una moderna “ars combinatoria” il patrimonio genetico degli esseri viventi, manipolandolo per orientarlo alla “perfezione”. Infatti, senza evocare i fantasmi dell’eugenetica, non è difficile prendere atto, nello stesso ambiente scientifico e perfino da parte dei fautori della biogenetica, che, come dice Dulbecco, “inserendo un gene estraneo in un organismo possiamo sì ottenere l’espressione di quel gene ma possiamo determinare l’alterazione dell’espressione di un grande numero di altri geni. Ma non sappiamo assolutamente né quali geni alterano né quando avranno questa alterazione né quando si verificheranno problemi per l’organismo”. Come suggerisce Gianni Tamino, la sperimentazione biogenetica avviene ancora al buio perché non ne conosciamo la sintassi. E’ pertanto necessario garantire la libertà della ricerca scientifica, ma ancorandola a una riflessione etica collettiva ed evitando che sia guidata e gestita da interessi speculativi e commerciali, la posta in gioco è troppo alta e troppo complessa per abbandonarla alla deriva del liberismo ideologico ed economico.I

Esiste un mercato per progetti crossmediali così innovativi come Fattoria?

La fattoria degli anormali è stato pensato per diversi “luoghi” e “contesti” artistici (Festival video e teatrali; distribuzione televisiva indipendente, mostre mercato del fumetto) proprio per rivendicare un’idea di multimedialità non limitata alla ricerca artistica ma estesa anche alla produzione più popolare (video-tv, comic art, net art).

Anna_Maria_Monteverdi

2005-10-27T00:00:00




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