#BP2019 | Teatro nelle scuole e Codice dello spettacolo: il verbale

L'incontro del 26 novembre 2018 al Laboratorio Formentini per l'Editoria, Milano

Sabato 30 marzo 2019 dalle 9.30 alle 19.00 presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (viale Pasubio 5, Milano) si terrà la XV edizione delle Buone Pratiche del Teatro, una iniziativa della Associazione Culturale Ateatro a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino. Il tema dell’edizione 2019 è Per una politica dello spettacolo. Da giugno 2018 Ateatro promuove gruppi di lavoro, pubblica documentazione e materiali (sul sito wwww.ateatro.it) e organizza incontri pubblici sugli ambiti che il nuovo Codice elencava e che costituiscono in ogni casi i punti qualificanti per elaborare una coerente politica per lo spettacolo.

Il programma completo degli incontri e il #savethedate per l’incontro #BP2019 del 30 marzo 2019.

Una tappa del percorso #BP | Per una politica dello spettacolo si è tenuta a Milano sul tema Teatro nelle scuole e Codice dello spettacolo: il link al documento di convocazione e qui di seguito il verbale dell’incontro.

Le Buone Pratiche del Teatro, a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino, costituiscono dal 2004 un’importante occasione di incontro nazionale fra operatori dello spettacolo, amministratori pubblici e studiosi sui temi dell’economia e della politica dello spettacolo dal vivo.

nell’ambito del progetto verso il Codice dello Spettacolo
a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

presenta
Teatro nelle scuole e Codice dello spettacolo

26 novembre 2018, ore 17.00-20.00

 

Con il contributo di

Il verbale dell’incontro del 26 novembre 2018
Trascrizione a cura di Michela Lucia Buscema
 
Introducono Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino: Ateatro ha in corso serie di incontri intorno al Codice dello spettacolo, il cui compito è di accompagnare l’evoluzione del sistema teatrale italiano dal punto di vista legislativo.
Il Codice dello Spettacolo ha messo in campo tematiche fondamentali, bisogna cercare di far uscire lo spettacolo dal vivo dal suo universo autoreferenziale e metterlo in relazione spettacolo con altri comparti fondamentali, come il turismo, l’internazionale, la scuola.
All’interno dell Codice dello Spettacolo vi è il seguente passaggio:

introduzione di norme, nonché revisione di quelle vigenti in materia, volte all’avvicinamento dei giovani alle attività di spettacolo e finalizzate a creare un efficace percorso di educazione delle nuove generazioni, con riserva di un importo complessivo pari ad almeno il 3 per cento della dotazione del Fondo unico per lo spettacolo per la promozione di programmi di educazione nei settori dello spettacolo nelle scuole di ogni ordine e grado.

La norma fa riferimento a due leggi.
La legge 13 luglio 2015 dal titolo Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti prevede in due commi il potenziamento delle competenze nella pratica e nella cultura musicale, nella storia dell’arte, nel cinema, nelle tecniche e nei media anche mediante il coinvolgimento dei musei e degli altri istituti pubblici e privati operanti in tali settori e l’alfabetizzazione all’arte e alle tecniche e ai media di produzione e diffusione delle immagini.
La legge 16 giugno 2017 “Piano delle arti” prevede tra l’altro il sostegno alle istituzioni scolastiche e alle reti di scuole per realizzare un modello organizzativo flessibile e innovativo di ricerca artistica, il supporto alla diffusione e poli di orientamento artistico, la promozione da parte delle organizzazioni scolastiche di reti di scuole di poliorientamento artistico, il potenziamento delle competenze pratiche e storico-critiche relative alla musica, alle arti e al patrimonio culturale. Quest’ultimo punto è interessante in quanto non si parla solo di laboratori teatrali nelle scuole, ma anche di competenze storico-critiche, di agevolazioni per la fruizione e di incentivazione per tirocini…
Come ha proceduto la discussione? È importante individuare i tipi di attività che si possono realizzare, per esempio in merito al cinema si prevedono festival, rassegne, interventi sulla comunicazione. Ma chi realizzerà queste attività? Come si dovranno stabilire i rapporti con le scuole? E dove? Ateatro ha chiesto un intervento introduttivo a Mario Ferrari.

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Mario Ferrari (Pandemonium Teatro, Bergamo)
Abbiamo visto dei cambiamenti, delle accelerazioni nel legiferare su temi spesso tenuti ai margini come questi. Il governo non teneva conto delle autonomie delle Regioni. Oltre al Codice dello Spettacolo, sono stati siglati protocolli, per esempio quello tra Fita e MiUR. Peraltro la nuova legge è stata preceduta da una storia quarantennale di circolari e normative sullo spettacolo, quella che si potrebbe definire “l’era Carmelo Rocca”, che alla scuola hanno indirettamente fatto riferimento, mettendo molta attenzione nelle circolari emanate su teatro, infanzia e gioventù. In quell’epoca, a èpartire dalla fine degli anni Ottanta, si sono creati i primi centri di teatro ragazzi e i centri di ricerca. Le circolari riguardanti il teatro ragazzi non potevano non coinvolgere le scuole in cui risiedeva il 90% del “pubblico”. Si trattava tuttavia di circolari che riguardavano le realtà spettacolari. La scuola si è sempre organizzata a prescindere dalle normative sullo spettacolo, che non la riguardavano: sono stati quarant’anni di collaborazione tra teatro e scuola nel vuoto di linee strategiche in materia, ma anche di strategie nazionali. In questi quarant’anni è nato e si è sviluppato il grande fenomeno dell’animazione teatrale, da cui sarebbero nate le cooperative che a loro volta, associandosi, avrebbero dato vita a un sistema riconoscibile di “teatro ragazzi”, che proprio nella scuola trova la sua interlocutrice. Questo sistema è nato dalla collaborazione tra imprese, artisti, organizzatori, operatori degli enti locali, giornalisti, scuole, docenti, quartieri. Il primo protocollo d’impresa risale all’84-85. Questo sistema viaggiava in parallelo ad attività autonome nelle scuole, organizzate da docenti, che riceveva una spinta dal mondo biblioteconomico. Negli anni Ottanta-Novanta il teatro ragazzi è un teatro per tutti, realizzato in luoghi divenuti teatrali e che prima non lo erano, capace di raggiungere le piazze più disparate, anche quelle di piccoli comuni. Lì nasce il decentramento teatrale, che vede il teatro e la scuola tra i principali protagonisti insieme agli enti locali.
Con gli ultimi due trienni nell’ambito del FUS sono state definitivamente certificate e pareggiate sul piano della dignità le offerte teatrali che vedono la scuola destinataria di un intero pezzo del teatro italiano. Ma che cosa significa la scuola come destinatario? La scuola è fatta da persone, non è un’entità astratta. Gli operatori mettono al centro i bambini, gli adolescenti e i docenti. Con i docenti è necessaria un’alleanza, che però oggi diviene sempre più difficile. Parlando di formazione e di attività laboratoriale e divulgativa, si parla ancora di adolescenti, un po’ meno di docenti, perché non vengono percepiti come formatori da formare.

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Il rischio è che vengano meno il ruolo e la figura dell’artista. Il docente tuttologo è una stupidaggine, anche se molti ancora insistono su questa strada. Il docente è l’adulto mediatore che sceglie se e come ingaggiare una relazione con altri adulti che esercitano una determinata professione. Come rafforzare un rapporto virtuoso tra adulti che si rivolgono a un medesimo destinatario? Formando alunni e studenti perché facciano gli attori? O formando docenti perché facciano i registi? O passando ai docenti i fondamentali del teatro che poi verranno da loro declinati nei confronti di bambini e adolescenti?
In Italia coloro che hanno esperienza del teatro ragazzi sono circa un milione e mezzo-due milioni di persone. Il 3% del FUS serve ad aumentare la fruizione e la partecipazione di bambini e ragazzi delle nostre scuole alle programmazioni di spettacolo? Altrimenti a cosa dovrebbe provvedere? Come vincolare un fondo che sta nel FUS ma viene affidato al MiUR? I meccanismi gestionali della scuola sono complicati, Non esiste nemmeno una mappatura geografica delle scuole che sul territorio hanno vinto bandi. La cabina di regia tra MiBAC e MiUR dovrebbe ospitare le categorie anziché espellerle. Non servirebbe una maggiore professionalizzazione?
La specificità del destinatario è richiamata tre volte in tre commi successivi del Codice: non si è mai vista un’apertura così ampia. Vale però la pena ricordare alcuni dati: il 3% del FUS vale circa10 milioni di euro. Nelle scuole pubbliche italiane ci sono 8 milioni di studenti, ovvero in media circa 1,25 euro pro capite. Ci sono 8520 scuole, e questo corrpsponderebbe a 1173 euro a scuola (ma le scuole sono distribuite su 41.400 sedi, e a ciuascuna sede toccherennero in media 241 euro). Ci sono 700.071 docenti, e duqnue sarebbero 16 euro pro capite. Le scuole dell’infanzia incidono per il 32,5%, la primaria per il 36,9%, la secondaria (le medie) per il 17,5% e le superiori per il 13%. E ci sono 800.000 studenti con cittadinanza non italiana (si parla di cultura e di spettacolo come valido strumento di integrazione).
Dove e come utilizzare queste risorse, spendendole o investendole? Se si vuole investire, i temi sono due: selezione della collocazione delle risorse (tramite progetti, bandi, progetti condivisi o strumenti ex FUS tipo Migrati) e selezione dei prestatori (parliamo di imprese o persone? È necessario creare degli albi?). Gli esperti vanno qualificati e bisogna trovare un sano approccio alle scuole.

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Gianluca Balestra (Elsinor)
Richiamando l’iter di questi nuovi strumenti normativi, bisogna ricordare nel 2015 la legge sulla Buona Scuola. Indicava 8 punti su cui concentrare le attività: attività teatrale come parte integrante dell’offerta formativa, attraverso laboratori, collaborazione con enti esterni, una piattaforma multimediale, incentivi e agevolazioni e la giornata mondiale del teatro.
Nel 2016 nel protocollo MiUR MiBACT ne furono aggiunti altri, con l’obiettivo di portare gli studenti al teatro e al cinema attraverso un ruolo attivo dei ragazzi attraverso la formazione dei docenti, la nascita di rassegne e festival, la creazione di un festival nazionale del teatro nelle scuole e la promozione della giornata mondiale del teatro e della giornata mondiale dell’audiovisivo attraverso la creazione di bandi.
Tuttavia l’applicazione di questi punti strategici è stata assolutamente vaga (ne sono esempi è l’App18, oppure i laboratori di teatro rivolti a docenti e proposti ai teatri). Elsinor realizza alcuni laboratori ma solo in scuole private che hanno fondi destinati a queste attività. La presenza di studenti a teatro la sera è risibile, intorno al 3% al massimo. Se ci si sposta al di là dell’hinterland milanese, la situazione è ancora diversa. Per esempio in Emilia-Romagna (la fonte di queste informazioni è il circuito regionale) il rapporto con i fruitori (gli studenti) è assolutamente sterile. Per cui una normativa nazionale a livello regionale trova grandi difficoltà di applicazione, e questo apre diversi scenari. Inoltre i soggetti formatori devono potersi attivare in almeno tre regioni. Come fa un circuito regionale a diventare soggetto formatore con queste difficoltà, visto che non può pianificare un progetto organico sul suo territorio?

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Giorgina Cantalini (Scuola di Teatro “Paolo Grassi”, Milano)
La Scuola Paolo Grassi in realtà non si sta occupando già di scuole, ma da un lato è intenzione creare dei percorsi di formazione aggiuntivi per gli allievi curriculari al fine di favorire competenze di pedagogia per l’insegnamento nelle scuole; dall’altra la scuola ha esperienza di istruzione non formale, attraverso corsi extra curriculari rivolti ai giovani, ma che più in generale offrono un servizio al territorio, in quanto mira alla crescita personale e all’utilizzo trasversale e integrato dei linguaggi espressivi e dei processi creativi a beneficio di settori e contesti, professionali, relazionali o educativi, che appaiono lontani e separati da quelli dell’arte. La formazione non-formale si distingue da quella formale (curriculare) e da quella informale (spontanea), in quanto come per la prima propone percorsi mediati e strutturati in contesti dedicati, ma come per la seconda le motivazioni di apprendimento sono intrinseche all’allievo e hanno lo scopo, oltre che di sviluppare abilità e conoscenze, di far sperimentare il tipo di gratificazione che si associa all’amore per una disciplina o alla passione per l’apprendimento in generale, quando alimentati.
Leggendo il passaggio relativo al mondo del cinema in merito alle linee programmatiche e agli scopi didattici, ci si ritrova davanti alla richiesta di interventi sistematici e strutturati che vogliano riformare il paradigma di impartizione dei contenuti scolastici, nel delicato passaggio epocale che stiamo attraversando dalla carta stampata alle immagini e riformare in questo senso la formazione (dall’arbitrarietà dei segni scritti all’iconismo di quelli visivi).
È una sfida allora domandarsi in che maniera il mondo teatrale può aiutare a veicolare i contenuti scolastici: il mondo teatrale potrebbe per esempio diffondere la cultura letteraria attraverso l’oralità e l’esperienza fisica; favorire il rapporto con l’oggetto testo; spingere all’uso di tutto il corpo nell’apprendimento e nella conoscenza di sé; aiutare a comprendere l’architettura della narrazione drammatica; educare al linguaggio teatrale e alla performance.
Gli scopi didattici richiesti al mondo teatrale devono essere altrettanto sistemici e non satellitari. La vera domanda è: chi deve farlo? Non si tratta più di essere teatrante, ma un pedagogo capace di stare in scena e di fornire ai ragazzi conoscenze che non si limitino solo alla semplice educazione al teatro.
 
Cristina Cazzola (Festival Segni d’Infanzia, Mantova)
Un aspetto fondamentale su cui riflettere: i teatranti sono competenti, ma la competenza e la passione per il loro mestiere fanno sì che diventi difficile trovare un accordo. Rispetto all’Europa, ci scontriamo con la complessità della relazione fra il mondo del teatro e quello della scuola e gli insegnanti. Come si può parlare di teatro insieme agli insegnanti? In Europa ci sono diverse esperienze. In diversi paesi un ente fa da tramite tra lo Stato e le municipalità. Quali titoli e come ci si mette d’accordo su come valorizzare l’esperienza? Perché l’esperienza teatrale dovrebbe valere come titolo. È interessante notare, lavorando con i ragazzi, che il coinvolgimento, soprattutto nella fascia degli adolescenti, non deve passare necessariamente attraverso le immagini: vogliono avere informazione e contenuti. Un obiettivo minimo da raggiungere potrebbe essere attivare progetti anche diversi fra loro, ma che aumentino nei ragazzi la capacità di rispondere alla domanda “cosa è il teatro?” senza che la risposta si limiti alla semplice recita o al suono di uno strumento musicale. Bisognerebbe seguire la logica di progetti che vengono scelti da enti che fanno da filtro avendone le competenze, tenendo conto anche di chi sceglie cosa fare (docenti, genitori?). In Norvegia per esempio ogni bambino deve lavorare ogni anno su uno spettacolo teatrale (scriverlo, vederlo, metterlo in scena, analizzarlo) con l’aiuto di un esperto.

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Renata Coluccini (Teatro del Buratto, Milano)
Prima ancora di mettersi d’accordo, è necessario parlarsi e trovare percorsi comuni. Il teatro nella scuola è nel DNA di chi fa teatro ragazzi, il rapporto con la scuola è fondamentale. Non si può pensare di produrre per i ragazzi senza passare attraverso il filtro della scuola. Spesso per fare il formatore nella scuola è necessario avere supporti: pedagoghi, psicologi, educatori che aiutino a essere formatore nella scuola. Il teatro nella scuola è importantissimo come esperienza a partire dai piccolissimi, perché oggi le mappe educative della scuola non sono più sufficienti. Il teatro non deve mai essere al servizio della didattica e non è giusto che se ne parli solo quando si rimette in discussione la presenza del teatro nelle scuole perché una percentuale del FUS viene destinata a questo scopo. Bisogna parlare con le scuole e fornire agli insegnanti i giusti strumenti di discernimento, che permettano di basare le scelte non solo sulla convenienza economica. Il teatro ragazzi non può più essere il teatro scelto da chi non riesce a fare il teatro per gli adulti. Il teatro ragazzi è per prima cosa teatro. E allora perché questo 3% deve andare al MiUR?

Francesco D’Agostino (Manifatture Teatrali Milanesi e AGIS)
La sovrabbondanza di menzioni del teatro ragazzi nel Codice dello Spettacolo parte dalla totale assenza di riconoscimento del teatro ragazzi nel Decreto tuttora in vigore. Per esempio le matinée nelle scuole devono essere limitate per i Teatri Nazionali e i TRIC. Il teatro per ragazzi deve comunque partire da una forma d’arte che è il teatro, cosa che non è per tutti scontata. All’estero il teatro nelle scuole ha perso il suo valore estetico: dobbiamo interrogarci sulla qualità del teatro per ragazzi che vediamo provenire dall’estero. Bisogna soprattutto pensare che abbiamo una nuova generazione di insegnanti che non è più quella che ha creato il teatro ragazzi, molti dei docenti di quelle generazioni stanno andando in pensione e bisogna formare questa nuova classe di insegnanti.

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Davide D’Antonio (Associazione Etre)
Être ha avuto un incontro conl MiUR. Il 3% non passa dagli artisti ma attraverso i bandi nelle scuole. Sulla formazione, il Ministero sembra non voler prendere una posizione: non si parla di figure professionali con determinati requisiti che venga formata da una scuola (università, scuole civiche), e dunque si potrebbe ipotizzare che saranno le singole scuole a decidere e individuare autonomamente i propri formatori. Le scuole saranno in grado di farlo? Questo è sicuramente un grosso problema. Esiste un tavolo di discussione tra Ministero e rappresentanti del mondo teatrale professionale e non professionale? Secondo il Ministero al momento non è ancora necessario. È importante invece unirsi, fare proposte condivise da più rappresentanti del mondo teatrale. Il Ministero ha chiarissimo quali sono i problemi, si aspetta proposte dal mondo teatrale. Tra l’altro il MiUR ha già incontrato anche la Fita.

Mimma Gallina
Il protocollo tra MiUR e Fita non fa però riferimento all’applicazione del Codice dello Spettacolo, ma all’alternanza scuola-lavoro e anche all’impiego degli studenti nell’interno delle compagnie amatoriali. Insomma, sembrerebbe che sul tema del Codice il mondo Fita non abbia ancora scavallato del tutto il mondo del teatro professionale. Non credo (non mi sembra plausibile) che queste possano essere le linee di attuazione del Codice dello Spettacolo in riferimento al 3% del FUS. A meno che il mondo del teatro professionale non si faccia del tutto scavalcare.

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Elisa Rota (Cooperativa Alchemilla, che cura il progetto Laiv-in assieme a ETRE su affidamento di Fondazione Cariplo)
Laiv è un format condiviso tra teatro, docenti, studenti. Il progetto esiste da dodici anni ed è finanziato da Fondazione Cariplo per laboratori nelle scuole superiori. L’obiettivo del nuovo progetto è radicarsi ancora di più sul territorio (nello specifico, il territorio lombardo). I protagonisti del progetto sono le scuole e gli operatori teatrali: bisogna creare un partenariato con docenti e operatori che abbiano non solo competenze teatrali, ma anche competenze sul target di riferimento. Laiv sta lavorando con i laboratori in modo da valorizzare le competenze degli studenti, non solo le loro conoscenze. Le scuole non devono più lavorare per singolo docente: è necessario un lavoro di équipe che eviti i baronaggi, e allo stesso tempo non si potrà più lavorare con l’operatore singolo ma con un ente, al fine di dare ai ragazzi una pluralità di esperienze e una poetica condivisa. Altro aspetto fondamentale è il riconoscimento del ruolo dei ragazzi in tutte le fasi del laboratorio, dall’ideazione alla realizzazione fino alle ricadute. Da questa esigenza è nato il “project Work”: dal laboratorio teatrale sono nate esperienze in cui sono state messe in campo le competenze degli studenti per poi realizzare attività sul territorio. E’ nato così Laiv-in, con l’obiettivo di valorizzare le esperienze creando dei partenariati forti sul territorio tra scuole, territorio (operatori teatrali e musicali) ed enti locali, al fine di creare maggiore sostenibilità non solo economica ma di sistema. La scuola può capitalizzare molte risorse perché ci sono le famiglie. La scuola non è un cliente, così come non lo sono i ragazzi: scuole e studenti devono essere dei partner.

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Claudio Facchinelli (intervento scritto)
Si è ormai consolidata, nella pubblicistica specializzata, la differenza terminologica fra “teatro ragazzi” e “teatro della scuola”. Con il primo si indicano le produzioni teatrali rivolte all’infanzia e alla gioventù; con il secondo si intende l’attività, principalmente laboratoriale, che prevede i bambini e i ragazzi come soggetti attivi.
Si tratta di ambiti distinti anche se, di fatto, coinvolgono spesso i medesimi professionisti, e più d’una sono state le occasioni di una loro interazione, reciprocamente feconda: a titolo di esempio citerei gli esempi storici di Marco Baliani e del Teatro del Buratto.
Personalmente mi sono confrontato con ambedue i mondi, approfondimento maggiormente il teatro della scuola, con una collaborazione, in passato, con Hystrio, e avendo curato successivamente, per una quindicina di anni, la rubrica Sipario scuola, appunto sulla rivista Sipario. Sono poi tuttora socio attivo, dopo esserne stato vicepresidente, di Agita, associazione per la diffusione del teatro nella scuola e nel sociale.
Il riconoscimento formale da parte dell’istituzione ufficiale dell’importanza educativa e formativa del teatro della scuola si può fa risalire al Protocollo d’intesa relativo all’educazione al teatro, fra l’allora MPI, il dipartimento dello spettacolo e l’ETI, firmato a Roma il 6 settembre 1995, i cui principi furono ripresi e ribaditi i documenti successivi, fra i quali cito con piacere quello, ancora interministeriale, firmato il 21 dicembre 2006, la cui prima bozza ho avuto il privilegio di redigere personalmente.
Da quest’ultima iniziativa scaturirono, nel 2007 e nel 2009, rispettivamente a Viterbo e ad Assisi, due edizioni significative del Palcoscenico del teatro della scuola, organizzate dal MIUR che, nello spirito delle due intese precedentemente citate (ancora più esplicitamente espresso dall’ultima), intendevano superare la semplice rassegna – ancorché a carattere nazionale – rafforzandone la funzione di momento di educazione alla visione per i giovani, e di formazione per operatori teatrali e per inseganti. Ricordo con emozione e riconoscenza che, in veste di formatore, ad Assisi partecipò anche il professor Sisto Dalla Palma.
Accenno velocemente alle due scuole di pensiero presenti in Europa (e all’estero) sulle forme e i profili professionali deputati alla gestione del teatro della scuola. La cultura anglosassone prevede il drama teacher, un professionista formato in ambito universitario, con competenze sia teatrali sia psicopedagogiche. A questa forma si contrappone la tradizione latina del partnerariato: una conduzione a quattro mani di teatranti e insegnanti di scuola, opportunamente formati, allo scopo di lavorare insieme. Per una disamina delle due impostazioni, e per un approfondimento delle informazioni qui fornite sommariamente, invio il lettore interessato alla lettura del mio saggio Dramatopedia – spunti di storia, etica e poetica per il teatro della scuola (Edizioni Corsare, 2011).
A livello istituzionale, le vicende più recenti sono caratterizzate da uno stallo. La direzione generale per lo studente, ufficio competente in questa materia presso il MIUR, ha registrato una lunga vacatio del suo direttore, Giovanna Boda, trasferita per oltre un anno ad altro incarico. In tale periodo, chi ne ha svolto le funzioni non si è dimostrato particolarmente sensibile al tema del teatro della scuola.
Nel frattempo era stato istituzionalizzato un tavolo di lavoro sul teatro della scuola – del quale formalmente farei parte, come delegato dell’ANCT (Associazione Nazionale dei Critici di Teatro) – che però non è più stato convocato da tempo. C’è qualche speranza che, rientrata Giovanna Boda da alcuni mesi, qualcosa si rimetta in moto, e che il tavolo venga nuovamente convocato. Si tratta, tuttavia, di una compagine alquanto pletorica, cui si sono aggregati rappresentante di enti, quali le associazioni di teatro amatoriale, sulla cui pertinenza alla specificità del teatro della scuola nutro qualche perplessità.

Adriano Gallina (docente di liceo a Varese e operatore teatrale anche nel campo del teatro ragazzi)
A ogni protocollo d’intesa il teatro ragazzi si eccitava. C’erano momenti iniziali di grandi focolari di attivismo, ma con effetti finali del tutto deludenti. Per quanto riguarda il 3% del FUS, nel mondo del teatro il grande timore è che tutto si concluda con “un nulla di fatto”.
Già nel ’95 si parlava di inserire, in merito al teatro nelle scuole, il cosidetto “organico del potenziamento”, ovvero coloro che sono entrati nel mondo della scuola con professionalità aggiuntive che potessero insegnare discipline dello spettacolo all’interno di tutte quelle scuole che in base alla loro autonomia decidevano di attivare percorsi di formazione. Tuttavia a fronte di un primo inserimento “d’ufficio” di questi docenti (coloro che avevano superato i concorsi), si chiese alle scuole di indicare quali fossero i percorsi di studio rispetto ai quali avessero bisogno di insegnanti di potenziamento e la risposta fu del tutto inconcludente, in quanto fortemente legata alla necessità di dare lavoro ai docenti in organico.
Siamo in una situazione per cui l’alternanza scuola-lavoro, fiore all’occhiello della Legge 107, è stata derubricata da tutti i programmi con un taglio tra i 46 e i 60 milioni di euro sui prossimi anni, che verranno sottratti dal MiUR alle scuole come finanziamento alle attività di alternanza scuola-lavoro.
Dobbiamo cercare di individuare criteri di selezione che discriminino quantomeno la professionalità di chi opera nel mondo della scuola come formatore, non in termini qualitativi ma in termini strettamente giuridici (chi forma non solo deve avere i titoli ma anche agibilità, partita IVA, costituzione legale), in un momento di totale confusione del MiUR, dove domina il “navigare a vista” a cui sono costrette le scuole.

Valentina Kastlunger (Zona K, Milano)
Se ci fossero delle risorse disponibili da parte del MiUR, dovrebbero incrementare meccanismi che già esistono. La scuola certamente non può premiare nei bandi chi costa meno. Forse bisognerebbe stabilire dei prezzi standard degli operatori per cercare di salvaguardare la qualità. Si potrebbero studiare modalità di accesso alle scuole che premino la continuità, che a volte i bandi non garantiscono. Allo stesso tempo i bandi rischiano di costituire un ostacolo per le giovani realtà che tentano di accedere alla possibilità di operare nelle scuole e falliscono perché semplicemente non sanno approcciarsi al mezzo bando e alla sua compilazione. Il problema della formazione: bisognerebbe optare per fondi che garantiscano la formazione permanente dei docenti, e questo garantirebbe un circolo virtuoso anche alle realtà teatrali che da anni si impegnano in questa attività. È necessario infine domandarsi quanto i laboratori teatrali nelle scuole influenzino la presenza degli studenti la sera a teatro. Non è forse necessario pensare anche a percorsi di visione, oltre che a laboratori teatrali?

#BP2019 | Teatro nelle scuole e Codice dello spettacolo

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Stefania Marrone (C.Re.S.Co.) (intervento scritto)
La “questione 3%”: il più delle volte quest’anno l’abbiamo chiamata così. Per velocità, per concretezza – visto che si parla di risorse – ma anche probabilmente perché non abbiamo in merito molti altri elementi identificativi. Sappiamo che la Legge sullo spettacolo dal vivo 175/2017 prevede che il 3% delle risorse del FUS sia destinato all’avvicinamento delle nuove generazioni alle discipline dello Spettacolo dal vivo.
Questo ha dato spazio a legittime perplessità all’interno di un Comparto che ogni anno intona all’unisono la richiesta di incremento delle risorse, e si trova invece davanti a una possibile decurtazione, soprattutto stando all’esigenza paventata dal MiBAC di affidare direttamente il 3% al MiUR che è in contatto diretto con le scuole, lasciando a tutela della regolamentazione dell’utilizzo di questi Fondi il tavolo interministeriale MiUR-MiBAC.
C’è un condivisibile desiderio del comparto che il 3% non venga sottratto al FUS.
C’è dall’altro lato la necessità di un dialogo con un MiUR che, in vista della “questione 3%”, ha manifestato apertura al confronto con gli operatori.
Il Tavolo Formazione di CReSCo è stato ricevuto dalla dottoressa Serinelli il 21 dicembre 2017 ed è subito emerso il desiderio/bisogno del MiUR di avere un’interlocuzione con un comparto unitario, capace di camminare insieme, allineando le priorità e portando avanti richieste univoche. La la dottoressa Serinelli ha ripetuto pubblicamente l’invito durante l’incontro di Assitej Informa a Lecce nel settembre 2018. Muoversi compatti non vuol dire seguire ciecamente una linea, ma elaborarla insieme con un processo partecipato.
Il 9 febbraio 2018, durante l’incontro organizzato a Firenze da C.Re.S.Co. sui Decreti attuativi, è stato dedicato un tavolo alla formazione, a cui naturalmente erano presenti sia promotori che soggetti esterni. Il tavolo interno è diventato un tavolo allargato. Non ne è nato un documento, ma piuttosto una scaletta di punti irrinunciabili.
Abbiamo innescato poi un dialogo con Astra e con Assitej, che consideriamo tra gli interlocutori preziosi per elaborare un pensiero che possa essere fondante di una relazione solida col MIUR, un dialogo che in questo momento è tutto da costruire.
Siamo partiti dal presupposto, condiviso con i 135 promotori CReSCo e con le altre realtà facenti parte del tavolo allargato, che rispetto alla formazione tutti noi abbiamo almeno una priorità condivisa: il riconoscimento del valore della nostra professionalità. Questo ci rimanda al bisogno del comparto di definire (cioè di qualificare) l’identità del formatore teatrale.
Di questo crediamo si debba dare atto alla questione 3%: ci ha messo davanti a uno specchio, ha permesso incontri come questo, in cui gli operatori si interrogano insieme sul valore della relazione fra teatro e scuola. Ci siamo ritrovati a constatare non solo quanto incide la formazione teatrale sullo sviluppo della coscienza dell’individuo (con il bisogno di raccontarlo al MiUR), ma anche quanto incide l’incontro con la comunità (o con fasce di essa) sulla pratica artistica di una compagnia (con il bisogno di ricordarci qual è il senso che ci spinge ad occuparci di formazione). Siamo arrivati a pensare, là dove si punta a una regionalizzazione della Scuola (e quindi dell’offerta formativa rivolta alle nuove generazioni), che la nostra transregionalità è un valore aggiunto inestimabile.
Da un lato è necessario un lavoro congiunto sui Decreti attuativi che porta naturalmente all’interlocuzione con il MiBAC. Dall’altro lato crediamo sia fondamentale il dialogo con il MiUR, che passa attraverso la definizione dell’identità del formatore teatrale, per offrire una risposta alle linee guida del MiUR 2016, che invitano i Dirigenti Scolastici a servirsi per i PON prioritariamente dei docenti interni, anche per la formazione trasversale.
In qualunque modo condurremo la partita dei Decreti attuativi e del 3%, resterà aperta per esempio la questione PON (fondi europei di competenza delle Scuole), con i quali credo che ognuno di noi abbia avuto modo di incontrarsi e di scontrarsi. C’è chi ci ricorda che c’è vita oltre il FUS.
C.Re.S.Co. ha steso una prima bozza dei requisiti identificativi del formatore, che naturalmente siamo pronti a sottoporre all’attenzione di chi ce lo chiederà.
Se e quando la leggerete, vi chiediamo per un attimo di pensare alla suggestiva circostanza che la richiesta di compattezza ci è arrivata da un Ministero che non è il nostro interlocutore di riferimento.

Fabio Naggi (As.T.Ra.). (intervento scritto)
Di fronte alla possibilità che, con il Codice dello Spettacolo, trovi applicazione la destinazione del 3% del FUS a programmi di diffusione dei linguaggi artistici nella scuola, il mio intervento suggerisce un approccio pragmatico, per verificare quali programmi, con caratteristiche potenzialmente simili, siano già fin d’ora attivi, in modo da comprendere i possibili punti – in negativo o in positivo – sui quali riflettere nel momento in cui sarà nostro compito interloquire con l’Amministrazione e collaborare alla scrittura del Decreto che renderà attiva la norma prevista dal Codice.
A questo proposito, la Legge della Buona Scuola ha previsto il Piano delle Arti, tradotto nel D.L. 13 aprile 2017 N°60. Da qui una concreta operatività, attraverso bandi che prevedono oggetti di attività, soggetti attuatori, criteri di distribuzione a livello regionale delle risorse, ulteriori criteri di attribuzione. Una prima lettura dei bandi emanati in capo a tale azione, suggerisce due punti focali, anch’essi da approfondire, non avendone in questa sede il tempo necessario.
Il primo è quello relativo alla definizione e conseguente riconoscimento del profilo professionale. Questione complessa, perché la realtà è composta da un’ampia platea di operatori di alto livello professionale, i più dei quali possiedono una esperienza acquisita sul campo, nel corso di una pluridecennale attività di confronto, collaborazione e partenariato con la scuola. Occorre dunque ragionare su criteri che consentiranno di comporre il profilo dell’operatore teatrale nella scuola a partire dalla necessità di riconoscere e comprendere tale platea. Capire se oggi, per esempio nei meccanismi legati ai PON, questo sia possibile o meno vale quale cartina di tornasole del lavoro da fare.
Il secondo tema è relativo all’accreditamento, ovvero al riconoscimento necessario ai soggetti per partecipare ai bandi o, comunque, ai piani di azione possibili. Usiamo dunque in questo caso un’accezione ampia del concetto, ben sapendo che esistono già ora traduzioni concrete del tema, come le norme che regolano l’accreditamento che abilita alla presentazione di progetti di formazione docente – su piano regionale o nazionale –  nel solco di quanto previsto dal Piano nazionale di formazione.
Entro questa cornice generale, ci sembra di poter riconoscere nell’accreditamento – forse rischiando la semplificazione – lo spazio concettuale e normativo ove valorizzare il sistema delle imprese, dichiarando così il loro ruolo come luoghi ove singoli operatori possono trovare e creare, in virtù dell’associarsi tra loro, un contesto di tutele a continuità dell’azione, nonché di crescita della cultura professionale individuale e di quella imprenditoriale. Le condizioni di accesso dovrebbero dunque tenere in forte considerazione il profilo imprenditoriale dei soggetti candidabili, con una precisazione. Io che intervengo a nome di As.T.Ra., dunque dell’associazione che rappresenta le imprese per le quali il rapporto tra il teatro e la scuola è un fatto identitario e metodologico preciso, dico con chiarezza che l’intero spettro dell’imprenditorialità del teatro – così come quello della musica, della danza, del circo contemporaneo – debba portare la propria specifica esperienza nel rapporto progettuale con la scuola, ma a un patto: che non ci si improvvisi, che non ci si scopra d’un tratto, solleticati dalla prospettiva di risorse dedicate, operatori artistici in grado di operare nella scuola. Se per crescere come individui occorre mangiare il pane di molti forni, i fornai non devono essersi improvvisati tali la notte prima. Soprattutto pensando a chi il pane è destinato: bambini, ragazzi, giovani. A questo dovranno porre attenzione i criteri di accesso cui occorre lavorare.
Il prossimo passaggio dirimente la norma relativa al 3% del FUS sarà il momento di scrittura del relativo decreto attuativo, i cui tempi sono conseguenza dell’iter di nuova presentazione del Codice dello Spettacolo, da poco decaduto. Sarà importante che tale scrittura avvenga, sul versante istituzione, in un dialogo interministeriale tra MIBAC e MIUR, allo scopo di raggiungere un accordo quadro che comprenda, pur nella distinzione dei reciproci ruoli, il comune obbiettivo di diffondere i linguaggi artistici nella scuola secondo criteri di professionalità e imprenditorialità.
Sul versante degli operatori, invece, As.t.Ra è parte diligente perché l’intera AGIS – Federvivo – con uno sguardo dunque unitario e rivolto anche a musica, danza e circo contemporaneo – sia, come naturale, l’interlocutore di simile processo.

Barbara Pizzo (Assitej Italia)
Il tema del rapporto tra arte ed educazione sta molto a cuore ad Assitej. L’80% degli associati è professionalmente impegnato nel teatro ragazzi da oltre dieci anni.
Bisogna favorire la fruizione di spettacoli teatrali non solo per i ragazzi ma anche per le famiglie, gli insegnanti, la partecipazione a percorsi laboratoriali, la strutturazione di percorsi di ricerca di carattere storico, archivistico, lo stimolo a una nuova critica dedicata al teatro per bambini e ragazzi dove il fare non prescinda mai il vedere. Rispetto alla questione del 3%, è importante segnalare l’opportunità che rappresenta per le realtà professionali attive nel teatro ragazzi. L’opportunità reale è la possibilità di innescare un proficuo dialogo interassociativo e di conseguenza una efficace relazione con il MiUR attraverso una rappresentanza il più possibile ad ampio spettro seppur specifica, senza però porsi in una relazione però frontale con il Ministero. È una chiamata alle arti, non alle armi. Bisogna co-costruire, si può essere parti di un progetto condiviso.

Mimma Gallina
Una brevissima sintesi dei molti punti in comune (trasversali), che sembra utile riepilogare.
# C’è un problema di idee, di linee guida, di che cosa si vuole fare, senza dimenticare che questo 3% è sul FUS. C’è un problema di multidisciplinarietà all’interno di questo ragionamento.
# C’è un problema di risorse. Le risorse per lo spettacolo e per applicare il Codice dello Spettacolo non sono sufficienti. Ateatro ha elencato le missioni aggiunte dal codice dello spettacolo per attuare le quali è assolutamente necessario e irrinunciabile un incremento del Fus, e è comunque inaccettabile che il 3% finisca col ridurre la disponibilità al complesso del settore.
# Bisogna anche considerare che ci sono altre linee di intervento del Miur che dovrebbero/potrebbero integrare questo fondo, che per non essere disperso non può essere la sola risorsa e richiede una logica di investimento
# Un punto sollevato in molti interventi è quello del partenerariato. Si devono trovare le giuste modalità di collaborazione fra il mondo della scuola e professionisti e organizzazioni del teatro e quello della qualificazione professionale con riferimento tanto ai singoli operatori che alle organizzazioni.
# In collegamento al tema della qualifica, se la responsabilità resta in capo alle singole scuole bisogna che ci siano indicazioni chiare, per garantire il livello qualitativo degli interventi e evitare baronie baronie.
A questo proposito sarebbe fondamentale Un documento condiviso da parte delle diverse organizzazioni.

Interventi dalla sala

Paola Manfredi (Teatro Periferico, Cassano Valcuvia)
Sono tante le persone che lavorano e si scontrano con il grande problema del “Chi lo fa questo lavoro?” Non certo gli insegnanti, anche se molte sono le scuole che stanno aprendo bandi per insegnare teatro al personale interno. Il secondo problema è “la preparazione universitaria teatrale”. Il teatro lo si deve fare, non si può solo studiare. Va bene che il processo è importante, ma non bisogna dimenticarsi di quanto conti l’estetica. L’educazione alla bellezza è importante: ai ragazzi interessa anche l’esito. C’è un pregiudizio nei confronti di questo lavoro, ci sono bandi nelle scuole che fanno spavento, in cui vincono le compagnie amatoriali oppure quelle che propongono tariffe di 15 € l’ora. La qualità è importante. Oltre gli operatori, ci sono anche gli insegnanti. Gli insegnanti oggi trasmettono competenze, non conoscenze. Il teatro si trova davanti a degli insegnanti con cui bisogna imparare a confrontarsi.

Elena Guerrini (autrice, attrice e insegnante elementare)
Da quest’anno insegno in una scuola elementare. Durante la programmazione e la decisione sui bandi di attività extracurriculari, arrivati al teatromi è stato detto che la mia laurea DAMS non era un titolo sufficiente per insegnare teatro. L’impegno di fare teatro ai ragazzi è stato dato alla docente con diploma di psicomotricista. Qual è il titolo per poter insegnare teatro nella scuola?

Claudio Facchinelli
Per sei-sette anni ho finanziato laboratori teatrali nei licei e ho trovato nei teatri i miei studenti. Uno degli obiettivi è far fare e far vedere il teatro. C’è un versante di educazione alla visione e un versante critico. Nell’ultimo tavolo di lavoro con il Ministero è stata invitata anche l’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro.




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