Le recensioni di ateatro: La Romanina di e con Anna Meacci

Drammaturgia di Luca Scarlini, regia di Giovanni Guerrieri

Pubblicato il 20/01/2006 / di / ateatro n. 094

Romano Cecconi nacque nel 1941 in un piccolo paese della Garfagnana: vi rimase poco, dopo qualche anno era già a Firenze. La sua storia anagrafica si interruppe nel luglio del 1972 per fare spazio a una “rinascita”: quella di Romina Cecconi, la Romanina.
Quell’’anno il tribunale di Lucca dette validità legale a un desiderio che per decenni aveva dovuto lottare contro un’Italia bigotta e impreparata, contro un corpo che non corrispondeva a come la mente avrebbe voluto vederlo, contro l’’incomprensione e l’’indifferenza di chi rideva e sbeffeggiava senza voler leggere la sofferenza che si nascondeva sotto a parrucche e vestiti attillati: travestimenti che Romina indossava, passeggiando lungo via Tornabuoni, per rendere plateale (e di conseguenza, attraverso la trasformazione del timore in vitalità, più sopportabile) l’’urgenza di gridare il proprio disagio, per esorcizzare i fantasmi di una contesa privata che durava praticamente da sempre; da quando le persone del suo paese le dicevano “altro che Romano, te sei una Romanina”, da quando a scuola i compagni la chiamavano “la donnicciola”.
Romina ha detto che un tempo chi nasceva con il corpo sbagliato aveva solo due scelte: il palcoscenico o il marciapiede. Se oggi non è più così, gran parte del merito spetta proprio a lei: alle sue battaglie, al coraggio e alla speranza che il suo attivismo e il suo esempio hanno dato a tante persone alle prese con gli stessi problemi, al suo non nascondersi. Ma a quel tempo l’’Italia era un’’altra Italia: Romina provò a calcare il palcoscenico, ma la cosa non poteva funzionare. Le sue imitazioni di Milva e i suoi spogliarelli mandavano in delirio le folle, ma la buoncostume non era disposta a tollerare le prestazioni della “donna-uomo” (così era presentata la sua performance nel cartellone della compagnia di girovaghi per cui lavorava), dell’’emulo di Coccinelle. Arrivavano di continuo i carabinieri e i preti, allarmati da tanto nuova e tanto peccaminosa attrazione, gridavano allo scandalo.
Cominciò un calvario fatto di notti in prigione e processi, di soprusi e multe salate elargite in nome del pubblico pudore. Fu così che non potendo affidarsi alla prima scelta, il palcoscenico, per pagare la pila di contravvenzioni che pendevano sul suo conto dovette adattarsi alla seconda, il marciapiede. Ma anche quello, con lei, divenne a suo modo un palcoscenico.
Romina ha continuato per anni a elaborare il proprio lutto immaginando una dimensione parallela fatta di femminile splendore e dimostrazioni di stile, creando nella propria mente un’esistenza virtuale senza attriti né errori: la trasgressiva esteriorità della lucciola che passeggiava provocante per le strade di una Firenze scandalizzata – ma al contempo attratta e ipnotizzata dal fascino misterioso di tale scandalo – era il segnale più visibile e immediato di una transustanziazione sessuale realizzata per il momento solo in parte, di una metamorfosi che ricercava nello stupore e nella disapprovazione degli altri l’energia e lo stimolo necessari a far proseguire i suoi stessi nascosti meccanismi. La Romanina ha trovato nella teatralizzazione della propria vicenda e nella messa in scena della propria intima scissione il coraggio e la forza necessari a non soccombere: l’’eccesso e l’’esibizione chiassosa sono diventati nella sua sfida un modo per cercare il confronto alla pari con quella vita che con lei, da sempre, aveva giocato sporco; una testimonianza che, fondandosi sul coraggio e su un carattere abituato ad ingannare la realtà con i riflessi di un’’ironia spesso amara ma sempre salvifica, ha insegnato al nostro Paese a guardare con occhi un po’’ più aperti la diversità, a fare i conti con la vacuità di certi tabù, a fare qualcosa per evitare che chi non si riconosce nel proprio corpo possa non vergognarsi dei propri sogni.

Romanina: la nascita di un cigno, lo spettacolo di e con Anna Meacci (drammaturgia di Luca Scarlini, regia di Giovanni Guerrieri), prodotto dal Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, ricostruisce con poetica leggerezza le trame della reiterazione di quell’’esorcismo della sopravvivenza che ha portato Romina a diventare, da scandaloso “en travesti”, un vessillo dei diritti civili: un cammino lungo, doloroso sia dal punto di vista morale che fisico; una salita incominciata in un paesino di provincia e percorsa attraversando amori mercenari, il carcere, l’’ospedale (Romina è stata una delle prime persone in Italia a sottoporsi a operazione per cambiare sesso), l’’umiliazione del confino ritenuta socialmente pericolosa, Romina fu costretta a lasciare Firenze per “recludersi” in un paese del foggiano; e alla fine conclusa con le lacrime di gioia versate al momento di ritirare un nuovo documento (importantissimo, per le implicazioni sociali che ha avuto): una carta di identità con una “f” scritta accanto alla voce “sesso”.
La drammaturgia di Luca Scarlini (basata sul libro Io, la Romanina: perché sono diventata donna, l’autobiografia che Romina pubblicò negli anni ‘70) e l’interpretazione di Anna Meacci si snodano lungo i contorni di quella bipolarità esistenziale e di quel grande chiaroscuro che costituiscono il ritratto della Romanina. Le tappe fondamentali di quel percorso unico ci sono tutte, e il pubblico le percorre guidato dalla voce e dai gesti di un’interprete che, per calarsi nelle vesti scintillanti e nel complesso universo di Romina, ha recuperato dal suo bagaglio d’attrice tonalità e caratteristiche espressive che da tempo non venivano usate, e che erano momentaneamente da parte in attesa della giusta occasione: per lei questa avventura è un viaggio interiore che ha il sapore della riscoperta e che rappresenta una tappa importante nel suo percorso artistico. Anna-Romanina ricompone il puzzle di un’esperienza frammentata e sospesa, continuamente oscillante tra dolore e sospensione del dolore, tra sconforto ed entusiasmo, tra sconfitte e rivincite. La verve comica che siamo abituati a trovare nei suoi personaggi televisivi, la sua capacità di ridere con lo sguardo e di creare contrappunti di ironia attraverso le evoluzioni timbriche della voce sono presenti e si fanno sentire: sono elementi che affiorano tra le parole, confusi e sparpagliati come i resti di un naufragio, regalando il loro accento frizzante e spontaneo ai molti aneddoti che compongono la “leggenda” Romanina: i tanti piccoli momenti in cui la sua abilità di equilibrista del carattere ha saputo cristallizzare l’amarezza in momenti di comicità.
Attraverso gli strumenti offerti da una regia attentissima a calibrare ogni più piccolo gioco di equilibri, preziose parentesi di distensione si affiancano allo spessore tragico della biografia di Romina creando un’osmosi cangiante, una trina attraverso cui lo spettatore è invitato a osservare il primo piano di un dolore scorgendo sul fondo la possibilità di un sorriso, e a sorridere prendendo prima consapevolezza dei contorni veri di un’esperienza di dolore. Anna Meacci ricostruisce con grazia leggera quel galleggiare da illusionista sui propri eccessi a cui la vera Romanina ha affidato se stessa, e accosta abilmente le ombre dell’umiliazione alla luminosa ebbrezza di una vita immaginata con tanta forza da divenire quasi reale: e le luci e le ombre che sul palco scandiscono il racconto, orchestrando la dimensione della finzione e quella della realtà, assecondano il fluire della narrazione ricreando il sapore di un’esistenza che non ha mai abdicato di fronte al diritto di credere alle proprie bugie. I luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, i tentativi frustrati di entrare in contatto con l’universo dell’amore, i ricordi legati agli uomini più importanti si alternano al vagheggiamento di un’esistenza da diva e di uno charme degno di Eleonora Rossi Drago, al desiderio della luce dei riflettori e al lussuoso sfolgorio di una pelliccia che appare in scena per sottolineare le tentazioni conturbanti di una benefica e ingenua rêverie. Anche il pubblico viene catturato dalla dualità su cui vive la recitazione di Anna: lo spettatore partecipa ad entrambi i versanti della natura ossimorica del pathos che scorre tra le sue battute, costretto a specchiarsi in entrambe le facce di una medaglia che alla fine può brillare di una propria, ritrovata armonia. Ci si commuove, ma con un sorriso che rende giustizia a quella parte divertente, leggera e necessaria da cui la storia della Romanina pretende di essere osservata.

Andrea Lanini Parliamo del tuo incontro con la storia di Romina Cecconi: tutto nasce da un libro…

Anna Meacci Sì, l’incontro decisivo è avvenuto attraverso il suo libro, lo lessi 8 anni fa. Prima conoscevo alcuni aneddoti della sua vita, storie inevitabilmente avvolte nel folklore che da sempre circonda la leggenda della Romanina. Poi 8 anni fa andai a Roma per lavorare a Le notti della Mucca Assassina con Vladimir Luxuria, e per 9 giorni divisi il mio camerino con un gruppo di “en travesti”. Giocando con loro, con il loro modo di fare e con le loro voci, mi venne l’idea di scrivere uno spettacolo su un personaggio che potesse racchiudere le loro caratteristiche. Il fatto poi di aver avuto l’occasione di conoscere due transessuali e il loro universo non fece che far aumentare il mio interesse nei confronti di quel progetto. Ne parlai con Luca Scarlini, e lui mi disse: “Guarda Anna che la storia già esiste, è quella di Romina Cecconi. Leggi il suo libro”. Era vero, tra quelle pagine il dramma teatrale c’è tutto, la storia scenica è tra le righe della biografia.

Hai capito subito che era quella la strada giusta, lo spettacolo giusto?

All’inizio non riesco mai a capire se il percorso che mi sembra di vedere è quello giusto o no, o perché all’improvviso sento una molla che scatta dentro e che mi spinge a cominciare. Riesco a capirlo davvero solo attraverso il confronto con il pubblico, cercando di cogliere le sue reazioni. Solo dalla lettura delle emozioni di chi mi guarda posso davvero rendermi conto dello spettacolo che ho fatto. La storia di Romina mi ha conquistata da subito: è la battaglia di un individuo per i propri diritti. Questa battaglia è il nucleo vero dello spettacolo. In un primo tempo ho continuato a portare avanti l’idea che avevo avuto a Roma pensando contemporaneamente a come mettere in scena la vicenda di Romina: le due cose procedevano insieme senza sovrapporsi. Solo dopo un po’ ho capito che in realtà le due strade non solo potevano coesistere, ma che era necessario che si incontrassero: i due personaggi dovevano unirsi per dare vita alla Romanina.

La vicenda di Romina ha molti lati dolorosi e sicuramente difficili da raccontare: dallo spettacolo emerge una grande attenzione nei confronti di questo aspetto, una delicatezza che non poteva non esserci…

Si potevano scegliere diverse strade per parlare della Romanina, ma alcune di queste non potevano spettare a me. A Luca Scarlini, a Giovanni Guerrieri e a me sembrava che alcuni momenti – per esempio quello dell’ospedale e dell’operazione – fossero quanto di più lontano potesse esserci dalle nostre possibilità. Parlarne non sarebbe stato giusto, e proprio per questo lo abbiamo solo accennato, e con la maggior leggerezza e attenzione possibili. E’lo spettatore che, volendo, può arrivare a immaginare il dolore che sta dietro a quei cenni. Ma nello spettacolo anche la risata e i momenti leggeri trovano spazio, e questa necessità risponde a una cosa che Romina dice ancora oggi: “Se non avessi avuto il carattere che ho, l’ironia che ho, probabilmente sarei finita davvero male”. Raccontarla solo dal punto di vista del dolore avrebbe dato vita a un ritratto falso, perché lei non è così.

Quali sono le reazioni del pubblico che ti hanno colpito di più?

Spesso, parlando con gli spettatori dopo ogni replica, ho sentito dire: “A volte si giudica con troppa leggerezza”. La cifra più vera che sintetizza le reazioni delle persone che hanno visto lo spettacolo è questa: il rischio di cedere alla tentazione di giudicare con troppa facilità. Il pubblico femminile è sicuramente quello che riesce a d immedesimarsi di più: le donne sentono sulla loro pelle i segni di una battaglia che una persona come Romina ha dovuto combattere per potersi finalmente considerare una di loro. E le donne di battaglie ne hanno dovute fare tante: anche per questo secondo me c’è un’intesa speciale tra loro e questa storia. E anche per questo la vicenda della Romanina mi commuove ogni volta così tanto. Arrivare a definire i contorni entro cui inscrivere il ritratto della Romanina non è stato semplice: questo spettacolo ha richiesto 7 anni di lavoro. Una maturazione assolutamente necessaria, anche per il mio modo di vivere questo mestiere.

E l’incontro con la vera Romanina?

Ti confesso che fino all’ultimo – e cioè fino al debutto dello spettacolo – ho preferito non incontrarla: tutti mi chiedevano se l’avevo già conosciuta e quando dicevo di no mi spingevano a farlo, ma io mi inventavo ogni scusa possibile per evitare. Volevo vedere ciò che riuscivo a tirare fuori da questo personaggio, come potevo rappresentarlo: l’essenza di Romina dovevo cercarla dentro di me, e avevo paura che l’avvicinare la vera Romina potesse in qualche modo rendere più incerta la mia direzione. Prima della conferenza stampa per la presentazione dello spettacolo ci siamo sentite solo per telefono. Solo dopo è stato stupendo conoscerla, parlarle, farsi raccontare aneddoti e curiosità che lei può sfoderare per ore, a non finire. Ti assicuro che passare una serata in compagnia di Romina è un’esperienza mistica!

Anche perché le memorie di Romina sono un archivio storico su cui si potrebbe scrivere un saggio di Costume e Società…

Ma certo. Lei ha segnato davvero un’epoca, ha contribuito a cambiare il costume del nostro Paese, dando tanto coraggio a quelle persone che nella sua rinascita hanno visto una speranza. La cosa che più adoro di questa persona è proprio il fatto che non si sia mai nascosta. Romina ha sempre avuto il coraggio di dire “Io sono così, e su questo non ho dubbi: se la cosa vi crea problemi, il problema siete voi”.

Lo spettacolo Romanina: la nascita di un cigno sarà il 27 gennaio al Teatro Rossini di Pontasserchio (Pisa).

Mataro da Vergato, La Romanina (digital portrait).

Andrea_Lanini

2006-01-20T00:00:00




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