Il teatro di marionette catalano

Una intervista con Carles Canellas

Pubblicato il 21/09/2006 / di / ateatro n. 101

Carles Canellas è arrivato in Italia ad agosto per una breve tournée estiva tra Cremona e Bergamo. Nato a Barcellona nel 1954, Carles è considerato dalla critica europea uno dei protagonisti del Teatre de marionetes i titelles catalano contemporaneo, ovvero il teatro di marionette e burattini.

(Archivio personale Giacomo Verde)

Nella sua carriera ha partecipato a più di 200 festival e rassegne di teatro distribuite per 12 paesi in 3 continenti.
Figlio di un fabbro, allievo indiretto di Harry Vernon Tozer, il più famoso marionettista anglo-catalano, Canellas è stato il fondatore del Col.lectiu d’animaciò nel 1978 e dello storico gruppo Els Rocamora, e ha aderito al progetto di fondazione del Circ Cric – che raccoglieva i migliori artisti circensi e di strada di Barcellona. Uno dei più richiesti “virtuosi” delle marionette leggere a filo, oggi insegnante alla Scuola d’arte drammatica, Carles Canellas è stato un rinnovatore del genere: membro attivo del Movimento dei Titellaires indipendentes dalla metà degli anni Settanta ha sostenuto una battaglia -in parte vinta grazie anche alla costituzione di una rete nazionale, l’UNIMA – per il riconoscimento artistico del teatro di animazione. Canellas è oggi portavoce di un progetto ANIMACIONS con il quale intende richiedere all’amministrazione di Barcellona la creazione di maggiori spazi dedicati a quest’arte: “Questa é un’iniziativa dedicata a promuovere il teatro d’animazione -teatro di burattini e di marionette, d’ombre, d’oggetti, etc.- ed il cinema d’animazione – cartoni animati, modellini in plastilina, animazione digitale, etc. – in tutte le loro modalità, dalle più tradizionali alle più innovative. A questo scopo si intende aprire a Barcellona uno spazio polivalente, teatrale e cinematografico, in grado di ospitare le diverse realizzazioni d’animazione (teatrali, cinematografiche, audiovisive, multimediali, musicali, etc.) e in modo da facilitare la cooproduzione e lo scambio di esperienze e sperimentazioni tra i diversi ambiti artistici.”

(Archivio personale Giacomo Verde)

Canellas ha mescolato generi e integrato tecniche diverse per accrescere l’espressione teatrale, in performance titellaire con proiezioni d’ombre e sofisticati effetti cinematografici e sonori. Ammiratore del Bread and Puppet, dopo un giovanile periodo dedicato alla creazione di un teatro spontaneo con azioni effimere politicamente provocatorie sulla Rambla di Barcellona, approda nel 1982 come artista di strada in Italia, chiamato da amici teatranti che frequentavano il Centro Sperimentale di Pontedera; rimane in Toscana tre anni tra Pontedera, Certaldo, Vinci ed Empoli, e tra teatro di strada, clownerie, maschere di cartapesta e terzo teatro (presenti tra l’altro, nella gloriosa edizione di Santarcangelo del 1978 con la direzione collegiale di Roberto Bacci, Mario Candalora e Leo Canducci) intravede una possibilità concreta di rinascita e di rinnovamento del teatro popolare anche per la Spagna; crea alcuni degli spettacoli menzionati come fondamentali del genere, per virtuosismi e innovazione, dal Dizionario del Teatro di Burattini Catalano come Air mail e El perseguidor. Partecipa nel 1995 a Gavà al convegno di Arte marionettistica con i migliori specialisti della scuola anglocatalana di marionette a filo in omaggio a Tozer ed è per alcuni anni presidente dell’UNIMA.
Ha ricevuto il Premio alla carriera nel 2004 in Italia al Festival di San Miniato La luna azzurra.
Collaboratrice e compagna di Canellas è la danzatrice Susanna Rodriguez.
www.rocamorateatre.com

Per conoscere l’attività del teatro di burattini e marionette in Catalogna e i protagonisti:
Josep A. Martin, El teatre de titelles a Catalunya, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, Biblioteca Serra D’Or, 1998.

Quale è stata la tua formazione come manovratore di marionette?
Ho cominciato a fare teatro a dieci anni amatorialmente coi burattini, e inizialmente senza nessun maestro, in un modo improvvisato. Dopo, a 14 anni ho lasciato quest’arte e ai 20, in piena dittatura di Franco, cominciai insieme ad altri studenti a fare attività teatrale in un modo spontaneo, in una maniera che si potrebbe catalogare vicino ai provos: per le strade facevamo delle azioni per smuovere qualcosa, ma da queste poi dovevamo scappare subito perché era vietato riunirsi più di 4 persone, e queste azioni provocavano assembramenti di folla e pubblico che andavano contro la legge. Con questo gruppo, il TIZ abbiamo fatto azioni fino al 1976. Per la Ramblas di Barcellona trovai poi un marionettista che in modo povero stava manovrando uno dei suoi pupazzi: la situazione ricreata era quella di un indù che incantava un cobra con il flauto e direi proprio che quel flauto incantò me! Qualcosa legava i miei inizi di bambino con i pupazzi a questo artista. In quel periodo studiavo scultura, mi piaceva la musica e facevo teatro: la marionetta fu una specie di incontro di tutte le arti che mi attiravano. Andai con lui, mollai tutto; con lui sono rimasto per un anno e mezzo durante il quale ho imparato le basi delle marionette a filo perché lui era allievo del maestro dell’unica scuola di Barcellona, dell’inglese di Harry Vernon Tozer. Finì perché non potevo andare oltre, avevo anche provato all’interno della compagnia di professionalizzare il lavoro che si faceva.

Quale era il clima politico e come lo vivevano i teatranti? Era possibile per esempio allestire e teatralizzare una forma di dissenso al regime o di critica?

Eravamo ancora in un periodo pre-democratico, non c’era nessun tipo di sovvenzione pubblica, i teatri erano praticamente tutti chiusi e gli spettacoli si dovevano fare in piazza o in spazi come l’università o presso organismi privati di interesse culturale o artistico ma in modo semi clandestino, indipendentemente dai contenuti perché era difficile avere il permesso, occorreva tempo. Alcune compagnie che avevano produttori potevano usufruire di spazi importanti, noi no.
Io tentavo di andare oltre, avevamo fatto dei viaggi per la Francia e per l’Italia così avevamo visto il lavoro di altre persone; io avevo voglia di fare progressi, di fare ricerca senza ripetermi.
Avevamo rifatto un pezzo del Bread and puppets antimilitarista che non potevamo sviluppare veramente per la marginalità in cui ci dovevamo muovere. Raccontavamo storie con caricature di Hitler ma non potevamo farlo con Franco perché rischiavi la vita. Non solo per i poliziotti ma per i fascisti paramilitari. Tutta la critica politica si doveva fare poi, sempre come sottotesto, potevi leggere il vero significato tra le righe, anche i cantanti facevano così con i loro testi, c’era sempre un significato interno diverso, un doppio senso; noi in teatro dovevamo giocare con questa ambiguità di significato per garantirci l’integrità.

Che tipo di teatro rappresentava per voi un modello?

Un modello che mi piaceva era il Bread and Puppet, c’era stato anche il Living Theatre a Barcellona che colpì tutti noi e poi Django Edwards, un clown straordinario anticlericale e antimilitarista. Quelli erano i nostri centri di attenzione anche per la lotta antifascista. Queste influenze ci diedero stimoli per andare avanti.

Quando hai riunito gli artisti per fondare la compagnia del Collectiu d’animaciò e poi di Els Rocamora, e cosa si intendevate per teatro di animazione, quali le tecniche?

Mi unii dapprima alla compagnia Taller de marionetas di Pepe Otal. L’idea era inizialmente di fare una cosa come il Bread and Puppet, di avere una seconda compagnia interna in modo che il gruppo potesse funzionare economicamente; avevamo occupato una casa e si viveva come in una comune, c’era un lavoro comune, ognuno portava la propria parte, i lavori venivano divisi in modo anarchico. Ci siamo separati ma in modo pacifico. Ho fondato allora il Collectiu d’animaciò, la mia prima compagnia con cui ho lavorato su tecniche molto diverse. L’idea era di cominciare a mettere in pratica la teoria che in quel momento stavo sviluppando sul teatro di animazione, sul senso più “largo”, più esteso che deve avere il teatro di animazione, che comprendesse burattini a stecco, a guanto, teste giganti, teatro di ombre, tecniche in cui l’attore Usa un elemento alieno a se stesso per rappresentare con questo un fatto teatrale.
Gli spettacoli erano molto diversi, c’erano in compagnia, artisti di circo, pantomini, attori di testo, manovratori di burattini ecc e dall’insieme del lavoro di tutti venivano fuori spettacoli dove all’interno si poteva trovare una versione de Il concerto per transistor di John Cage insieme a un numero classico del Pierrot Lunaire fatto con marionette a filo, il tutto con una coerenza estetica e drammatica.
Il gruppo è andato avanti fino a quando mi hanno fatto la proposta di aderire e far parte di un circo-teatro, il Circ Cric. La maggior parte degli artisti della mia compagnia sono venuti con me. Avevamo un tendone per 1000 persone, di cui sono stato non solo il costruttore di tutte le strutture di ferro -mio padre era fabbro e questo mestiere mi è servito per costruire torri e gradinate del circo- ma ero anche direttore tecnico, il responsabile della sicurezza, guidavo un camion di 36 tonnellate, facevo il tecnico del suono e una parte dello spettacolo ovviamente. Ognuno portava quello che conosceva, ciò che sapeva, tutti facevano vari ruoli magari non tanti quanti me….. Anche se ben avviato il Circ Cric durò solo un anno durante il quale partecipò per periodi brevi Leo Bassi e l’italiano Bustric con molti altri artisti internazionali. L’idea era quella di fare anche una scuola, portare artisti già affermati e mentre stavano lì dovevano mostrare la tecnica a tutti quanti del circo volevano. Da questa scuola sono nati molti artisti oggi rinomati.
Quando il circo finì, fu un colpo duro per me che avevo messo tanta energia ed illusioni per costruirlo, ed avevo sciolto la mia compagnia per questo progetto in comune. L’avventura finì per contrasti di carattere con uno dei fondatori.

L’avventura italiana è legata a Pontedera….

Venni in Italia chiamato da amici teatranti all’epoca studenti del Centro sperimentale di Pontedera. C’era Giacomo Verde che mi ospitò alla comune che aveva fondato a Petroio, vicino a Vinci. Feci la valigia, presi le marionette che avevo e misi insieme uno spettacolo proprio dal nome La valigia. Venni inizialmente per 3 mesi per fare dei lavori a Pontedera. Il periodo durò però tre anni perché lì il mio lavoro delle marionette a filo piaceva molto e poi perché la situazione in Italia era assolutamente diversa che in Spagna. Gli artisti erano pagati il doppio, i giornali parlavano di te.
Anche in Spagna, quando c’erano Els Comediants, i Marduix, questo genere di teatro popolare, di burattini e di strada stava andando molto forte. Iniziava poi il governo autonomo catalano. Ma in Italia questo movimento si era già consolidato, era un momento ideale. In Italia vedevo realizzarsi quelle cose che avevo sognato. Presi contatto con il Teatro delle Briciole che sia a livello creativo, sia a livello produttivo che come sistema teatrale di distribuzione era un modello davvero ideale. Lo spettacolo Nemo era splendido! Un lavoro di attori e pupazzi insieme per i piccoli di una qualità eccelsa, di una immaginazione senza pari, con un uso molto semplice ma ricco, dei mezzi; senza grandi attrezzature creavano mondi magici, uno spettacolo per i bimbi teneva come incantati anche i grandi: Kamillo Kromo sui fumetti di Altan, il disegnatore della Pimpa.
Il richiamo della foresta di London è un lavoro a cui ho assistito praticamente dalle prime idee, era il massimo che una compagnia poteva fare in quel momento, e proprio in quello spettacolo vedevo riassunte tutte le idee che volevo mettere insieme con la mia compagnia! Con burattini di ogni genere, fatti di legno o con la gommapiuma, mossi con le dita o a filo: il cambiamento delle misure arricchisce in modo visuale lo spettacolo facendolo diventare un “film” come concezione di uso dello spazio.
Dallo spunto de Il richiamo della foresta in Spagna feci Air mail, una storia “gialla” con lo stile plastico del cinema noir americano e il fumetto, per cui si lavorava con attori di carne ed ossa che facevano i primi piani e poi scendevamo di misura, via via passando alla marionetta di filo e poi ad altri burattini ognuno sempre più piccolo. Potevamo fare una stessa scena per esempio ripetuta tre volte con piccoli sfasamenti visivi e temporali: Piano americano, campo medio, primo piano, dettaglio. I pupazzi piccoli si muovevano poco o in modo meccanico, poi veniva la marionetta a filo che ha più espressione fisica e poi l’attore con la mimica facciale. La storia si svolgeva seguendo un classico: lo scrittore di fumetti che inventa una storia e poi ci finisce dentro e diventa lui il detective, visto che quel personaggio altro non era che la trasposizione di un suo ideale, un duro alla Bogart o ispettore Marlowe, un personaggio così. Questo spettacolo girò un po’ in Europa, ma non moltissimo perché eravamo tanti, ma ha avuto critiche buonissime. Eravamo nel 1987.
In Spagna le cose non ingranavano benissimo. C’era bisogno di questo tipo di spettacolo per fare vedere un altro modo di fare teatro, ma probabilmente ero in anticipo culturalmente parlando; da lì la compagnia cominciò a crescere facendo scommesse una più difficile dell’altra. L’ultima fu un adattamento di Il persecutore, un racconto di Cortazar, uno scrittore argentino che viveva a Parigi. E’ un racconto sul mondo del jazz, sulla figura di Charlie Parker che lui ammirava molto. Lì nello spettacolo presi tutta la parte di allucinazioni del musicista che si confronta con un critica d’arte che lo ammirava (che è poi l’alter ego di Cortazar); usai molti mezzi, un suono quadrifonico perché volevo che gli effetti sonori avvolgessero il pubblico, i rumori della Senna… La musica era l’asse principale della drammaturgia e cercavo di fare in modo che un suono potesse inseguire l’altro, che desse l’effetto di essere lì. Si facevano scene con marionette a filo con situazioni anche di flashback in cui il musicista si ricordava per esempio come aveva perso lo strumento. Però la sfida per il tipo di teatro che c’era in quel momento in Spagna, troppo aderente a un mercato commerciale e che si ripete all’infinito, era troppo grossa e lo spettacolo non ha avuto il riscontro dovuto. Se Air Mail era difficile da rappresentare a Barcellona, questo ancora di più. Economicamente l’impresa fallì, eravamo in 16 e sciogliemmo la compagnia, tornai al piccolo gruppo con marionette a filo riducendoci a un livello quasi amatoriale senza volerlo essere, dovendo lavorare a incassi bassi, con mezzi scarsi, senza ascolto dei mass media, riconosciuti solo come un intrattenimento infantile senza interesse da parte dell’ambito culturale ufficiale!
I teatranti spagnoli sono classisti: chi fa teatro d’animazione non è riconosciuto alla stessa stregua di un artista di teatro recitato. Questo ha impedito la collaborazione di teatranti di animazione con registi e altri attori di testo, non c’è stata questa confluenza che è invece a mio avviso è necessaria…

Quali sono state le ultime produzioni?

Una delle ultime cose che ho prodotto, è la ricreazione di Piccoli suicidi di Gyula Molnàr che secondo me è un pezzo fondamentale del teatro contemporaneo e soprattutto del teatro di oggetti. E’ una lezione magistrale, non si può prescindere da questo testo e lo feci con lo stesso spirito degli inizi, di riformare la scena. Se fossi rimasto qui in Italia le cose sarebbero andate diversamente professionalmente ma sono tornato a Barcellona per fare vedere cosa succedeva fuori, per portare delle novità. Ma non sono riuscito a risvegliare un vero interesse. Pensavo di riuscirci e a livello di pubblico e di critica la risposta è stata molto buona ma i programmatori teatrali dato che non hanno referenti su questo genere di teatro, non vogliono rischiare. Così ho in mano un pezzo splendido, questi Piccoli suicidi che posso fare vedere pochissimo in Spagna.

Che tipo di abilità occorre per lavorare con marionette a filo e che temi proponi?

Il solista è uno spettacolo di marionette a filo, che porto in giro già da tempo ed è quello che definisco uno spettacolo di “manipolazione virtuosa” ma che nasconde molto di più a chi vuol vedere a chi sa leggere altri sensi: tutti i numeri hanno una critica sociale, una critica politica o servono a far riflettere su quello che accade, con i commenti che aggiungo. Nel numero della ballerina di flamenco dico che lei vorrebbe girare il mondo ma finora ne ha girato solo la metà e sta aspettando che nell’altra metà la guerra finisca. E’ uno spettacolo che si può fare all’aperto e al chiuso e cattura sia i bambini che gli adulti più severi, per il buon livello di manipolazione. In questo spettacolo c’è molto lo spirito della commedia dell’arte; si prendono al volo le cose che possono succedere, ho un filo di argomenti minimo, con cui lavoro ma sempre in funzione del pubblico che ho davanti in quel momento, dell’età, della loro abitudine a vedere spettacolo, tutto varia di volta in volta, di rappresentazione in rappresentazione.
I vestiti nuovi dell’imperatore è una libero adattamento del racconto di Andersen; libero perché mi sono permesso di trattare altri temi prima: i tessitori che nel racconto di Andersen sono vigliacchi che vogliono ingannare l’imperatore, da me diventano gli artigiani catalani che nel medio evo, in epoca di guerra con le enormi tasse che richiedeva il re, facevano la fame e avevano dovuto prima muoversi di mercato in mercato poi andare fuori dal paese per trovare lavoro come immigrati da questo imperatore che non ama il teatro e spende tutto in nuovi vestiti. Perciò mi permetto di trattare temi che vanno oltre quello che il pubblico si aspetta!
Quanto alle abilità, un marionettista a filo ha le stesse difficoltà di un qualsiasi concertista di strumento, ci vuole sensibilità e pratica. E buoni strumenti, nel mio caso io mi costruisco personalmente tutte le marionette.

Quali sono i materiali che impieghi?

Nei Vestiti Nuovi le marionette sono tradizionali, in legno ritagliato; in Solista ho fatto marionette grandi che manovro con il braccio dall’alto, per questo devono essere molto leggere. Da questa mia ricerca per marionette è uscito un nuovo stile, la marionetta leggera, che ha pesi minimi, e i pesi sono lì dove devono esserci per farla muovere come vuoi. Una marionetta di 65 cm di altezza va a pesare 5 etti. Fai poca fatica e puoi anche lanciarla in aria.
In altri spettacoli uso tecniche diverse, uso oggetti simbolici che fanno più ricca la scena e mi servono per spiegare la storia; non limito la tecnica: in uno spettacolo la marionetta a filo è importante ma ci sono anche pupazzi, burattini, non mi importa questa varietà se usata in maniera coerente.

Ci sono scuole per manovratori di titelles e marionetes?

Ogni marionettista ha cercato un suo proprio stile, io mi sono basato sul lavoro di Tozer ma ho poi sviluppato un mio stile personale, per le posizioni di certi fili, per la marionetta leggera che ha movimenti molto più veraci senza perdere la sua essenza di marionetta!

Quali gruppi spagnoli riescono a uscire dal proprio Paese e acquistare fama all’estero e quali compagnie o artisti italiani normalmente vengono in Spagna?

Gruppi spagnoli che abbiano lavorato in Italia saranno 4 o 5 non di più. Ancor oggi la comunicazione tra i vari Paesi non è fluida come dovrebbe: ci sono le spese di viaggio, ci sono difficoltà organizzative…. Gli artisti italiani vengono poco, forse per come è organizzato il mercato in Spagna (anche in Italia, ndc) che impedisce la contrattazione di compagnie straniere, si fa il cosiddetto “scambio”. Almeno per il teatro ragazzi. Il fatto della lingua potrebbe essere un’altra difficoltà, io ho alcuni spettacoli con testo che non porto all’estero, ma per lo più i problemi sono di tipo organizzativo. In Spagna abbiamo cachet diversi, minori che in Italia, minori di quello che prendono le compagnie italiane. A livello di Festival tra gli artisti italiani vengono il Teatro gioco- vita, i pupari siciliani come Mimmo Cuticchio, ma sono situazioni isolate che non permettono veramente di aprire le porte ai teatranti italiani.
Burattinai tradizionali italiani che usano i personaggi come Brighella Gianduia o Meneghino che hanno origini dalla commedia dell’arte, non vengono in Spagna per il loro carattere dialettale, che può risultare incomprensibile, però secondo me sarebbe necessario che si muovessero dall’Italia per far recuperare la memoria del burattino tradizionale che durante Franco è scomparsa del tutto. E’ cosa ormai storicamente accertata che il burattino dal 1600 in avanti dall’Italia si è sparso in tutta Europa lasciando chiare tracce in vari Paesi, come il “Punch and Judy” inglese che è Pulcinella. Questa tradizione da noi è definitivamente scomparsa nel 1939, dopo la Guerra civile perché molti burattinai sono morti, alcuni andavano in guerra nella prima linea a far spettacolo, altri sono fuggiti in Sudamerica altri hanno smesso per paura perché sia la religione cattolica che i militari non vedevano di buon occhio ciò che facevano i burattinai (dai tempi dell’Inquisizione!). Per cui hanno tagliato tutta la tradizione che durava da molti secoli, persino i nomi de burattini sono scomparsi e c’è stato un deserto fino agli anni Sessanta quando si è cercato di recuperare le cose rimaste dagli scampati burattinai ma che hanno però perso la forza originaria: non avevano gli stessi canovacci, erano molto più infantilizzati per non offendere il regime franchista e per continuare a lavorare. Venivano recuperati solo per celebrare comunioni, per festeggiamenti popolari, e avevano perso quella carica di ironia che in Italia con i burattinai tradizionali è invece continuata. Dico questo affinché i burattinai tradizionali italiani tornino in Spagna per far ritrovare questo filo della memoria e mettere in chiara luce queste connessioni culturali europee.

Anna_Maria_Monteverdi

2006-09-21T00:00:00




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