BP2010 La rappresentazione dei luoghi

L’insostenibile dialogo fra la natura dei progetti e la cultura dei paesaggi

Pubblicato il 10/02/2010 / di / ateatro n. #BP2010 , 125

Per natura, il Terzo paesaggio costituisce un territorio per le molte specie che non trovano spazio altrove.
Il residuo di specie che non compare nel Terzo paesaggio è rappresentato dalle piante coltivate, dagli animali da allevamento e da quegli esseri la cui esistenza dipende dalle colture e dagli allevamenti.
Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio

Tempo e spazi: una relazione necessaria per la qualità dei pensieri e delle opere
Serve tempo. Servono spazi.
Tempo e spazi adeguati alle nuove esigenze delle arti sceniche contemporanee.
Tempo e spazi per sperimentare nuove e differenti modalità di studio e di ricerca dei processi creativi e di produzione delle opere.
Tempo e spazi di riflessione e approfondimento per gli artisti, soprattutto, ma anche di relazione e confronto critico fra artisti, studiosi, organizzatori e pubblico; per generare assieme nuove domande dal teatro del presente, dal presente del teatro, senza soluzione di continuità e senza contrapposizione fra un teatro e l’altro, il vecchio e il nuovo.
Oggi più che mai non alcun senso alimentare la sterile contrapposizione fra un teatro di ricerca e un teatro di non ricerca. Per una stessa natura, lo studio e la pratica del teatro muovono dall’esigenza primaria, costitutiva, di rinnovamento dei linguaggi espressivi, delle forme e dei contenuti, dell’immaginario e del reale. Diversamente, il rischio è di confezionare un teatro di routine, di ripetizione di stili e contenuti già acquisti da tempo; un teatro (solo) fine a se stesso che non sente più il bisogno di “conquistare” tempo e spazi di ricerca e produzione, quanto mai necessari, invece, per determinare un teatro di qualità e d’autore che non ha niente da spartire con il teatro commerciale e di consumo indifferenziato.

Le residenze creative, una possibilità
Il tempo e gli spazi delle residenze creative possono contribuire a innovare il sistema teatrale italiano, con la consapevolezza che non può esistere un’unica modalità, risolutiva del tutto, di residenza creativa. Le residenze creative vanno intese per lo più come progetti aperti che si modificano di continuo, nel tempo e negli spazi; progetti semplici o complessi, che riflettono su singoli aspetti della ricerca e della produzione o sulla complessità del sistema teatrale italiano. In questi ultimi anni sono nate differenti esperienze di residenza: di studio e di ricerca; di produzione; di gestione e programmazione di teatri.
In ogni caso, occorre partire dall’esigenza primaria di realizzare dei progetti di residenza per gli artisti, dalla parte degli artisti.
Altri “ingredienti” fondamentali che determinano le diverse esperienze di residenza sono le relazioni con il territorio, il paesaggio e l’ambiente, la qualità degli spazi e dei luoghi, la comunità di appartenenza e il rapporto con il pubblico.
Soprattutto, la specificità dei luoghi e la cultura del paesaggio, possono incidere notevolmente sulla natura dei progetti.
Il primo sguardo, la storia e l’identità del territorio, sono le premesse da cui partire per costruire un progetto culturale unico e irripetibile, di senso compiuto, per l’interpretazione dei tanti teatri possibili della contemporaneità.
Forse è vero che dai luoghi nascono i pensieri; che i luoghi portano con sé una “parola”, una “memoria viva” che può essere rinnovata di continuo e che si trasforma nel tempo e negli spazi, con il lavoro degli uomini, le opere e le tracce lasciate sul terreno.
Ascoltare i luoghi e il paesaggio è fondamentale per comprendere le azioni da adottare.
Per parlare dell’Arboreto, la bellezza e la particolarità del luogo ci hanno suggerito che cosa fare, ma soprattutto che cosa non fare.
Forse, la nostra idea di lavoro, di progetto, era già inscritta in quel luogo di confine, di unione e di contrasto fra l’opera della natura e le opere degli uomini che anni prima di noi avevano creato un arboreto sperimentale della flora mediterranea; un luogo naturale e artificiale, insieme, dove la guardia forestale sperimentava e osservava la crescita delle giovani piante che noi continuiamo a custodire.
Un luogo vivo e vitale, composto e rappresentato da luci e ombre, già segnato dalle ferite dell’uomo sulla natura: tentativi falliti e errori creativi che l’uomo ha praticato sulla natura, e viceversa.
Un paesaggio da vivere e rappresentare.
Un paesaggio da mettere in scena, in vita.
Qualunque sia la definizione e l’autorialità di chi le progetta, le residenze creative vanno intese principalmente come luoghi di studio e di lavoro in continua evoluzione, vitali per chi le progetta e le abita temporaneamente, insieme; officine aperte per sviluppare le relazioni e il confronto, per consentire agli artisti il “lusso di perdere tempo” e il “diritto all’errore”, in particolare per le nuove generazioni di teatranti.

La residenze creative: nuove forme di stabilità teatrale, leggera?
In un sistema teatrale bloccato e malato, come quello italiano dove i maggiori Teatri Stabili, e non solo, praticano una politica di sistematica chiusura verso tutto ciò che può essere considerato d’innovazione e di sperimentazione, c’è sempre meno spazio per le giovani compagnie e soprattutto per la ricerca.
I fattori di crisi del teatro, in generale, sono sicuramente (anche) di carattere economico, ma anche di profonda crisi culturale. Insieme ne viene fuori un quadro desolante che non consente agli artisti, ai produttori e agli organizzatori di compiere delle scelte coraggiose, a discapito della qualità delle nuove opere e soprattutto di una reale visione della scena contemporanea, del presente.
Parallelamente alle vicende dei Teatri Stabili, di tradizione e d’innovazione, in questi anni si sono “insediate” anche in Italia diverse esperienze di “stabilità” teatrale, leggera: realtà più piccole e a volte isolate, molto diverse tra loro per principi e modalità, che però hanno prodotto dei risultati straordinari.
Esperienze di confine, non solo geografico, situate per lo più nella provincia italiana, con poche risorse economiche per determinare un processo di teatro di senso, necessario; un teatro di esistenza e resistenza, a volte solo di sopravvivenza, per un teatro d’arte e di qualità. Un teatro che riflette sul proprio tempo, sulle contraddizioni della contemporaneità e per questo motivo un “teatro contraddittorio o della contraddizione”, che supera i generi e le etichette per una contaminazione dei linguaggi, del dire e del fare.
Un nuovo movimento teatrale, non sempre marginale, che nel tempo è riuscito (in parte) a modificare il sistema produttivo del teatro italiano. Identità culturali e progetti artistici che hanno generato nuove e differenti pratiche d’informazione e di produzione; percorsi di ricerca adeguati e in sintonia con l’urgenza di modificare i tempi e gli spazi del lavoro delle nuove generazioni di artisti, e non solo.
Vale a dire, in gran parte, la progettualità delle residenze creative: tempi e spazi per dare corpo e voce alle nuove visioni di chi crede che il processo di ricerca sia altrettanto importante al pari della produzione delle opere.

In cerca di residenze creative, dunque
Le residenze vanno pensate e progettate principalmente come luoghi di pensiero.
Luoghi di studio, ricerca e sperimentazione.
Nei tempi e nei modi di cui gli artisti hanno facoltà, hanno necessità.
Luoghi per dare corpo e respiro ai pensieri.
Per sostenere la crescita di processi culturali e artistici.
Con la possibilità di produrre delle nuove opere contemporanee.
Per questi motivi, le residenze vanno intese soprattutto come laboratori permanenti, officine aperte, senza pensare, subito, ai risultati e all’esito finale.
Luoghi di scoperta per verificare nuove ipotesi di ricerca.
Per concentrarsi sul proprio lavoro.
Per incontrarsi con altri artisti, pensieri, sguardi, opere.
Non prima e non dopo, insieme.
Luoghi dove sia anche possibile perdersi nella lentezza e nella bellezza della ricerca, senza raccogliere nulla, per il momento.
Senza risultati evidenti, per sé e per gli altri.
Luoghi d’incontro e di confronto dove gli artisti e gli artigiani del pensiero trovano le condizioni indispensabili per conoscere e per conoscersi.
Per imparare e per sbagliare.
Per interpretare il “diritto all’errore” come un fattore di crescita.
Le residenze creative devono favorire la libertà degli artisti di indagare territori sconosciuti, sospendendo, in quel tempo e in quello spazio, l’ansia di produrre e dimostrare subito dei risultati.
E’ possibile, ma non obbligatorio, che al termine di una residenza la compagnia senta la necessità di incontrare il pubblico per una prima verifica della propria ricerca.
E quando questo accade, quando nelle residenze si creano le premesse per un incontro non convenzionale fra gli artisti e il pubblico, allora si genera un’energia vitale per entrambi; un’energia che si moltiplica, che produce altra energia, per le persone e per il luogo di residenza.
Oggi più che mai, le residenze creative sono diventate una modalità necessaria per favorire la qualità delle nuove produzioni.
Per gli artisti, soprattutto.
Per il sistema teatrale nel suo complesso.
Per sviluppare una relazione continuativa fra gli artisti e il territorio.
Per capitalizzare le singole esperienze (processi artistici e produzione di opere) all’interno di una comunità, un paesaggio, un ambiente.
Quali sono, allora, i “nuovi pericoli” delle residenze creative?
Le residenze creative non vanno intese solo come centri servizi.
Non possono essere ridotte semplicisticamente a “merce di scambio” per gli organizzatori e i produttori.
Non si può chiedere agli artisti residenti anche di educare il territorio.
Non si può chiedere agli artisti residenti anche di organizzare il consenso.
Si può fare, evidentemente.
Esistono delle esperienze di residenza in cui alle compagnie si chiede anche di occuparsi di organizzazione e di promozione, e non solo di concentrarsi sul proprio lavoro creativo, di ricerca e di produzione di spettacoli.
In queste situazioni, le compagnie accettano il rischio di diventare dei bravi organizzatori, perdendo così di vista la centralità del proprio fare teatro, in scena.
Le residenze creative non possono essere concepite, dagli artisti e dagli enti, come una nuova modalità di lavoro per risolvere vecchie problematiche amministrative e di politica culturale del territorio, di occupazione di spazi vuoti; vuoti di memoria, idee e progetti, antichi deficit produttivi: mancanza di finanziamenti, spazi, ospitalità, ecc.
Il significato profondo delle residenze creative è quello di esprimere dei progetti profondi, complessi, difficili, critici, per condividere un pensiero tanto straordinario quanto semplice e vitale per il presente e per il futuro del teatro: difendere e proteggere il “lusso” della ricerca, soprattutto per le nuove generazioni di artisti.

Fabio Biondi
L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
Tel. 0541.25777 – 55000
info@arboreto.org –

Fabio_Biondi

2010-02-06T00:00:00




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