Il teatro è solo bianco? E il pubblico?

L'intervento di Mimma Gallina a #suqgenova del 22 giugno, con qualche considerazione sul bando MiBACT/Migrarti

Pubblicato il 28/06/2017 / di / ateatro n. 162

Il sistema teatrale italiano è solo bianco?
Se la domanda posta dal Suq Festival di Genova nel confronto del 22 giugno su teatro, intercultura, rinnovamento del pubblico in Italia e in Europa è da intendersi: “Il sistema teatrale consolidato recepisce nelle scelte artistiche, nelle tematiche, negli organici e nei cartelloni il cambiamento sociale derivato dai movimenti migratori?”, la risposta per quanto riguarda l’Italia può essere secca: “No, non li recepisce”, ovvero “Sì, il teatro è decisamente solo bianco e il pubblico ancora di più (basta guardarsi intorno)”.
Ma la domanda, e quindi la risposta, può essere più articolata.
Sono state molte nelle ultime stagioni le drammaturgie e le messinscene dedicate al tema dell’immigrazione: spettacoli di bianchi per bianchi, certo, ma spesso impegnativi, realizzati da teatri stabili e compagnie, quasi sempre dedicati al tema del viaggio, non di rado con echi classici (non sempre esaltanti).
Non sono mancati neppure i festival dedicati: al Mediterraneo, alla drammaturgia e alla danza africana, o le singole presenze di artisti del Sud del mondo. Ma non è un’attenzione nuova, per la verità. Anzi – essendo le risorse sempre più scarse – lo spazio per le ospitalità intercontinentali è sempre più limitato e le coproduzioni sono inesistenti o quasi (o almeno questa è l’impressione: in assenza di una ricerca puntuale).

Teatro Cargo, L’Odissea dei Ragazzi, di Laura Sicignano e Valentina Travers Con Sara Cianfriglia, Emmanuel, Kara, Pashupatti, Rahamathollah, Waheedullah, Shahzeb

Quanto alla presenza di attori professionisti “extracomunitari”, o di seconda generazione, nelle nostre compagnie, quelli impegnati con frequenza e regolarmente retribuiti sono pochissimi, anche se a volte ben valorizzati (per esempio con spettacoli-monologo parzialmente autobiografici).
Non è così in altri paesi (Francia, Germania, Olanda, Belgio…), dove è normale vedere in scena attori non bianchi, in qualunque ruolo. Il fenomeno non è più circoscritto alle compagnie programmaticamente formate da tutto il mondo (come quella fondata da Peter Brook già nel 1970) e agli ensemble di danza (per loro natura più internazionali).

Alberto Malanchino , diplomato alla Paolo Grassi, è originario del Burkina Faso da parte di madre e sta lavorando a un progetto su Thomas Sankara con Maurizio Schmidt

E’ indicativo che la Scuola Paolo Grassi, negli ultimi quindici-vent’anni anni abbia diplomato solo tre attori relativamente extracomunitari (in tutti e tre i casi avevano un genitore italiano). Se il teatro vuole davvero essere specchio di una società che cambia, le scuole di teatro dovrebbero porsi il problema, e magari cercare soluzioni. Borse di studio? Talent-scouting presso le comunità?

C’è però un’area vasta, dispersa ma molto attiva, che negli ultimi anni ha avviato progetti di tipo interculturale, anche internazionale. Alcune di queste esperienze lavorano sulla drammaturgia, altre sulla forma del laboratorio con esito finale, altre nascono da un rapporto stretto con il territorio: per esempio il Teatro Utile dell’Accademia dei Filodrammatici, il progetto Futuri Maestri del Teatro dell’Argine, il lavoro del Teatro Cargo con i giovani immigrati, il progetto Caravan dell’Università di Torino, di cui si dà testimonianza in questo stesso incontro, e altre cui ha contribuito a dare visibilità il festival Suq. Molte esperienze sono state stimolate o intercettate anche dal progetto Migrarti del Mibact.

Futuri Maestri, Teatro dell’Argine

Queste iniziative – la forma del laboratorio e la collaborazione con le comunità degli immigrati in Italia – hanno dato e possono dare sempre maggiori risultati anche nella direzione del coinvolgimento di un nuovo pubblico, in un teatro che lo riguardi.

Questo pubblico non è affatto refrattario allo spettacolo, anzi, frequenta con passione le festa comunitarie, in cui rivivono forme culturali tradizionali (prevalentemente musica e danza), già molto contaminate con la cultura occidentale e l’immaginario televisivo.

 

Sono espressioni molto festose, in cui si celebra un’appartenenza e assieme si testimonia la presenza nella società ospitante.

La festa della comunità boliviana a Milano, agosto 2016

In queste feste non si respira nostalgia: il presente e il futuro sono al centro delle preoccupazioni, delle speranze e dei sogni degli immigrati, sia di quelli che sono in Italia da anni sia di quelli arrivati di recente. Bisognerebbe tenerne conto: raccontare i drammi del viaggio e la lontananza, denunciare le responsabilità è importante, ma rischia di essere un problema “bianco” (un’esternazione di buoni sentimenti, una fuga dai sensi di colpa), se non si riesce a collocarlo nel presente e proiettarlo verso il futuro. Costruire “incontri” teatrali, stimolare espressioni artistiche originali: questo richiede un atteggiamento aperto e una riflessione approfondita su temi e metodi. Il racconto dei drammi recenti collettivi e individuali rischia a volte di cadere nello psicodramma (e le persone magari desiderano dimenticare, e ne hanno il diritto).
Può essere più efficace la Storia: la riappropriazione e la conoscenza del passato, e quello coloniale e postcoloniale è un passato comune (anche se noi tendiamo a dimenticarcelo). O i grandi temi della politica mondiale, che toccano le vite di tutti e sono all’origine delle grandi fughe: l’ambiente, l’economia, le modalità della cooperazione internazionale.

Suq Festival, Genova giugno 2017

Il progetto MigrArti
La prima forma nazionale di sostegno alla pratica artistica interculturale è il progetto Migrarti del MiBACT, giugnto quest’anno alla seconda edizione.
Per molti versi l’iniziativa richiama finalità e strumenti presenti anche nel programma europeo Europa Creativa. Il sottoprogramma Cultura (che ha sostenuto in misura rilevante anche progetti con capofila italiani, come Caravan dell’Università di Torino) infatti

contribuisce all’integrazione dei profughi nell’UE mediante attività di showcasing e co-creazione a livello europeo, di carattere culturale e audiovisivo. Migliora la comprensione reciproca in ambito culturale e promuove il dialogo interculturale e interreligioso, nonché il rispetto per le altre culture. (…) Più in generale, questo focus sui rifugiati permetterà di evidenziare ancora di più l’importanza dei valori democratici e politici, nonché dei benefici per un cittadini di un dibattito politico vivace e attuale quale aspetto dell’attività culturale.
Vedi http://cultura.cedesk.beniculturali.it/programma-europa-creativa.aspx

L’avviso pubblico del progetto MigrArti, “tenuto conto dell’importanza di coinvolgere nel complessivo progetto di valorizzazione e diffusione delle culture di provenienza le comunità di immigrati stabilmente presenti i Italia dedicando una particolare attenzione ai giovani di seconda generazione”, parla di arte e esperienze da praticare assieme, di lavoro artistico da condividere, di pluralità, di identità, dell’intera filiera culturale e formativa e si propone “la selezione di organismi professionali dello spettacolo dal vivo, che presentino progetti di teatro, danza e musica con l’obiettivo di contribuire alla valorizzazione delle culture delle popolazioni immigrate e allo sviluppo del dialogo interculturale”.
Nell’edizione 2017 per lo spettacolo dal vivo sono state selezionate “36 domande su 159 pervenute, 829 realtà coinvolte, le regioni più attive sono il Lazio, la Sicilia e la Toscana, ciascuna con cinque progetti finanziati”. Per il cinema (che vedeva un alinea di intervento dedicata)

sono state selezionate 40 domande su 214 con 637 realtà coinvolte. In particolare verranno sostenuti 12 rassegne cinematografiche, 13 documentari, 12 film e 3 prodotti di animazione. (…) Le comunità più rappresentate sono quelle di Senegal, Marocco, Camerun, Romania, Cina e Tunisia (…) rappresentano l’intero arco delle realtà del terzo settore, dalle associazioni laiche alle comunità religiose fino alle organizzazioni non governative.

Il Ministro Franceschini ha dichiarato che

Migrarti ha il pregio di far emergere la straordinaria vitalità delle comunità presenti in Italia. Siamo in un momento molto difficile, attraversato da antiche e nuove paure che possono essere affrontate e superate solo attraverso il confronto e la reciproca conoscenza resa possibile da iniziative come questa. Migrarti alimenta l’incontro e lo scambio e da’ ai vecchi e nuovi italiani la possibilità di superare le barriere culturali. Per questo sono state poste le condizioni per far proseguire anche in futuro questa positiva esperienza.
(Roma, 25 maggio 2017, Ufficio Stampa MiBACT)

MigrArti è stata una bella iniziativa, accolta positivamente dagli operatori e che si intende rinnovare. Anche per questo può essere utile rilevare le criticità che non sarebbe difficile limitare nelle prossime edizioni.

Fra gli aspetti positivi:
# l’idea in sé, e il carattere multidisciplinare;
# la scelta di indirizzare il sostegno a progetti promossi da organizzazioni teatrali professionali a condizione che stabiliscano un partenariato con associazioni di comunità di immigrati, di seconda generazione (anche se per la verità un altro dibattito al Festival Suq ha sollevato qualche perplessità su questa definizione, più amministrativa che culturale e antropologica) e alle associazioni UNAR (D.lgs 2015/2003 “che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni”).

Fra le criticità:
# le risorse (750.000 €) davvero esigue, a maggior ragione vista la risposta complessiva da tutto il territorio;
# i tempi: l’avviso aveva come termine il 12 gennaio e prevede che i progetti si portino a termine entro luglio
# il format chiuso: “I progetti artistici dovranno presentare un prodotto finale mono o pluridisciplinare, a carattere inedito e con rappresentazione pubblica, prevedendo un percorso propedeutico a carattere laboratoriale con la partecipazione e il coinvolgimento di immigrati, in particolare di giovani di seconda generazione, con l’obiettivi di promuovere il dialogo interculturale”, che esclude altri possibili formati.

Queste disposizioni implicano una serie di rischi (cui non sarebbe difficile rimediare).
Il principale è l’”eventizzazione” del progetto. Il bando genera una sorta di mega-festival nazionale (con un ottimo rapporto costi ricavi!): il cartellone 2017 Migrarti è concentrato in giugno e luglio, prevede un Premio Migrarti allo spettacolo dal vivo, che verrà assegnato dal 6 all’8 ottobre a Pistoia capitale italiana della cultura, il Premio Migrarti Cartoon e premi vari al cinema con consacrazione finale alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia in settembre.
L’inaugurazione dell’evento è stata a Roma, a Palazzo Venezia, con il concerto della Piccola orchestra di Tor Pignattara il 2 giugno, in occasione della Festa della Repubblica. E’ importante dare visibilità a MigrArti, ma se l’obiettivo è attivare e incidere nelle relazioni interculturali, i tempi di progettazione, maturazione, realizzazione dei progetti sono forse più importanti.
Infine, le occasioni e le ricorrenze possibili, anche legate alle comunità per valorizzarli non mancherebbero: dalla presenze in altri festival, alle feste delle diverse comunità, al Ramadan, al Capodanno cinese, magari anche al Natale;
Il secondo rischio dipende dall’esiguità del contributo massimo: 25.000 € (su un massimo dell’80% dei costi), che esclude progetti impegnativi dal punto di vista del numero di elementi impegnati e dei tempi di lavoro (sempre che si intenda anche lavoro PAGATO), a meno che il progetto non parta da organizzazioni dotate di consistenti risorse proprie.
Qui sta un altro limite dell’impostazione del progetto Migrarti: sia nel 2016 sia nel 2017 diversi contributi sono stati assegnati a Teatri Nazionali, TRIC, Circuiti, Festival già sostenuti dal FUS. Il rischio è che le organizzazioni portanti del sistema teatrale intendano l’intervento interculturale come eccezionale, come un progetto speciale, non come una funzione che va perseguita con regolarità.

Queste considerazioni implicano qualche suggerimento:

# l’attività deve potersi sviluppare su tutto l’anno, se pure prevedendo un momento pubblico (individuato in coerenza col progetto);
# occorrono più risorse, forse non solo dello Stato: si potrebbe immaginare un accordo con le Regioni -che solo raramente hanno attivato interventi dedicati- con le Città e con le Fondazioni di Origine Bancaria (sul modello attivato per le Residenze, e altri protocolli precedenti). E’ infatti soprattutto nella diffusione, nel radicamento e nella qualificazione di questi progetti sui territori che si misura la loro efficacia;
# alzare il contributo massimo, e non escludere altri formati: quello previsto attualmente risulta appiattito sulle pratiche collaudate del teatro sociale e di comunità, che sono efficaci e meritorie (ma non le uniche possibili);
# infine, andrebbe esclusa dai finanziamenti l’area più istituzionale del teatro, quella che già dovrebbe operare anche su questo terreno (Nazionali, Tric, Circuiti): queste organizzazioni potrebbero essere piuttosto sollecitate a essere partner, finanziatori, facilitatori dei progetti (e averne un riconoscimento di merito nel quadro dei parametri per la quantificazione dei contributi ordinari).




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