Riscoprire Vachtangov

Prosegue in Russia la pubblicazione degli scritti dei maestri del teatro del Novecento

Pubblicato il 02/04/2012 / di / ateatro n. 138

Crollò l’’Unione Sovietica. E nel suo crollo trascinò alcune cose buone, molte cattive. Tra queste ultime, per esempio, la censura sugli scritti di artisti, letterati, poeti, teatranti. Evviva. I frutti si stanno raccogliendo ora, in questi ultimi anni. Una massiccia serie di materiali inediti o editi scorrettamente stanno uscendo presso varie case editrici note e ignote, dilatando in modo sorprendente le conoscenze di personaggi, movimenti, gruppi, teatri. Un esempio, di cui bisognerà riparlare: è in libreria il terzo volume delle “opere” di Mejerchol’d. Come molti sanno, Mejerchol’d scrisse nella sua vita un solo volume (Sul teatro del 1913) e pochi articoli: il resto sono stenogrammi di discorsi, registrazioni di prove, appunti di regia, note, commenti, lettere, il tutto ancora in attesa di un serio esame. Ne aveva raccolta una buona parte Aleksandr Fevralskij in due celeberrimi volumi, usciti nel 1968, primo gesto pubblico di riabilitazione del regista dopo un trentennio di silenzio. Oggi un gruppo di specialisti si è messo al lavoro: ha raccolto tutti i possibili documenti sull’attività Di Mejerchol’d dagli inizi come giovani attore dell’appena nato Teatro d’Arte. E’ appena uscito, come ho detto, il terzo volume: e siamo solo arrivati al 1917, ossia ai primi dieci anni di attività (il debutto è del 1898). Mancano i battaglieri anni postrivoluzionari, le gloriose stagioni dei grandi spettacoli come Il revisore o Che disgrazia l’ingegno. Si arriverà, probabilmente a una decina di volumi, se non di più. Mejerchol’d è solo un esempio: molti materiali interessanti sono usciti sul cofondatore con Stanislavskij del Teatro d’Arte, Vladimir Nemirovic Dancenko. In Italia pochissimi sanno di lui: va assolutamente riscoperto. Il suo ruolo accanto al celebratissimo collega è colossale, dal punto di vista sia artistico sia politico, e nessuno, soprattutto in Italia, ne parla. Sono usciti contributi sorprendenti sugli studi del Teatro d’Arte: sia sul Primo, guidato da Sulerzickij, da cui esce Vachtangov, sia sul Secondo, che ebbe vita breve ma intensa. Insomma è opportuno che anche chi non sa il russo sia al corrente del rigoroso, serissimo scavo archivistico in corso nella Federazione Russa e dei risultati magnifici.
Freschi di stampa sono due volumi dedicati a Evgenij Vachtangov. Morto nel 1922, quando ancora tutto era possibile, scampa alle campagne degli anni Trenta contro il formalismo in nome del realismo socialista, campagne che travolgono invece Mejerchol’d, Ejzenstejn, Sostakovic, Tairov, Radlov oltre che poeti, pittori, letterati, come è ben noto. Di lui esistono due raccolte di scritti: una del 1939, purgatissima, ferreamente staliniana, e una del 1984, non meno oscurata nelle valutazioni di personaggi idolatrati dal regime come Stanislavskij o Nemirovic. Dunque primo grande merito della presente edizione: ristabilire le versioni originali degli scritti duramente polemici nei confronti dei maestri (compreso Mejerchol’d), che Vachtangov non smette di venerare fino alla fine, ma su cui esprime pareri durissimi, motivandoli in modo puntuale, circostanziato. Da un lato rifiuta il pedante psicologismo stanislavskiiano, totalmente privo di gioiosa teatralità, dall’altro la filologia troppo didattica di Nemirovic, prigioniero della sua cultura ottocentesca, infine prende le distanze dall’esuberanza rivoluzionaria di Mejerchol’d, dalla sua temperie iconoclasta degli anni Venti
Rispetto alle due raccolte precedenti, c’è una massa impressionante di materiali inediti: appunti, note, schemi di lezioni, commenti del periodo di formazione al Primo Studio. Appassionanti sono i promemoria sui primordi del sistema che Stanislavskij sta avviando e che affida a Sulerzickij e al Primo Studio perché lo si studi, lo si approfondisca, lo si sperimenti. Poi una scoperta: Nemirovic al lavoro sull’Amleto, il controverso spettacolo che di solito viene attribuito esclusivamente a Craig e Stanislavskij. Pochi sanno che Nemirovic prende parte attiva sia all’organizzazione della colossale macchina che sta dietro lo spettacolo (in mano a lui è tutta la parte finanziaria, il reperimento dei materiali, la composizione del cast, la guida di Kacalov, recalcitrante Amleto), sia alla preparazione degli attori durante i lunghi periodi di assenza di Stanislasvkij (per mesi malato). Vachtangov viene ammesso alle prove e registra: Nemirovic rema contro la concezione di Craig, contesta la linea mistica (Amleto-Cristo), insiste sul contesto storico, sottolinea lo sfondo “barbarico” che Craig ha totalmente e volutamente ignorato. br> Materiali ricchissimi (anche se molti già noti) su tutti gli studi in cui Vachtangov lavora con una dedizione totale, testarda, appassionata, con una frenesia crescente più si avvicina la fine: il “suo” Studio di via Mansurov, che diventerà il Terzo Studio, dove raccoglie un gruppo di spaesati studenti e li trasforma in un collettivo entusiasta, guidandoli con rigore quasi monastico verso grandi realizzazioni (la leggendaria Turandot del 1922, ultima prova del regista col suo gruppo), poi lo Studio ebraico Gabima, dove mette in scena in antico ebraico Dibbuk, lo Studio Gunst. Ogni tappa è accompagnata da lettere, appunti, ricordi non solo di Vachtangov stesso, ma di collaboratori, attori, critici: ci sono inoltre frammenti e citazioni di pubblicazioni introvabili, coeve agli eventi, che introducono nel vivo del dibattito sorto intorno ad ogni “gesto” teatrale di Vachtangov. Di ogni spettacolo viene così composto un mosaico di opinioni, che permette di ricostruirne il cammino creativo le cui tracce si sono col tempo perdute. In questo aiuta molto il magnifico apparato iconografico, anch’esso spesso inedito: le foto mai viste del Diluvio di Berger, le scene e i costumi di Nivinskij per Erik XIV e Turandot, quelli di Altman per Gadibuk, oltre a commuoventi foto giovanili, nelle prime prove d’attore.
Da questi due volumi bisognerebbe ripartire per una valutazione nuova del ruolo di Vachtangov nel tumultuoso periodo 1915-1922: da queste pagine salta fuori, con un’evidenza insospettata, la freschezza, l’energia, la passione di uno degli autentici innovatori della scena novecentesca, salta fuori finalmente l’originalità della sua ricerca, l’’intelligenza delle sue posizioni, l’audacia di certe sue soluzioni registiche, la peculiarità del suo lavoro, l’’anticonformismo, l’’eccentricità, la genuinità, tutti elementi che per decenni sono stati oscurati da volontà politiche ottuse.

Fausto_Malcovati

2012-04-02T00:00:00




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