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Residenza artistica, un incubatore di progetti”, programma di spettacoli, attività di formazione per professionisti

Pubblicato il 02/07/2013 / di / ateatro n. #BP2013_Firenze , 142

Il Funaro oggi è una Residenza Artistica, un “incubatore di progetti”, programma circa quattro, cinque spettacoli l’’anno, svolge attività di formazione per professionisti con Maestri internazionali (fra cui Enrique Vargas che ha al Funaro la sede italiana della sua Scuola sul linguaggio dei sensi) e formazione per non professionisti, per un totale di circa 350 iscritti ogni anno. Sono previsti eventi con cadenza settimanale o mensile rivolti a tutte le fasce di età, incentrati su teatro, letteratura, cinema, cibo, musica.

Il gruppo di lavoro del Funaro ha lavorato a lungo sull’”anima” (i contenuti) e solo dopo anni sul “corpo” (il contenitore). Per anni ci si è chiesti che veste dovesse avere, se questo progetto dovesse “abitare” in campagna o in città. E’’ stato un processo organico di crescita, un “concepimento” durato 7 anni. Nel 2003 è iniziato un lavoro col territorio, fatto di laboratori (nove all’’anno) e seminari intensivi che hanno costituito un’’identità basata in larga parte anche sulla risposta della cittadinanza. Si può parlare di un processo di sensibilizzazione reciproca in una città quasi “vergine” di proposte simili e quindi in cui esisteva una reale e concreta esigenza cui rispondere. L’’incontro virtuoso con Andres Neumann è stato un passaggio fondante per arrivare al Funaro come lo vediamo oggi. L’Associazione Culturale Teatro Studio Blu – composta da Antonella Carrara, Lisa Cantini, Mirella Corso, Francesca Giaconi e in seguito Massimiliano Barbini – aveva un desiderio e Neumann ha dato forma a questo desiderio con una visione: guardando al settore allo stato attuale, inutile o addirittura dannoso pensare ad un nuovo festival o un nuovo teatro. Quello che serviva era un “incubatore di progetti” con una prospettiva Glocal. Nel 2009 questo progetto ha poi trovato la sua casa: Il Funaro. Gli spazi del Funaro nascono dal contributo dello scenografo Jean Guy Lecat e quello di Enrique Vargas, dunque di altri “professionisti del teatro” oltre che dell’architetto Gianluca Mora, e sono quindi particolarmente efficaci e organici per le diverse esigenze creative e di accoglienza del pubblico.

Ci sono due sale teatrali, la Residenza ma anche una Caffetteria e un Centro di Documentazione, che contiene testi di teatro contemporaneo e il Fondo Andres Neumann, costituito da gran parte dell’archivio professionale del produttore internazionale e da tutta la biblioteca teatrale che Andres Neumann ha donato al Funaro. Attualmente è in corso un progetto di valorizzazione e digitalizzazione dell’archivio col contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia, a cura di Giada Petrone (responsabile dell’Archivio Neumann), Massimiliano Barbini, (responsabile del Centro di documentazione del Funaro), con la direzione scientifica del professore Renzo Guardenti e il contributo di Maria Fedi dell’Università degli Studi di Firenze.

L’’introduzione solo nel 2011 di un ufficio stampa, curato da Elisa Sirianni, e la definizione di strategie di comunicazione e promozione più strutturate e attente anche al web hanno avuto soprattutto il merito di definire all’interno della struttura, prima che alla stampa e al pubblico meno prossimo geograficamente, quello che forse non è del tutto corretto chiamare marketing, anche se ha come ricaduta diretta un’ottima affluenza di pubblico e, cosa più importante, un’affezione, un legame duraturo con quel pubblico. Si parlava di sviluppo organico: in termini ideali, in effetti, un “neonato” prima di parlare fa e osserva per qualche anno, così un progetto culturale che per ragioni più o meno fortunate può permettersi di pensare al marketing “con lentezza” sarà più pronto e maturo per farlo quando avverrà. Riflettendo su come comunicarsi si è dovuto necessariamente riflettere su ciò che è il Funaro, cosa è cambiato, dal 2009 in avanti, con una maggiore apertura alla progettualità internazionale. Quell’”incubatore di progetti” a cui pensava Neumann è diventato realtà. La mole di lavoro è cresciuta esponenzialmente a fronte di un organico che è rimasto pressappoco lo stesso. Questa “crisi” gestionale rischiava di mettere in ombra il lavoro col territorio, tutte le iniziative di apparentemente minore prestigio e richiamo anche mediatico. Il perseguimento di una dimensione Glocal, in cui il pubblico e gli allievi sono sempre rimasti al centro, hanno fatto sì che, se pur a costo di un notevole impegno personale e finanziario – che dovrà necessariamente essere ribilanciato nel futuro prossimo da nuove risorse anche pubbliche –non si rinunciasse neanche in minima parte alle attività rivolte soprattutto alla città di Pistoia, consapevoli della ricaduta positiva di questa attenzione anche sui progetti internazionali. In altre parole la cura e attenzione degli “spettatori” non solo quando si trovano in platea ad assistere ad uno spettacolo produce più presenze a quegli stessi spettacoli. E’ emerso insomma che il “marketing 2.0”, il vero “social web marketing” del Funaro trova una corrispondenza fuori dal digitale con quella che potremmo definire un’efficace “social life” o, in parole più antiche e forse più chiare, con un intenso “tu per tu” con spettatori, allievi ed artisti ospiti, basato sul calore umano, alla base del concetto stesso di “fare teatro”. Fare marketing al Funaro significa quindi superare il paradosso dei Social Network, restando sul paragone con uno degli strumenti più attuali in questo senso: vuol dire non preoccuparsi di come si appare, arrivare a pensarci molto, molto dopo aver lungamente riflettuto su come si è, in ascolto di tutti i cambiamenti che avvengono lungo la via per evitare che le passioni virtuali basate più sull’immaginario che su una frequentazione concreta e protratta, non trovino corrispondenza nella realtà (come avviene spesso negli amori nati online). Il Funaro è oggi un luogo fisico in cui poter interagire, anche con gli artisti di passaggio e con allievi che arrivano anche dall’India, sul filo di una proposta teatrale – culturale multisfaccettata, che nasce dal dialogo a tavolino e da pezzi di strada fatti insieme ai suoi interlocutori quindi che non può che corrispondere alla sua utenza. Il lavoro della comunicazione è raccontare questo processo.
Come accennato questo vale tanto col pubblico –che meglio sarebbe chiamare “Pubblico Attore”, sia con gli Artisti. Quella cura e quel particolare approccio si riflettono nel rapporto con le Compagnie che al Funaro si sentono più che “in residenza”, a casa (abbastanza emblematico e recente è l’esempio di Daniel Pennac, che dopo un primo periodo di residenza ha deciso di prolungare la collaborazione con altre due successive tappe).

Il Funaro è l’esempio che la qualità e la coerenza pagano più che i grandi investimenti in marketing e promozione nel senso stretto dei termini. La chiave e l’invito a chi pensa ad un nuovo progetto è quello di analizzare quali sono le esigenze dell’utenza e del territorio (e con territorio si intende anche “nazione Italia”, non solo la propria città), chiedersi se e cosa serve essere in ascolto oltre che dare voce alle proprie istanze artistiche. Un pensiero che può sembrare inibire la libera espressione creativa ma che è l’unico da non dimenticare se si mira a un progetto artistico a lungo termine, che deve essere inserito in un contesto, in un terreno, anche economico, di settore, di mercato, appunto.

Per riassumere riprendiamo alcune parole che riteniamo la chiave della nostra Buona Pratica:
processo organico di nascita del progetto: richiede tempo, analisi delle esigenze interne ed esterne, la formazione di un’identità.
glocal: lo sguardo al mondo, con le mani nel territorio
ascolto, incontro condivisione, trasformazione: con e attraverso i Maestri, in termini filosofici e di pratica quotidiana

Vi lasciamo con una domanda aperta, il paradosso del “progetto Funaro”. Le Istituzioni Pubbliche invitano a implementare la capacità di reperire fondi privati di indispensabile complemento ad una liquidità sempre più contenuta destinata al Teatro e alla Cultura. Il Funaro ha fatto di più: è nato e si è sviluppato fino a qui in totale autonomia economica. Ma partire da soli significa per caso restarci? Perché quando un progetto culturale parte dal privato, dimostra la sua bontà e la sua capacità, il Pubblico (inteso come Istituzioni) fa così grande fatica a seguirlo?

2013-07-02T00:00:00




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