La tecnologia delle idee: Marcel.lí Antunez Roca El Dibuixant

Il video di Marcel.lí Antunez Roca e Miguel Rubio

Pubblicato il 28/04/2006 / di / ateatro n. 098

Un’immagine di El Dibuixant.

Marcel.lí Antunez Roca, l’artista mecatronico catalano, ha realizzato recentemente, insieme con Miguel Rubio, un imperdibile e autoironico film documentario sulla sua carriera artistica dal titolo El Dibuixant. Un documentario decisamente atipico come è facile immaginare, che racconta la sua intera vicenda tecnoartistica attraverso folli disegni a cartoon realizzati dallo stesso artista a mo’ di affreschi sulla parete del suo studio a Barcellona – e successivamente animati – e attraverso video testimonianze. Dalla fondazione della Fura dels baus alle performance di cabaret con Los Rinos, alla creazione insieme con Sergi Jordà, Roland Olbeter e Tony Aguillar dei robot e delle interfacce corporali delle sue installazioni e performance “sistematurgiche”: da Epizoo ad Afasia, a Pol. Passano in rassegna i giovanili lavori artistici di Marcel.lí, frammenti dei film e delle performance di strada, mentre il filo conduttore è segnato dal lungo rituale della pitturazione del suo corpo con segni tribali. Alla fine del documentario, vestito solo di biacca, accompagna i figli piccoli in giro per la città.
Un colorato e ricco documentario che parte significativamente da un’intervista alla madre che racconta di un bravissimo ragazzino che disegnava dentro il negozio di macelleria e aveva una sensibilità artistica innata.
Il grande lancio internazionale con la Fura dels Baus nel 1979 che rappresentò la corsa verso la violenza, i gesti estremi, l’esposizione del corpo, in un teatro di strada così rivoluzionario che fu subito definito “la seconda avanguardia”.
“Accions era un’epifania, una rivelazione, uno style bible, un rituale”; poi i film: Retrats e Fronton. I temi esplorati: la reinterpretazione della sessualità e della morte; “Il corpo è sacro, emotivo, sensibile, primitivo. Il corpo è la frontiera e la realtà dell’esperienza”. Epizoo segna un capitolo artistico nuovo e un cammino in solitario: è un’installazione dove la modalità di interazione, sempre differente, è gestita dal pubblico con un mouse attraverso un’interfaccia corporale, il dressskeleton, con cui si accanisce contro l’artista come un torturatore. “Si basa sull’idea della vulnerabilità del corpo, del limite, della sessualità, del controllo, del potere e della crudeltà attraverso la partecipazione dello spettatore”. Requiem, è invece il “sarcofago meccanico”, un esoscheletro robotico che ha la possibilità di muoversi fino a 19 gradi.
Ma è con i laboratori chiamati Satel-lits che prova a rimettere in gioco la metodologia collettiva della prima Fura. Come iniziati a strani rituali, orge e sacrifici umani, le persone partecipavano a un laboratorio di creazione dove si provava “un tocco di dionisiaco: il pomodoro era sangue, il latte sperma, la frutta carne; la tavola era l’altare del sacrificio, l’altare per messe nere, il talamo nuziale. Come missionario del corpo, divento la Supermarionetta che si è sacrificata per salvare tutti. Il 70% delle persone non arrivava neanche a metà dei laboratori”.
Afasia è forse la più famosa performance di Marcel.lì: “E’ basata sull’idea della ricostruzione del mito di fondazione della nostra cultura, l’Odissea, attraverso una reinterpretazione del linguaggio di oggi, un linguaggio afasico. Include un’interfaccia corporale, immagini interattive, suoni interattivi e robot musicali. Per me è bello poter essere un giorno come i classici, per i quali la tecnica non era importante ma erano importanti le idee. La tecnologia non è importante in sé, ma grazie a essa stiamo entrando in un mondo di idee. Afasia è stato un grande laboratorio di idee, è stato la costruzione di un universo di simboli”. In Afasia Marcel.lì non indossa la classica tuta ma un dresskeleton con robusti potenziometri perfettamente aderenti al corpo, composti di cavi e parti metalliche che gli permettono di intervenire in tempo reale su suoni, immagini e robot. “Parlo del mio lavoro come di una sistematurgia, una drammaturgia che ha bisogno dell’informatica, una drammaturgia basata sul principio della gestione della complessità del computer. La sistematurgia è fondamentalmente un processo interattivo che indaga attraverso nuovi prototipi, un arco di mediazione che include l’interfaccia, il calcolo e i nuovi mezzi di rappresentazione. Non è un teatro-video in cui si vedono immagini che sono state fatte prima e che si sviluppano in maniera sequenziale. La sistematurgia sta al servizio di una narrazione, di un racconto, di un organismo teatrale ma lo fa in maniera interattiva usando uno strumento ipermediale”.

Un’immagine di El Dibuixant.

Nel documentario viene illustrata la stretta collaborazione con ingegneri, informatici, software e robot designer, compagni che da tempo lo accompagnano in questo viaggio artistico. Sergi Jordà ha spesso insistito in alcuni articoli sul fatto che il concepire e costruire nuovi sistemi interattivi implica una parallela ricerca di malleabilità di funzione tra l’interfaccia e chi lo controlla in scena e contemporaneamente la messa a punto di un design tale da far intuire e comprendere al pubblico il processo. E afferma che il linguaggio interattivo è spesso più vicino a un viaggio spaziale, geografico. La metafora preferita da Jordà è quella dello spettacolo come un mare con isole e il performer può passare da uno all’altro, ciascuno con propri elementi interattivi e comportamenti, ciascuno con una propria interfaccia, con una mappa di input e output variegata e diversi gradi di libertà o restrizione di movimento.
Il film testimonia infine, le ultime installazioni, o biosculture, teche e colonne biologiche composte di organismi, di spore e funghi (Agar) che per Marcel.lí rappresentano la vita: “La vita è affascinante, non si ferma mai”.

Anna_Maria_Monteverdi

2006-04-28T00:00:00




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