1967-2007. C’è bisogno di un terzo convegno di Ivrea?

Una mail alla redazione di ateatro

Pubblicato il 07/02/2007 / di / ateatro n. 106

Abbiamo ricevuto questa mail che pubblichiamo molto volentieri e che ha già suscitato una riflessione nella redazione di ateatro. Nei prossimi numeri della webzine cercheremo di dare una risposta alla domanda che ci pone Alfredo Tradardi. O meglio, cercheremo di trovare qualche risposta a una domanda molto simile: quale può essere oggi lo spirito di Ivrea? Dove lo possiamo trovare – o cercare?
Su ateatro sono disponibili il manifesto di Ivrea67 e la relazione di Capitta-Manzella-Ponte di Pino per Ivrea 87: il tema della continuità storica con quelle esperienze è per noi centrale.
Ovviamente siamo disposti a raccogliere e pubblicare altri contributi sul tema: pensiamo che una riflessione collettva su questo tema sia oggoi moto importante e speriamo di allargare il dibattito a più voci. (n.d.r.)

Nel 1967 si tenne a Ivrea, come ben sapete, il Convegno per un Nuovo Teatro. Ero a Ivrea. Non me ne accorsi. In all. 1 le ragioni per le quali un programmatore di computer finì poi per tenerne conto.
Il convegno del ‘67 si tenne nel mese di giugno, dal 9 al 12, promosso dall’Unione Culturale di Torino e dai Servizi Culturali Olivetti. In allegato 2 una sintesi informativa.

Nel mese di settembre del 1987 con il patrocinio della Provincia di Torino, a venti anni dal convegno del ‘67, si è tenuto sempre a Ivrea, su iniziativa di itàca, il convegno “Ivrea ‘87 Memorie e Utopie – Convegno per un Nuovo Teatro”. In allegato 4 una sintesi informativa.

Il tempo, questo filo così deciso e decisivo nei suoi passi, sta per scandire i 40 anni dal primo e i 20 anni dal secondo convegno di Ivrea.

C’è bisogno di un terzo convegno di Ivrea?
Io penso di sì, perché in tempi così oscuri abbiamo bisogno di “più cultura” (e di “più teatro”, povero, civile e necessario), come capacità di riflessione individuale e collettiva sul passato, sul presente e sul futuro.
Ma a dare una risposta a questa domanda può certamente dare un contributo significativo il collettivo di www.ateatro.it, che mi sembra costituire uno dei sensori più vivi su quanto urge e spinge nella coscienza collettiva di una parte, anche giovanile, della società italiana.

Con stima,
Alfredo Tradardi

Presidente Associazione Culturale itàca
Mercenasco, 14 gennaio 2007
www.frammenti.it info@frammenti.it

All.1. Come un programmatore di computer finì per accorgersi del Convegno per un Nuovo Teatro

Il 1° giugno del 1960 ebbi la ventura, giovanissimo ingegnere meccanico non ancora 24enne, di essere assunto a Ivrea. Adriano Olivetti era morto il 27 febbraio di quell’anno.
Sono stato partecipe, fino al novembre del 1991, di quella singolare esperienza industriale, culturale e sociale.
Sono uno dei tanti testimoni di come una impresa responsabile, per dirla con Luciano Gallino, si possa trasformare nel suo contrario, fino a che l’irresponsabilità ne determina la scomparsa[1].
Nel 1975 fui eletto consigliere comunale a Ivrea per il PSI e dal maggio 1977 al maggio 1979 assessore alla cultura. Mi furono preziosi uno scritto di Giorgio Balmas sulle politiche culturali e un saggio di Gian Renzo Morteo, Ipotesi sulla nozione di teatro. Un collaboratore di Edoardo Fadini venne a propormi Sette meditazioni sul sadomasochismo politico del Living Theater. Dissi di sì e così ebbi a scoprire l’esistenza di un teatro “altro”.
Arrivarono a Ivrea nel 1978 Lisi Natoli con A Salvatore Giuliano e A Ntà – Ntà: l’Orestea (il 14 e il 15 marzo, il 16 mattina la compagnia stava per ripartire per Roma, ero in una riunione di lavoro alla Olivetti. Entrò una persona e disse “Hanno rapito Moro”, mi precipitai al Teatro Giacosa per avvertirli), e poi Leo e Perla con Avita murì, e poi Giorni felici con Anna D’Offizi per la regia di Rino Sudano, e poi nel 1979 Rem & Cap con Sacco, Richiamo e Pozzo. Fu così che un programmatore di computer “alla fine finì” per accorgersi che nel 1967 c’era stato a Ivrea uno storico convegno.

All. 2. Ivrea ‘67 Convegno per un Nuovo Teatro

Il manifesto Per un convegno sul nuovo teatro iniziava così:
“La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica. In una situazione di progressiva involuzione, estesa a molti settori chiave della vita nazionale, in questi anni si è assistito all’inaridimento della vita teatrale, resa ancora più grave e subdola dall’attuale stato di apparente floridezza.”
Il manifesto del convegno era stato firmato da: Corrado Augias Giuseppe Bartolucci Marco Bellocchio Carmelo Bene Cathy Berberian Sylvano Bussotti Antonio Calenda e Virginio Gazzolo Ettore Capriolo Liliana Cavani Leo De Bernardinis Massimo De Vita e Nuccio Ambrosino Edoardo Fadini Roberto Guicciardini Roberto Lerici Sergio Liberovici Emanuele Luzzati Franco Nonnis Franco Quadri Carlo Quartucci e il Teatrogruppo Luca Ronconi Giuliano Scabia Aldo Trionfo.
Al convegno partecipò anche Eugenio Barba con Else Marie Laukvik e Torgeir Wethal (in all. 3 una loro testimonianza).

Del Convegno del 1967 esiste una ricerca effettuata da itàca con il patrocinio della Regione Piemonte che contiene:

– alcune foto del convegno messe a disposizione dai servizi culturali Olivetti (non esistono più perché non esiste più la Olivetti[2]);
– la trascrizione quasi integrale delle cassette registrate durante il convegno, messe a disposizione dai servizi culturali Olivetti;
– 25 interviste con i partecipanti al convegno effettuate da Lorenzo Mango, Roberto Pellerey e Alfredo Tradardi nel 1985-86;
– una tesi di laurea sul convegno Rivoluzioni dimenticate e utopie realizzate di Francesco Bono (2004).

Animatore del convegno fu Ludovico Zorzi (Servizi Culturali Olivetti), docente di Storia dello Spettacolo alla Università di Firenze, uno dei massimi studiosi del Ruzante, prematuramente scomparso nel 1983. Promotori Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini e Franco Quadri.

All. 3: Else Marie Laukvik e Torgeir Wethal
Intervista di Alfredo Tradardi (17 settembre 1986)

T. – Come mai a Ivrea? Perché? Quali sono i ricordi? Quali sono stati i lavori successivi? E inoltre vi chiedo qualche considerazione sul teatro negli anni passati e sulle prospettive del teatro. è chiaro che da voi soprattutto mi attendo una testimonianza: che cosa vi ricordate di quella esperienza?

W. – Io lo ricordo come immagine strana, si, perché è uno dei primi viaggi che abbiamo fatto. Noi eravamo estremamente giovani, siamo arrivati da Oslo poco prima ed eravamo senza spettacolo.

L. – Lo spettacolo “Il lieto fine” era già finito perché c’era un attore che se ne era andato via. Mi ricordo che l’abbiamo portato come dimostrazione di lavoro, oltre a quello che abbiamo chiamato studio, cioè delle piccole improvvisazioni fissate …

W. – Piccola scena …

L. – Composizione e acrobatica, mi ricordo molto bene. A parte questo, per me era la prima volta in Italia; noi non abbiamo capito nulla delle cose che dicevano tutti gli altri.

E poi l’Italia era in sé stessa così diversa dalla Danimarca; mi ricordo che ho visto per la prima volta gli alberi di limone e quelli dell’uva, era tutto così esotico per noi, molto esotico.

W. – Anche per me era la prima volta fuori dalla Scandinavia, nel `67 io avevo vent’anni…

L. – Mi ricordo che Carmelo Bene doveva essere in prima fila quando abbiamo fatto la dimostrazione del lavoro, parlava molto ma in un modo che non ho capito se era pro o contro.

Forse per me era anche un nuovo pubblico, perché gli italiani sono molto più vivi, discutono con i gesti, è forse un pubblico che reagisce più del pubblico nordico

W. – C’era una donna che ha filmato anche un po’ di quello che è successo – questo lo ricordo bene perché per noi era stranissimo, infatti tutto il nostro lavoro è sempre stato molto chiuso, molto protetto ed essere in una situazione così come dice Else Marie, con tutta questa gente che parlava, che commentava…

T. – Eravate un gruppo chiuso, senza collegamenti internazionali…

W. Anche, ma soprattutto a livello pratico il nostro modo di lavorare era molto protetto, cioè si lavorava con grande rispetto per il lavoro.

Quindi per noi la situazione era stranissima, forse perché era una delle prime volte anche che ci filmavano. Sarebbe stato molto interessante per noi ritrovare…

T. -Si, noi abbiamo trovato la registrazione e le fotografie, ma non sapevo nulla del film.

W. – Sono abbastanza sicuro di questo ricordo.

L. – Una prima cosa che mi ricordo molto bene a proposito della nostra dimostrazione di lavoro è alla fine quando con l’altra ragazza, che adesso non c’è più, eravamo a cambiare i vestiti in guardaroba. Abbiamo visto un uomo che stava lì con un grande sorriso, e io lo guardavo pensando: “Ma perché ci guarda così sorridendo quest’uomo?” Era affascinante, e dopo poco si presenta: era Dario Fo. Il primo incontro con Dario Fo è stato così, ho visto quest’uomo che riempiva tutta la porta in un modo molto diverso, col suo sorriso molto speciale, come se lo avessimo conosciuto da tutta la vita. E poi con noi, dopo questo, è sempre stato cordiale…

T. – Anche Barba ricordava che poi è venuto da voi a fare dei seminari…

W. – Sì, anche più tardi i rapporti sono stati molto vicini…

L. – Vuoi dire che lui ha reagito subito con un moto di simpatia, almeno è quello che io ho capito!

W. – Per noi Ivrea è stato importante perché era la prima volta, il primo incontro da un punto di vista teatrale, con altri che allora avevano incominciato a creare le basi per quello che è successo quando siamo venuti a Venezia con Kaspariana nel ‘67.

L. – Un anno dopo…

W. – No, forse lo stesso anno del Convegno di Ivrea. Alla Biennale tutti i primi contatti si sono ricreati, fondati più direttamente; era diventata la nostra uscita fuori dalla Scandinavia, che poi ha creato una strada molto diversa da quella che avevamo cominciato.

T. – Quindi Ivrea è un momento che ricordate.

W. – Assolutamente… Io ricordo che siamo arrivati alla sera tardi a Milano, e Franco è venuto per portarci a Ivrea a mezzogiorno del giorno dopo. Allora per mezza giornata sono andato in giro per Milano. Era la prima immagine di un primo viaggio ed è stata molto forte.

L. – Mi ricordo specialmente che non capivo se noi piacevamo alla gente o no … perché non potevamo comunicare.

T. – Perché non sapevate ancora l’italiano.

L. – No, e poi non abbiamo parlato in inglese con nessuno. Soltanto con Dario Fo; il suo sorriso è stata l’unica reazione veramente sicura che avevo. Perché per il resto avevo molti dubbi…

T. – Insomma, era tutta una novità!

L. – Sì, e io avevo la sensazione che gli altri ci stavano criticando.

T. -Si, qualche affermazione di questo tipo l’ho raccolta nelle interviste; forse erano delle riserve perché si trattava di un’esperienza completamente diversa dalla loro.

W. – I discorsi in quegli anni erano molto diversi, l’avanguardia era su aree precise, ognuno sapeva molto bene cosa faceva soprattutto quando ne discorreva e noi con questo non c’entravamo. Questa è però soltanto la mia impressione.

L. – Infatti abbiamo anche fatto un frammento del primo spettacolo, quello del funerale, e credo che soprattutto questo training del corpo ha stupito la gente.

W. – E’ molto strano questo perché per me l’esperienza di Ivrea viene molto prima di una conoscenza più chiara del teatro, del nostro posto in questa storia… Mi ricordo, era come se fossi un bambino nel teatro… si parlava di un significato che ho saputo dopo, che ho capito dopo, da quando ho incominciato a capirlo quindici anni fa… adesso è tutta un’altra cosa. Però è rimasto un punto molto preciso… pertanto… è stato un incontro che è rimasto “l’incontro”.

T. – Se, effettivamente è stato un momento significativo, come emerge, Ivrea si può definire come un momento di passaggio ad una fase molto più ampia?

W. – Ivrea è, credo per tutti, un giorno storico nella storia del teatro italiano, questo è sicuro. Questa immagine viene sempre fuori, anche con gente che non è stata là.

All. 4: Ivrea ‘87 Memorie e Utopie – Convegno per un Nuovo Teatro

Parteciparono più di 400 persone provenienti da ogni parte di Italia. Tra gli altri Franco Cordelli, Giorgio Barberio Corsetti, Maurizio Grande, Leo De Bernardinis, Mario Martone, Renato Nicolini, Carlo Quartucci, Remondi & Caporossi, Società Raffaello Sanzio, Giuliano Scabia, Giovanni Testori, Federico Tiezzi, Gianfranco Capitta, Gianni Manzella, Oliviero Ponte di Pino.
Del convegno itàca conserva tutto il materiale, audio e video, per poterne predisporne gli atti.
Il coordinamento fu affidato a Franco Quadri, Piero Racanicchi (Provincia di Torino) e Alfredo Tradardi.
Il progetto ai “4 del ‘67”: Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini e Franco Quadri.

NOTE

[1] L’impresa responsabile – Un’intervista su Adriano Olivetti di Luciano Gallino, Einaudi 2001.
L’impresa irresponsabile di Luciano Gallino, Einaudi 2005.
Vedi anche La scomparsa dell’Italia industriale di Luciano Gallino, Einaudi 2003, e Il costo umano della flessibilità di Luciano Gallino, Laterza 2005.
[2] Chi volesse approfondire i motivi della scomparsa può leggere Uomini e lavoro alla Olivetti, a cura di Francesco Novara, Renato Rozzi, Roberta Garruccio, Bruno Mondadori 2005.

Alfredo_Tradardi

2007-02-07T00:00:00




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