#BP2014. Il fotoromanzo delle Buone Pratiche del Teatro: la mattinata

Testi, foto, video, link sulla giornata dell'8 marzo 2014

Pubblicato il 24/03/2014 / di , , and / ateatro n. #BP2014 , 149

Su youtube.com è disponibile la registrazione integrale delle Buone Pratiche del Teatro 2014.

Le foto delle Buone Pratiche 2014 sono di Elena Di Giacinto.

Le Buone Pratiche del Teatro

Le Buone Pratiche del Teatro

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Saluto iniziale

Apre la giornata il saluto e l’augurio di buon lavoro di Anna Guri (Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”), che fa gli onori di casa in rappresentanza del direttore Massimo Navone. Ribadisce l’importanza del legame tra la scuola come fucina di giovani artisti e organizzatori e le Buone Pratiche come vetrina e occasione di visibilità e come elemento catalizzatore per le giovani organizzazioni. Indica poi una sedia vuota dov’è appoggiata una sciarpa rossa: nella giornata dell’8 marzo il pensiero va a tutte le donne alle quali oggi la partecipazione è preclusa perché vittime dei loro compagni.
Mimma Gallina si ricollega alla tematica di genere: da anni ateatro.it e le Buone Pratiche insistono sulla necessità di una maggiore presenza femminile ai vertici del teatro italiano, sia sul versante direttivo e organizzativo sia su quello artistico. Il suggerimentoè statoparzialmente accolto dall’ex ministro Massimo Bray nell’ambito Decreto Valore Cultura: nei decreti attuativi è stata introdotta la parità di genere nei CDA dei teatri stabili, un primo punto di partenza per affrontare un tema che rimane centrale.

L’immaginazione organizzativa: dieci anni di Buone Pratiche

Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino presentano il libro <i>Le buone pratiche del teatro. Una banca delle idee per il teatro italiano</i>, edito da Franco Angeli. In questi dieci anni la funzione delle Buone Pratiche è stata quella di incoraggiare le nuove iniziative dando uno sguardo sullo stato del sistema teatrale italiano e contemporaneamente alle sue potenzialità di sviluppo.

Il demo del volume Le Buone Pratiche del teatro.

Il libro presenta la discussione affronta nel corso dei dieci anni e, in altrettante schede, le 140 esperienze presentate, selezionate in base alla rispondenza ai criteri che normano il concetto di “buona pratica”: innovatività, sostenibilità, replicabilità. Ogni scheda è stata verificata dagli interessati e a ciascuno è stato chiesto anche come si è sviluppato il progetto. L’esito è stato al di sopra di ogni previsione: nel 50% dei casi le buone pratiche si sono realizzate al meglio, o in termini soddisfacenti, un 40% solo parzialmente e solo un 10% non sono riuscite a decollare, a volte perché troppo precoci per i tempi, o per i cambi di direzione politica e le conseguenti interruzioni dei finanziamenti. I materiali sono integrati e commentati dai contributi di Giulio Stumpo e Elena Alessandrini, Michele Trimarchi, Francesco De Biase, Giovanna Marinelli, Franco D’Ippolito: a loro è stato affidato il coordinamento dei diversi tavoli della giornata. Nel corso del decennio, lo spazio teatrale come spazio abitato è stato senz’altro l’ambito che ha prodotto i risultati più significativi, mentre gli ambiti di maggiore criticità sono stati quello della distribuzione e dei rapporti con le istituzioni.

Le Buone Pratiche 2004-2013: i riscontri.

Nelle varie edizioni delle Buone Pratiche si sono inoltre affrontati precisi nodi problematici, sollevati temi e lanciate battaglie anche in anticipo sui tempi: con una nota di amarezza si può constatare per esempio che quella lanciata nel 2000 per l’1% del PIL alla cultura segnala addirittura arretramenti. Qualche risultato positivo si riscontra invece riguardo al tema del ricambio generazionale, che è stato affrontato da molti soggetti e almeno è oggi una necessità largamente condivisa.
Sullo sfondo compare un’immagine di Toni Servillo con Mario Martone e Antonio Neiwiller. Sono passati pochi giorni dall’Oscar alla Grande bellezza di cui l’attore è protagonista: il volto di Servillo, un attore che si è formato nell’ambito del nuovo teatro, è oggi il volto dell’Italia nel mondo.

Elena Alessandrini e Giulio Stumpo tirano le somme sugli ultimi anni, con un’analisi statistica che si concentra su alcune variabili:

# spesa pubblica: i grafici denotano un crollo della spesa pubblica complessiva, replicato dalla tendenza negativa del FUS; la flessione è più significativa a livello nazionale che locale;
# spesa privata: la spesa delle fondazioni bancarie riflette andamenti altalenanti, il valore attuale rispecchia quello di dieci anni fa, non si può parlare di crescita: i privati hanno seguito il ciclo economico di crisi. Inoltre il finanziamento privato incide molto poco sul sistema teatrale: l’interlocutore privilegiato delle organizzazioni è ancora il pubblico;
# offerta: l’offerta si è mantenuta stabile a fronte della contrazione dei finanziamenti; a questo dato tuttavia non è corrisposto un incremento del prezzo dei biglietti: chi ha pagato la crisi sono stati i lavoratori del settore (riduzione dell’occupazione, del numero di addetti a spettacolo) e non il pubblico.
# domanda: dai dati SIAE degli ultimi dieci anni si evince che la domanda, a fronte della crisi degli ultimi quattro anni, si è mantenuta stabile. A valori correnti, la spesa è la stessa di dieci anni fa. Rispetto all’Europa, tuttavia, la spesa delle famiglie italiane per la cultura è inferiore alla media.
# occupazione: le professioni creative sono sotto la soglia della povertà stabilita dall’ISTAT: i lavoratori del settore hanno sofferto in modo particolare la crisi dello spettacolo.

Il Prezi di Giulio Stumpo con 10 anni di Buone Pratiche.

Progettare il cambiamento

Introduce Michele Trimarchi,che sottolinea l’assenza di riferimenti politici per la cultura: se il nostro pantheon è composto da Jovanotti e Baricco il teatro avviene nonostante, si muove in un ecosistema ostile e trova alternative malgrado la griglia istituzionale ed economica. Il teatro è un processo cruciale per produrre valore, deve diventarne consapevole e affrontare il problema della distribuzione dei fondi, che di fatto sostengono il “parassitismo”. E’ indicativo che, spettando il “riformone”, il teatro italiano non abbia mai scritto una propria proposta normativa: il teatro si limita a chiedere più soldi, pur sapendo bene che le risorse sono distribuite in modo sbagliato. Il teatro resta ciononostante vincente perché ha un approccio “femminile”, quello del lateral thinking, e questo lo rende competitivo sul mercato. Ma la situazione non è più quella di una volta: il teatro deve pretendere territorio, infrastrutture, tecnologia e formazione in modo da poter essere autonomo.

Alberto Ronchi (Assessore alla Cultura, Comune di Bologna) sottolinea la necessità di ricominciare a ragionare sull’intervento pubblico nel settore culturale. Negli ultimi anni ha prevalso la tendenza alla privatizzazione: è passata l’idea che la cultura debba essere sostenuta dai privati e questo processo influisce sull’offerta e sul pubblico, con la conseguente omologazione del gusto e il venir meno della discussione critica. Anche le fondazioni di origine bancaria fanno le proprie politiche culturali e determinano gli indirizzi. Oggi è necessario chiedersi cosa deve fare il pubblico e cosa deve fare il privato. Al pubblico devono spettare gli indirizzi e le priorità, elementi che devono rimanere di competenza degli organismi democraticamente eletti; mentre i contenuti devono essere forniti dalle organizzazioni pubbliche e private attive sul territorio. È necessario ristabilire il ruolo e l’importanza dei direttori artistici, che non devono essere artisti onde evitare il rischio di autoreferenzialità. A Bologna – nonostante lo strangolamento degli enti locali, stroncati dal taglio dell’IMU e dalla mancata chiarezza sulle entrate – si investe: di fronte alla prossima chiusura dell’Arena del Sole il Comune di Bologna entra in ERT (Emilia-Romagna Teatro), e ri-pubblicizza il teatro stabile in un’ottica di collaborazione pubblico/privato.

Marco Liberatore (Che fare?) introduce il bando, giunto alla seconda edizione, promosso da Doppiozero, rivista on line che si occupa di cultura contemporanea. Il bando Che fare?, aperto a tutto il mondo della cultura, ha un approccio “pragmatico”: a fronte della contrazione dei fondi pubblici, Doppiozero ha individuato otto criteri attorno ai quali ragionare per praticare un approccio diverso all’impresa culturale. Gli otto criteri sono: la collaborazione/coproduzione; l’innovazione legata alla produzione; la scalabilità e riproducibilità dei progetti; la sostenibilità economica; l’equità contrattuale dei lavoratori impiegati; la gestione e la progettazione culturale come bene comune; la comunicazione e la distribuzione della cultura. Sono arrivati moltissimi progetti teatrali: gli operatori del settore si distinguono per la loro competenza, legata forse all’abitudine a scrivere progetti. Che fare? cerca nel mondo del teatro – e negli altri ambiti – pratiche nuove per sopravvivere e vivere bene. Alla fase di voto on line dei progetti hanno partecipato finora 55.000 persone. In fase di valutazione è molto importante comprendere a quali bisogni intendono rispondere i progetti culturali: se non ci sono ricadute reali in termini di territorio, il progetto non è ritenuto interessante.

Luca Carboni e Anna Caramia (Gli Incauti) spiegano che la loro associazione culturale è nata nel 2009 a Bologna ed è fra le organizzazioni sostenute dal primo bando Funder35 (promosso da Cariplo con altre fondazioni bancarie). La compagnia sta sperimentando il meccanismo giuridico del trust come agile e trasparente strumento di fundraising. Propedeutico all’avviamento del progetto di trust è stato il confronto con il territorio: gli imprenditori, la Regione, il nascente piano strategico metropolitano di Bologna e l’Assessore Ronchi. Nel trust l’imprenditore (disponente) investe i propri fondi lasciandone l’amministrazione in capo a un secondo soggetto (amministratore fiduciario) che ha l’obbligo di amministrarli nell’interesse del disponente o di un altro soggetto (beneficiario). In ambito culturale si applica il trust di scopo: i fondi devono essere utilizzati non in favore di un beneficiario ma in favore di uno scopo culturale. Gli Incauti lavorano alla creazione di un trust come strumento utile a mettere insieme una serie di realtà diverse: imprenditori privati, amministrazione pubblica e le stesse compagnie che fanno teatro.

Un’idea di gestione pubblico/privata per il teatro di Bologna e provincia.

Cristina Carlini (Associazione Être) presenta per il network delle residenze lombarde il Progetto Cast Away. Se finora l’aspetto della mobilità è stato associato alla fuga dei cervelli, il progetto ha obiettivo di mandare operatori all’estero per riportare poi le competenze acquisite in Italia. Nel 2013 la Regione Lombardia, in collaborazione con Fondazione Cariplo, ha lanciato un bando rivolto ai disoccupati e inoccupati delle imprese creative, destinando fondi strutturali al finanziamento di progetti di mobilità: Creative Cast Away mette a disposizione dieci stage all’estero in cinque paesi partner – Belgio, Svezia, Danimarca, Francia e Polonia – finalizzati a individuare una competenza precisa che un organizzatore, un attore o un tecnico può apprendere all’estero e riportare in Italia. Le competenze individuate sono state:
per gli organizzatori -> le buone pratiche di sostenibilità; per gli artisti -> i format per spettacoli in vista della circuitazione internazionale; per i tecnici -> lo sviluppo di tecnologie e software rispetto alle quali l’Italia è arretrata. Su 85 candidature pervenute, di cui 61 ammissibili, i progetti più forti sono stati tutti presentati da soggetti under35, pur non essendo stato stabilito un limite di età. La difficoltà maggiore per gli stagisti è stata quella di interagire con un sistema diverso (vedi per esempio le risorse di adattabilità richieste ai tre operatori impegnati in Svezia).

Un progetto pilota per sperimentare nuove idee all’estero.

Intervento a sorpresa

Irrompe in sala William Shakespeare, con tanto di calzamaglia e collare (dopo tanti autorevoli personaggi, incontrati in dieci anni, Le buone pratiche hanno scelto di puntare alto! E’ una scelta emblematica per l’8 marzo: il grande drammaturgo propone la vera interpretazione di Otello: la tragedia della gelosia, attraverso una battuta di Emilia, diventa il primo testo CONTRO il femminicidio. E’ in realtà Derek Allen, che in Friendly Shakespearepropone metodo inedito e divertente per im parare l’inglese e approfondire la conoscenza del Bardo.

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Reti e movimenti

Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina introducono il tavolo Reti e movimenti, due fenomeniche hanno le loro specificità ma anche notevoli punti di contatto. Le reti e i movimenti – come altri fermenti innovativi – sono nati nonostante e spesso contro le rigidità del sistema teatrale italiano: basti pensare alle residenze, al teatro sociale e di comunità o ai teatri occupati. Le reti ovviamente esistevano anche prima e Oliviero Ponte di Pino ricorda il censimento di Leo De Berardinis sul teatro d’avanguardia.
Olviero Ponte di Pino ricorda che le Buone Pratiche in questi anni hanno cercato di intercettare ciò che restava escluso dal sistema e di valorizzarne le esperienze.

Oliviero Ponte di Pino, Reti di salvataggio per il teatro italiano?

Daniele Biacchessi (ARCI-Ponti di Memoria), giornalista e scrittore, dal 2002 ha trasferito gran parte del suo lavoro giornalistico in 24 libri di inchiesta e di racconto delle storie italiane in quello che viene chiamato “teatro civile”, che altro non è che teatro di narrazione, di parola e di racconto. Alle Buone Pratiche di Torino propose un modo di produrre il teatro di narrazione in Italia con autonomia ed efficacia economica (vedi BP TO 2011). L’esperienza presentata allora si è sviluppata e diffusa fino a portare alla creazione dell’associazione Ponti di Memoria è affiliata all’ARCI e conta circa 1500 artisti tra musicisti, poeti e uomini che raccontano storie. Insieme fanno memoria, costruiscono progetti e non festival o eventi. L’ultimo progetto costruito con il Comune di Milano, insieme alla Fondazione Feltrinelli e alla Fondazione RCS, è Milano e la Memoria, in cui ogni anniversario importante viene ricordato con il teatro e le narrazioni, per esempio il 22 marzo, l’ultima delle cinque giornate di Milano, se ne parlerà al Museo del Risorgimento; la Resistenza verrà raccontata alla Loggia dei Mercanti di Milano, si parlerà di Walter Tobagi nella sede del “Corriere della Sera”… Questo modello di progetto identitario è stato chiesto da Bologna, Torino, Firenze, Genova, Roma e Napoli e mette insieme Comuni e associazioni. In un momento di crisi economica come questo, è importante costruire ponti e movimenti di persone che stanno insieme e progettano insieme il futuro.
Oliviero Ponte di Pino ricorda un intervento a cura dell’Associazione Ponti di Memoria a Villa Triste, luogo dell’orrore a Milano, dove partigiani ed ebrei venivano torturati. Oggi Villa Triste è affidata alle suore carmelitane: Biacchessi racconta che quando si sono presentati come associazione per ricostruire la memoria del luogo, le suore l’hanno accolto così: “Vi aspettavano da 67 anni!”

Costruire ponti tra generazioni.

Luigi Marangoni (TILT) parte dall’esperienza di un recente laboratorio: improvvisando sul tema dell’”eredità”, una giovane partecipante aveva scritto una lettera al padre che iniziava con le parole “Testa di cazzo” e finiva con “Vaffanculo!”. Questo misto di rabbia e amore è il sentimento che accomuna molte compagnie che fanno parte di TILT, rete di teatro indipendente ligure. Rabbia per la fatica amministrativa, burocratica e artistica e amore per quello che si fa. L’intervento si divide in tre parti che possono essere pensate come strategie per il rinnovamento:

1. apertura;
2. cambiare le regole;
3. trovare le risorse.

La prima cosa che ha fatto TILT nel 2011 è stato guardarsi attorno e capire che gli altri potevano essere una risorsa, di fronte alla complessità dei nostri tempi. Oggi l’associazione conta 15 soggetti tra teatri, compagnie festival e rassegne ed è aperta anche all’esterno (è fra i promotori di C.Re.S.Co).
La seconda strategia è stata quella di cambiare le regole: TILT si è concentrata sul tema politico, per migliorare la gestione delle risorse e l’organizzazione dei finanziamenti in Liguria, sul tema delle residenze e sull’urgenza di avere un circuito regionale ligure. Sono stati ottenuti due risultati: si è aperto un tavolo di lavoro dello spettacolo dal vivo ed è nato un festival della creatività stanziale a Cresta. TILT oggi vuole rafforzare ciò che è stato fatto: il festival, vetrina annuale, quest’anno si amplia e verrà fatto, oltre che a Genova anche a Sarzana; ospiterà tre spettacoli di IT Festival e le compagnie di TILT verranno ospitate a Milano. Poi c’è il progetto Territori paralleli, progetto di “marketing territoriale” che consiste nel creare città o paesi “parlanti”, attraverso i racconti degli abitanti. TILT si trova in un momento critico e spera in un consolidamento, soprattutto economico. La rabbia dell’inizio non si esaurirà presto, ma Luigi Marangoni auspica che possa generare qualcosa di positivo, pensando anche alla giornata internazionale delle donne, che ci ricorda come stare insieme e lottare insieme per i propri diritti abbia portato risultati storici.

Oliviero Ponte di Pino passa la parola ai rappresentanti del Teatro Valle Occupato, ricordando le numerose situazioni in cui le Buone Pratiche hanno cercato di creare condizioni di dialogo tra occupanti e istituzioni.
Hossein Taheri segnala che il Valle Occupato si torva nelle stesse condizioni del primo giorno di occupazione e che il dialogo viene evitato dalle istituzioni. Si rivolge ad Alberto Ronchi, condivide con lui il ragionamento sul tentativo di salvaguardare nella cultura le funzioni e gli indirizzi pubblici. Ma come fare? Come si sarebbe comportato l’assessore di fronte a una situazione come quella del Teatro Valle? A quali interessi rispondono gli Assessorati alla cultura? A chi? Alle associazioni di categorie? Alle compagnie? Alla SIAE e al suo regime di monopolio? Sono luoghi dove la cittadinanza può trovare dei modelli di gestione diversi o sono roccaforti di privilegi? Il frutto interessante innestato dalla protesta al Teatro Valle, ricorda, è il fermento generato, che testimonia una necessità e un bisogno che altri luoghi non soddisfano. Cita un articolo uscito sul corriere.it di Tommaso Montanari. La domanda è: “Se la cultura oggi è qualcosa che fa parte del patrimonio del paese e diventa un bene comune, in che maniera si deve ripensare la gestione del patrimonio?” E’ necessario cambiare i modelli di gestione. Il fermento è tangibile, ma è possibile immaginare di “istituire” i fermenti e non di “istituzionalizzarli”? Istituzionalizzare significa arrivare a un punto in cui siamo costretti a “far sopravvivere”. Istituire invece permette al fermento di rinnovarsi e di entrare in ciclicità, consentendo il ricambio generazionale, la trasparenza dei processi, di entrare all’interno di un progetto, che comprende un’alternanza delle responsabilità e delle competenze, dando vita a un sistema sano vivo e vegeto. Risponde infine alla provocazione fatta al Valle da Matteo Renzi nel suo primo giorno di governo, ricordando la composizione del CDA del Teatro della Pergola: persone che hanno moltissime competenze, ma non hanno capacità e tempo necessari per occuparsi di teatro. È necessario trovare altri modelli e il Teatro Valle offre un’alternativa. Passa la parola a Alessandro Riceci che ricorda come il Valle come il Valle continui a interrogandosi sul percorso svolto fino ad oggi. Comunica ufficialmente che il 18 marzo prossimo l’ECF – European Cultural Foundation – premierà il Teatro Valle Occupato a Bruxelles come miglior centro culturale europeo. Sono state invitate le istituzioni italiane ma non hanno risposto all’invito, Riceci invita ufficialmente l’Associazione Ateatro a partecipare perché è importante che qualcuno testimoni che cosa produce il fermento e cosa produce la scelta di dare libertà a spazi e persone che danno valore ai diritti che sono stati sottratti. Il Teatro Valle collabora con il Royal Court di Londra, con gli istituti di cultura e per il Valle questo non è solo un premio, ma è la forza di un’idea, è la forza di rimettere la cultura al centro di un dibattito politico. Riprendere la cultura per la cultura e cambiare il territorio.

Roberta Nicolai (Teatri di Vetro) dirige Teatri di Vetro, un festival nato dalla necessità di realizzare una vetrina per le giovani compagnie romane. Ricorda l’entusiasmo iniziale e la crescita inaspettata del festival dal 2008 in poi, che le ha permesso di dedicarsi allo sguardo, all’analisi e al monitoraggio di tantissimi lavori, di compagnie che si moltiplicavano di anno in anno. Da qui si è sviluppato un portale. È stato un viaggio che ha consentito, grazie alla disponibilità di una molteplicità di luoghi – uno spazio convenzionale come il Teatro Palladium e un intero quartiere, la Garbatella – di ospitare una molteplicità di linguaggi, di progetti e di sguardi. Tutto questo sta avendo una radicale trasformazione. Nello stallo romano, di cui parlava Hossein, poche cose sono successe e sono tutte devastanti. Una di queste è che la Fondazione Romaeuropa che ospitava il festival all’interno del Teatro Palladium è stata sfrattata, di conseguenza il Festival non ha più un ufficio. Negli ultimi mesi c’è stato uno stallo totale dei finanziamenti per l’anno 2013, la Regione non paga il contributo al festival dal 2011, e nel frattempo il Teatro Valle Occupato non è stato riconosciuto. Sono problemi di ordine diverso, ma che portano tutti nella stessa direzione: la mancanza di cittadinanza per chi ha tentato di mettere in campo pratiche che nascevano da bisogni reali e concreti di artisti e operatori. Forse le reti sono una risposta, ma senz’altro l’intelligenza collettiva che le reti mettono in campo è l’unica leva che può portare verso il futuro una cultura collettiva. Alla domanda “Si fa quest’anno Teatri di Vetro?”, risponde che non si sa e non lo si saprà finché la Regione Lazio non darà una risposta sui finanziamenti.

Lucilla Tempesti e Fulvio Vanacore (IT-Independent Theatre) rievocano l’esperienza della prima edizione di IT Festival nel 2013. Il festival del teatro indipendente milanese ha raccolto ben cinquanta compagnie all’interno della Fabbrica del Vapore: ogni spettatore pagava un unico biglietto da 5 euro per ciascuna giornata. C’erano spazi dove ciascuna compagnia presentava se stessa alternando diverse forme di presentazione, da spettacoli a performance. Lucilla Tempesti segnala che si sono registrati 2000 spettatori e che da quella tre giorni di lavoro intenso sono nate altre iniziative. Il 6 dicembre 2013 è nata l’associazione, con 120 soci fra compagnie, artisti e organizzatori. Oltre al festival ci sono altre azioni – oltre al festival – che partono proprio da IT: reti e movimento sono parole fondamentali, oggi IT è una comunità che si rivolge al teatro indipendente milanese per trovare soluzioni concrete ai suoi bisogni. Due azioni rispondono a due esigenze precise: la prima è arrivare pronti al festival, trovare spazi alle compagnie per provare; l’altra è trovare un luogo, la Casa del Teatro, in dialogo con la città. Di fronte all’esigenza di avere spazi e occhi che aiutassero le compagnie a crescere, è nato il progetto mentorship: le compagnie indicano un tutor, in ambiti diversi, un occhio critico, e IT fa da mediatore. L’altro progetto portato è un censimento degli spazi di Milano una mappatura, che verrà discussa Il 13 marzo alla Fabbrica del Vapore (si capirà che tipo di relazione instaurare con questi spazi). Un ultimo progetto riguarda la critica indipendente. IT non è un movimento, ma una comunità con un proprio manifesto, un luogo dove incontrarsi, formarsi e lavorare insieme. Invita il pubblico a partecipare alla seconda edizione di IT dal 2 al 4 maggio alla Fabbrica del Vapore.
Riprende la parola l’Assessore Ronchi per rispondere alla provocazione di Hossein Taheri del Teatro Valle. Risponde di non conoscere bene la realtà romana, ma di non trovare nessun contrasto tra i due interventi. A suo avviso cambiano a suo avviso solo i punti di vista, poiché entrambi sottolineano l’importanza della parte pubblica. Esorta a uscire dal punto di vista demagogico che considera la politica tutta uguale. Sa che ci sono riforme da fare, fa queste quella della SIAE (da questo punto di vista, l’Italia rappresenta un caso unico). A proposito di occupazioni, nota che le esperienze sono diverse: a Bologna per esempio ci sono state esperienze importanti negli anni Novanta, che hanno prodotto realtà significative come Xing (sostenuta dal Comune). È doveroso, a suo avviso, che le istituzioni ascoltino e si confrontino con la realtà di una città: quindi sono le istituzioni ad avere sbagliato, se è vero che non hanno ascoltato e non si sono confrontate con il Teatro Valle Occupato.

MAKING IT: la risposta delle compagnie indipendenti milanesi alle necessità dell’oggi.

Oliviero Ponte di Pino conclude la sessione chiedendosi se non sia possibile fare di più per dare visibilità e coordinamento alle reti che si incontrano alle Buone Pratiche.

Mimma Gallina presenta l’intervento a sorpresa legato al teatro sociale e di comunità, tema di forte interesse per Le Buone Pratiche: è al centro di un nuovo progettod ell’Associazione Culturale Ateatro (in collaborazione con l’Associazione Catarsi “Teatri delle diversità” e il Master in Teatro Sociale e di Comunità Social and Comunity Theatre Centre dell’Università di Torino, Per una ricognizione aggiornata del teatro sociale in Italia.

Intervento a sorpresa

Mimmo Sorrentino con La memoria del futuro, che racconta di un’esperienza fatta con il gruppo di anziani all’Istituto Geriatrico Golgi di Abbiategrasso.

Leggi il testo di Mimmo Sorrentino, La memoria del futuro.

Il pubblico, i pubblici

Francesco De Biase esordisce sottolineando la complessità del tema “pubblico”. Tra il 2007 e il 2008 alle Buone Pratiche si prevedeva che gli effetti della crisi economica sarebbero stati due: il taglio alle risorse culturali e la contrazione dei consumi. I dati hanno dimostrato che è avvenuto proprio questo. A suo avviso però gli istituti di ricerca fotografano solo alcuni comparti del panorama culturale (teatro, cinema eccetera…). Se si ponessero di fronte alla questione con uno sguardo più ampio, si accorgerebbero che si sono modificate nel tempo le modalità di fruizione e partecipazione della cultura: oggi esistono nuove modalità di consumo e di distribuzione.
In questa situazione, il teatro ha grandi chances per avere maggior preso. Si sta ridiscutendo – in termini di condivisione – su come riformulare le città: il teatro può intervenire in queste sfide (il racconto di Mimmo Sorrentino è un buon esempio di come si può agire). Come riprogettare la trasformazione urbanistica? Torino cambierà completamente, e intorno ai tavoli per pianificare la città verranno chiamati anche gli artisti e i programmatori culturali per proporre idee e modelli. Si pensi ai temporary use, spazi che verranno dati ai collettivi e agli artisti. Con riferimento a Creative Europe, De Biase ricorda che l’”audience development” sarà il mantra dei prossimi anni e che l’80% dei cittadini italiani non mette mai piede in un teatro o in un museo. Per rispondere a una sfida così complessa, servono esperienze nuove.

Marco Agosti (Tiscali) e Paola Masala (Teatro di Sardegna) presentano un progetto nato dalla necessità di allargare il bacino di utenza del Teatro Stabile di Sardegna e di abbattere i confini dello spazio teatrale. Il web è sembrato lo strumento più adatto, spiega Paola Masala, per gettare nuovi ponti verso nuovi pubblici. L’incontro con Tiscali ha permesso di creare un sistema di comunicazione fatto di circolazione delle news, interviste, coinvolgimento del pubblico, è uno strumento capace di abbattere i confini, ma anche di formare il pubblico e orientare il gusto. Si è configurato su tre piattaforme: comunicazione della stagione, divulgazione e conservazione dei documenti storici del teatro, streaming degli eventi.Tiscali, spiega Marco Agosti, si pone in questa operazione come facilitatore. Dal 2008 ha iniziato un percorso che lo ha portato a trasformarsi da portale a sito di informazione. Da circa 6 mesi si occupa di territori. L’esigenza di Tiscali è quella di contattare il territorio. Lo fa con il portale tiscali.it e con www.istella.it, un motore di ricerca che porterà risultati in breve tempo. Tiscali ha l’esigenza di utilizzare strumenti innovativi. Decide di occuparsi di territori attraverso chi si impegna nel diffondere la cultura. Collabora con questi luoghi e quindi con il teatro, offrendo grande visibilità sul suo sito. Sono servizi free, che vanno semplicemente usati. Per innovare bisogna muoversi!

Introducendo il successivo intervento, si ricorda come il teatro nelle case sia un tema spesso affrontato dalle Buone Pratiche.

Roberta Calandra, autrice attrice e sceneggiatrice parladell’Associazione Desperate House Actresses, nata dall’incontro con Giulia Ricciardi con la quale ha deciso di portare il teatro nel proprio salotto
L’attività negli anni è cresciuta e insieme ad altre amiche registe e scrittrici ha strutturato un’associazione culturale. Si sono rese conto che la realtà romana è pigra, statica e povera e che offrendo uno spettacolo e una cena a 15-20 euro il pubblico arriva! Comunicano soprattutto tramite facebook, nel giro di 1 anno e mezzo hanno raccolto più di 1500 contatti. Si stanno creando molte relazioni, è divertente e alcuni spettacoli poi vengono distribuiti, il salotto diventa una sorta di officina laboratorio. Il progetto si p rivelato sostenibile: l’associazione paga sempre gli artisti, la casa e il cuoco.

Cultura come ritrovo, incontro, toccante e divertente, mai futile.

Massimo Marino parte dall’esperienza di Rete critica, la dimostrazione che, se forse la vecchia critica non è morta, esiste una nuova critica vivace, in alcuni casi giovane, che sta sperimentando tutti i mezzi tecnologici. Oggi i social network possono permettere di ricreare iterazioni tra operatori e spettatori, critico e spettatore. E’ molto facile raccontare una giornata come questa, andando su twitter all’hashtag #BP2014: c’è già moltissimo, sintesi di interventi, rimandi ad articoli, link a materiali correlati, che magari creano anche qualche ambiguità semantica. Questo modo di seguire un evento in diretta è utilizzabile anche per raccontare uno spettacolo? In certi casi sì. A Volterra, in occasione del festival, per lo spettacolo Mercuzio non vuole morire, costruito a specchio con quello in carcere, vari gruppi di cittadini invadevano lo spazio della città: nell’occasione, una pattuglia di critici ha raccontato lo svolgersi dello spettacolo e il tipo di emozione che gli spettatori provavano. Marino ricorda di avere avuto una lunga discussione su Facebook con Barbara Regondi di ERT, dove si interrogavano se questo metodo di raccontare in diretta gli spettacoli fosse applicabile nei teatri, dove c’è il buio e le luci degli schermi possono distrarre. Ma, le ha obiettato Marino, a teatro il buio non è stato eterno, e in ogni caso in passato la drammaturgia, anche dove c’era il buio, contemplava l’incidente dell’intervento del pubblico. Questo non significa che dobbiamo tornare alla percezione salottiera del teatro. E’ tuttavia opportuno riprendere l’invito di Brecht a essere come uno spettatore della boxe “che guarda lo spettacolo fumando il sigaro”, capace di smontare i meccanismi di quello che vede e di interagire. Siamo ancora influenzati dalla vecchia contrapposizione tra immedesimazione e distanziazione: non dobbiamo necessariamente twittare durante gli spettacoli, ma sicuramente questi strumenti pongono il problema di essere contemporaneamente qui e altrove e questo può cambiare il nostro modo di interagire e raccontare lo spettacolo.

Oliviero Ponte di Pino sottolinea l’importanza e l’interesse per il tema: fare critica attraverso i social ridisegna e mescola i ruoli del critico e dello spettatore…

Loredana Perissinotto(AGITA Associazione per la promozione e la ricerca della cultura teatrale nella scuola e nel sociale)parla della complessità della questione dell’educazione del teatro nell’ambito sociale e educativo. A dicembre 2012 è stato firmato un protocollo d’intesa per attuare iniziative volte alla promozione e alla valorizzazione del linguaggio teatrale nelle scuole e alla realizzazione della Giornata mondiale del teatro. A febbraio la commissione si è riunita a Roma ma è caduto il governo. Il protocollo firmato da MIUR e MiBACT prevedeva di celebrare la festa del teatro all’Aquila, si era aperta la possibilità di realizzare un registro degli operatori che lavorano nelle scuole, ma anche questo il progetto è naufragato. Il 2001 un censimento promosso dall’ETI segnalava un centinaio di rassegne di teatro nelle scuole su tutto il territorio nazionale ora sono molte di meno. L’associazione si propone di realizzare una Rete Nazionale delle Rassegne di Teatro della Scuola e della Comunità. La casa dello spettatore nasce da un’idea di Giorgio Testa, è un progetto autosostenuto che nasce con lo scopo primario di formare il pubblico tramite l’educazione alla visione e una costante attenzione alla consapevolezza dei processi – artistici e non solo – che danno vita al teatro come avvenimento, come occasione, come fatto; e promuove progetti ad hoc.

Oliviero Ponte di Pino domanda a Stefano Ricci come ricci/forte costruiscano il rapporto con i propri spettatori e cosa si aspettano dal pubblico.
Dal 2007, quando è iniziata l’attività della compagnia, risponde Ricci, è sempre stato importante il rapporto con i social network. Il pubblico chiedeva una piattaforma in cui confrontarsi, discutere e interagire sul nostro lavoro. Purtroppo anche Facebook è stato contaminato dall’ego spropositato di ognuno di noi e non c’è più una reale volontà di condivisione. L’attenzione della compagnia si sta spostando su altre possibilità. Parallelamente tenta di frantumare la dicotomia teatro di ricerca/teatro di tradizione: il gruppo fa spettacoli in spazi molto diversi, dai centri sociali a teatri tradizionali come l’Argentina a Roma o il Piccolo a Milano, nel tentativo di confrontarsi con pubblici diversi e capire da cosa sono interessati, spinti.
Alla domanda come il gruppo sia riuscito a mantenere integra l’identità della compagnia e del progetto artistico sul web, senza che fosse contaminata dai commenti e dalle iterazioni della rete, Ricci risponde che ricci/forte hanno cercato di rappresentare l’immaginario del web in modo molto diverso dall’evento live. Sono stati stigmatizzati anche per questo: va mantenuta la coerenza, ma il contatto con il teatro è altro rispetto alla rete.
Ponte di Pino chiede se a cercare di unire segmenti di pubblico diversi non si rischi di diventare mainstream. Ricci risponde che il problema va visto da un’ottica differente: bisognerebbe smettere ragionare in termini di mainstream, e invece chiedersi perché un gruppo riempie i teatri.

Nell’ultimo intervento della mattinata Silvia Tisano presenta il “Censimento degli archivi storici del teatro” sostenuto dalla Direzione generale per gli archivi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Regione Lombardia, in accordo e collaborazione con la Soprintendenza archivistica per la Lombardia. Capofila del progetto è la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, che negli anni Novanta ha condotto il censimento delle case editrici e negli ultimi anni ha acquisito alcuni archivi specificatamente teatrali come quelli di Enzo Ferrieri, di Rosa e Ballo, di Franco Quadri e della casa editrice Ubulibri. In questa prima fase si tenta di fotografare la realtà della memoria teatrale e di dare alcune linee guida sulla sua conservazione. Gli esiti di questa prima fase saranno esposti a maggio in un incontro al quale saranno invitati archivisti, studiosi, storici del teatro e naturalmente le strutture teatrali che producono materiale. Invita pertanto i proprietari o comunque responsabili della memoria documentaria dei teatri a compilare il questionario del Censimento on line.

Chiudendo la mattinata Francesco De Biase ricorda l’importanza della la questione del pubblico, da affrontare in termini sia quantitativi sia qualitativi, interrogandoci sempre sul mondo in cui viene affrontata l’esperienza culturale.

#BP2014. Il fotoromanzo delle Buone Pratiche del Teatro: il pomeriggio




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