Caspanelliana

Una nota sul teatro di Tino Caspanello in occasione del vent'anni della sua compagnia

Pubblicato il 03/06/2014 / di / ateatro n. 150

Tino Caspanello è drammaturgo-attore, scrittore rigoroso, scenografo e regista. Nel 2013 celebra il ventennale dalla nascita della sua compagnia Teatro Pubblico Incanto a Pagliara, il paesino della provincia messinese che si staglia tra monasteri basiliani e letti di torrenti prosciugati parati a festa da alberi di agrumi.
E’ questo lo scenario privilegiato dei lavori d’inchiostro e bit del fecondo drammaturgo. Il borgo ha inoltre ospitato nel 2011 Pubblico Incanto Artheatre Festival, unica edizione di un festival teatrale ambientato a Pagliara. Con l’Associazione Solaris Teatro Pubblico Incanto inaugura il primo Centro di Drammaturgia Siciliana: punto di incontro per giovani autori siciliani che intendono farsi conoscere in Italia e all’estero attraverso un percorso d’eccellenza, per premiare la nuova Ècole Sicilienne. In Francia la Maison Antoine Vitez e il Troisième Bureau Théâtre Contemporain di Grenoble hanno tessuto una fitta rete editoriale con Caspanello, rappresentato, tradotto e pubblicato per Edition Espace 34 da Bruno e Franck La Brasca. Julie Quénehen ha invece tradotto ‘Nta ll’aria.
Rosa e Mari sono le due opere che hanno imposto Tino Caspanello all’attenzione della critica. Mari, Premio Riccione nel 2003, è pubblicato in Italia nel volume Teatro di Tino Caspanello, per Editoria & Spettacolo e ha celebrato nel 2013 il decimo anno di repliche; sarà in tournée in Francia fino al 2015 in una nuova messinscena: nella sua versione francese è stato prodotto dal Teatro de l’Atelier di Parigi con la regia di Jean Luis Benoit. Quadri di una rivoluzione è la seconda raccolta di testi teatrali di Caspanello, uscita per Editoria & Spettacolo nell’autunno del 2013. Nel 2014 Tino Caspanello è tra gli autori che rappresentano l’Italia nell’Eurodram Playwriting.

Tino Caspanello

La scrittura di Caspanello è intrisa di un sentimento di sospensione e di un approfondimento civile e politico della vicenda umana. La collocazione geografica dell’autore, in terra siciliana e pertanto italiana, ne identifica le origini, giustificando spinte narrative che sembrano spingere nella direzione di un apparente spaesamento, tipico e topico per chi viva l’isolamento dell’infero acquatico e mostruoso mondo al di là dello Stretto di Messina. Tuttavia Caspanello usa anche la lingua che gli è propria, una lingua vernacolare con cui riesce a esprimere, in una modalità meno estranea, un messaggio uterino e viscerale che ha come obiettivo l’universalità di un rendezvous tra scena e metafisica, volto a muovere nel lettore e nello spettatore una crisi identitaria. Ogni spettatore viene avvicinato da una diversa domanda esistenziale, perché tutte diverse sono le vicende umane che rendono ogni essere umano unico e abbandonato in una solitudine che cresce attraverso la ricerca della propria interiorità. A volte la risposta, da parte di chi assiste con apparente passività allo spettacolo, non pare ancora pronta a soddisfare una domanda che potrebbe anche non esistere. In altri casi, la penetrante verità che spudoratamente viene esibita da Caspanello irrigidisce le difese degli spettatori.
I dialoghi scorrono fittissimi e decisi come “Ave Maria” sgranate in un rosario dove l’inchiostro sostituisce la voce e i corpi degli interpreti animano i fili che tengono insieme grani di drammaturgia, come se gli stessi personaggi incalzassero sovrastando l’autore, assumendo vita propria nella trama della narrazione e raccontandosi al pubblico. E’ come se assistessimo a un’antologia di anime in cerca di collocazione eppure consce di partecipare a un accadimento terreno. Una maschera di luce finalmente decide con ordinata e precisa volontà scenografica di conferire quella orizzontalità tutta umana che conferisce direzione all’apparente deriva di segni. D’altro canto è una scansione ordinata di parole dentro una pagina a originare una speranza salvifica nella figura della donna, madre e compagna, unica creatura attraverso la quale sembra avere senso la lotta rivoluzionaria per la sopravvivenza. Una donna sa sempre come ritrovare le proprie scarpe per ripercorrere la via che conduce alla casa interiore.

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, un brano da Interno, da Tino Caspanello, Teatro, Editoria & Spettacolo 2012.

Uomo 1 (Guarda Uomo 2). Allora? (Si accorge che l’indice di Uomo 2 preme sul campanello, ma non si sente alcun suono). Ma… cosa? Aspetta. (Si avvicina a Uomo 2, prende il campanello, lo apre e toglie le pile). Le pile! Sono scariche! Adesso capisco… tutto quel tuo delirio. Erano le pile. Parole senza senso… magari ti sarai spaventato. Ti sei spaventato, vero? E invece… invece erano le pile. Pensa un po’… senza di queste non riusciresti a dire nemmeno una parola. Almeno per oggi. In fondo cosa chiedo? Non ti ho mai chiesto niente in questi anni. Vuoi mangiare, vuoi bere, vuoi dormire… Cosa ti ho chiesto? Niente. E oggi, forse per la prima volta, ti chiedo soltanto un po’ di silenzio. Bene. Richiesta esaudita. Le cambierò le tue pile, non preoccuparti, e così potrai ricominciare a parlare. Ma oggi no. Oggi niente parole. Quando sarà l’ora di cena, ceneremo, quando vedrò i tuoi occhi chiudersi… quando avrai sonno, ti porterò a letto, ci diremo… ti dirò “Buonanotte!” e mi basterà un tuo sguardo come risposta. E non pensare che io sia cattivo. Non riuscirei ad esserlo. Anche se qualche volta…. E non guardarmi con quegli occhi da cane bastonato! Non ti ho fatto niente. Non sono capace di farti niente. Appena ti accudisco, ci provo almeno, faccio del mio meglio, ti tengo pulito, ti do da mangiare, ti riempio di sguardi, di parole… ma più di questo… cosa posso fare di più? Voglio solo poterti chiedere, quando ne ho voglia, solo quando ne ho voglia, di starmene nel mio silenzio, che non è il tuo, ma solo mio. Perché non so come è fatto il tuo silenzio, di cosa è fatto, se ha ancora parole, se ha una musica, se ha immagini. Io non so più niente e non posso nemmeno avere una risposta, perché queste nostre parole, queste quattro parole con cui giochiamo, ci servono solo a vivere, a sopravvivere, a tenerci in vita, a tenermi in vita. E quando cerco di capire, quando mi sfinisco per cercare di capire, di spiegare a me stesso, di trovare un senso, di sapere, ecco… che arriva il silenzio, sì, finalmente il silenzio, totale. (Dopo qualche istante di silenzio, depone il campanello nella cassetta di legno). Le cambierò le tue pile, non aver paura. Domani cambierò le tue pile. (Una pausa. Dalla cassetta di legno prende la scatola di latta blu, mentre la luce si spegne).




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InformazioniVincenza Di Vita

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