Luca Ronconi: “Lasciatemi divertire”

L'incontro del 20 febbraio a Bologna dedicato al regista

Pubblicato il 25/02/2017 / di / ateatro n. 160

Bologna ha ospitato, dal 20 al 22 febbraio, il progetto «“Lasciatemi divertire” Il Teatro di Luca Ronconi tra memoria e utopia», a cura di Claudio Longhi. A due anni dalla scomparsa del celebre regista, La Soffitta, in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, nel quadro delle celebrazioni del quarantennale di ERT, ha approfondito una figura chiave del teatro italiano, con una ricchissima giornata di studi e due pomeriggi di proiezioni per interrogare il fantasmagorico labirinto poetico-creativo del regista e cercare di mettere a fuoco cosa resti di quell’avventura straordinaria nella (e per la) scena contemporanea.


Negli stessi giorni, è stata anche presentata la nuova versione del sito ufficiale del regista, www.lucaronconi.it: nato nel 2012 da un progetto di Roberta Carlotto e Oliviero Ponte di Pino e realizzato dal Centro Teatrale Santacristina e dall’Associazione Ateatro, il sito è cresciuto grazie ad un costante lavoro di ricerca e di inserimento di nuovi materiali. Si può navigare seguendo l’ordine cronologico della homepage, che, titolo per titolo, ripercorre a ritroso tutta la carriera di Ronconi o l’ordine tematico delle quattro sezioni:
Teatro, ovvero le regie teatrali;
Opera, ovvero le regie di opere liriche;
Scuola, ovvero le attività legate alla formazione degli attori;
Extra, ovvero tutto ciò che Ronconi ha realizzato fuori dal palcoscenico, come, ad esempio, allestimenti di mostre, progetti televisivi e radiofonici. (n.d.r.)

Si sono appena concluse le iniziative dedicate a Luca Ronconi, a due anni dalla morte, promosse dall’Università di Bologna in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, per la stagione 2017 della Soffitta, curate da Claudio Longhi: presentazione dell’ultimo numero di “Culture Teatrali” sulla Regia in Italia, oggi, dedicato a Ronconi; un lungo incontro sul Grande teatro ronconiano della conoscenza; un collage di videotestimonianze dei suoi spettacoli in due tappe, quasi a ricostruire uno “spettacolo infinito”.
Punto di partenza di questo percorso può essere considerato il discorso pronunciato da Luca Ronconi nel 1999, quando l’Università di Bologna gli ha conferito la laurea honoris causa: dove presenta con chiarezza e densità i “principi” del suo teatro, di quella “ricerca registica” per la quale “la ricerca è semplicemente l’altra faccia dell’esplorazione della tradizione”. Di questa concezione volutamente da lui poco teorizzata, semplice solo in apparenza e assai complessa da praticare, Claudio Longhi propone un esempio pregnante nella sua “quasi” introduzione al numero in questione di “Culture Teatrali”, che fornisce coordinate utili per leggere il teatro di Ronconi anche quando non se ne parla direttamente. Si tratta del suo interesse per il Pirandello di Questa sera si recita a soggetto, che non si esaurì nella sintomatica messinscena del 1998: una sorta di manifesto in forma di spettacolo, problematico e aperto alle interpretazioni non senza punti fermi.
Il cuore delle tre giornate bolognesi è costituito dall’incontro che si è svolto il pomeriggio del 20 febbraio: qualcosa davvero di unico, per come si sono intrecciati memoria e pensiero, intelligenza ed emozione. Qualcosa di difficilmente raccontabile, perché ne sono stati protagonisti soprattutto alcuni attori e artisti che hanno lavorato con Ronconi. E si sa che gli attori hanno un’intelligenza e un modo tutto loro di elaborare le esperienze e di raccontarle: per aneddoti, per guizzi, per strane miscele fra esposizione e pudore, fra ciò che è fissato e impromptu, sicché se si riassume si perde il succo insieme alle sfumature (si dovrebbe trascrivere, far ascoltare per evitare che il pensiero perda il contatto con l’esperienza e le parole perdano la loro evidenza enigmatica). E’ stato così nell’appassionante racconto di Franco Branciaroli, negli interventi puntualissimi di Anna Maria Guarnieri e Massimo Popolizio, nelle testimonianze dei più giovani, Fabrizio Falco e Lucrezia Guidone, consapevoli dei debiti con il Maestro come con gli attori maestri, a partire dal senso di sé.
Ne esce pienamente confermata l’ipotesi sostenuta da Anna Bandettini di un teatro ronconiano d’attore e di un attore ronconiano che non si identifica con dei clichés ma per lo spessore del suo lavoro. Eccone alcuni spunti, pochissimi. Come regista – lui che aveva cominciato recitando – chiedeva la luna e insegnava “a guardare oltre” sin dalle “letture vertiginose” dei testi (Guarnieri). Sapeva “vederti” come nessun altro, forte del bagaglio degli attori visti in gioventù, e chiedeva cose diverse a ognuno; recitavi per lui, che diffidava delle repliche, quando sempre più lo spettacolo si allontana dal regista; i suoi attori soffrono di cervicale (Popolizio). Non esiste l’attore bravo per sempre, ogni dieci anni devi cambiare, ma imparare a leggere i testi nella loro complessità, come lui faceva, dà autonomia (Branciaroli). Non subire il testo, non proporre la maschera di se stessi, raggiungere il personaggio: questi gli insegnamenti fondamentali ricevuti nella pratica di teatro e di vita presso il Centro Teatrale Santa Cristina (Guidone e Falco).
Sono intervenuti poi Maria Consagra, chiamata a lavorare sui movimenti scenici, lo scenografo Marco Rossi e il costumista Gianluca Sbicca – ribadendo tutti il riferimento basilare al testo e il valore assoluto del pragmatismo di Ronconi –, mentre Alberto Benedetto ha parlato dal punto di vista della produzione degli spettacoli, al Piccolo. Per lodare il suo “pensiero lungo” ha ricordato serenamente alcune difficoltà e gli stratagemmi usati per aggirarle. Hanno parlato anche i critici – Anna Bandettini, Maria Grazia Gregori e Massimo Marino – fino ai più giovani, Roberta Ferraresi e Lorenzo Donati, l’una per dire della Biennale di Venezia del 1975 e l’altro degli Spregelburd. Ma un’immagine di sintesi l’ha data Gregori nella sua testimonianza commossa: il teatro di Ronconi come “casa”. Luce forte e angoli bui, porte spalancate e stanze da esplorare, insegnamenti e dubbi, mentre si va costruendo e manifestando un senso di comunità artistica utile a tutto il teatro italiano, per capire la sua storia e affrontare il presente.

Bologna, 23 febbraio 2017




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