Teatro Akropolis: a scuola con Giorgio Colli per Nietzsche

Il progetto teatrale di Clemente Tafuri e David Beronio a Genova

Pubblicato il 08/09/2017 / di / ateatro n. 162

Villa Rossi Martini sorge all’interno di un parco a Sestri Ponente

A Sestri Ponente inerpicandosi per una strada che profuma di erba bagnata, lasciandosi alle spalle il mare, si arriva nel cortile di una scuola. Una vera scuola, fatta di banchi e aule. La Scuola Media Alessandro Volta Antonio Gramsci condivide lo spazio che ospita la sede della Compagnia Teatro Akropolis. Un ufficio panoramico arredato con pelli e cuoio – che svela la passione per l’artigianato del conciare di Clemente Tafuri, che è anche creatore del logo della compagnia, una scultura che bene ne esemplifica la poetica – è la base artistica che abbraccia un edificio che inaspettatamente racchiude come in uno scrigno quel “ventre di balena” che è un’attrezzatissima sala teatrale. Alla compagnia è stata inoltre affidata la direzione artistica del Centro Linguaggi Espressivi Contemporanei, la cui sede è una suggestiva villa del Settecento, la Rossi Martini, luogo privilegiato per progetti di residenza.
Teatro Akropolis è giunto nel 2017 alla ottava edizione del suo festival. La compagnia pubblica importanti testimonianze grazie ad AkropolisLibri, in cui invita gli artisti ospiti a scrivere del loro lavoro: senza inutili presunzioni e malintesi, è così possibile attingere alla volontà e ai messaggi della scena. Nel teatro ha sede il Centro Studi Alessandro Fersen, che svolge attività di formazione e coordinamento tra le realtà del territorio ligure e non solo. Dal 14 al 16 settembre sarà ai Cantieri Culturali di Palermo, coinvolto nel progetto “Adiacenze”, nella sezione “Possibili artistici e possibili processuali in natura”, a cura di Marco Canzoneri e Sabino Civilleri, con la partecipazione di Ugo Giacomazzi, Luigi Di Gangi, Paolo Valentini, David Beronio, Claudio Collovà, Giuseppe Massa e altri gruppi teatrali aderenti al progetto. È anche presente all’iniziativa “Trasmissioni” dedicata alla condivisione e osservazione della danza, per Teatri di Vetro 11, con le coreografe e danzatrici Paola Bianchi, Loredana Parrella e Giovanna Velardi. Tra i seminari tenuti quest’anno all’Akropolis ricordiamo quello di Elena Lamberti sulla distribuzione e promozione degli spettacoli e di Claude Coldy sulla danza sensibile.

Logo di Teatro Akropolis, realizzato da Clemente Tafuri

Al Festival di Akropolis – svoltosi tra il 21 marzo e il 7 maggio – hanno preso parte tra gli altri Marco Martinelli (Farsi luogo. Varco al teatro in 101 movimenti), Massimiliano Civica (Parole imbrigliate. Lezione-spettacolo su Eduardo De Filippo), Lorenzo Gleijeses (con una Sessione di lavoro patafisica con Eugenio Barba) e Andrea Cosentino (che ha condiviso le sue Esercitazioni per un nuovo teatro nuovo). Quest’ultimo ha espresso il suo pensiero artistico che intende intrattenere lo spettatore, ma anche se stesso, nonostante la “condizione postmoderna”, insistendo comunque nella volontà di fare festa, seppure nella sconfitta di un sistema teatrale “mortifero”, come quello attuale.
Alessandra Cristiani con Entrana, con i dipinti di luce di Gianni Staropoli, si mostra diafana in un corridoio di chiarore che vivifica un silenzio-ascolto, maturato dall’esperienza della danza butoh. Eppure sembrano scorgersi dettami della mitologia classica, in una Hermes divina, satiro danzante con la sua maschera e persona divorata da una trama di capelli e foglie e pioggia, evoca la Cacciata del Masaccio. Ma il corpo consapevole scrive con il metallo quasi in trance sul pavimento della scena: “Non devo volere”. Con questa frase Cristiani, più che una citazione ispirata da Etty Hillesum, attraverso la danza “delle tenebre”, ricorda che ciò che anima la danzatrice sulla scena è la continua trasformazione interiore. E d’altro canto “il rischiare non ammette alcuna distrazione” dichiara la stessa artista. Olimpia Fortuni, con la produzione di Sosta Palmizi, è stata presente con Soggetto senza titolo. Il suo personaggio gioca con la valenza del doppio, del potere, liquida è l’identità che viene esibita: “un viaggio dall’infanzia alla maturità”. Il movimento corporeo simula la chiamata alla felicità, alla libertà, trasmessa dalle parole di José Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay, nel suo discorso all’ONU nel 2013, un inno alla preziosità delle risorse naturali e umane mondiali; l’abbigliamento suggerisce invece una ironica ottemperanza alla legge dell’emoticon.

Olimpia Fortuni in Soggetto senza Titolo, spettacolo selezionato alla Vetrina della giovane danza d’autore 2016 – Anticorpi XL; selezione Visionari Kilowatt Festival 2017

Nel 2017 David Beronio e Clemente Tafuri, direttori artistici di Akropolis, sono scelti per rappresentare con la loro realtà il luogo d’elezione per “celebrare”, dal 5 al 7 maggio, il convegno curato da Marco De Marinis e intitolato Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967-2017 (v. https://www.ateatro.it/webzine/2017/05/03/il-covnegno-di-genova-ivrea-cinquanta-mezzo-secolo-di-nuovo-teatro-italia-1967-2017/).Il programma dell’ottava edizione del festival Testimonianze Ricerca Azioni, di Teatro Akropolis, ha anche presentato Trame nascoste. Due giornate di studi su Giorgio Colli a cento anni dalla nascita a cui hanno preso parte Massimo Cacciari, Giuliano Campioni, Marco Martinelli, Carlo Sini, Andrea Tonni e Luca Torrente. La vocazione per la formazione e diffusione del sapere filosofico e mimetico non è pertanto estranea alla compagnia. Tra gli spettacoli in programma da segnalare la spettrale allucinazione uditiva di Walter Cesarini che con Il senso del moto, performance acusmatica, “fuori dal discorso”, riflette sui concetti di “opera, memoria e suono pre-musicale” e dà vita alla condivisione dell’esperienza artistica maturata, grazie alla frequentazione del laboratorio “Arabesco”. Quest’ultimo è una possibilità di ricerca e di formazione gratuita.

Giorgio Colli definisce con precisione quanto scaturisce dalla lezione del Così parlò Zarathustra di Nietzsche. E le parole di Colli sul testo di Nietzsche descrivono bene Morte di Zarathustra di Teatro Akropolis, “un percorso di ricerca sulla nascita della tragedia”:

In quest’opera ciò che conta è il dettaglio, la singola visione o addirittura quello che non c’è scritto, il tempo, il colore musicale, questo o quel cantabile o smorzando, o crescendo o teneramente, piuttosto che non i pensieri di fondo […] Una filosofia è di regola una manipolazione di concetti, i quali esprimono oggetti sensibili, mentre qui immagini e concetti non esprimono concetti né cose concrete, sono simboli di qualcosa che non ha volto, sono espressioni nascenti (Colli, 1980 5ª).

Lo spettacolo esemplifica la poetica di Akropolis. La regia di Tafuri e Beronio, con Luca Donatiello, Francesca Melis, Alessandro Romi e Felice Siciliano, è formale e simmetrica disposizione dell’esperienza coeva che “contrappone il principio della vita al principio della morte”, secondo il punto di vista di Nietzsche. La forma della messinscena è attenta a veicolare equilibrio nelle posizioni tra i quattro attori in scena, il bilanciamento della energia è seguito anche nel genere sessuale, misto e ctonio, per rispecchiare l’individuazione del capro espiatorio dichiarata, in questa tragedia – che è anche un dramma satirico – della rivolta al significato.

Morte di Zarathustra

Non è un caso che in questa “performance” siano presenti sia la componente tragica sia quella comica, dal momento che il coro ditirambico è una forma da cui si generano entrambi gli stili teatrali. Per questa ragione Clemente Tafuri e David Beronio fanno proprio anche il concetto nietzschiano di “verità”, in merito alla rappresentazione scenica, dichiarando:

la contemporanea comparsa di sublime e ridicolo, quindi delle due categorie che daranno origine alla tragedia e alla commedia, è in parte coerente con la versione aristotelica della nascita del teatro che troviamo nella Poetica (v. Morte di Zarathustra, Genova 2016).

Quanto viene messo in atto dai performer in scena è qualcosa di “minaccioso” in ciò che è per noi invece familiare. Per questa ragione si mostra inquietante e terrificante, prima nella percezione acustica degli astanti, sovrastati da urla animalesche al buio, e poi da un quadrato di gesti, movenze, suoni e movimenti epilettici, anche en ralenti di corpi umani e delle loro ombre-fantocci dai volti irati e dalle lingue rosse nella liquida leggerezza identitaria e nell’annullamento del contenuto, in una drammaturgia fatta di legami epilettici, di versi animaleschi, bestiali. Un tavolo è altare e diventa nascondiglio e trono per l’unica donna in scena, luogo consacrato al parto condiviso con l’uomo che è prolungamento uterino, attraverso gli arti, del sacrificio della nascita-morte. Maschere di capelli e battiti esibiti e accompagnati dal vibrato di mani aumentano la tensione, forgiando un climax che educa a riflessioni, non solo artistiche, e quindi paradossalmente soggettive, ma anche legate alla condivisione di un’azione politica corale.




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InformazioniVincenza Di Vita

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