Il teatrino dell’io [2: password]

Un manuale di sopravvivenza su Internet, un romanzo di formazione a puntate

Pubblicato il 25/09/2010 / di / ateatro n. 130

Il mio nickname lo vedranno tutti. Sarà come una di quelle firme -– i tags colorati e fantasiosi -– che i writers scrivono ossessivamente ovunque: sui muri, sui cavalcavia, sui vagoni dei treni e della metropolitana con le bombolette di vernice spray, oppure con il pennarello sul sedile dell’autobus o del treno. Quel nome potrebbe diventare un brand – per ora è solo un marchio vuoto, che non rimanda a nulla e che non vale nulla. Ma io forse, grazie alla rete, riuscirò a trasformare il mio nickname in un brand di valore inestimabile. Ce l’hanno fatta in tanti, non vedo perché non ci debba riuscire io. Ma come scelgo il mio nome, quello che tutti vedranno? Alcuni, quando devono compilare la fatidica prima casella, digitano semplicemente il loro vero nome, o addirittura nome e cognome: “Questo sono io e questo resterò”. Anche nel regno del virtuale. Alcuni social network, come www.facebook.com e www.LinkedIn.com, incoraggiano questa scelta, o addirittura la impongono. In altri casi, è consigliabile l’anonimato: il boom dei blog in Iran (che inizia nel 2003 e rivelerà la sua forza in occasione della rivolta dopo i brogli elettorali dell’estate 2009) è opera di autori che, in un regime repressivo, per esprimere le loro opinioni non potevano far altro che usare uno pseudonimo. Qualcuno si nasconde dietro un’identità fittizia per scopi inconfessabili, oltre la barriera del codice penale. L’esempio più classico – fonte di periodiche ondate di panico morale – è il pedofilo che indossa la maschera della ragazzina quattordicenne e usa i social networks e le chat come terreno di caccia. Naturalmente a tendergli l’agguato c’è un’altra maschera: quella dell’investigatore che per smascherarlo finge di essere un’altra ragazzina in cerca di nuove amicizie, oppure indossa i panni del pedofilo a caccia di nuovi brividi. Qualche impostore ruba l’identità di un altro: magari una star, magari il suo idolo… Per beffa, o sperando in qualche beneficio più o meno lecito, come si deduce dalla dichiarazione di un giovane idolo cinematografico amato dalle adolescenti: “I vari Riccardo Scamarcio che ci sono su Facebook non sono io, soprattutto quello che chiede il numero di telefono alle ragazze…”, ha voluto precisare l’attore. La maggioranza degli utenti di internet preferisce adottare un nickname, un soprannome, magari ironico, che sveli e nasconda. Albert “Segvec” Gonzales, che nell’agosto 2009 ha rubato i dati dei clienti di 130 milioni di carte di credito, aveva scelto come nickname “soupnazi”: un omaggio a un personaggio della serie Seinfeld, un cuoco pazzo che preparava una minestra squisita ma poi decideva del tutto arbitrariamente a chi darla e a chi no. Guardo tra i frequentatori della mia pagina su qualche social network: Zampabella e Monica74, AmorAmaro e AnnieSenzaIlPulcino (Rosso), Oiriled (la leggere al contrario, naturalmente) e Princess, Gurdulù e razione k, bubujo e bibi2, Mademoiselle Sorel (come ho fatto a non innamorarmi di lei?) e SR… Gli amici intimi, anche se non sono già stati informati, il mio nickname lo riconosceranno subito. Per gli altri, la mia identità sarà solo un simpatico mistero.
(segue…)

Oliviero_Ponte_di_Pino

2010-09-25T00:00:00




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