#ValoreCultura. Che impatto avrà la riforma sul mercato del lavoro?

I nuovi criteri e modalità per l'erogazione di contributi al settore dello spettacolo dal vivo a valere sul FUS

Pubblicato il 28/04/2014 / di / ateatro n. 149

Riceviamo da Assoteatro e volentieri pubblichiamo questo contributo a cura di Daniela Piccolo.

Una riforma del settore dello spettacolo dal vivo è un’azione necessaria che non può più attendere. La crisi globale che ha investito l’economia ha gravato pesantemente su questo settore a cui manca da moltissimi anni una vera regolamentazione. Non c’è alcun dubbio su quanto la nostra arte, insieme alla nostra storia ed alla nostra cultura affascini il mondo intero e per questo nel cercare una riscossa del nostro Paese dobbiamo concentrare le energie per far rinascere la nostra economia partendo proprio da ciò che ha costituto negli anni passati l’eccellenza del “prodotto” Italia.
Una opportuna regolamentazione del settore deve prevedere una dinamicità nell’operatività, sarebbe un errore gravissimo rimanere ulteriormente imbrigliati nella macchinosa a farraginosa burocrazia amministrativa. Gli anni che abbiamo alle spalle ci hanno segnato perché abbiamo dovuto affrontare una crisi straordinaria e nel suo contesto il talento non è riuscito a trovare l’opportunità per esprimere il proprio potenziale perché impossibilitato a trovare gli “spazi” adeguati alle proprie qualità.
Se si vuole guardare al futuro con ottimismo e speranza bisogna creare una spinta propulsiva per favorire lo sviluppo. Far crescere l’economia significa anche creare occupazione ma abbiamo bisogno di migliorare le prospettive future in modo stabile. Il timore è che questi interventi non stimoleranno la ripresa. La linea di austerità che si vuole adottare deve giustamente prestare attenzione alla spesa pubblica ma bisogna essere attenti a cercare in ogni modo di rilanciare lo sviluppo di un’attività che – con una sana gestione – può rappresentare una vera ricchezza per tutto il Paese.
La conseguenza più incombente e preoccupante di questa riforma è la perdita di moltissimi posti di lavoro.
Passando alla disamina dei principi del nuovo decreto, i problemi principali di questo nuova riforma sono il dirigismo tecnocratico e l’eccesso di vincoli inutili, con una generale mancanza di libertà operativa.
La distribuzione si reggerà sui circuiti (con l’esclusività garantita a quelli esistenti per ciascuna regione, e l’autorizzazione ad agire nelle regioni limitrofe che ne siano prive). Senza alcuna possibilità di creare una rete alternativa, i circuiti sono i veri favoriti da questa riforma. La scrivente associazione aveva chiesto la possibilità di creare RETI DI ESERCIZIO TEATRALE su scala sovraregionale, ma la richiesta è stata ignorata.
La simulazione che è stata fatta sui dati delle imprese in possesso del Ministero (consuntivo 2012) non è stata resa pubblica, ma è ovvio che avrà un valore solo orientativo. I nuovi parametri costringono ad una riorganizzazione che modificherà per tutti il quadro stesso di riferimento – basti pensare alla ventilata fusione tra Stabile di Genova con Teatro della Tosse e Archivolto (o al Rossetti con lo Sloveno).
Gli effetti sul mercato sono tutti da capire: le piccole compagnie sono alla disperazione, alcuni pensano di cominciare a lavorare in associazione di impresa – ma anche questa via obbligata è una limitazione di libertà. I Teatri nazionali e i Teatri di interesse culturale potranno cercare di creare l’occasione di una nuova progettualità ma la revisione del sistema per quanto indubbiamente necessaria sarà devastante.
Sarebbe opportuno che le simulazioni siano rese pubbliche, e che siano pubblici i dati delle schede a preventivo e consuntivo.
È importante che il Ministero abbia richiesto anche i bilanci fiscali, a fronte dei “bilanci di progetto”: è un modo per introdurre trasparenza e leggibilità dei parametri ma a maggior ragione l’attività del soggetto deve essere presa in considerazione proprio partendo dalla situazione amministrativa e contabile di gestione.
L’acconto al 60% per il primo anno, unito all’obbligo di saldo delle posizioni debitorie prima dell’invio dei consuntivi comporterà un’altra perdita di liquidità. La riforma dei criteri di assegnazione del FUS non migliora per nulla le difficoltà di finanziamento e patrimonializzazione delle imprese, non rimuove il balzello dei VVFF, non introduce concorrenza sul diritto d’autore e non contrasta le posizioni vessatorie del monopolio Siae, soprattutto non affronta il problema delle agevolazioni fiscali e degli incentivi all’occupazione, e le modalità di sostegno al sistema extra FUS.
Il sistema è al collasso, ma avremo però 10 residenze e 10 compagnie “giovani” in più.
A seguire si segnalano nello specifico le principali osservazioni

La clausola che stabilisce il tetto del 60% della misura dei costi considerati ammissibili deve essere specificata meglio perché la speranza è che si intendano i costi totali del progetto e cioè le uscite mentre se fa riferimento agli oneri sociali agirà come una falciatrice sulla maggioranza dei soggetti.
TEMPI di delibera e assegnazione del contributo

Rimane prevista con il termine del 31 gennaio di ogni anno la scadenza di presentazione della domanda di contributo. Ciò vuol dire che il soggetto che presenta regolare istanza verrà a conoscenza di essere assegnatario del contributo quasi al termine dello svolgimento dell’attività. Sarebbe giusto e indispensabile per il soggetto venire a conoscenza della possibilità di beneficiare del contributo prima che pianifichi e realizzi l’attività secondo i parametri previsti. Visto che l’attività viene pianificata e programmata con un anno di anticipo circa sarebbe opportuno, iniziando a introdurre delle nuove riforme, anticipare la scadenza di almeno un paio di mesi.

E’ impensabile infine che una riforma possa entrare in vigore già nel 2015, i tempi di pianificazione dell’attività teatrale impongono che la stagione 2014/2015 sia ormai già stata decisa.

COSTI AMMISSIBILI ai fini della quantificazione del contributo
Il contributo viene concesso prendendo in considerazione una quota parte dei costi ammissibili. La quantificazione è stabilita con un “calcolo matematico” in virtù di un punteggio raggiunto attraverso la valutazione artistica e quantitativa e per costi ammissibili si intendono specificatamente solo gli oneri sociali.
E’ doveroso fare una riflessione sul significato di COSTI AMMISSIBILI per quanto riguarda il settore della produzione. Come tali infatti andrebbero presi in esame quelli generati secondo principi amministrativi e contabili riferiti alla realizzazione di un progetto che prevede l’uso di scenografie, noleggi di materiali tecnici e informatici, pubblicità e comunicazione, trasporti, servizi tecnici in ogni città del tour ecc…
I costi necessari alla realizzazione di un progetto generano una rete produttiva che va dall’impiego del personale, a strutture e società che svolgono nello specifico una precisa attività. Escluderli completamente dalla quantificazione dei costi implica “costringere” i produttori a tagliare totalmente sforzi economici che non verranno considerati. Questo andrà a scapito, in primo luogo, della qualità dei prodotti e conseguentemente dell’azzeramento di tutta la filiera produttiva.
Per contro si dice che per costi ammissibili si intendono quelli direttamente imputabili ad una o più attività, ma se si riferiscono solo agli oneri del personale non si capisce questa specifica quindi urge un chiarimento. Comunque sia, si parla di costi direttamente sostenuti dal soggetto richiedente, effettivamente sostenuti e pagati. Sarebbe opportuno lasciare la possibilità al soggetto di utilizzare la liquidazione del contributo proprio per far fronte al pagamento dei costi che non si sono riusciti a saldare con le proprie forze, considerato che ricorrere al credito bancario è sempre più infattibile. Si potrebbe introdurre una clausola che preveda che per accedere alla domanda dell’anno successivo sia necessario presentare una documentazione che attesti che con l’avvenuta liquidazione del contributo si è provveduto al pagamento di tutti i debiti. In questo modo le compagnie avrebbero certezza di ricevere da parte degli organismi di ospitalità sovvenzionati il pagamento di quanto dovuto.

INDICATORI qualità artistica e base quantitativa
È necessario distinguere le azioni che possono essere esercitate dal soggetto produttore rispetto a quello ospitante. Va da se che tutte le attività mirate ad una rivalutazione del territorio, rapporti con università e scuole, intercettare nuovo pubblico ecc. sono azioni che possono essere di competenza dei soggetti ospitanti che lavorano sul territorio stabilmente e che possono pianificare la modulazione di diffusione e coinvolgimento del bacino di utenza. Al soggetto produttore deve essere riservato l’obbligo di beneficiare di una importante direzione artistica, della scelta degli elementi artistici e tecnici e anche del risultato artistico del progetto. L’attenzione ad una suddivisione dei ruoli è fondamentale per non investire il produttore e il soggetto ospitante di compiti di cui non può essere gravato per la tipologia dell’attività che svolge. Al di là di ogni considerazione nell’esprimere una valutazione qualitativa bisognerebbe procedere principalmente con una valutazione dei contenuti del progetto ai quali si possono aggiungere tutta una serie di azioni derivate e collegate.
Come indicatori della base quantitativa vengono presi in considerazione: le giornate lavorative, gli oneri sociali, le giornate recitative, le piazze e gli spettatori. Di questi valori si possono esprimere in un valore economico solo gli oneri sociali, gli altri dati sono prettamente indicatori dell’attività che viene svolta ma bisogna fare un’opportuna differenziazione. Le giornate lavorative sono strettamente collegate al numero dei lavoratori ed al periodo impiegato. Le giornate recitative sono legate al numero di recite che si riescono a realizzare all’interno di una tournée. Questo dato è determinato dalla possibilità di riuscire a far programmare lo spettacolo nei teatri esistenti su tutto il territorio. Questa è una possibilità che il produttore mette in atto ma è una scelta che dipende da molti fattori non ultimo le dimensioni dello “spazio teatro”. Molto spesso allestimenti tecnicamente complessi non possono essere portati in alcuni teatri che dispongono di palcoscenici più piccoli perché il montaggio delle scenografie è impedito dalle ridotte dimensioni dello spazio in cui agire. L’accoglimento nel mercato dell’offerta dipende da tanti fattori: dalla linea editoriale della direzione artistica del teatro, dalla tipologia della spettacolo che propone il produttore (dramma, commedia ecc..) dagli interpreti, dal cachet richiesto ecc….
Su quest’ultimo punto bisogna fare una riflessione importante su una realtà che condiziona il soggetto ospitante. In molte province esistono delle strutture, dei siti storici con dei teatri antichi, dei veri gioielli del nostro patrimonio. Tuttavia il numero dei posti, cioè la capienza, è limitata quindi capita che anche con la migliore ipotesi di incasso il soggetto ospitante non è in grado di sopperire al cachet richiesto, sono quindi gli enti locali che sopperiscono al fabbisogno economico, ma gli enti locali stanno tagliando tutti i costi, spesso proprio nella cultura, quindi molti teatri non sono in grado di programmare il cartellone come vorrebbero e come richiederebbe la domanda.
Il numero delle piazze è dato dalle città che ospitano lo spettacolo all’interno dei cartelloni di programmazione dei teatri. L’accoglimento di una produzione teatrale da parte di un teatro è subordinata a molti fattori. E’ indispensabile infatti considerare che alcuni spettacoli hanno una chiave drammaturgica tale che il testo può necessitare, per essere rappresentato al meglio, di una dimensione più piccola, più raccolta, di una platea “contenuta” altrimenti si mette a rischio la riuscita della rappresentazione.
Infine il numero degli spettatori è un dato troppo aleatorio perché possa essere preso come riferimento per una valutazione quantitativa. Bisognerebbe che tutti gli spettacoli prodotti fossero rappresentati negli stessi teatri e cioè con la stessa capienza. Esempio pratico: una compagnia viene ospitata al Teatro Donizetti di Bergamo per una settimana, il teatro ha una capienza di circa 1000 posti, alla quota abbonati molto alta se si aggiunge un buon sbigliettamento si può arrivare 5700 presenze. Un’altra compagnia viene ospitata a Imola, stesse buone azioni mirate al coinvolgimento del pubblico ma il teatro ha una capienza di circa 400 posti, pur con una buona quota di abbonati e di sbigliettamento il sold out porterebbe solo 2400 presenze. Di fatto entrambi gli spettacoli hanno raggiunto lo stesso risultato ma i numeri sono decisamente differenti.
In teatro, ma soprattutto in questo caso, non sarebbe giusto applicare la legge dei grandi numeri, le tournée teatrali possono dare origine a risultati molto differenti in base ai numeri degli spettatori registrati ma non può essere un dato assoluto identificativo dell’andamento e del gradimento di uno spettacolo.

PRODUZIONE – Teatri nazionali
Dei requisiti richiesti per ricevere il riconoscimento di TEATRO NAZIONALE quello che risalta maggiormente agli occhi è quello che prevede l’effettuazione di 240 giornate recitative di cui non meno del 70% in sede, questo dato vuol dire che circa 6 mesi e mezzo di programmazione del cartellone deve essere realizzato con spettacoli di propria produzione nella propria sede o regione di appartenenza. Questo dato è strettamente collegato alla possibilità di fruizione del prodotto teatrale da parte di un bacino di utenza legato a sua volta alla densità demografica. Il concetto di lunga tenitura, cioè uno spettacolo che viene programmato per un periodo consecutivo di 3/4 settimane o anche più, è una evenienza che si può prevedere solo a Roma e Milano perché nel resto delle città nazionali il bacino di utenza viene intercettato ed esaurito nell’arco di una settimana. Esempi dove esistono realtà eccellenti sono: Genova, Firenze, Bologna, Bergamo, Imola ecc…
Obbligare un teatro che non si trovi appunto a Roma o Milano ad effettuare il 70% della programmazione in sede vuol dire appiattire l’offerta proponendo lo stesso “prodotto” per un periodo troppo lungo. Oppure il Teatro Nazionale dovrebbe suddividere tutte le risorse destinate alla produzione in una molteplicità di piccole produzioni, poco più di mise en espace, questo andrebbe certamente a scapito della qualità.
Non dimentichiamoci che realtà come Le Cirque du Soleil beneficiano di firme italiane (regia, coreografia, costumi ecc….) questo vuol dire che la nostra eccellenza, talento artistico e livello professionale se possono esprimersi hanno le potenzialità di diventare fenomeni culturali a livello mondiale.

PRODUZIONE – Teatri di rilevante interesse culturale
Anche se meno condizionanti, i parametri richiesti trovano le medesime cause conflittuali con la realtà geografica in cui operano. Perché se il problema della lunga tenitura è presente nelle grandi città è ancora più forte nel resto delle regioni.

CLAUSOLE DI INCOMPATIBILITÀ NELLE DIREZIONI
L’espressione dell’attività di un teatro o di una compagnia trae la sua origine dall’impronta editoriale che viene impressa dalle scelte della direzione artistica. Purtroppo tutti sanno che la direzione artistica in molti teatri, da molti anni ad oggi, ha monopolizzato attenzione, risorse economiche e progettuali ad uso esclusivo della persona preposta a questa funzione mentre è importante che la direzione artistica, secondo un suo indirizzo editoriale, rappresenti e valorizzi il talento artistico e professionale di cui è ricco il nostro Paese. Cancellare tuttavia questa figura trasformandola in una professionalità manageriale avrà sicuramente delle ricadute nefaste. Le scelte della direzione artistica sono necessarie come uno stilista di moda che decide come devono essere tagliati i vestiti. E’ giusto che vengano espresse al meglio le potenzialità di una pluralità di artisti e laddove non viene fatto spontaneamente dalle linee editoriali della direzione si possono prevedere alcuni accorgimenti.
Innanzitutto impedire al direttore artistico di fare regie presso il teatro dove presta la sua opera farà si che chi “dimora” da molti anni nella direzioni artistiche lasci la carica di direttore ad un tecnico/manager che lo nominerà consulente artistico. Piuttosto sarebbe più giusto limitare ad una sola regia a stagione il lavoro del direttore (artistico) mentre i consulenti artistici nominati ad occuparsi delle altre regie dovranno essere a rotazione, in definitiva all’interno del cartellone di una stagione non ci dovrebbero essere due regie dello stesso artista, in particolare i consulenti artistici dovrebbero essere a rotazione negli anni.
Un altro elemento importante è l’esclusività che deve essere modulata opportunamente. E’ giusto che il direttore non eserciti la stesse mansioni in organismi simili o concorrenziali ma sarebbe una forzatura escluderlo completamente dal lavoro che esercita abitualmente perché rappresenta il valore aggiunto in relazioni artistiche e professionali che giustamente fanno parte del suo bagaglio professionale. Questo è un punto molto delicato che va regolamentato opportunamente. Da un lato bisogna assicurare la massima trasparenza, correttezza e professionalità nello svolgere un incarico professionale ma bisogna anche tenere presente che i direttori artistici dei teatri non si possono paragonare ai grandi manager delle società pubbliche, né per compensi percepiti, né per durata degli incarichi.

Imprese di produzione teatrale
In sostanza le modalità che influenzano maggiormente la produzione sono evidenziate nei parametri qualitativi e quantitativi tuttavia il dato preoccupante è l’aumento delle giornate recitative che fino ad oggi è stato di 90 mentre dovrà passare a 120 (che in sostanza vuol dire quasi 5 mesi di attività, periodo – che se si considera la durata delle stagioni teatrali – ha dei limiti di programmazione dati dai teatri). In questo momento storico l’aumento dell’attività deve coincidere con una ripresa dell’economia del Paese. Non si può decidere a priori che l’attività deve aumentare nei numeri ma bisogna tenere conto le modalità con cui e come si può procedere. E’ chiaro che l’augurio di tutti è quello che venga favorita la ripresa e lo sviluppo economico ma è un percorso lungo, difficile e l’unica cosa certa è poter contare sulla buona volontà e sull’impegno di ognuno. Per il resto incidono tutti i fattori già esaminati all’inizio.

Organismi di programmazione
Per gli organismi di programmazione si dovrebbero intendere sostanzialmente i teatri privati che offrono ad un pubblico eterogeneo spettacoli di prosa, musical, danza, musica ecc.. A tale proposito l’attività che gli viene riconosciuta è estesa anche agli altri generi, musica e danza appunto, deve essere specificato se si riferiscono solo all’ospitalità di soggetti di danza e musica a loro volta sovvenzionati e se si riferiscono solo alla tipologia di spettacolo.
Comunque sia il dato più rilevante è anche qui legato alla densità demografica che vincola di fatto la possibilità al soggetto richiedente di accedere al contributo per attività continuativa o stagionale. La differenziazione serviva, giustamente, ad attribuire una diversa entità di sostegno economico e questa prerogativa è giusto che venga mantenuta. La densità demografica non può essere il dato vincolante nel determinare la titolarità del soggetto a presentare la richiesta di contributo. Questo dato oggettivo rappresenta si la popolazione più abbiente, che quella disagiata, che il ceto medio. In molte città del nord la densità demografica è stata incrementata dall’arrivo di molti extracomunitari che incidono sul numero di abitanti ma sono molte le categorie che non possono, almeno nell’immediato, essere prese come riferimento di un bacino di utenza della domanda.
Si rimanda il necessario approfondimento della riforma in relazione alle attività di danza, attività musicali e delle attività circensi e dello spettacolo viaggiante.




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