Educare e formare il pubblico, contro l’omologazione

L'interivsta di Daniele Rizzo per Dioniso e la nuvola

Pubblicato il 07/07/2017 / di / ateatro n. 162

Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.

Daniele Rizzo, nato nel 1980 e laureato in filosofa presso l’Università degli studi di Palermo, fonda con Roberta Monno Persinsala.it (2007), webzine di informazione e critica cinematografica e musicale, di cui è Direttore Responsabile, poi diventata network trasversale con l’apertura di Teatro.persinsala.it (2010), Artegrafica.persinsala.it (2011) e, con la nascita di Persinsala Staging Europa (2017), finestra aperta sui nuovi orizzonti artistici, culturali e umani dell’Europa e del Mediterraneo, con pubblicazioni critiche in lingua straniera (francese, inglese e greco) da Gran Bretagna, Francia e Grecia.

Come nasce Persinsala?

Nasce nel 2007 dall’esigenza strettamente personale, mia e della mia compagna di allora, Roberta Monno, di avere uno spazio di espressione, e dalla sintesi delle rispettive competenze tecnico-critiche. Sia io che la mia compagna avevamo una impostazione più legata alla didattica e all’insegnamento (siamo entrambi docenti di scuola secondaria superiore). Lei con una formazione anche specifica sul cinema, ma guidata dalla passione per la settima arte. Io come webdesigner.
Persinsala, come insieme di riviste culturali, nasce nel 2007 dall’esigenza di proporre un panorama a 360° dell’offerta culturale in Italia: dalla prosa al cinema, dal concerto jazz alla mostra fotografica o di design, attraverso tre riviste online sempre all’avanguardia. L’obiettivo è di fornire una critica seria e puntuale e allo stesso tempo facilmente fruibile anche dai non esperti. 
Dopo un iniziale periodo in cui Persinsala è stato poco più che un blog, dall’incontro con personalità di grande competenza è nata un’associazione non a fini di lucro che oggi è composta da oltre 50 persone esperte del settore, operanti su tutto il territorio nazionale e in continua espansione per numero di corrispondenti, settori di interesse e città monitorate, con redazioni centrali a Roma, Milano e Lucca (attualmente in fase di apertura a Napoli).
La forma giornalistica che oggi caratterizza Persinsala nasce con l’incontro con Simona Frigerio e si è via via consolidata, ampliata e strutturata in relazione a degli obiettivi: nuovi settori di interesse (teatro e arte) ed espansione più ampia possibile in corrispondenza con l’ingresso in pianta stabile nella redazione di esperti e cultori – seppur anche giovanissimi – di quello che hai chiamato “mondo del teatro”. Questo ha comportato una nuova organizzazione: inizialmente friendly, abbiamo dovuto darci delle regole, indispensabili per gestire 50/60 redattori e redattrici in mezza Italia. I rapporti personali rimangono ovviamente i più importanti. 
Persinsala era e rimane una passione, l’occasione di investire il proprio tempo libero in qualcosa che gratifica a livello personale, più che professionale. Le relazioni – con uffici stampa, teatri, compagnie, artisti, collaboratori – che abbiamo costruito sono tutte all’insegna della qualità: siamo arrivati a pubblicare 150 articoli in un mese, ma chi fa parte di questa associazione deve sapere benissimo che si tratta di offrire dedizione e massima serietà e che l’unico corrispettivo è l’intima e spirituale gratificazione e il poter coltivare le proprie passioni.

Cosa ne pensi del rapporto tra critico e teatranti?

Ne parlavo l’altro giorno con Igor Mattei e Silvia Frasson. Da una parte esiste il rischio che un rapporto di amicizia possa far perdere obiettività; dall’altro le amicizie nascono spontaneamente ed è assurdo, visto che sono l’essenza della vita, rinunciarvi solo perché ci si lascia rinchiudere in definizioni alienanti e coercitive (critico e teatrante). Non ho quel timore, perché l’onestà di un sincero punto di vista è il più grande dono che possiamo fare ai teatranti, penso l’unico modo per fare della critica un sensato campanello d’allarme.

Ma si riesce a essere obiettivi a teatro?

L’obiettività è un concetto altamente discutibile. A mio parere, la questione è la sincerità della propria soggettività, che non va mai sottovalutata o nascosta. Le argomentazioni provengono sempre da un determinato patrimonio culturale e sociale, non sono mai neutre e non sono mai obiettive. Il critico ha chiara la propria fallibilità e incompletezza. La pretesa dell’obiettività, del pensare di poter fare “la” critica, comporta il grande rischio di una critica che parla a se stessa, pensando di poter dispensare consigli su ciò che è giusto o sbagliato. 
Oltre a dimenticare che è facile dare simili giudizi senza mettersi alla prova (da qui la critica alla critica di essere teatranti mancati), è ingannevole proprio l’assunzione di fondo. La critica di uno spettacolo è una apertura al confronto tra idee, figlie di gusti e vissuti individuali, e l’esperienza di evento che si sta consumando in un determinato momento. Pensare di prendere la propria sensibilità, la propria cultura, le proprie aspettative come metro di valutazione determina la morte della stessa critica ed è forse uno dei motivi per cui si crea un pessimo rapporto con tante persone che fanno teatro e che ci vedono come il male. Perché vedono nella critica il tentativo di pilotare dall’alto, di indirizzare i gusti e guidare il pubblico rispetto alla scelta.

Ma riesce a indirizzare la critica?

Io penso di sì, non so se purtroppo o se per fortuna. Ho parlato di morte della critica come giudizio non di valore, ma personale. La critica che definisce il teatro – o l’arte in genere – compie una operazione culturale complessa che, oltre a essere legittima, è stata storicamente in una posizione dominante. L’operazione dell’idealismo, per esempio, di identificazione del Reale nel Razionale, ovvero la presupposizione ideologica di un Senso della realtà che inserisce a “forza” un’essenza nell’esistenza. Un’operazione dunque altissima, ma che non mi appartiene. Rispetto l’idea che la critica possa proporre una tesi da dimostrare poi successivamente attraverso i fatti, ma preferisco l’operazione opposta: dalla parzialità di un’esperienza consapevole alle valutazioni di carattere generale. 
A mio parere, una politica culturale basata sull’accordo preventivo tra critica e teatranti comporta conseguenze deleterie. Nei confronti del pubblico, in primis, perché lo si priva della reale possibilità di scelta. Un esempio di come ciò potrebbe avvenire è la pianificazione di una programmazione che esclude possibili conflitti tra artisti e teatri “amici”. In questo modo si favorisce la concentrazione del pubblico, ma si finisce per tagliare fuori chi non appartiene al “giro buono”. A Roma, ma non solo, sembra funzionare così e, anche se questo avviene sulla base di cartelloni e teatri di qualità, il principio mi sembra sbagliato e a lungo andare potrebbe determinare mancanza di stimoli. Questo tipo di gestione – quasi a tavolino – della cultura teatrale sterilizza il processo creativo, tra gli artisti e gli organizzatori, fomentati dal successo di pubblico e di critica; rischia di perdersi quella virtuosa molla della competizione che dovrebbe animarli. Dal versante della critica, questo non mettersi in gioco si manifesta smettendo di andare a recensire ovunque a prescindere dal teatro e dalla compagnia. Decisamente contraddittorio. La critica non può andare prioritariamente nei teatri blasonati o dalle compagnie importanti. È banale dirlo, ma proprio per questo è drammatico e necessario farlo.

Come si finanzia la critica oggi?

Io e (più o meno) tutti quelli che collaborano con Persinsala abbiamo un altro lavoro. Io insegno Filosofia e Storia, e Sostegno alle Scuole Secondarie Superiori. Persinsala non ha fonti di guadagno e non siamo mai riusciti a pensare concretamente a un proposta commerciale.  Ci sono eccezioni, come Valeria Palumbo, ex caporedattrice dell'”Europeo”, ma siamo su un altro livello, quello di chi fa giornalismo e critica teatrale da almeno trenta anni e comunque meriterebbe ben altra valorizzazione.

Chi è il critico oggi?

Questa domanda va un po’ oltre le mie competenze e le mie capacità. Probabilmente è chi espone in maniera argomentata e “discutibile” al pubblico – reale o virtuale – le proprie considerazioni culturali. Dire che chiunque è critico e che il Critico è nessuno, è la stessa cosa. È la capacità di offrire un contributo al dibattito e alla riflessione, di funzionare da stimolo e da termometro, con la sincerità di cui parlavo prima, che distingue il critico dall’opinionista, che è libero di dire anche quello che non pensa, pur di eccitare le “tifoserie”.

La differenza tra blog e riviste?

Esclusivamente di impostazione. Il senso può essere lo stesso. La critica e l’informazione viene dalle riviste, quanto dai blog. Paradossalmente, i blog permettono una totale libertà, anche stilistica. Le riviste hanno regole editoriali, procedure di funzionamento, standard di pubblicazione che assicurano omogeneità, non pensati per limitare l’espressione, ma per avere un recinto entro il quale muoversi.
I teatri, i festival e gli enti danno credito a Persinsala non perché siamo una rivista dal taglio giornalistico per cui ogni articolo viene reso fruibile al grande pubblico grazie a un controllo severo sui contenuti e sul linguaggio utilizzato, ma perché riconoscono precisione e puntualità nel presenziare a tutti gli eventi e la capacità di porre in essere sempre nuovi mezzi di comunicazione per raggiungere fasce di spettatori più vaste (grazie anche alle videointerviste e ai servizi videogiornalistici).

Qual è la differenza tra un blogger e un critico?

Fondamentalmente nessuna. Un blogger può essere un critico, perché no? Non credo esista una patente da critico, qualcosa che permetta di dire “io sono critico e tu no”. E poi chi darebbe questa patente? Ogni quanto si rinnova?
 
Per chi scrive e da chi viene letto il critico?

Darò una risposta che vale solo per Persinsala. Noi siamo letti dagli addetti del settore, uffici stampa, maestranze in genere. Il lettore “comune” esiste, ma soffre di una grande ambiguità: sono in pochi ad andare a teatro cercando un reale confronto con lo spettacolo. Solitamente, ed è una questione enorme, il pubblico si forma su consigli di amici o per abitudine. Anche se a Roma c’è un’offerta enorme o se in Toscana le realtà più vivaci sono quelle più periferiche (pensiamo a Pontedera), spesso si va al teatro più vicino, a quello al quale si è sempre andati, a quello in cui l’amico recita. Il problema del pubblico è, a mio modo di vedere, il più urgente, in quanto vittima del problema stesso.
Il teatro, la cultura si fa perché esiste un pubblico, è ovvio, ma quando tutte le istituzioni educative sono in difficoltà (la scuola resiste contraddittoriamente al proprio naufragio, lo Stato disperde i pochi fondi destinati allo spettacolo tra nepotismo, clientele e corruzione) e i media sono al servizio di una industria culturale – principalmente televisiva – omologante e tendente al basso, si ha la naturale conseguenza di un pubblico eterodiretto.
Teatri vuoti, nessun incentivo alla sperimentazione, presenza massiccia di volti noti senza alcuna parte né arte, insomma un circolo vizioso. Forse è vero che il pubblico poco educato è incapace di scegliere, ma di questa situazione è, come dicevo, la vittima.
Liquidare il discorso sul pubblico con un “non capisce” è assurdo, oltre che rischioso, visto che il gusto comune va messo in discussione anche nelle sue manifestazioni più alte e radical.

Un discorso più sull’educazione dello spettatore?

Sì, c’è un problema di educazione del pubblico. La questione della critica è collegata perché sta accanto a quella più generale della mancanza di una autentica formazione culturale che parta dalla scuola, ovviamente, e si mantenga permanente. La critica deve fare la sua parte non solo organizzando corsi e seminari, ma con l’attività quotidiana, che dovrebbe essere mossa dalla sana curiosità di scoprire cosa si nasconde nelle periferie di tutto ciò che è “istituzionale”.

Fate parte di Rete Critica e votate.

Rete Critica è stata una bella idea, una speranza di innovazione, ma alla fine tutto sembra essere rientrato nell’ambito della autoriflessione teorica, della ricerca di definizione di se stessi. Non partecipiamo alle loro riunioni, ai loro eventi semplicemente per mancanza di tempo. Invidio i miei colleghi che riescono a fare bene e tanto. Lo dico senza la minima ironia. Parteciperei volentieri e lo farò se ci sarà occasione.

Allora perché fate parte di Rete Critica?

Ci hanno invitato dalla prima edizione, abbiamo deciso all’unanimità di farne parte e non abbiamo mai discusso se uscirne o meno. Quindi siamo rimasti un po’ per inerzia, un po’ perché la fase di votazione è comunque un esercizio di democrazia pubblica. Fermo restando che non ritengo sia necessario esserci, forse è un errore non partecipare attivamente alle loro attività. Di certo non è un atteggiamento altezzoso, è semplice mancanza di tempo e altre priorità.

Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?

Interpreto questa affermazione in due modi completamente opposti, anche se non penso che essa si presti poi così tanto a quello che fa un critico. 
Ti sporchi le mani perché non fai quello che secondo me dovresti fare (e qua torniamo alla questione del critico sopra esposta), quindi vieni a meno al patto morale che hai, in primo luogo, con te stesso e con chi ti legge. Te le sporchi perché lo fai ed entri in conflitto con chi pensava che avessi obblighi nei suoi confronti: qua entriamo nel campo del “perché io so io e voi non siete un cazzo”. Capita di sentirselo dire, ma il livello è talmente basso che non val la pena prenderlo sul serio.
A me non risulta che il critico venga pagato. Quindi anche se sarebbe contraddittorio, non escludo conflittualità economiche, anche se una cosa del genere non mi è mai giunta a conoscenza. Purtroppo non ci sarebbe nulla di strano, ci sarebbero molti modi “legali” per pagare un critico o una testata. Per esempio, da parte dei teatri, dando – attraverso una dubbia selezione – l’opportunità o meno di organizzare attività nelle proprie strutture. A Roma ci è successo, è stato antipatico, ma ci è servito per crescere.

Ma la critica ha perso valore con il fenomeno web?

Assolutamente no. Penso l’esatto contrario.

Tutti possono scrivere e quindi tutti possono essere critici?

Vedo il proliferare delle riviste e dei punti di vista come una ricchezza. A differenza di qualche anno fa, esistono tantissime riviste web specializzate e quasi tutte di alto, se non altissimo, livello. Non c’è gente che si improvvisa, ma preparazione diffusa. Ed è un fatto estremamente positivo perché stimola in alto la competizione tra le riviste stesse.

Su Persinsala si possono mettere le stelline, da 1 a 5. Una sorta di tripadvisor teatrale?

Il voto viene dato all’evento, quindi allo spettacolo, dai nostri lettori. Trovo utile tripadvisor e, anche se non leggo praticamente mai le recensioni di altre riviste, e che sia sempre utile offrire una – pur piccola – forma di partecipazione ai nostri lettori. Anche a quelli più timidi che, invece di lasciare un commento, si limitano a votare lo spettacolo.

Ha ancora senso parlare di critica oppure si può parlare di opinionismo?

Credo si possa parlare di critica che, anzi, sia opportuno farlo. La critica deve aprire un solco all’interno di quello che c’è, non può svolgere una funzione meramente elogiativa o descrittiva dell’esistente, deve essere capace di collegarsi a una visione culturale più ampia per mettere in evidenza le strutturali mancanze o positività. Le opinioni devono avere un peso per chi fa critica che, però, deve andare oltre il semplice “istinto” del momento. La valutazione critica mette in discussione prima di tutto se stessa.

(dicembre 2014)




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