L’importanza della funzione critica, tra accademia e informazione

L'intervista di Maddalena Giovannelli per Dioniso e la nuvola

Pubblicato il 10/07/2017 / di / ateatro n. 162

Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.

Maddalena Giovannelli nasce a Milano nel 1982, si laurea in Scienze dell’Antichità e nel 2010 consegue il dottorato di ricerca in Letteratura, filologia e tradizione classica all’Università degli Studi di Milano, dove ora è Ricercatrice. Si occupa di letteratura teatrale della Grecia antica e di ricezione del teatro classico sulla scena contemporanea. Nel 2007 fonda la rivista “Stratagemmi_prospettive teatrali”, costituita da un trimestrale cartaceo e da una testata online aggiornata giornalmente. È redattrice die“Dionysus ex machina”, collabora con “Hystrio” e con la rubrica “Scene” di Doppiozero. Dal 2011 è titolare del laboratorio “Il teatro antico sulla scena contemporanea” presso l’Università degli Studi di Milano e, nell’ambito delle attività di Stratagemmi, tiene laboratori di formazione alla critica teatrale nelle scuole superiori di Milano e nei festival.

Maddalena Giovannelli

Chi è Maddalena Giovannelli e come è arrivata al teatro?

Sono arrivata al teatro seguendo due passioni nate e coltivate dal liceo: da un lato la passione per lo studio del teatro greco; dall’altro quella per il teatro ‘vivo’ nata dopo aver seguito un laboratorio teatrale. Quindi ho scelto lettere classiche all’università, e ho cominciato a seguire la programmazione delle sale milanesi.
Una volta conclusa l’università, è arrivato il momento delle scelte. Con alcune amiche (che poi sono le tre fondatrici di Stratagemmi) ci siamo rese conto che, nonostante si fossero intrapresi percorsi lavorativi differenti, il teatro era ancora il nostro denominatore comune: con la sua capacità di unire sguardi differenti il teatro riusciva a “penetrare” in ogni nostra attività. Il nome che abbiamo scelto, Stratagemmi. Prospettive Teatrali, racchiude il concetto di multidisciplinarietà del teatro, palesando la natura camaleontica del teatro: da ogni nostra disciplina guardiamo il teatro e il teatro guarda noi.
Stratagemmi nasce strettamente legata all’ambito accademico e poi, negli anni, ci siamo progressivamente orientate verso un’attività critica più ‘militante’, con progetti sul giovane pubblico, una rivista online, una fitta vita associativa. Le attività risultano comunque per me complementari, sono nate e continuano a evolversi insieme.”

Qual è l’esigenza da cui nasce Stratagemmi?

Uno tra i nostri obiettivi è mettere in continuo dialogo il mondo accademico e quello del teatro. Spesso capita che chi si occupa di ricerca in ambito accademico, o chi studia ad esempio il teatro di un determinato periodo (o di un certo autore) non si preoccupa di capire quali siano effettivamente le ricadute dei suoi studi sulle prassi del contemporaneo. A parte pochi personaggi estrosi, come Dario del Corno o Fausto Malcovati, si riscontra una mancanza di comunicazione penalizzante per tutto l’ambito teatrale. Un confronto sarebbe invece fonte di vita per tutti quelli che lavorano attorno alla scatola magica: si prenderebbe linfa vicendevolmente, i teatranti per approfondire e gli studiosi per non immobilizzarsi sui libri. Purtroppo questa comunicazione è molto rara, e l’idea di Stratagemmi è unire lo studio all’attualità teatrale: sparigliare le carte insomma!”

Nella sezione Studi, nel “manifesto” di Stratagemmi, se si può definire così, si legge: “Spregiudicatezza di idee e magari innovative che guardano al di là di un orientamento tradizionale”. Che cos’è un orientamento tradizionale e quali sono i principi delle tesi innovative che proponete?

Ti racconto un episodio che mi è capitato durante il mio dottorato: è uno degli insegnamenti più preziosi che ho tratto dalla mia formazione accademica. Con alcuni colleghi avevamo organizzato una graduate conference, un convegno dove giovani studiosi presentano gli esiti delle loro ricerche. Anche se non strettamente collegato al nostro ambito di discussione, avevamo invitato Carlo Ginzburg, uno storico molto noto che da diversi anni lavora negli Stati Uniti. Dopo aver ascoltato tutte le relazioni, ha esordito dicendo di capire il motivo della stagnazione italiana: con il tempo a disposizione per la presentazione del progetto, gli studenti ne spendevano la maggior parte per tracciare lo stato dell’arte, ritagliando solo gli ultimi minuti per parlare del proprio contributo. Troppo spesso i giovani studiosi rimangono seppelliti da linee di tendenza e studi altrui, che sono sì il punto di partenza imprescindibile, però poi bisogna scavarsi un proprio spazio di pensiero autonomo. Guardando in parallelo al mondo accademico e a quello della critica, osservo due attitudini opposte: nel mondo accademico c’è la tendenza a trincerarsi dietro rassicuranti tradizioni di studi; la critica, al contrario, rischia di lasciare spazio al gusto, all’opinione soggettiva e alla propria impressione, senza mettere in relazione l’opera a un più ampio percorso diacronico. Come in tutte le cose, la virtù sta nel mezzo: agli accademici che scrivono per noi chiediamo di esporsi, ai critici di non soffermarsi solo sul qui ed ora dello spettacolo, ma di proporre connessioni e paralleli di ampio respiro.

Chi è il critico oggi?

Rispondere a questa domanda è doloroso: fare il critico teatrale non è un lavoro, se intendiamo per ‘lavoro’ una attività per cui si viene pagati. Il critico è oggi una figura ‘spuria’, ‘contaminata’, e penso che lo diventerà sempre più: all’attività di critico è necessario affiancare un’altra attività, e questa può essere più o meno coerente con quella critica. C’è chi fa attività accademica, chi organizza eventi e festival, chi cura progetti di audience development, chi lavora come ufficio stampa, chi invece per guadagnare fa tutt’altro; certamente alcuni di questi lavori costringono il critico a interrogarsi sui potenziali conflitti d’interesse e ad agire di conseguenza. Quel che è certo è che la figura del critico pagato è una rarità e sembrerebbe in via d’estinzione.

E che ruolo ha oggi il critico?

Oggi si dichiara a gran voce la morte della critica: ma non viene meno l’importanza di una funzione critica. Anzi è un momento storico in cui ne abbiamo più che mai bisogno, anche solo banalmente per le modalità di comunicazione del contemporaneo che ci spingono sempre più alla velocità nell’aggiornarci, ma non all’approfondire. Stiamo andando verso un’informazione orizzontale a discapito di una verticale. I tempi di permanenza sulle nostre pagine web sono indicativi, il lettore passa rapidamente da un contenuto all’altro, non si prende quasi mai il tempo per approfondire. Questo purtroppo si sta verificando a tutti i livelli, persino nell’accademia che dovrebbe essere il luogo dell’approfondimento per eccellenza. Il fermento di questi anni nella critica è un ottimo segno: abbiamo estremo bisogno di un pensiero critico, inteso a livello etimologico, abbiamo bisogno di separare ciò che è buono da quello che non lo è, mettere le mani in pasta e approfondire. Critica, per me, è avere il coraggio di “metterci del proprio”, è ostinarsi ad argomentare e approfondire, tutte cose che sembrerebbero un po’ anacronistiche ma di cui credo ci sia bisogno.

Cosa vuol dire quindi sporcarsi le mani per un critico?

Fondamentalmente due cose, entrambe sono già parzialmente emerse. Da un lato, se la figura del critico puro non esiste più, sporcarsi le mani vuol dire trovarsi nella condizione di avere un’altra attività; e, allo stesso tempo, adoperarsi perché quell’attività non si metta in contraddizione con quella di critico e non inquini la limpidezza dello sguardo. Dall’altro lato sporcarsi le mani significa entrare nei processi creativi, prima che questi giungano a una forma compiuta: trovare spazi di condivisione di pensiero con le compagnie, dare consigli, assumersi un ruolo curatoriale, pensare a modalità di affiancamento e ibridazione. Tutte queste pratiche comportano un’assunzione di responsabilità: fino a dove posso spingermi? Dove si crea conflitto di interesse? Quando è meglio fare un passo indietro?

Cosa pensi del fatto che con la rete tutti possono scrivere indiscriminatamente? I blog vengono letti?

Penso sia un rischio potenziale di tutta la rete. Strettamente legato alla critica, non penso che sia una minaccia il fatto che tutti possano esprimere la loro opinione. Penso che l’autorevolezza si conquisti sul campo e non credo che un nome valga l’altro, il lettore è meno ingenuo di quanto si pensi, soprattutto a livello teatrale. Ma davvero c’è chi pensa che una recensione mal scritta abbia lo stesso peso di una recensione su un sito che si è conquistato nel tempo un’autorevolezza come Altre Velocità? Non valgono uguale e non hanno lo stesso peso. Il lettore capisce quando il recensore non sa guardare lo spettacolo e si limita a raccontare la trama.
I siti di critica teatrale sono più letti di quanto ci aspettiamo, e in qualche modo gli utenti della rete mostrano di saper selezionare. Cito il fenomeno Teatro e Critica: TeC è spesso il primo risultato che esce in una ricerca online, e questa è una conferma indiretta dell’alto numero di visualizzazioni da parte dei lettori. Il riconoscimento, poi, si guadagna sul campo, e alla lunga ripaga. Credo che nell’ambiente, oggi, tutti saprebbero dire chi è Roberta Ferraresi: una studiosa e critica che si è conquistata la sua autorevolezza giorno per giorno, nella pratica.

Quindi il critico per chi scrive?

Per tanti lettori diversi. Innanzitutto per gli artisti stessi: la recensione può essere un momento di riflessione e di specchio del lavoro fatto. Non è un giudizio ex cathedra, è un comunicare quello che si è percepito durante la visione dello spettacolo. Poi la recensione dovrebbe rappresentare una riflessione condivisa con gli spettatori, un modo per ripensare a quanto si è visto, e per confrontarsi con lo sguardo di altri. E infine anche un aggiornamento per operatori e per critici: i diversi siti sono sparpagliati geograficamente, e permettono un monitoraggio su tutto il territorio. Ci si vuole aggiornare sul territorio romano? C’è Teatro e Critica. Si vuole curiosare in Italia centrale? Ci sono Altre Velocità e Tamburo di Kattrin.
Sicuramente il rischio è quello di rivolgersi unicamente a un pubblico di nicchia: la sfida, per chi fa critica oggi, è cercare il più possibile di allargare il proprio pubblico di riferimento. La sollecitazione dello spettatore, del resto, è una delle prove di questi anni: molte della realtà che si occupano di critica stanno lavorando per creare un ponte tra teatro e pubblico con progetti ad hoc. Noi, per esempio, siamo attivi con il progetto Acrobazie Critiche, che ci fa lavorare con ragazzi delle scuole superiori, e tanti altri organizzano momenti di incontro e approfondimento rivolti agli spettatori più curiosi.
Tempo fa Andrea Perini, con un progetto che si chiama Terzo Paesaggio, ha fatto un giro per gli stabili italiani proponendo un questionario agli spettatori. È emerso – cosa che non mi aspettavo – che gli spettatori di tutta Italia avrebbero voglia di un confronto con il critico dopo gli spettacoli, soprattutto nei casi di teatro contemporaneo. Gli spettatori hanno quindi voglia di riflettere e bisogna ritrovare lo spazio per un sano dibattito, come avviene normalmente in altre discipline culturali come l’arte contemporanea.

Come si finanzia la critica?

Questo è il nodo di Gordio! La critica teatrale registra un fermento che non ci si aspetterebbe, in parte maturato in seguito a un momento di grande espansione della scena teatrale nello scorso decennio. Stava succedendo qualcosa sui palchi italiani, e valeva la pena raccontarlo! La quantità di persone che si occupa di critica teatrale è sconcertante se si pensa quanto poco in realtà conti il teatro nella percezione comune; ed è ancora più sorprendente nel paragone con l’ambito musicale o quello cinematografico. Ma quanti dei critici teatrali più attivi guadagnano dal mestiere? Quasi nessuno! Il critico teatrale stipendiato regolarmente dalla redazione di un giornale sostanzialmente non esiste più o è in via d’estinzione; ma non si è ancora trovata un’altra via davvero funzionante.
Il profilo professionale del critico (cioè le fonti delle sue eventuali entrate) bisogna reinventarlo di volta in volta: con bandi, idee, progetti differenti e non puramente critici”

La figura di un critico militante alla Quadri ha senso oggi?

Ci sono, tra i tanti, due aspetti interessanti nella figura e nell’operato di Quadri: l’uno è di fatto superato, l’altro più che mai attuale. Il primo: l’influenza del suo parere sulla distribuzione dello spettacolo e sulla fortuna (o la sfortuna) di un artista o di una compagnia. In una parola: potere. Oggi nessun parere critico ha così tanto peso da determinare i processi di distribuzione, e nessuna personalità si è conquistata altrettanto potere. Il secondo aspetto: la capacità di intendere l’attività critica come un’attività a largo spettro, ampia, dinamica, costellata da molteplici progetti, profondamente connessa con la vita. Nel suo modo di intendere la critica, nella sua personalità (penso alla fondazione con risorse proprie di una casa editrice, o all’istituzione) si trovano le radici del critico di oggi.

Ma un critico può portare a teatro spettatori oppure no?

Non credo che, oggi, una recensione o il parere di un critico sposti realmente il pubblico: accade raramente e in minima parte. Il critico, se non con la scrittura, può però arrivare a ‘spostare’ e a incidere attraverso altre attività: i percorsi di visione con i giovani spettatori, i laboratori di critica nelle università. Forse, oggi, il punto non è indirizzare verso l’uno o l’altro spettacolo, ma verso l’atto stesso della visione.

Ma i ragazzi che portate a teatro dopo sono tornati a teatro?

Riusciamo a monitorare la cosa solo parzialmente, non è possibile con le risorse che abbiamo a disposizione seguire ogni singolo caso. È comunque una sfida che val la pena portare avanti anche per piccoli numeri: è già un successo superare l’istintivo rifiuto che molti hanno verso il teatro. Noi piantiamo un seme, diamo uno stimolo, e tranne rari e bellissimi casi in cui germina subito, si spera che questo nasca e cresca più avanti.
La scelta dello spettacolo è fondamentale: il punto non è che sia bello o brutto, ma vivo. I ragazzi percepiscono subito quando c’è vita sul palcoscenico.

Che differenza c’è tra blog e rivista online? E tra web e carta stampata?

Stratagemmi è una rivista sia cartacea sia online. I contenuti che pubblichiamo in rete sono esito di un lavoro redazionale spesso lungo, e non di una pubblicazione istantanea e senza filtri: per questo preferiamo definirci rivista che blog. Anche se tra noi abbiamo opinioni diverse sugli spettacoli, abbiamo una comune idea del teatro: per questo – a differenza di altre testate che cercano di ‘coprire’ più spettacoli ed eventi possibile – preferiamo non ampliare più di tanto la redazione. Per noi è essenziale conoscersi bene e ‘sperimentarsi’ nell’attività concreta.
Il cartaceo è per noi il lusso dell’approfondimento, dello spazio esteso, della riflessione non istantanea. La nostra griglia di testo, nella rivista, è caratterizzata da un ampio spazio bianco ai margini, che abbiamo pensato per prendere appunti: la carta rappresenta per noi la fruizione lenta e meditata dello studio sul teatro. Certo le tirature non sono alte, gli sforzi enormi, e raggiungiamo molti meno fruitori che con il web. Ma, finché potremo, non vogliamo rinunciare a questa nostra ‘anima’: anche questa è una specificità di Stratagemmi.




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