“Dalle incisioni rupestri alle avanguardie”: il ruolo della cultura nell’’Agenda Monti

E l'approvazione del programma Europa Cultura a Bruxelles

Pubblicato il 24/12/2012 / di / ateatro n. 142

C’’è di sicuro un settore in cui il Governo Monti non ha particolarmente brillato. In particolare, non ha ben figurato uno dei suoi ministri, quello ai Beni e delle Attività Culturali.
Nel giorno in cui Monti all’’indomani delle dimissioni, lanciava la sua Agenda per “Cambiare l’Italia, riformare l’Europa”, un quotidiano certamente vicino alla sua visione come “Il Sole 24 Ore” sottotitolava nel “Domenicale”: “Lorenzo Ornaghi s’inserisce nel solco della ricorrente mediocrità del dicastero: i governi repubblicani hanno trattato la cultura come l’ultima delle loro priorità”. E’ un giudizio assai pesante, quello che sintetizza l’articolo di Sergio Luzzato, anche perché il quotidiano della Confindustria si è impegnato in questi mesi nel lancio e nel sostegno al “Manifesto per una Costituente della cultura”, ed è dunque assai sensibile al tema.
Ma, vista anche l’attività del governo, che dice l’Agenda Monti della cultura?
La prima occorrenza del termine si registra nel paragrafo che si intitola “L’Italia a testa alta nel mondo”:

L’Italia ha confermato la sua vocazione a sostenere il multilateralismo, nelle Nazioni Unite e nei fori informali come il G8 e il G20. Un’azione che poggia su uno strumento diplomatico di eccellenza, sulla presenza delle forze armate italiane nelle operazioni di pace nel mondo, nel contrasto al terrorismo internazionale e nella lotta alla pirateria, sulla diffusione della cultura italiana nel mondo.

Insomma, la cultura come elemento chiave del “soft power” del nostro paese sulla scena internazionale, accanto al potere delle armi (naturalmente impiegate solo nelle “operazioni di pace”). C’è solo da sperare che la diffusione e il sostegno alla cultura italiana all’estero venga incentivato, anche se il contesto non è propriamente tranquillizzante.
Una seconda occorrenza non riguarda il sostantivo, ma l’aggettivo “culturale”, in un settore cruciale, quello relativo alla scuola. Vale la pena di citare per esteso:

L’Italia ha un elevato tasso di abbandono scolastico precoce, un livello di performance scolastica più basso rispetto alla media dei Paesi OCSE e un numero di laureati lontano dagli obiettivi fissati dall’Unione europea. C’è bisogno di invertire la rotta. Per questo bisogna prendere l’istruzione sul serio. Serve rompere uno schema culturale per cui il valore dello studio e della ricerca e il significato della professione di insegnante sono stati mortificati. Gli insegnanti devono essere rimotivati e il loro contributo riconosciuto, investendo sulla qualità. Il modello organizzativo deve cambiare puntando su autonomia e responsabilità come principi fondanti. Da subito occorre completare e rafforzare il nuovo sistema di valutazione centrato su INVALSI e INDIRE, basato su indici di performance oggettivi e calibrati sulle caratteristiche del bacino di utenza e dei livelli di entrata degli studenti.

Insomma, per Mario Monti uno dei problemi è lo scarso valore percepito della cultura all’interno dello “schema culturale” del nostro paese: implicitamente, l’Agenda Monti si propone di cambiarlo, e forse di rovesciarlo, facendo della cultura un valore e una priorità per il paese, anche nell’ambito dell’istruzione e della ricerca, che rappresentano senz’altro una delle priorità del programma.
Ma qual è l’idea di cultura che emerge da questo manifesto? La risposta arriva dal paragrafo intitolato “L’Italia della bellezza, dell’arte e del turismo”:

Il patrimonio culturale del nostro Paese non ha eguali al mondo, per vastità nello spazio (dai monumenti alla gastronomia, dai teatri alle chiese) e nel tempo (dalle incisioni rupestri alle avanguardie). E’ una ricchezza non delocalizzabile, non riproducibile altrove. Per il nostro Paese è dunque una scelta strategica “naturale” puntare sulla cultura, integrando arte e paesaggio, turismo e ambiente, agricoltura e artigianato, all’insegna della sostenibilità e della valorizzazione delle nostre eccellenze. I progetti promossi recentemente per il sito archeologico di Pompei, l’Accademia di Brera, la Galleria dell’Accademia di Venezia, il Museo di Capodimonte dimostrano che anche in periodi difficili è possibile trovare le risorse per tutelare il nostro patrimonio. Intese con le fondazioni di origine non bancaria o forme calibrate di partnership pubblico-privato potrebbero consentire un allargamento dello spettro delle iniziative finanziabili. Musei, aree archeologiche, archivi, biblioteche devono essere accessibili ai cittadini e ai turisti in modo più agevole e la qualità dell’offerta deve migliorare, anche sperimentando forme di sinergia e collaborazione tra il privato sociale e le istituzioni statali.
Investire nella cultura significa anche lavorare per rafforzare il potenziale del nostro turismo, poiché già oggi cultura, bellezze naturali ed enogastronomia sono i pilastri della nostra attrattività, anche rispetto a Paesi che presentano il maggior potenziale di sviluppo turistico (Russia, Brasile, Cina, India, Golfo). La macchina turistica va però governata meglio: oggi ci sono troppi centri decisionali, poco coordinati e con insufficiente massa critica per affrontare con successo la competizione globale. Per questo è necessario rafforzare il coordinamento centrale e incidere sul sistema ricettivo, fieristico, infrastrutturale, formativo, normativo e fiscale per renderli coerenti con un’offerta turistica che intercetti nuovi bisogni e migliori la qualità complessiva. In questi mesi è stato preparato e sottoposto a consultazione un Piano strategico per il turismo, che non è stato ancora adottato per la chiusura della legislatura. Occorre riprenderlo e lanciare un programma di azioni concrete a breve e a lungo termine.

E’ uno sguardo rivolto dunque soprattutto al passato (mmonumenti, teatri, chiese), anche se l’accenno iniziale alle avanguardie implica certamente una potenziale apertura al futuro. La priorità è la conservazione del patrimonio “non delocalizzabile”, e perciò lo valorizza come attrazione turistica (e il turismo in Italia è uno dei settori decisamente arretrati).
E’ significativo anche l’accenno ai possibili finanziamenti privati (dovrebbe essere anche questo, tra l’altro, uno degli obiettivi prioritari del manfesto del “Sole”: spingere gli associati di Confindustria a investire in cultura, magari con adeguati incentivi fiscali…). Il documento individua anche un’altra risorsa per il settore nel mondo del volontariato,

che svolge funzioni preziose non solo nel campo dell’assistenza, ma anche dell’educazione, nella formazione degli adulti, nello stimolo culturale.

Chiaramente nell’ambito di un documento sintetico come questo (25 pagine in tutto) non ha senso cercare indicazioni dettagliate, ma si possono individuare solo alcune linee guida. Un elemento positivo è certamente l’attenzione al tema, che riemerge in diversi contesti. L’aspetto meno confrortante è che la cultura – pur costituendo un elemento chiave della identità nazionale e un motivo d’orgoglio per gli italiani – si ritrovi però spesso subordinata ad altri obiettivi (la politica estera, il turismo).
Si potrebbe anche dedurre, da questi accenni, che l’idea di cultura che sottende questi impegni rischia di apparire piuttosto obsoleta: la cultura viene vissuta più patrimonio che progetto e come relazione, e non si vede come possa o debba interagire con le innovazioni tecnologiche (a cominciare da audiovisivo, digitale). In particolare, al di là del generico accento sullo sviluppo umano nel paragrafo dedicato alla scuola, non si vede come possa fungere da train per lo sviluppo economico, ma anche umano, in rapporto con le professioni e le industrie “creative”.
E’ questa invece la prospettiva in cui intende muoversi la Comunità Europea, con il programma Europa Creativa, approvato in Commissione Cultura del Parlamento europeo il 18 dicembre con un bilancio di 1,8 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 (e un aumento del 37% rispetto agli attuali livelli di spesa).
Rispetto al passato, c’è una più precisa definizione e la maggiore autonomia del settore creativo/culturale e di quello audiovisivo, istituiti come Programma Cultura e Programma Media. Ha commentato Silvia Costa, europarlamentare PD e relatrice del progetto: “Con questa relazione abbiamo reso più coerente il programma Europa Creativa con i suoi obiettivi strategici: più offerta, più diversità, più cultura per tutti i cittadini europei e più ampio partenariato con Paesi terzi nel rispetto della doppia natura della cultura come valore intrinseco e come sfida per lo sviluppo”.
Val la pena di ricordare che il settore cultura vale il 5% del Pil dell’Unione Europea, e dà lavoro al 3,8% dei cittadini europei.

Oliviero_Ponte_di_Pino

2012-12-24T00:00:00




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