Odisseo nei campi profughi di Leros e Lesbo, Ikaria e Skyros, Eleusi e Lavrio

Il progetto Meeting the Odyssey arriva in Grecia

Pubblicato il 31/05/2016 / di / ateatro n. 158
Meeting the Odyssey, Hoppet (ph. Jorma Friberg)

Meeting the Odyssey, Hoppet (ph. Jorma Friberg)

La libertà del camminare vale poco se non abbiamo un posto dove andare.
Noi, insieme, abbiamo un itinerario. Che poi è una costellazione di luoghi e incontri. Una moderna Odissea. Con una nave, a piedi, tra un porto e una città, è il cammino a dare forma e pensiero all’azione.
Il 22 maggio 2014, esattamente due anni fa, questa moderna Odissea di artisti in viaggio dal Baltico all’Egeo partiva da San Pietroburgo. Nell’intervento di apertura del progetto, in un teatro gremito di media russi, mi trovavo a dire le queste parole:

Se stai sempre dalla “tua” parte non capirai mai niente. E in questi giorni complicati, in cui ad una crisi economica si somma una crisi politica e militare, crisi che ha diviso prima il Nord e il Sud dell’Europa, ora nuovamente l’Est e l’Ovest, la nostra testimonianza di artisti in viaggio, senza barriere nazionali o ideologiche, è ancora più fondamentale. La frantumazione delle società nelle quali abbiamo vissuto comodi, dal secondo dopoguerra ad oggi, è niente altro che un passaggio di senso che dal particolare diventa universale.
Abbiamo la possibilità di interrogarci sulla nostra Odissea. Il viaggio dell’uomo che lascia la casa natale per avventurarsi nel mondo, esporsi a errori, insidie e cadute ma infine ritornare, come Ulisse, a casa maturato e cresciuto, ricco di tutte le esperienze e dei dolori affrontati nel lungo cammino e vinti, interrogati e fatti propri dalla sua individualità.
Il camminare ha creato sentieri, strade, rotte commerciali. Ha fondato città e porti, prodotto mappe e una vasta biblioteca di racconti e di poemi. Il ritmo del passo, il rollio della nave, genera una specie di ritmo del pensiero. La tesi è che tornare a casa rappresenta il tornare alla luce dall’oscurità. Infatti Odisseo impersona contemporaneamente le due cose: l’ingegno dell’uomo e il suo desiderio di tornare a casa. Sappiamo bene quanto durante il viaggio Odisseo si fece diverso. Non era più la volpe scaltra che aveva escogitato l’inganno del Cavallo, né il Re di una tribù di pastori. Aveva visto la distruzione di Troia e l’efferatezza dei suoi. Si era innamorato di Circe, che trasformava gli uomini in porci, e aveva conosciuto la pietà di Nausicaa. Era fuggito dall’Isola dei Ciclopi, nascondendo il suo vero nome. Si era fatto legare all’albero della nave per poter ascoltare il canto delle sirene senza buttarsi in mare. Insomma, non era più lo stesso. E neppure Itaca era più quella che aveva lasciato e sognato in tanto girovagare. E per tutti questi motivi non riesco a non pensare che la libertà del viaggiare vale poco se non abbiamo un posto dove tornare, anche se cambiati, anche se cambiato il posto. E che il senso ultimo del viaggio e della scoperta sta tutto racchiuso nell’incontro con la moltitudine di persone e con la differenza di paesaggi e culture, con ciò che è altro da noi e non appartiene al nostro orizzonte quotidiano. Scavalcare i propri limiti ed uscire dall’orizzonte quotidiano, incontrare il mondo e darsi sempre un nuovo senso dentro di esso, penso che questo sia il filo rosso sotteso di questa nostra folle, comune e contemporanea Odissea.

Ora, a due anni di distanza, queste parole sono ancora più attuali. Alla crisi militare tra Russia e NATO del 2014, collegata all’annessione della Crimea, si è aggiunta una crisi dei profughi che sta minando le fondamenta stesse dell’Unione Europea. Il finale di questo viaggio in Grecia, patria del mito, che ai nostri occhi e nel nostro pensiero due anni fa doveva avere il valore di una riconciliazione tra il continente e le sue radici elleniche, si è necessariamente trasformato in qualcosa di completamente diverso.

Come dare valore e senso a un intervento teatrale nel mare Egeo oggi? Che senso ha portare quattro produzioni internazionali e dei laboratori nel paese più martoriato dalla crisi economica e dalla crisi dei profughi in fuga dalle guerre medio-orientali? La scelta è stata quella di dirottare la nostra nave, la Hoppet (“Speranza” in svedese), verso le isole degli sbarchi, per andare a dare una mano, a fare qualche cosa di sensato per i profughi e per i cittadini delle isole dell’Egeo. Così nel corso di due mesi (giugno e luglio) lavoreremo con le ONG locali e internazionali nei campi profughi delle isole di Leros e Lesbo, ad Ikaria e Skyros, e infine ad Eleusi e Lavrio, in Attica. Cambia l’itinerario di questo viaggio e assume una connotazione ancora più sociale. Laboratori per bambini, per adulti, per adolescenti. Spettacoli nei campi e nelle piazze dei paesi. Portare il teatro dove forse ha senso davvero farlo. Vi aggiorneremo su questo viaggio.

Michele Losi
Direttore Campsirago Residenza_Pleiadi Art Productions / ScarlattineTeatro




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