BP04: Formazione, qualità e riconoscimento dell’operatore culturale

(formazione)

Pubblicato il 15/12/2007 / di / ateatro n. #BP2007 , 114

Ci siamo davvero abituati a lavorare in condizioni di emergenza quotidiana.
E’ per questo che mi viene spontaneo superare l’accezione legata alla precarietà economica contingente e riflettere su un altro aspetto, personalmente più vicino, legato alla formazione e all’inserimento lavorativo dei giovani operatori culturali.

Grazie al mio particolare percorso formativo e professionale ho avuto la fortuna di vivere fino a poco tempo fa un doppio ruolo: da una parte quello di professionista (attraverso la mia agenzia di produzione e come organizzatore dell’ensemble Sentieri selvaggi) e dall’altra quello di tipico studente (con il corso in Paolo Grassi e una Laurea in Comunicazione) destinatario degli innumerevoli percorsi di formazione sullo spettacolo.
Questa particolare situazione mi ha permesso di vivere le esigenze di entrambi i versanti , osservando da vicino sia alcune dinamiche dell’offerta e contemporaneamente anche della domanda, sempre però con particolare riferimento alle professionalità non prettamente artistiche che rientrano nella più ampia e indefinita etichetta di organizzatori culturali.

La questione più evidente che bisogna porre, come altri hanno già segnalato, è la confusione e l’abbondanza dell’offerta formativa, la quale, oltre ad avere troppo spesso una qualità discutibile a fronte di costi di accesso molto elevati, risulta indubbiamente sproporzionata rispetto alle reali capacità di assorbimento del mercato.
Una possibile causa di questa sproporzione, che si è accentuata moltissimo negli ultimi anni, è da ricercarsi in due opposte tendenze che hanno investito più che in passato il mondo delle performing arts.
Se da un lato infatti la quota di finanziamento pubblico alle realtà culturali si è drasticamente ridotta e le istituzioni non prettamente commerciali faticano sempre di più a garantire una stabilità ai propri occupati, dall’altro il mercato dello spettacolo commerciale, sull’onda dei grandi show, della logica degli eventi e dell’influenza del mondo della tv (vedi i Gormiti, Cocciante e le Winx per citare i casi più recenti), si è allargato in maniera esponenziale moltiplicando di conseguenza fatturato, professionisti e attenzione mediatica.
Questa situazione ha a sua volta prodotto un’ondata di attenzione che è arrivata fino al mondo della formazione, il quale ha intravisto un terreno fertile, poco esplorato e interessante per attrarre nuovi studenti.
Nel giro di pochi anni e con una concentrazione territoriale impressionante si sono creati una miriade di facoltà, corsi, scuole e accademie sulle professioni dello spettacolo
Milano stessa ne è un esempio emblematico. Una città satura dal punto di vista occupazionale dove i pochi soggetti che potrebbero e dovrebbero permettere un reale inserimento retribuito sono assillati non solo dal ricambio normale dei professionisti ma anche da decine di scuole e università che hanno interesse a piazzare i propri studenti a cui hanno preventivamente assicurato una qualche opportunità di stage formativo.

Pertanto sempre più frequentemente proprio questi enti non sono più interessati a costruire collaborazioni durature con professionisti regolarmente retribuiti ma preferiscono invece affidare ad un numero maggiore di stagisti non pagati gli stessi compiti, guadagnandone sicuramente dal punto di vista contabile ma non in termini di continuità, capitalizzazione dell’esperienza e qualità del lavoro svolto.

Questa è la prima grande emergenza che andrebbe affrontata. Sfrondare in fretta e ridurre la miriade di master e corsi che hanno come risultato la creazione di un enorme quantità di stagisti, non solo troppo spesso poco formati ma anche non sempre consapevoli di cosa è realmente il mondo dello spettacolo.
L’unico effetto che quindi si produce, ed è davvero un’emergenza e una grave responsabilità sia per gli enti di formazione che per i soggetti culturali che, più o meno in buona fede continuano a sfruttare a loro favore questo fenomeno, è la creazione di un vastissimo precariato tra i giovani e un progressivo abbassamento della competenza professionale.
Certo, mi si dirà che per i neodiplomati e laureati c’è sempre la strada, entusiasmante ma faticosissima dell’associazionismo e dell’auto imprenditorialità.
Tuttavia anche questa prospettiva ha come risultato quello di aumentare vertiginosamente il numero di soggetti che si troveranno costretti ad operare in totale concorrenza sempre nello stesso asfittico mercato!
Le emergenze di precarizzazione, sfruttamento e svalutazione qualitativa del lavoro credo siano quindi imputabili alle grandi realtà produttive e formative ma anche alla mancanza di una chiara politica di tutela da parte delle istituzioni.
Se lasciato così questo sistema, produrrà danno non solo ai giovani e agli stessi professionisti/formatori già inseriti ma anche alla qualità generale di tutto il comparto delle arti performative.

Il secondo punto di riflessione riguarda infatti non più i formatori ma proprio tutti i giovani operatori che costituiscono ormai a pieno titolo per numeri e impatto una vera e propria categoria emergente.
Le arti performative ci sono sempre state così come gli attori, i musicisti, i tecnici e gli impresari pure, ma mai come in questi anni si è visto un proliferare di figure che giravano più o meno utilmente intorno alla “cosa artistica”.
Ormai “tutti” sono organizzatori di spettacoli, di eventi, di arte anche solo perché hanno fatto un concerto in oratorio, hanno portato il caffè ad un regista famoso o peggio ancora perché hanno organizzato un dj set in qualche discoteca alla moda.
In effetti il nostro lavoro di operatori culturali è legato alla sfera dei servizi e quindi di per sé viene considerato un po’ effimero, difficilmente identificabile e non riconosciuto come portatore di una e vera propria professionalità.
Quello che mi sento dire sempre più spesso quando parlo della mia professioni è che, bene o male, alla fine un po’ tutti possono fare il nostro lavoro poiché in qualche modo i progetti e le produzioni si portano sempre a casa.
E allora il problema che i giovani organizzatori si devono porre come EMERGENZA e che poi devono trasformare in BUONA PRATICA, è proprio il modo in cui vengono conclusi e svolti questi lavori.
Nel campo delle performing art il come non è secondario anzi la qualità si basa spesso proprio su quello: come uno interpreta un personaggio, come uno legge un testo, come uno si approccia ad una problematica artistica, come uno arrangia una canzone.
Ecco, credo che ora i nuovi operatori culturali debbano porsi in maniera urgente e prioritaria rispetto al passato anche la questione del COME si lavora dietro le quinte.

Di fronte a questo tipo di emergenza, di molti e nuovi professionisti che si affacciano nel mondo dello spettacolo, bisogna dunque riconoscere e tutelare le competenze e le professionalità specifiche che privilegino sempre di più la qualità del lavoro svolto.
Qualità quindi sia da innalzare nella formazione ma anche da pretendere dai professionisti stessi, che, anche se giovani e alle prime esperienze, saranno sempre meno sostituibili gli uni con gli altri e sempre più riconosciuti all’esterno come una vera e propria categoria professionale.

* Ensemble Sentieri selvaggi / Yawp Produzioni

Andrea_Minetto_*

2007-12-03T00:00:00




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