Il Teatro Lirico: Milano dalla vergogna alla mobilitazione

Un simbolo dell'intreccio speculazione-teatro diventa centro nevralgico di un'inedita partecipazione

Pubblicato il 29/09/2011 / di / ateatro n. 136

In significativa contemporaneità con l’inaugurazione della Scala, si è svolta sabato 7 dicembre a partire dalle 18,30 la manifestazione convocata da lavoratori del teatro, della cultura e della conoscenza.

“Siamo Lavoratori della Cultura, attori, registi, ricercatori universitari, tecnici di scena, danzatori, coreografi, studenti, artisti di strada, musicisti, videomakers, operatori dell’arte, cittadini.
Rivendichiamo il diritto a esistere, lavorare e avere dei luoghi consoni per la condivisione, l’incontro e la circolazione dei saperi. Lo faremo dando ossigeno a luoghi chiusi da tempo e sottratti alla cittadinanza. Abbiamo la convinzione che i cittadini stessi vogliano tornare a essere protagonisti e responsabili della loro città, non solo spettatori.”

Perché Il Lirico? e perché il 7 dicembre?
www.ateatro.it segue da sempre con attenzione questa tormentata vicenda. Andando a ritroso:
135.50 SPECIALE (DOPO)ELEZIONI Milano: quale sarà il destino del Teatro Lirico?
Le prime scelte strategiche della giunta Pisapia-Boeri per la cultura

57.86 Niente Teatro Lirico per Dell’Utri e Longoni
Il Tar della Lombardia dice no

49.3 Dell’Utri direttore culturale del Teatro Lirico
Reazioni & commenti

Qui di seguito il volantino che ha lanciatola mobilitazione del 7 dicembre:

“La PrimaVera di Milano
Il Teatro Lirico di Milano, storica struttura costruita nel 1779, è un simbolo per la città e per l’intera società italiana. La sua storia si intreccia con la smantellamento della cultura e la sua mercificazione a favore di una logica di profitto, con le speculazioni edilizie, con la delega del pubblico al privato e con lo svilimento e lo sfruttamento del lavoro culturale.
Il Lirico giace chiuso da 13 anni, abbandonato e inutilizzato, e anche per questo è un simbolo: chiudere un teatro è come diminuire l’ossigeno nell’aria. Infatti, come senza ossigeno non si vive, così senza cultura non si formano coscienze critiche.
La sua storia si intreccia con la storia della cementificazione dissennata di questa città, con la costruzione del teatro Arcimboldi nel quartiere Bicocca, da parte di Pirelli. Il Lirico viene abbandonato a se stesso, a vantaggio della direzione privata della nuova struttura.
La gestione della possibile ristrutturazione del teatro intitolato a Gaber è inoltre molto stravagante e legata a nomi come Dell’Utri e Sgarbi: lavori partiti e bloccati più volte per problemi politici e burocratici, in mano a una cordata tra gruppo Bancario Belloni, Impresa Cattaneo e Associazione Temporanea d’Impresa, con in testa il suo capogruppo Longoni.
Il progetto dell’attuale Giunta di Milano è di riaprirlo nel 2016, ma è nostra convinzione che la cultura debba essere una priorità per la città di Milano e non si possa lasciare giacere un luogo come il Lirico per altri 5 anni. Crediamo che il processo che è partito possa essere una ricchezza per la città e i suoi cittadini, ma che vada protetto, non cercando subito il consenso delle istituzioni, semmai quello dei cittadini stessi, perché abbia l’autonomia per crescere.
Il 7 dicembre ci sarà come da consuetudine la Prima alla Scala. Spettacolo solitamente riservato a pochi. La Prima alla Scala è divenuta lo specchio di una gestione elitaria e salottiera della cultura, in particolare di quella che dovrebbe esprimere un’eccellenza. Allora noi costruiremo “La Prima Vera”: una prima, un debutto, una novità che raccoglierà chi la cultura la ama e nella cultura lavora.
Forse non saremo al caldo e comodamente seduti su poltroncine di velluto, ma saremo spinti dal calore del coraggio di riappropriarci di una parte delle cose che ci hanno tolto, di una parte degli spazi dai quali siamo quotidianamente esclusi.
La cultura è prioritaria per lo sviluppo di una società: deve essere considerata un BENE COMUNE accessibile a tutti, necessaria. La sua gestione deve essere democratica: la programmazione culturale non può essere ostaggio di élites spesso più attente alla ricerca dei profitti. Crediamo che partire dal basso possa portare nuovo ossigeno al nostro orizzonte.
I lavoratori della cultura sperimentano da anni, forse da sempre, la precarizzazione che ora investe l’intero mondo del lavoro. Chiunque operi nell’ambito culturale è sempre stato considerato un non lavoratore, un fortunato che fa per passione qualcosa che gli piace, e ora non è solo la consuetudine e l’ignoranza a decretarlo. Vogliamo ricominciare a respirare aprendo spazi culturali, prendendoci la responsabilità di agire in prima persona, senza deleghe e senza alibi.
La lotta per la cultura non può che condurci a rifiutare l’attuale modello economico, che ha portato al vicolo cieco della crisi, immaginando un nuovo modello di welfare basato sulla ridistribuzione della ricchezza e individuando come rivendicazione centrale il reddito minimo garantito.
Il Lirico è simbolo della mercificazione, speculazione, verticismo, impoverimento e svendita della cultura. Immaginiamo di farlo diventare un centro nevralgico della partecipazione dal basso. UN LUOGO IN CUI LA CULTURA POSSA FARSI BENE COMUNE.”

il corteo, partito da piazza Fontana alle 18,30, poco lontano da un altro teatro storico e glorioso chiuso da decenni, il Teatro Gerolamo, si è fermato a lungo davanti al Teatro Lirico, con interventi in alcuni casi spettacolarizzati, qualche partecipazione su trampoli (gradita dai passanti), e l’accompagnamento musicale della simpatica e brava Banda degli Ottoni a scoppio. Circa 300 i presenti, molti i giovanissimi, alcuni “anziani”, assente la generazione di mezzo e le personalità un po’ più note del teatro milanese, quelle che non hanno mancato nessuna delle manifestazioni legate allo spettacolo che hanno preceduto e seguito l’elezione di Pisapia.
Questo nuovo movimento, che è nato e sta crescendo a partire dall’esperienza del Valle di Roma e dalla convinzione che la cultura vada considerata “bene comune”, deve ancora sensibilizzare e raccogliere una solidarietà estesa: forse ancora troppo perso in un’utopia un po’generica, o troppo “politico” (il salario minimo garantito), o forse perché potrebbe incrinare l’idillio del sistema teatrale cittadino con la nuova amministrazione. Il punto concreto della manifestazione infatti è che si considera inaccettabile tenere il Lirico chiuso ancora quattro anni per poi darlo alla Scala.

Redazione_ateatro

2011-09-12T00:00:00




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