Scene di straordinaria quotidianità dal grattacielo di Rimini

Una campagna di crowdfunding per The Community, il nuovo film di Marco Bertozzi

Pubblicato il 28/05/2015 / di / ateatro n. 154

Anche un edificio può essere il protagonista d’eccezione di un evento teatrale. Mi riferisco al peculiare caso del grattacielo di Rimini, presentato nell’happening teatrale #FLATS. Scene di straordinaria quotidianità in vista di un film sul grattacielo di Rimini – Atto 1 lo scorso 8 maggio presso il Teatro degli Atti della città romagnola.
Il grattacielo di Rimini in questa occasione non è, come ci si potrebbe aspettare, semplicemente un esempio di imponente costruzione architettonica, l’edificio simbolo della metropoli balneare romagnola, è anzitutto una intera comunità: le persone che lo abitano, le voci, i volti, le presenze che gli danno sostanza e lo animano in tutti i suoi 27 piani di altezza. E una piccola ma vivace rappresentanza delle circa 200 famiglie che ci vivono lo hanno rappresentato in carne, ossa e immagini l’altra sera sulla scena del teatro riminese.
In realtà il destino attoriale del grattacielo mira al grande schermo e, nel frattempo, in vista del debutto cinematografico, calca le tavole del palcoscenico. #FLATS è infatti la prima di una serie di eventi a lanciare una campagna di crowdfunding per finanziare The Community, il film sul grattacielo di Rimini, di cui è regista Marco Bertozzi, autore e ideatore del progetto, oltre che inquilino del grattacielo. Il progetto (www.thecommunityfilm.com) è ospitato dalla più antica piattaforma di crowfunding in Italia, Produzioni dal Basso: https://produzionidalbasso.com/project/the-community.

Marco Giovanni 2

Marco Bertozzi e Giovanni Casadei, foto di Claudio Cardelli

Con la direzione di Giovanni Casadei, attore e regista riminese nonché abitante del grattacielo, #FLATS è un curioso ibrido – nelle intenzioni, nei mezzi e negli effetti – tra teatro e cinema. Nel tentativo di definire la peculiarità di questo esperimento teatrale, per affinità con gli interessi artistici e di studio di Bertozzi, da anni impegnato nella riscoperta del cinema documentario, ci si potrebbe appellare alla categoria coniata da Weiss di ‘teatro documentario’. O, magari, citare il caso del ‘Teatro Povero’ di Monticchiello, dove la comunità del borgo si mette in scena e si racconta in una sorta di autodramma, come lo ha nominato Strehler; o, ancora, citare le Baruffe Chiozzotte messe in scena tra le calli e i campielli di Chioggia. Con la differenza che quello riminese non è neanche un caso di teatro amatoriale ed è – almeno per il momento – un unicum in cui non attori ma persone di formazione quanto più varia hanno accettato di mettersi in scena per rappresentarsi e rappresentare la comunità di cui si sentono parte, anche solo per il fatto di abitare tutte sotto uno stesso, particolarissimo quanto svettante, tetto.
Il felice connubio in scena tra teatro e cinema si realizza in virtù del montaggio, meccanismo compositivo e codice sintattico che appartiene costitutivamente a entrambe le arti. L’happening si struttura quindi in un montaggio di quadri: sono sei scene di vita vissuta nel grattacielo, frammenti di straordinaria quotidianità inframmezzati e montati con vari inserti video, sia di materiali d’archivio che di riprese realizzate appositamente per il film in corso di elaborazione. A partire dal quadro d’inizio in cui alcuni abitanti espongono la prima nota peculiare dell’edificio: la cattiva fama che aleggia sul grattacielo, e rimbalza sui social network, nei commenti poco edificanti che fioccano su Facebook. Una fama di lunga data, legata a cattive gestioni di affittanze che hanno portato a bizzarre frequentazioni e che, nel tempo, complice l’intrinseca estraneità dell’edificio rispetto al contesto urbano riminese, si è alimentata e amplificata esponenzialmente, dando vita a vere e proprie leggende metropolitane.
Per proseguire con il quadro in cui il grattacielo, questo luogo di “perdizione”, finalmente si apre alla curiosità diventata oramai morbosa: attraverso le immagini di alcuni interni si è accompagnati da altri inquilini, improvvisati agenti immobiliari, a entrarvi con sguardi indiscreti. Che il grattacielo sia un ‘pustaz’ a un certo punto lo dice anche il sindaco di Rimini, presente pure lui in una fugace apparizione con la sua bicicletta, ma non tanto in qualità di primo cittadino, quanto, come tutti gli altri, a sua volta abitante dello stesso condominio gigante.
La varietà umana è probabilmente uno degli aspetti più curiosi e interessanti che caratterizza la fauna degli abitanti. Nel grattacielo convivono una ventina di culture diverse: oltre a riminesi doc e italiani dalla provenienze più disparate si trovano argentini e bengalesi, cinesi, francesi, senegalesi, tunisini, rumeni e russi… Il quadro in cui appaiono assieme sul palco inquilini che si rivolgono al pubblico in idiomi differenti per raccontare la storia che li ha condotti fino a lì, rende perfettamente il senso di questo multiculturalismo.

Foto di Chico De Luigi

Foto di Chico De Luigi

Ma assieme al ricchissimo contenuto delle anime che lo vivono dall’interno, anche la forma con cui si staglia nello skyline costiero, e si fa catturare esternamente dallo sguardo, ha la sua parte. È l’altro elemento fondamentale che l’happening offre al pubblico, soprattutto attraverso i video. Per cui l’edificio simbolo della Riviera è rievocato, nella forza della sua forma nascente, dalle riprese che documentano gli anni d’oro del boom economico, quando una serie di circostanze politiche, economiche, sociali hanno creato la Rimini capitale del turismo balneare. Oppure, la forma del grattacielo è restituita a una sorprendente bellezza dalla ripresa di una telecamera collocata su un drone che sembra scalarlo, esaltandone la verticalità con un movimento lento, un dolce moto ascensionale che pare resistere alla forza di gravità, contro la vertigine del precipizio.
Come il contenuto rispetto alla forma, il teatro dell’umanità che lo vive internamente si sposa così all’architettura che lo plasma esternamente. È un vero e proprio oggetto del desiderio questo grattacielo vissuto e osservato, totem di una pulsione immaginale che anela farsi reale attraverso la macchina desiderante dello sguardo cinematografico.




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