La scena è un dispositivo

Una riflessione sulla natura del teatro

Pubblicato il 06/05/2014 / di / ateatro n. 150

Il teatro è sempre stato (anche) un dispositivo che ha l’obiettivo di suscitare reazioni nel pubblico: azioni a volte volontarie (l’applauso o il fischio) o reazioni involontarie (la risata o il pianto).
Il dispositivo più noto è quello del teatro all’italiana, che privilegia vista e udito e prevede una rigida separazione tra scena e platea. Ma sono possibili molte altre forme di interazione tra attori e pubblico. Dopo le pionieristiche esperienze degli happening negli anni Sessanta, nell’ottica del teatro 2.0, oggi al tradizionale dispositivo teatrale si stanno affiancando nuove modalità e potenzialità, che portano a gradi diversi di attivazione, coinvolgimento e partecipazione dello spettatore. Gli esempi sono ormai numerosi: sulla scena internazionale si va da Enrique Vargas a Forced Entertainment e Tim Etchells e Rimini Protokoll e Stefan Kaegi…

Tim Etchells e Tony White. <i>Dirty Literature</i>

Tim Etchells e Tony White. Dirty Literature

In Italia, diversi dispositivi di attivazione dello spettatore sono stato innestati, in maniere molto diverse, dal Teatro del Lemming (con l’Edipo per un solo spettatore, per esempio) e dal Teatro delle Ariette (con il Teatro da mangiare), attivando meccanismi multisensoriali e sinestetici. Anche i recenti lavori della Compagnia della Fortezza e dei Motus pongono particolare attenzione all’attivazione del pubblico. Una selezione di spettacoli che usano dispositivi di attivazione dello spettatore è stata ospitata negli ultimi anni dal Festival di Santarcangelo, in particolare nell’edizione 2010. Un esperimento radicale in questa direzione è quello tentato dal progetto Art you lost? 1000 persone per un’opera d’arte.
Sono pratiche che attingono da un lato alle arti visive, sia dalla public art sia da pratiche installative (su questo vedi anche Andrea Balzola e Paolo Rosa, L’arte fuori di sé. Un manifesto per l’età post-tecnologica, Feltrinelli, Milano, 2011).



Marina Abramovic on Rhythm 0 (1974) from Marina Abramovic Institute on Vimeo.

Un dispositivo “estremo” è per esempio la performance di Marina Abramović Rhythm O dove, spiega la performer,

dove io sono un oggetto e c’è un tavolo con 72 oggetti compresa una pistola con un proiettile con le istruzioni; tutti gli oggetti possono essere usati su di me e io mi prendo tutte le responsabilità per sei ore.
(Marina Abramović in Hans Ulrich Olbrist, Talking with Marina Abramović, Riding on the Bullet Train to Kitakuysuhu Somewhere in Japan, 1998, in The Theatre of Performance, a cura di Danilo Eccher, Umberto Allemandi & C., Torino 2009, p. 115)

Dall’altro possono integrarsi con le metodologie di attivazione utilizzate dal teatro sociale e di comunità, e anche per certi aspetti con il teatro nelle case, con la sua intrusione nella quotidianità. Anche il teatro ragazzi usa da tempo dispositivi che portano al coinvolgimento e all’attivazione dei piccoli spettatori.
Con queste tre interviste ad altrettanti giovani gruppi attivi su questo filone di ricerca, e la riflessione di un esperto del teatro ragazzi come Mario Bianchi, ateatro.it inizia una riflessione sul teatro come dispositivo, aperta a ulteriori contributi.

LO SPECIALE Il teatro è un dispositivo con il testo di Mario Bianchi sui dispositivi del teatro ragazzi e gli interventi di CollettivOCineticO, Fagarazzi e Zuffellato, Alias Rosalie.




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