Tornare a “le stabili” (femminile plurale)

Verso il convegno Compagnia stabile e affinità elettive, una sfida alla crisi (Prato, 26 marzo 2011)

Pubblicato il 13/03/2011 / di / ateatro n. 133

Il contributo di Mimma Gallina al dossier sul teatro pubblico della rivista “Euterpe” e per la giornata di studio a Prato (26 marzo).

La domanda che è stata posta è talmente vasta (anche solo perché tocca il doppio problema del finanziamento pubblico e del funzionamento del teatro pubblico) e così vari e interessanti sono stati i riscontri, che mi sembra più corretto e utile dare una risposta parziale.
Preferisco parlare di Teatro pubblico e di un segmento del suo funzionamento. Non per eludere il problema dei tagli insostenibili del FUS e non solo che sono stati effettuati e prospettati: la gente di teatro (e le sue organizzazioni) non si aspettava un attacco del genere ed è stata colta impreparata e con le armi spuntate dalla sua stessa capacità di adattamento, non è una consolazione che queste politiche riguardino il pensiero e l’’offerta della conoscenza nel suo complesso, e ora vanno trovati i modi e le alleanze (col pubblico in primo luogo, con la società), per respingerli e messi in atto strumenti (sul piano della legislazione, della formazione, dell’’informazione) per difendere l’’articolo 9 della costituzione. Non era proprio previsto.
La mia visione del teatro pubblico probabilmente è molto tradizionale, come tradizionale e forse un po’’ ingenua è la visione dello stato: penso che le istituzioni debbano esistere e, se non funzionano, ci si debba chiedere perché e le si debba far funzionare. Il teatro pubblico probabilmente non ha mai funzionato troppo bene. I suoi vizi sono virtù presto degenerate: il rapporto con la polis che diventa politicizzazione (leggi: interferenza della politica), finalità comuni e solidarietà fra organismi affini che diventano banali scambi, la ricerca della qualità che genera costi non sempre inevitabili, il “primato dell’organizzazione” (Grassi), che diventa apparato e gli spettatori, coro tacito e partecipe, che diventano semplici abbonati.
Ma il Teatro Pubblico è il punto di riferimento istituzionale della società teatrale, intensa da un lato come comunità degli artisti, dall’altro come comunità di riferimento (la complessa geografia di un territorio), e come pubblico. Proprio in un sistema misto – confuso e a pezzi – come il nostro, e a maggior ragione in una situazione di crisi occorrerebbero organizzazioni sufficientemente solide (che non vuol dire pesanti) e con garanzia di continuità (che non vuol dire direttori inamovibili) per garantire l’’incontro delle due metà: da una lato quindi offrire sedi e mezzi per favorire l’’espressione e l’’indipendenza della creazione artistica (ovvero: qualità, professionalità, conoscenza e interpretazione della tradizione, trasformazione dei linguaggi, alternarsi delle generazioni), dall’’altro favorire la partecipazione consapevole (quindi accesso – che oggi non significa solo prezzi giusti, ma richiede analisi della società, strategie di intervento, pari opportunità e tutela delle diversità – informazione, formazione, critica, anche alfabetizzazione). Creare insomma le condizioni per un incontro consapevole e dinamico fra creazione e fruizione. Quello che rende vecchio il teatro pubblico è una lettura ancora abbastanza diffusa all’’interno dei Teatri Stabili, ferma nel tempo, dell’’idea di “teatro d’’arte per tutti” (uno slogan ancora molto efficace e attuale SE declinato al presente e al futuro). L’’aggiornamento dell’’obiettivo di Grassi e Strehler c’’è stato con riferimento al “per tutti”, ma è consistito, nelle migliori delle ipotesi, nell’’adozione di più aggiornate categorie di marketing (così il pubblico è diventato i pubblici), e non -– o molto raramente, mi sembra – in una lettura attenta e anche autocritica del rapporto fra teatro e società. Mentre l’’obiettivo del ”teatro d’’arte” è ancora troppo spesso ricondotto ai codici e agli esiti estetici del teatro di regia, e alla frequente degenerazione dei modi di produzione che lo hanno caratterizzato nella nostra breve tradizione (certamente gloriosa, ma anche legata a precise epoche e persone): confezioni sontuose e uno star system “di qualità” a costi spropositati (molto più alti della media europea). E ’per questa malintesa tradizione – non certo solo per i tagli – che alcuni stabili sono sull’’orlo del fallimento e per altri è non è troppo avventato profetizzarlo. Questo “stile” non è più compatibile con la situazione economica se mai lo è stato (oltre ad essere irrimediabilmente superato sul piano del gusto).
Ma la creazione contemporanea e la ricerca di modalità produttive sostenibili sono già andate in altre direzioni, per fortuna. Per riconquistare la sua funzione, il Teatro Pubblico deve scendere dalla carrozza e salire su un treno in corsa, deve reinventare o riscoprire modi coerenti con la sua missione, in un presente in divenire – forse meno lontano di quanto sembri dalle sue origini. C’’è un punto fra tutti, antico e attuale, che credo dovrebbe caratterizzare una vera riforma del teatro pubblico (alla guida del nostro teatro nel suo complesso), ed è la “compagnia stabile”. Prima dell’’affermazione della regia si diceva non a caso “le stabili” e non “gli stabili”: l’’attore e lo strumento produttivo primario – –la compagnia – erano al centro di qualunque idea di riforma e un dibattito quasi secolare ha visto capocomici, impresari, critici, autori e attori, pacificamente gli uni contro gli altri, chi a favore e chi contro forme di (sempre parziale) stabilizzazione, contrapposte alla tradizione itinerante del nostro teatro. Ma nessuno si sognava di mettere in dubbio, in quei dibattiti, che in principio e al centro fosse comunque, sempre la compagnia, la continuità, la ricerca di una cifra stilistica. Propongo di tornare indietro nel tempo e riportare la compagnia al centro delle nostre riflessioni, come tassello fondamentale di una “riforma” globale del teatro italiano, a maggior ragione in un momento in cui tutti i Teatri Stabili di tutte le tipologie (e tutti i gruppi con sede) stanno prolungando le permanenze in sede e più che mai il mercato (quello che è rimasto) è in crisi.
Il Teatro Stabile della Sardegna e il Teatro Metastasio di Prato promuovono una giornata di riflessione – alla cui organizzazione sto collaborando – proprio su questo argomento: Compagnia stabile e affinità elettive, una sfida alla crisi, a Prato il 26 marzo. I due stabili, uno privato e uno pubblico, e i loro attuali direttori (Paolo Magelli e Massimo Luconi del Metastasio, e Guido De Monticelli del Teatro di Sardegna) hanno posto la stabilità della compagnia al centro dei propri progetti e di un programma di coproduzione, ma si stanno anche ponendo e vorrebbero condividere alcuni interrogativi. La premessa è:

“Che il lavoro di ensemble, e quindi la costituzione di un gruppo di attori riuniti intorno a un progetto o un programma di lunga durata, costituisca il principale strumento del lavoro teatrale è convinzione diffusa se non comune, ma la pratica del teatro italiano dal dopoguerra ad oggi (certo non la tradizione del nostro teatro) non ne ha favorito l’affermazione. Il mantenimento di una “compagnia stabile” è sembrato per decenni un modo di produzione impraticabile, soprattutto per i costi e le dinamiche del mercato legati al nostro particolarissimo sistema di “teatro di giro” con poca vocazione alla stanzialità. Certo, alcune realtà indipendenti hanno portato e portano avanti il “gruppo” quasi come una bandiera, con perseveranza e fra mille difficoltà, e alcuni teatri stabili hanno perseguito questo obiettivo con convinzione, ma pochi -– per un intreccio di motivi intrecciati con le particolarità del nostro sistema – sono quelli che sono riusciti a realizzarla al di là di esperienze episodiche”.

La riflessione informale che i due teatri propongono a direttori artistici e organizzativi di stabili e gruppi, registi, critici organizzatori, amministratori, riguarda due punti distinti e intrecciati: da un lato gli aspetti artistico-pedagogici, dall’’altro le problematiche organizzative e amministrative. Le domande sono: come si può attuare oggi la scelta di favorire la formazione di un nucleo (davvero) permanente di attori? È compatibile con il mercato? costituisce un costo o un risparmio?
E’’ importante valutare se una scelta decisa per la stabilità può comportare –- come credo – potenziali vantaggi organizzativi e economici: un contenimento dei costi delle retribuzioni a fronte di un impegno più lungo nel tempo per gli attori, la razionalizzazione dei tempi e modi di lavoro (nel rapporto prove/recite), la possibilità di praticare politiche di repertorio. Certo, le controindicazioni sono evidenti: la necessità di piegare i ruoli all’’organico di cui si dispone e il condizionamento nelle scelte (come sanno i gruppi da sempre), la possibilità (forse) di coinvolgere attori di qualità (di nome e di chiamata), l’’inadeguatezza dei CCNL, la frequente indisponibilità dei registi… e molto altro. Ma proviamo ad immaginare un’’utopia: un sistema di teatri (i 15 stabili pubblici, ma anche quelli privati e di innovazione, una settantina in tutto; i gruppi con sede già sono su questa linea), che formano o accolgono vere compagnie stabili –attori, autori, registi – offrendo condizioni di lavoro sobrie e sostenibili e offrendo prospettive di lavoro pluriennali. Non ne varrebbe la pena? Chi mi conosce sa che è un chiodo fisso: ma forse era più difficile fare questa scelta ai tempi delle vacche grasse (si fa per dire), forse è arrivato il momento di rinunciare a qualcosa (un primo attore, un regista troppo pagato, un po’’ di son e lumière) e provarci sul serio.

Mimma Gallina

COMPAGNIA STABILE E AFFINITÀ ELETTIVE
UNA SFIDA ALLA CRISI

una giornata di lavoro a Prato il 26 marzo, presso il Ridotto del Teatro Metastasio

Il Teatro Metastasio di Prato-Stabile della Toscana e il Teatro Stabile della Sardegna avvieranno, nella stagione 2011-2012, un progetto di collaborazione artistica e organizzativa che porterà all’incontro e all’integrazione delle rispettive compagnie, allo sviluppo di un programma di laboratori comuni, allo studio e all’individuazione di nuovi processi organizzativi e produttivi, e darà luogo, infine, alla progettazione e all’allestimento di due diversi spettacoli teatrali (il primo, con debutto in novembre, sarà Il giardino dei ciliegi di Cechov, il secondo, in scena da marzo 2012, I fratelli Karamazov da Dostoevskij).
Questo progetto si fonda su alcune importanti affinità che i loro attuali direttori, Paolo Magelli e Massimo Luconi per il Teatro Metastasio, e Guido De Monticelli per il Teatro di Sardegna, hanno riscontrato tra i progetti artistici e le finalità culturali dei due teatri.
Prima fra tutte la volontà di fondare la propria attività sulla costruzione e la valorizzazione della compagnia stabile.
Che il lavoro di ensemble, e quindi la costituzione di un gruppo di attori riuniti intorno a un progetto o a un programma di lunga durata, costituisca il principale strumento del lavoro teatrale è convinzione diffusa se non comune, ma la pratica del teatro italiano dal dopoguerra ad oggi (certo non la tradizione del nostro teatro) non ne ha favorito l’affermazione. Il mantenimento di una “compagnia stabile” è sembrato per decenni un modo di produzione impraticabile, soprattutto per i costi e le dinamiche del mercato legati al nostro particolarissimo sistema di “teatro di giro” con poca vocazione alla stanzialità. Certo, alcune realtà indipendenti hanno portato e portano avanti il “gruppo” quasi come una bandiera, con perseveranza e fra mille difficoltà, e alcuni teatri stabili hanno perseguito questo obiettivo con convinzione, ma pochi – per un intreccio di motivi legati alle particolarità del nostro sistema- sono quelli che sono riusciti a realizzarla al di là di esperienze episodiche.
Anche per questo i due teatri lanciano un primo appuntamento a Prato: un momento di riflessione e di confronto con i direttori artistici e organizzativi di stabili e gruppi, registi, critici, organizzatori, amministratori, sulle problematiche artistico-pedagogiche e organizzativo-amministrative che questa scelta pone.
La necessità di favorire la formazione di un nucleo permanente di attori come cuore del lavoro teatrale, strumento imprescindibile di qualità e di crescita, è importante anche per il significato occupazionale che riveste, come tassello fondamentale di una “riforma” globale del teatro italiano, resa ancora più necessaria dai tempi di crisi. Si rivalutano quindi anche i potenziali vantaggi organizzativi e economici che può, o potrebbe comportare: il contenimento dei costi delle retribuzioni a fronte di un impegno più lungo nel tempo per gli attori, la razionalizzazione dei tempi e modi di lavoro (nel rapporto prove/recite), la possibilità di praticare politiche di repertorio.
Questi aspetti, fortemente integrati, saranno affrontati in una giornata di incontro e di studio

Coordinamento: Mimma Gallina
Organizzazione: Teresa Bettarini/Teatro Metastasio

L’iniziativa è aperta.
Si prega di confermare la propria partecipazione

COMPAGNIA STABILE E AFFINITÀ ELETTIVE
UNA SFIDA ALLA CRISI
Programma della giornata

10-11 saluti e interventi introduttivi
11-13,30 interventi
(13,30-15: pausa pranzo/buffet)
15-17 interventi
17-19 dibattito e conclusioni
Gli interventi intrecciano e si articolano su due temi:
– la sfida della stabilità: continuità, pedagogia, qualità
– economia della stabilità: lavoro, organizzazione, repertorio

Hanno confermato la loro presenza, ad oggi, 10 marzo, con i presidenti e i direttori dei teatri promotori (Umberto Cecchi, Maria Grazia Sughi, Guido De Monticelli, Paolo Magelli, e Massimo Luconi): Fabrizio Arcuri, Arca Azzurra con Ugo Chiti, Roberto Bacci, Marcello Bartoli, Alessio Bergamo, Massimo Castri, Veronica Cruciani, Angelo Curti, Mimma Gallina, Alessandro Garzella, Fiorenzo Grassi, Roberto Latini, Cesare Lievi, Marcella Nonni, Andrea Porcheddu (che introdurrà lavori), Cristina Pezzoli, Armando Punzo, Carmelo Rifici, Maurizio Schmidt, Pietro Valenti.

Venerdì 25, sabato 26 sera o domenica 27 pomeriggio, i partecipanti potranno assistere agli spettacoli del Teatro Metastasio e del Teatro Stabile della Sardegna in programma:

Venerdì e sabato ore 21, domenica ore 16 – Teatro Metastasio
SANGUE DAL CIELO
tratto dal romanzo di Marcello Fois, regia di Guido De Monticelli. Una produzione del Teatro Stabile della Sardegna con Maria Grazia Bodio, Lia Careddu, Corrado Giannetti, Paolo Meloni, Isella Orchis, Cesare Saliu, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli.

Sangue dal Cielo (quasi un musical) è un noir, la storia di un misterioso caso giudiziario che ha come scenario la Nuoro di fine ‘800. Al centro di quel caso, la figura del popolare avvocato e poeta barbaricino Sebastiano Satta, vissuto appunto a cavallo del secolo, il quale ripercorre la vicenda del suo assistito, un ragazzo con tratti di fragilità psico-fisica, accusato di aver commesso un omicidio. Ma Sangue dal Cielo è anche un sogno, una lunga notte di sonno agitato, popolata di suoni e visioni, e battuta da una pioggia scrosciante, continua, che rimbalza sull’acciottolato, sui vetri, sulle tegole, penetra fin nella stanza dell’avvocato-poeta, portando all’inquieto sognatore le immagini e le presenze del suo passato di ragazzo.
Lo spettacolo è interpretato dalla compagnia stabile “storica” del Teatro di Sardegna al completo.

Venerdì e sabato ore 21, domenica ore 16 – Teatro Fabbricone
Trilogia di Belgrado Parte I. GIOCHI DI FAMIGLIA
di Biljana Srbljanovic, drammaturgia Zeljka Udovicic. Una produzione del Teatro Metastasio/Stabile della Toscana con Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Langoni, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni.

La voglia di scappare e di allontanarsi dai luoghi in cui si è nati e cresciuti, per sfuggire ad un’identità che non si è scelta e con la quale si è comunque costretti a confrontarsi. Questo è uno dei temi preferiti della giovane scrittrice serba Bilijana Srbljanovic.
Giochi di famiglia è un testo scritto dodici anni fa ed ha luogo nella periferia degradata di una qualsiasi città europea e racconta di quattro (cinque) bambini soli che giocano a fare gli adulti ed è proprio aderendo alla cattiveria del mondo che ci circonda che questi cinque bambini ci offriranno la possibilità di guardarci dentro l’anima oltreché d’incontrarci con la brutalità che ognuno di noi nasconde dentro di sé.
Lo spettacolo è interpretato dalla nuova compagnia stabile del Teatro Metastasio.

Per confermare la partecipazione alla giornata di lavoro e agli spettacoli
Segreteria Teatro Metastasio. 0574/608507
info@metastasio.it

Mimma_Gallina

2011-03-13T00:00:00




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