Bella creatura o salvadanaio pazzo?

Arcus spa tra errori del passato e opportunità per il futuro

Pubblicato il 28/02/2010 / di / ateatro n. 126

Arcus spa sta tornando al centro dell’attenzione (vedi l’articolo di Carmelo Lopapa su “la Repubblica”, 28 febbraio 2010, oltre che il nostro servizio). Quando nel 2004 il primo presidente, Mario Caccia – con comunicati e attraverso interviste in stile cinegiornale Luce – definì la neonata ARCUS spa come “la più bella creatura” di quella legislatura, nata da un inedito accordo bipartisan in Commissione (un fatto che portò a una rapidissima approvazione senza passaggio in aula: anche perché un'”agenzia” molto simile risultava già in un progetto del governo precedente), in pochi potevano prevedere che quella società per azioni, azionista unico lo Stato, attraverso due dicasteri – MIBAC e Ministero delle Infrastrutture – fosse il prototipo di quel modus operandi, di quel trionfo del “fare” destinato a un luminoso futuro. Lo scopo era nobile e condiviso: sostenere “progetti” e “iniziative di investimenti” collegate ai beni e alle attività di spettacolo (statuto, art. 2).
In realtà – malgrado Caccia – Arcus operò da subito con grande discrezione, nell’ombra se non in semiclandestinità. Fin dall’inizio vi furono scelte discutibili, da un museo del vino alla festa del Santo Patrono, che era meglio non sbandierare. Il modello si rivelò un déjà vu da bassa cucina, ma in pochi se ne accorsero (fra cui www.ateatro.it; ma sui primi tempi di Arcus, vedi anche Mimma Galllina, Il teatro possibile, Franco Angeli, 2005).
L’era Lunardi portò ARCUS agli onori delle cronache. Davvero troppi soldi a Parma, la città del Ministro delle Infrastrutture, dall’Orchestra Toscanini a Parma Capitale della Musica…. Ma – precisava il Ministro dei Beni e delle Attività culturali di allora, Urbani – l’ampia distribuzione territoriale e di genere non meritava quelle illazioni. Infatti, faceva notare il ministro, c’erano fra gli altri (in quel 2004): l’Auditorium di Roma e la tournée del Piccolo Teatro di Milano negli USA.
Da allora, di soldi ne sono arrivati un po’ dappertutto – a volte in quantità davvero consistenti – in alcuni casi episodicamente, in altri con encomiabile regolarità. E se per chiese, festival di musica sacra e santi patroni si continuava ad avere un occhio di riguardo, nel campo dello spettacolo senza ARCUS molte prestigiose tournée internazionali sarebbero state impossibili, alcune ristrutturazioni non sarebbero andate a buon fine, qualche attività del tutto ordinaria sarebbe stata un po’ meno appariscente, alcune situazioni fallimentari forse sarebbero davvero fallite. Una distribuzione oculata, che certo mette a tacere molti ma non può accontentare tutti: ma non è escluso – ci piace pensare anche di questi tempi – che qualcuno ci credesse davvero all’utilità di quella buona idea (perchè poteva essere una buona idea), e alla possibilità di farla funzionare.
Però alla lunga il fatto che l’attività di un ente come Acus non sia del tutto – anzi, non sia affatto – coerente con gli scopi statutari non poteva passare inosservato. Il singolare originario unanimismo ha iniziato a scricchiolare. Qualcuno ha cominciato ad accorgersi che non c’era nemmeno un regolamento. Sono arrivati i rilievi della Corte dei Conti: incoerenza fra scopi e interventi, discutibile gestione. Inevitabile: la “creatura più bella” è stata commissariata. C’è chi (come Bondi) promette un rilancio degli obiettivi originari e chi chiede lo scioglimento. Il progetto legge Carlucci – a quanto risulta a www.ateatro.it – prevede che, nel campo dello spettacolo, Arcus possa intervenire solo sulle ristrutturazioni dei teatri.
Arcus spa non è mai stata quel centro per lo sviluppo del settore – agile, moderno e lungimirante – di cui si favoleggiava. E’ stato in sostanza due altre cose.
In primo luogo, un “salvadanaio” per emergenze e clientele (di cui hanno beneficiato in sei anni numerosi soggetti, molti con cortese regolarità).
E poi è stato un braccio esecutivo del Ministero, per “spese di rappresentanza” (le grandi tournée) o interventi speciali, difficilmente transitabili attraverso i canali ordinari: per esempio, il sostegno a Cinecittà nel prossimo triennio, pari a 15.800.000 €.
Insomma, un progetto coerente (questo sì) con la progressiva tendenza alla discrezionalità che ha caratterizzato in questi anni le politiche del governo Berlusconi nei confronti di cultura e spettacolo (e non solo). Viene quasi il sospetto che le offese e il disprezzo nei confronti del settore nel suo complesso potesse servire proprio a coprire arbitri più arbitrari del solito…
Dopo un lungo periodo di paralisi (e una frustrante mappa territoriale che mostrava gli interventi per regione, con poche indicazioni su soggetti/progetti e senza cifre), di recente il sito di Arcus è tornato ad animarsi: con i dati dei progetti sostenuti fino a oggi e un piano triennale, 2010/2012, per un totale di 200.000.000 €: non sono pochi, se pensiamo che il FUS ha ripartito fra i settori – nel 2008 – 456.000.000 € (dato Osservatorio dello spettacolo).
Ma la trasparenza non consola. Non sarebbe né corretto né generoso pensare che non ci siano progetti e necessità vere dietro gli stanziamenti elencati dal 2004 al 2009. Ma quanto hanno contato le relazioni personali? Perché proprio quei progetti e non altri? Quanti non sapevano, non ci hanno pensato o sono stati scoraggiati?
Ravenna Festival, le tournée del Piccolo e degli enti lirici, il Festival Pucciniano a Torre del Lago, il Salone Pier Lombardo erano davvero tanto molto “progettuali” e più bisognosi di altri? (Sul sito Arcusonline trovate tutto: o meglio, tutti i titoli, ma nessun progetto.)
Meglio pensare al futuro. Il sito ricorda che: “ARCUS S.P.A. ha il compito di sostenere e avviare progetti ambiziosi riguardanti i beni e le attività culturali, anche nella loro connessione con le infrastrutture, perseguendo la visione di contribuire a tradurre i beni e le attività culturali da oggetto passivo di osservazione a soggetto attivo di sviluppo”.
Un ritorno alle origini? Forse.
Il sito annuncia un piano di interventi triennale 2010-12, con un preciso elenco di soggetti già definiti (mentre – e già questo è un controsenso – si raccomanda di non presentare domande finché non uscirà il bando 2010!). I soggetti di spettacolo già selezionati e per cui è stato quantificato un contributo sono spesso vecchi amici di Arcus, con qualche new entry. Fra gli altri: Ravenna Festival, Festival Verdi, il Teatro dell’Archivolto a Genova (per un progetto Teatro fra letteratura e danza), l’Associazione Arte in Scena, la Fondazione Teatro Piemonte Europa, il Festival della Valle di Noto, la Formazione Orchestrale a Fiesole, il Festival pucciniano, il festival di Todi, il teatro di Amelia (che ha colpito molto “Repubblica”, 28 febbraio 2010), un Laboratorio Lirico del Veneto. E inoltre il Teatro Comunale di Andria, il Festival di Musica Sacra Pergolesi-Pergolesi Spontini e l’ETI – che per la verità si accontenta di 1.290.000 € in tre anni per progetti nazionali e internazionali.
Poi ci sono generiche voci che dovrebbero smuovere qualche parlamentare, come generici sostegni ad attività di cultura a Roma e a Palermo. Ma non dovrebbe lasciare indifferenti la ripartizione territoriale del tutto casuale (ma forse no). Le voci sono molte e richiederebbero un’analisi più puntuale.
Rispetto ai 40.040.000 € già stanziati per lo spettacolo (su un totale di 200.000.000, di cui circa 5.500.000 di utili dalla precedente gestione), c’è la fondata speranza che se ne aggiungano altri: si potrebbe scommettere sul sostegno a qualche tournée internazionale, per esempio.
Vedendo la composizione del cda di Arcus viene però spontanea una domanda di fondo: il presidente, professor Salvatore Italia, e i consiglieri dott. Mario Belfiore, arch. Sergio Colombo, avv. Paolo Dalla Vecchia, on.le dott. Giacomo de Ghislanzoni Cardoli, avv. Marcello Franco, dott. Mauro Mainardi, con il direttore manager Pietrabissa e i pochissimi dipendenti (persi nel grande e costoso ufficio di cui parla “Repubblica”), sono davvero in grado di valutare nel merito i progetti che approdao ad Arcus? Non stiamo certo parlando dell’analisi economica tecnica e preventiva e consuntiva, su cui non vogliamo dubitare. Ma della competenza specifica nel settore dello spettacolo.
Discrezionalità e incompetenza (compensata dalla tendenza a dar retta alle “sollecitazioni” degli amici) sono un dato di fatto che un po’ ovunque condiziona pesantemente il teatro italiano, come è emerso alle ultime Buone Pratiche. Diventano un’offesa ancora maggiore quando in ballo ci sono risorse vere (soldi dei contribuenti, oltretutto), in un periodo di magra. Risorse che possono decidere la vita o la morte di un progetto o di un soggetto.
Non sembra così probabile che Arcus si sciolga in tempi brevi. Allora, per limitare i danni, sarebbe opportuno esigere che il bando in uscita sia adeguatamente diffuso e che i criteri di valutazione e le scelte siano davvero trasparenti.
Come www.ateatro.it per quanto possibile ce ne faremo carico. Speriamo che anche l’AGIS si renda conto che opportunità come queste vanno diffuse – non possono essere privilegio di pochi associati – e sottoposte al controllo democratico. Più ancora, contiamo sulle informazioni che possono arrivare dalle numerose aggregazioni indipendenti nate di recente, dai movimenti spontanei del nuovo teatro e dal web.
I prossimi tre anni di Arcus forse non saranno, se sapremo vigilare, come i sei precedenti.

Mimma_Gallina

2010-02-28T00:00:00




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