Riflessioni a posteriori su Primavera dei Teatri 2016

Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata e Il Vangelo secondo Antonio di Dario De Luca

Pubblicato il 17/07/2016 / di / ateatro n. 158

Primavera dei Teatri, il festival che Scena Verticale organizza da diciassette anni a Castrovillari, cittadina dell’entroterra calabro, rappresenta ormai uno dei momenti consolidati e centrali della vita teatrale italiana, almeno per quanto riguarda la ricerca e la sperimentazione. Grazie all’ospitalità degli organizzatori, e aiutati dai pochi posti “di ristoro” tra rappresentazione e rappresentazione, artisti, critici e spettatori riescono a intrecciare un dialogo impensabile in una rassegna metropolitana, che spesso si riduce a una sequela di spettacoli percepiti e metabolizzati ciascuno come monade indipendente. E bisogna anche sottolineare l’accoglienza “globale” che viene dedicata ai partecipanti, coinvolgendo anche i più piccoli in un laboratorio teatrale.

32 secondi e 16, Atir Teatro Ringhiera

32 secondi e 16, Atir Teatro Ringhiera

Tutto questo premesso, l’edizione 2016 ha riunito spettacoli di livello assai dissimile, alternando proposte riuscite ad altre meno convincenti, a partire da 32 secondi e 16 di Michele Santeramo, allestito da Serena Sinigaglia. La storia è quella della somala Samia Yusuf Omar, giovanissima atleta “fai da te” (nel senso che si allena nella corsa durante la notte, mal vista da tutti e sempre a rischio della vita) che partecipa alle Olimpiadi di Pechino risultando disastrosamente ultima rispetto alle colleghe (il titolo fa appunto riferimento al tempo impiegato nella gara). La stessa Samia, in seguito, muore in uno dei famigerati barconi nel tentativo di raggiungere l’Italia con le speranze (nel suo caso sportive) che spingono migliaia di persone ogni giorno a tentare la traversata. L’idea è buona, anche se non nuovissima, ma la messinscena propone una seconda parte in cui fratello e sorella, incestuosi, raccolgono nell’“isola” i cadaveri dei migranti, richiamando con ogni evidenza i becchini di amletica memoria e i due protagonisti di Aspettando Godot, salvo poi scoprire – grazie a un’improbabile volontaria capitata lì per caso – che la carne umana non è affatto male. Una metafora dell’Occidente onnivoro e spietato in parte condivisibile e in parte no. La banalità del male sembra comunque passare in secondo piano rispetto a quella dell’impianto drammaturgico, poco aiutato anche dalla regia. I tre attori (Tindaro Granata, Valentina Picello, Chiara Stoppace) ce la mettono tutta – incisivi i momenti in cui, alternandosi, passano dal recitato al canto africano – ma purtroppo non riescono a riequilibrare un testo forse proprio poco riuscito.

Opera Nazionale Combattenti,  Principio Attivo Teatro

Opera Nazionale Combattenti, Principio Attivo Teatro

Divertente, e con tempi comici perfetti, Opera Nazionale Combattenti presenta I giganti della montagna atto III – presentato dalla compagnia Principio Attivo Teatro (regia di Giuseppe Semeraro) – affronta come surreale ipotesi la continuazione dell’ultima commedia, rimasta incompiuta, di Pirandello. Metateatro sul metateatro (compreso il simulato sequestro degli spettatori grazie alla chiusura della platea con plastiche da incidente stradale o da luogo del crimine) lo spettacolo denuncia però un senso di déjà vu che risente delle ormai troppe riflessioni dei teatranti sul proprio lavoro e sulla funzione stessa dell’arte scenica. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, anche se la prestazione è gradevole.
Ripetitiva, rispetto ai “canoni” del gruppo, è anche la performance dei Quotidiana.com, Lei è Gesù, terzo episodio del trittico Tutto è bene quel che finisce (tre capitoli per una buona morte): lo spunto di un novello Messia al femminile è affascinante, soprattutto nell’accostare la Bibbia a “Vogue” nell’intento manipolatorio delle masse in costante attesa di un nuovo Gesù, che però non ha affatto intenzione di farsi mettere in croce. Ma sembra che Roberto Scappin e Paola Vannoni non riescano a fare altro che reiterare all’infinito il proprio modello (anti)teatrale, che certo suscita curiosità e qua e là qualche punta graffiante e raggelante, senza raggiungere però l’acredine e la profondità del precedente Io muoio e tu mangi, presentato nel 2015 a Castrovillari.
Quanto a Ci scusiamo per il disagio degli Omini, lo spettacolo recupera un archetipico non luogo alla Marc Augé, la stazione (ma in salsa toscana), all’interno della quale si dipanano microstorie individuali di sofferenza e varia (dolente e ferina) umanità. Il vero punto di forza sta a monte della rappresentazione: le vicende sono infatti state raccolte “dal vivo”, con un escavo antropologico assai accurato. I quattro attori/autori – Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia Zacchini e Luca Zacchini – si muovono in uno spazio scarno e vuoto, e sono efficaci nel dare vita a queste figure “marginali” (leggli il Duetto critico su ateatro.it).

Il Vangelo secondo Antonio, Scena Verticale

Il Vangelo secondo Antonio, Scena Verticale

Tra le proposte più riuscite della rassegna si collocano altri due spettacoli, Il Vangelo secondo Antonio di Dario De Luca e Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata. Il primo, anche diretto e interpretato dall’autore, racconta la storia di un prete di frontiera dai tratti “francescani”, che si fa in quattro per dare accoglienza ai rifugiati che arrivano sulla sua isola con i soliti barconi, e nel farlo dimostra un piglio e un carattere che lo mettono talvolta in contrasto con le gerarchie ecclesiastiche cui deve rispondere (è vicario generale del vescovo) e con le autorità politiche locali. Il problema è che, nel corso del tempo, si manifestano in lui i sintomi di un Alzheimer precoce, che lo conduce progressivamente alla demenza. Tratta da una storia vera, la pièce ripercorre gli stadi di una tra le malattie più vigliaccamente feroci, che costringe chi ne è affetto all’inesorabile perdita della dignità. Lo spettacolo ha un approccio fortemente “naturalista” (“Perché no?”, dice lo stesso De Luca), ma possiede tutti gli elementi per appassionare e anche trasmettere – tra le righe – informazioni su questo funesto e inguaribile morbo. Forse, nella fase finale, pecca un po’ di didascalismo (probabilmente indotto dall’approfondito studio della patologia da cui tutto prende le mosse), e, a debutto avvenuto, sarebbe meglio accorciare queste “lezioni informative” innescate nel testo. Ma resta il fatto che l’allestimento ha una potente forza emotiva, convince anche nella parti più “realistiche” e offre uno spaccato autentico della sofferenza. Buone le prestazioni dei tre attori, a partire dal protagonista De Luca ma senza dimenticare la zelante e amorevole sorella del sacerdote, Matilde Piana, e il pretino (destinato a soppiantare don Antonio nella parrocchia) interpretato dal bravo Davide Fasano. Suggestivo il finale cristologico e visionario.

Geppetto e Geppetto,  Proxima Res

Geppetto e Geppetto, Proxima Res

Geppetto e Geppetto rivela in Tindaro Granata un astro già nato e non più nascente della drammaturgia italiana. L’autore, che cura anche la regia e incarna uno dei personaggi principali, racconta la storia di una coppia omosessuale affiatata, che dopo molti anni di convivenza decide di andare all’estero per avere un bambino, attraverso la pratica che si definisce comunemente “utero in affitto”. Il tema, così scabroso in Italia, è trattato in modo dialettico, lasciando spazio alle convinzioni di tutti. Viene infatti narrata la resistenza della madre di uno dei due uomini, impreparata ad accettare lo scarto culturale che l’arrivo di un bimbo provoca in una famiglia gay, la tenerezza che caratterizza l’infanzia del figlio, curato e accudito con amore da “papi” e “papo” in un’alternanza di complicità e severità, la morte per tumore di uno dei due genitori (e il conseguente complicarsi della vicenda familiare), il rifiuto progressivo del padre vivente da parte del ragazzo, che vive da eterosessuale un’adolescenza complicata come quella di tutti, ma resa ancora più difficile grazie al pregiudizio che su di lui aleggia, amplificato anche da figure educative solamente all’apparenza progressiste. Ma la vicenda non si arresta qui: nella seconda parte fluttuano in parallelo il dolore e le difficoltà di una coetanea del giovane, frutto invece della separazione avvenuta in un matrimonio etero. È difficile riassumere in poche righe la trama, che procede senza mai offrire tesi prestabilite ma invece cercando di dar voce alle problematiche, alle fragilità e anche alla rabbia che accompagna ogni ménage familiare. L’intreccio drammaturgico dà l’idea di una maturità stilistica raramente rintracciabile in un autore così giovane (forse però si potrebbe sfoltire un po’ la seconda parte, dove le tematiche trattate si accumulano un po’ troppo) e i giovani attori, a cominciare da Tindaro, sono tutti molto convincenti (anzi, li si vuole qui citare uno per uno: Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli), anche nei molti cambi di ruolo. Uno spettacolo prodotto dal Teatro di Genova insieme al Festival delle Colline Torinesi e a Proxima Res che ci si augura abbia grande diffusione nelle sale italiane, sia per l’indubbio valore teatrale che per l’argomento su cui si incentra, trattato in modo leggero e allo stesso tempo commovente.




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