I cento giorni del Teatro Valle Occupato

Che cosa sta succedendo? E che cosa succederà?

Pubblicato il 19/09/2011 / di / ateatro n. 135

Che cosa sta succedendo al Teatro Valle? Quanto può durare l’occupazione? Quali sono i suoi obiettivi e le sue strategie? E quali risultati può raggiungere, nel pantano politico-burocratico della capitale?
E’ certamente molto bello vedere tanti giovani attori e tecnici, esasperati da una situazione priva di prospettive, che provano a prendere in mano il loro destino.
E’ certamente interessante seguire una discussione che cerca di dare basi solide a un progetto culturale come quello del “Nuovo Teatro Valle”, e nel contempo riflettere su temi di portata più ampia. (Un solo esempio: per noi di www.ateatro.org, che sul concetto della cultura come valore oltre che come servizio pubblico, abbiamo molto insistito, l’idea di comprendere anche l’arte e la cultura tra i “beni comuni” porta un contributo di notevole interesse alla discussione di questi anni, offre una base anche “filosofica” e “giuridica” al sostengo pubblico alla cultura, di fatto teorizzato solo dall’art. 9 della Costituzione.)
E’ altrettanto certo che gli occupanti del Valle sono abilissimi nel catturare l’attenzione dei media e nel mantenere viva l’attenzione, cercando di allargare l’impatto del movimento. E siccome parlare dell’occupazione del Valle significa accendere i riflettori sulla situazione dello spettacolo dal vivo (e in generale della cultura) in Italia, ben vengano le prime pagine e i servizi ai tg.
Però…
Però qualcuno inizia a riflettere su questa esperienza, e comincia a covare qualche dubbio.
Forse, aldilà del giusto entusiasmo di chi partecipa in prima persona a un’esperienza appassionante, è il caso di iniziare a riflettere sull’occupazione del Valle.
Per rilanciare il dibattito, www.ateatro.org ospita – dopo l’intervento di Oliviero Ponte di Pino che aveva visitato il Valle a giugno (La rivoluzione dello spettacolo, lo spettacolo della rivoluzione) – la provocazione di un critico fuori dal coro come Andrea Porcheddu. Aprendo la discussione anche ad altri contributi, e magari rilanciando la riflessione nella prossima edizione delle Buone Pratiche. (n.d.r.)

Eravamo, il primo giorno d’occupazione, al Teatro Valle di Roma. Eravamo al Marinoni, al Lido di Venezia, alla prima conferenza stampa. (Uso il plurale non per vanità, ma perché con me era mio figlio Leo, quattro anni, sicuramente il più giovane tra gli occupanti.)
Ho firmato il primo appello per il Valle e ho cercato di dar conto di quanto si diceva al Lido. Questo per chiarire, subito, che condivido molte delle denunce espresse dagli occupanti (dal futuro del Valle alla situazione della cultura in Italia, dalla lottizzazione del Lido allo scarso sostegno per il cinema italiano).
Poi, complici gli ottimi uffici stampa, con i tanti articoli che hanno affrontato la questione, e i social network, dove si teneva viva la discussione, ho cercato di seguire quanto accadeva nei due spazi.

Jovanotti intervistato al Valle Occupato.

Camilleri e Jovanotti, Elio Germano, Renzo Arbore e Paolo Rossi, mentre al Lido si facevano vedere Abel Ferrara, Filippo Timi e con loro tanti altri. E mentre sul “Venerdì di Repubblica” campeggia in copertina una bella foto posata di Fabrizio Gifuni, con Favetto che racconta appassionatamente il clima rivoluzionario all’interno del teatro romano, a me vengono in mente delle domande stupide, faziose, contortine.
La prima, evidente, è: come andrà a finire?
A Venezia è finita malino: con una violenta, squallida, inutile invasione a una cena privata (organizzata dalle stesse Giornate degli Autori, che avevano invitato quelli del Valle a presentere un doc e a parlare) dove, cocci di bottiglia alla mano, si vaneggiava di una grottesca “giustizia proletaria” applicata al cinema che non merita molti commenti.
E a Roma? Mentre scriviamo l’occupazione è ancora gagliardamente in corso, ma alcune cose non mi tornano.
Suona stridente, ad esempio, l’invito fatto a Novecento, fortunato spettacolo scritto da Alessandro Baricco, lo stesso autore contro cui – almeno indirettamente – si erano scagliati gli occupanti. Baricco, come forse si saprà, era tra i più autorevoli accreditati alla “direzione” dello storico teatro romano, con un progetto che avrebbe unito, bontà sua, gastronomia e teatro. Dunque? Ritrovata armonia? Compromesso storico? Eccesso di star system?

Renzo Arbore si esibisce al Valle Occupato.

A questo proposito, viene da chiedersi che programmazione fanno al Valle. Fanno bene a inseguire le star? O sono le star che vogliono presenziare?
In questi mesi in molti sono andati al Valle a fare spettacolo. Per solidarietà? Certo. Penso, per esempio, a una pasionaria come Barbara Valmorin. Ma si ha la sgradevole impressione che la sacrosanta protesta sia diventata una “passerellina” intrigante, sia per i “dilettanti allo sbaraglio” sia per i grandi nomi. Lo si era pensato al primo giorno, di fronte a un imbarazzante intervento di Silvio Orlando, forse più a caccia di telecamere che di militanza. E la qualità? E l’identità di un palcoscenico storico come quello del Valle?
Sorprende, poi, che tra gli occupanti figurino poco o nulla le “storiche” compagnie romane della ricerca: Barberio Corsetti, Artefatti, Fortebraccio, Celestini, Cruciani, tanto per citarne alcuni: magari mi sono sfuggiti, ma non mi sembra di aver letto i loro nomi nella programmazione, né di aver riconosciuto i loro volti nelle tante foto che hanno documentato il Valle Occupato. Perché? Che ne pensano dell’occupazione?

Assemblea al Ricreatorio Marinoni Occupato.

Ma quel che più di tutto stupisce, in questa lunga e per tanti aspetti encomiabile avventura, è l’assordante silenzio delle istituzioni. Il totale menefreghismo della politica. Di quanti, cioè, avrebbero dovrebbero reagire – nel bene o nel male – all’occupazione. Dopo i primi, frettolosi commenti, tutto tace.
Al Valle non sono stati sgombrati (per fortuna, aggiungiamo): ma logica vorrebbe che lo Stato “tutelasse” un così importante bene storico! E se qualcuno occupasse, che so, il Colosseo?
Sembra quasi, al contrario, che questa programmazione, fatta con volontariato ed entusiasmo, faccia comodo a tutti. Come dire: “L’avete voluto? Ok, tenetevelo!”.
Di fatto però si crea il precedente (ambiguo) di una robusta programmazione “gratis” anche per un teatro importante, centrale e storico, che di fatto viene gestito come un centro sociale: e se il Comune la proponesse anche per la prossima stagione? Andrebbero ancora tutti gratis a fare spettacolo? Tornerebbero i vari Jovannoti, Arbore, Baricco, Orlando e via citando?
Insomma: perché stanno ancora chiusi lì dentro?
Anche a leggere le dichiarazioni degli occupanti, si avverte che i piani erano diversi: l’occupazione doveva durare tre giorni o poco più. Ma ormai sono mesi. Un’azione simbolica, un blitz, è diventata una normalità “tollerata”, se non incoraggiata (per esempio, semplicemente, come mi faceva notare una militante attrice, nessuno ha ancora staccato la luce…).
Magari sarò smentito domattina – e certo con l’autunno il clima si farà più pesante – però è davvero curioso che Stato, Comune, Regione, Teatro di Roma non abbiamo fatto nulla. Non è incredibile che se ne freghino così tanto?
Il pubblico comunque ha risposto entusiasta, con un’adesione che non si vedeva nemmeno nei beati anni dell’Eti. Ma questo si sa: il pubblico va a teatro, sempre e sempre di più, ovunque e con passione. Solo i politici non se ne sono accorti.
Lascia perplessi, ancora, il complicato e verboso progetto di gestione futura del teatro romano. D’accordo, la Drammaturgia Contemporanea Italiana! Evviva!, vien da dire a chi, da anni, si batte per una maggiore attenzione a un teatro che sappia parlare del proprio tempo. Ma le modalità proposte risuonano di vetero burocratismi o centrosocialismi di cui, francamente, potremmo fare a meno.
Probabilmente, occorreranno ulteriori riflessioni non solo sul concetto di “bene pubblico” e “bene comune”, ma anche sulla modalità economico-artistiche di gestione.
C’è infine una delicata questione più generale: l’efficacia.
Benissimo queste iniziative, per carità, come quelle proposte poco tempo fa da 0.3. Sono ventate spiazzanti e rivitalizzanti nell’asfittico panorama italiano. Ma sino a che i teatranti e i cinematografari – attori o tecnici che siano – non trovano il coraggio di scioperare davvero, bloccando non il teatro il lunedì sera, ma fiction, doppiaggi, pubblicità, film, spettacoli, festival, tv e quant’altro, si resterà sempre nel candore di un calpestio di piedi che non infastidisce più di tanto. Anzi: nonostante l’attenzione dei media, “Repubblica” in testa, la “rivoluzione”, si è detto, non è scoppiata. Qualcuno ricorderà quando gli “intermittenti” francesi bloccarono i festival: e avevano molti meno motivi di protestare.
Qui non manca chi “occupa” non tanto per sincera adesione, ma anche per mancanza di scritture, o per piccoli interessi e soprattutto a breve termine: “Ammazza, quanto semo fichi! Dovemo protestà! Ma mo’… scusate… c’ho quattro pose…”.
Sono dubbi, domande futili scritte comodamente seduti alla scrivania, senza aver passato nemmeno una notte tra i velluti rossi del Valle o tra i decor liberty del Marinoni. Questioni che, sono certo, troveranno presto risposta. Ma che, spenti i riflettori al Lido e non accora accesi quelli della stagione teatrale 2011/12, penso possa essere utile affrontare.

Andrea_Porcheddu

2011-09-19T00:00:00




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