Chi è il mediatore culturale ai tempi della rete? [1/4]

Riflessioni intorno all'incontro su Dioniso e la nuvola al Funaro di Pistoia

Pubblicato il 04/12/2018 / di / ateatro n. 166

Qualche mese fa il Funaro di Pistoia ha ospitato un appassionato dibattito a partire dal saggio di Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino Dioniso e la nuvola [FrancoAngeli]. Quell’incontro ha generato alcune riflessioni che pubblichiamo volentieri su Ateatro come contributo alla discussione sul ruolo della critica – e del teatro – ai tempi della rete.

Condivido poche e semplici considerazioni per aprire questo felice incontro al Funaro, con l’idea che probabilmente i tempi non siano ancora abbastanza maturi per giungere a una piena consapevolezza di ciò che, in ambito culturale e non, è realmente cambiato ai tempi della rete e che però, al tempo stesso la riflessione è delicata e urgente e ogni occasione di confronto, soprattutto dal vivo è la benvenuta.
Il mediatore culturale, oggi come ieri, è un ponte che conosce bene entrambe le rive che unisce, nel nostro caso il teatro e ciò che sta fuori dal teatro. Credo che uno dei principali problemi che vive il teatro sia l’autoreferenzialità di chi ci lavora, la mancanza di consapevolezza del contesto in cui si opera, della distanza da colmare per parlare davvero alle persone (prima che agli spettatori). Una maggiore apertura e curiosità rispetto alla realtà oltre le soglie del foyer renderebbero più efficace ogni azione di mediazione.
Mi aiuta a trovare la definizione corretta proprio la rete, che alla voce Wikipedia “Mediatore culturale”, indica:

Il mediatore culturale è un agente bilingue che media tra partecipanti monolingue ad una conversazione appartenenti a due comunità linguistiche differenti. È informato su entrambe le culture, sia quella dei nativi sia quella del ricercatore anche se è più vicino ad una delle due. Il suo compito è quello di facilitare la comprensione e risponde ad un’esigenza riconosciuta anche a livello filosofico. (…) egli ha un ruolo molto delicato, quello di rassicurare sulle intenzioni dell’osservatore quando lo presenterà ai guardiani, cioè coloro che proteggono il gruppo da occhi indiscreti e che giustamente vogliono informazioni sul suo scopo.

La voce riferendosi all’ambito sociale fornisce suggestioni interessanti. Traslando, se consideriamo “nativi” i cittadini, “ricercatori” i teatranti e la lingua di chi fa il teatro almeno in parte diversa da quella di chi lo fruisce, se consideriamo inoltre che i potenziali spettatori hanno bisogno di essere “rassicurati” sulla bontà dello spettacolo o dovrebbero essere incuriositi da ciò che sono invitati a vedere, la definizione calza a pennello anche per il nostro “mediatore culturale”. A mediare questa relazione oggi esiste anche la rete, mezzo talmente potente e diffuso da aver cambiato la fisionomia stessa e le modalità espressive dei due interlocutori. Gli esempi si sprecano, basti ricordare che spesso i cellulari non vengono spenti neanche durante una rappresentazione, che restiamo connessi al web e siamo quindi un po’ più sconnessi dal mondo fuori dal web in ogni istante, con infinite e profonde ricadute.
Per un ufficio stampa la rete ha significato avere più possibilità di diffusione, l’indirizzario dei giornalisti si è ampliato dei molti contatti di chi scrive sulla rete, professionisti e non; esistono più canali attraverso i quali è possibile trasmettere le informazioni, è addirittura possibile trasmetterle in maniera diretta attraverso social, siti e blog personali o delle strutture per cui si opera, in una dimensione ricca ma anche piuttosto confusa sul valore delle competenze e dei diversi punti di vista. Alla base della confusione un elemento è determinante: le economie, o meglio la mancanza delle medesime. Chi scrive sul web spesso non è pagato per farlo e da qui si scatenano ambiguità su ruoli e responsabilità. Se non si tiene conto di questo aspetto credo sia difficile inquadrare correttamente il contesto nel quale ci troviamo a operare.

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